Art. 350 – Codice di Procedura Penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477 - aggiornato al D.Lgs. 08.11.2021, n. 188)

Sommarie informazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini

Articolo 350 - codice di procedura penale

1. Gli ufficiali di polizia giudiziaria (57) assumono, con le modalità previste dall’art. 64, sommarie informazioni utili per le investigazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini che non si trovi in stato di arresto (380 ss.) o di fermo a norma dell’art. 384 (357, lett. b), e nei casi di cui all’articolo 384 bis (1).
2. Prima di assumere le sommarie informazioni, la polizia giudiziaria invita la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini a nominare un difensore di fiducia e, in difetto, provvede a norma dell’art. 97 comma 3.
3. Le sommarie informazioni sono assunte con la necessaria assistenza del difensore, al quale la polizia giudiziaria dà tempestivo avviso. Il difensore ha l’obbligo di presenziare al compimento dell’atto (179).
4. Se il difensore non è stato reperito o non è comparso, la polizia giudiziaria richiede al pubblico ministero di provvedere a norma dell’art. 97, comma 4.
4-bis. Quando la persona sottoposta alle indagini e il difensore vi consentono, il pubblico ministero, su richiesta della polizia giudiziaria, può autorizzare lo svolgimento dell’atto a distanza. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 133-ter. (2)
5. Sul luogo o nell’immediatezza del fatto, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono, anche senza la presenza del difensore, assumere dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, anche se arrestata in flagranza (380 ss.) o fermata a norma dell’art. 384, notizie e indicazioni utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini.
6. Delle notizie e delle indicazioni assunte senza l’assistenza del difensore sul luogo o nell’immediatezza del fatto a norma del comma 5 è vietata ogni documentazione e utilizzazione.
7. La polizia giudiziaria può altresì ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, ma di esse non è consentita la utilizzazione nel dibattimento, salvo quanto previsto dall’art. 503, comma 3 (357, lett. b).

Articolo 350 - Codice di Procedura Penale

1. Gli ufficiali di polizia giudiziaria (57) assumono, con le modalità previste dall’art. 64, sommarie informazioni utili per le investigazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini che non si trovi in stato di arresto (380 ss.) o di fermo a norma dell’art. 384 (357, lett. b), e nei casi di cui all’articolo 384 bis (1).
2. Prima di assumere le sommarie informazioni, la polizia giudiziaria invita la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini a nominare un difensore di fiducia e, in difetto, provvede a norma dell’art. 97 comma 3.
3. Le sommarie informazioni sono assunte con la necessaria assistenza del difensore, al quale la polizia giudiziaria dà tempestivo avviso. Il difensore ha l’obbligo di presenziare al compimento dell’atto (179).
4. Se il difensore non è stato reperito o non è comparso, la polizia giudiziaria richiede al pubblico ministero di provvedere a norma dell’art. 97, comma 4.
4-bis. Quando la persona sottoposta alle indagini e il difensore vi consentono, il pubblico ministero, su richiesta della polizia giudiziaria, può autorizzare lo svolgimento dell’atto a distanza. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 133-ter. (2)
5. Sul luogo o nell’immediatezza del fatto, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono, anche senza la presenza del difensore, assumere dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, anche se arrestata in flagranza (380 ss.) o fermata a norma dell’art. 384, notizie e indicazioni utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini.
6. Delle notizie e delle indicazioni assunte senza l’assistenza del difensore sul luogo o nell’immediatezza del fatto a norma del comma 5 è vietata ogni documentazione e utilizzazione.
7. La polizia giudiziaria può altresì ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, ma di esse non è consentita la utilizzazione nel dibattimento, salvo quanto previsto dall’art. 503, comma 3 (357, lett. b).

Note

(1) Le parole: «, e nei casi di cui all’articolo 384 bis» sono state aggiunte dall’art. 2, comma 1, lett. b bis), del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, nella L. 15 ottobre 2013, n. 119.
(2) Il presente comma è stato inserito dall’art. 17, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10.10.2022, n. 150 con decorrenza dal 30.12.2022.

Massime

Sono utilizzabili nella fase procedimentale, e dunque nell’incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta, le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen.purché emerga con chiarezza che l’indagato ha scelto di renderle liberamente, ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione. Cass. pen. sez. II 28 marzo 2018, n. 14320

Nel giudizio abbreviato sono utilizzabili a fini di prova le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria, perchè l’art. 350, comma settimo, cod. proc. pen. ne limita l’inutilizzabilità esclusivamente al dibattimento. Cass. pen. sez. V 22 marzo 2017, n. 13917

Nel giudizio abbreviato sono utilizzabili a fini di prova le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria, perchè l’art. 350, comma settimo, cod. proc. pen. ne limita l’inutilizzabilità esclusivamente al dibattimento. Cass. pen. sez. V 27 ottobre 2014, n. 44829

Le dichiarazioni rese dall’indagato, non possono essere ritenute “spontanee” solo perchè così qualificate dalla polizia giudiziaria che le ha raccolte, essendo invece necessario che il giudice accerti d’ufficio, sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione, l’effettiva natura libera e volontaria delle stesse, dando atto di tale valutazione con motivazione congrua ed adeguata. Cass. pen. sez. III 21 gennaio 2014, n. 2627

Il carattere di spontaneità di una dichiarazione resa alla polizia giudiziaria da persona nei cui confronti vengono svolte indagini non può essere escluso per il solo fatto che furono rese a seguito di invito a presentarsi. (In motivazione, la Corte ha evidenziato che l’invito impone la presentazione ad un ufficio di P.G.ma non di rendere dichiarazioni). Cass. pen. sez. I 24 giugno 2013, n. 27678

Le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato alla polizia giudiziaria sono utilizzabili in sede di giudizio abbreviato nei confronti dei chiamati in reità o in correità. Cass. pen. sez. VI 1 giugno 2012, n. 21265

Nel giudizio abbreviato le dichiarazioni spontanee rese da un indagato nell’immediatezza dei fatti, ai sensi dell’art. 350 c.p.p. non possono costituire prova a carico di altro coindagato. Cass. pen. sez. IV 17 giugno 2003, n. 25922

Sono utilizzabili nel giudizio abbreviato le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria, anche se inserite in un verbale di perquisizione o sequestro e non in un altro autonomo verbale. Cass. pen. sez. VI 6 marzo 2012, n. 8675

Le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato alla polizia giudiziaria, disciplinate dall’art. 350, comma settimo, c.p.p.sono pienamente utilizzabili nella fase delle indagini preliminari. Cass. pen. Sezioni Unite 13 gennaio 2009, n. 1150

Le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato nell’immediatezza del fatto e riferite nell’informativa confermata dal verbalizzante, pur se sollecitate dalla polizia giudiziaria, non sono assimilabili all’interrogatorio in senso tecnico. Ne consegue che, per l’assunzione di tali dichiarazioni, non è necessario il previo invito alla nomina del difensore né l’avvertimento circa la facoltà di non rispondere. Cass. pen. sez. III 12 dicembre 2008, n. 46040

La polizia giudiziaria, al fine di sviluppare le indagini in merito a quanto appreso, può utilizzare le dichiarazioni rese dall’indagato nell’immediatezza del fatto senza la presenza del difensore e sugli esiti di tali indagini, nonché sugli elementi raccolti a seguito delle indicazioni ricevute dall’indagato, è legittima l’acquisizione nel dibattimento della testimonianza dell’ufficiale di polizia giudiziaria che tali accertamenti ha svolto. Cass. pen. sez. IV 3 novembre 2008, n. 41040

Nel giudizio abbreviato possono essere utilizzate nei confronti del coimputato, chiamato in reità o in correità, le dichiarazioni rese spontaneamente alla polizia giudiziaria dal soggetto che ancora non ha formalmente assunto la qualità di sottoposto ad indagine, sia perché la richiesta del rito speciale costituisce un’implicita rinuncia al dibattimento e quindi all’esame in contraddittorio della persona che ha rilasciato le dichiarazioni spontanee, sia perché l’art. 350, comma settimo, c.p.p. ne preclude l’utilizzazione nella sola sede dibattimentale. Cass. pen. sez. I 28 ottobre 2008, n. 40050

Alle dichiarazioni spontanee (art. 350 comma settimo c.p.p. ) del soggetto indagato non si applicano le disposizioni dell’art. 63, comma primo, c.p.p. e dell’art. 64, stesso codice, giacché l’una concerne l’esame di persona non imputata o non sottoposta ad indagini e l’altra, attiene all’interrogatorio, atto diverso dalle spontanee dichiarazioni. Cass. pen. sez. VI 26 agosto 2008, n. 34151

Le dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria rientrano nel regime di utilizzabilità limitata previsto dall’art. 350, comma settimo c.p.p. non solo se provengono da chi ha acquistato la qualità di persona sottoposta ad indagini in senso formale, ma anche se sono rese da chi sia raggiunto da elementi concreti di colpevolezza che possano quanto meno far sospettare che si sia reso responsabile della consumazione del reato. Cass. pen. sez. IV 11 marzo 2004, n. 11526

Anche nel giudizio abbreviato, le dichiarazioni spontanee rese da un indagato, nell’immediatezza dei fatti, ai sensi dell’art. 350 c.p.p. non possono costituire prova a carico di altro indagato. Cass. pen. sez. IV 17 giugno 2003, n. 25922

Le dichiarazioni rese spontaneamente alla polizia giudiziaria dalla persona, nei cui confronti vengono svolte le indagini a norma dell’art. 350 comma 7, c.p.p. non possono essere utilizzate nel dibattimento ma possono essere prese in considerazione nel giudizio abbreviato, attesa la natura peculiare dello stesso, caratterizzato dallo svolgimento allo stato degli atti. La richiesta di tale giudizio, infatti, implica la rinuncia a sollevare eccezioni sulla ritualità degli atti in base ai quali è documentato, anche se trattasi di atti compiuti dalla polizia giudiziaria che non sarebbero di per sé utilizzabili in eventuale accertamento dibattimentale. Cass. pen. sez. IV 19 febbraio 1997, n. 1554

Gli atti di polizia giudiziaria – in particolare quelli indicati nell’art. 351 c.p.p. – che risultano documentati in forme diverse da quelle prescritte (con annotazione, anziché con verbalizzazione) possono essere utilizzati nella fase delle indagini preliminari per essere posti a fondamento di provvedimenti cautelari o di altri atti che trovino la loro collocazione nell’ambito della medesima fase di indagine. Viceversa, ogni possibilità di utilizzazione in fase di dibattimento delle acquisizioni assunte nel corso delle indagini preliminari è direttamente collegata all’osservanza delle formalità di documentazione prescritte per la P.G. dall’art. 357, comma secondo, c.p.p. Cass. pen. sez. IV 24 gennaio 1997, n. 2073

Le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato ai sensi dell’art. 350, comma 7, c.p.p.se assunte senza il difensore, non sono utilizzabili ai fini del giudizio (salvo quanto previsto dall’art. 503, comma 3, c.p.p.) e, quindi, non hanno rilevanza probatoria ai fini della decisione, ma possono essere utilizzate nella fase delle indagini preliminari; ne consegue che possono ritualmente essere poste a fondamento della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza ai fini dell’applicazione di una misura cautelare. Cass. pen. sez. III 2 luglio 1996, n. 2230

L’inutilizzabilità dibattimentale delle dichiarazioni rese dall’arrestato alla polizia giudiziaria stabilita dall’art. 350 comma 7 (con la salvezza relativa alla possibilità di contestazioni) è determinata da specifiche finalità di tutela del diritto di difesa, ma non può estendersi a ciò che travalica tale diritto, pur inteso nella sua più ampia latitudine, e particolarmente al contenuto calunnioso di esse nei confronti di altri soggetti. Di tali dichiarazioni è inibita la utilizzazione nel dibattimento relativo alla imputazione per cui il procedimento era già sorto, non già nel dibattimento in cui esse vanno considerate come un fatto penalmente rilevante. (Nella specie è stato rigettato il motivo di ricorso che deduceva violazione dell’art. 350 comma 7 c.p.p. per essere stata fatta utilizzazione, nel procedimento per calunnia, delle dichiarazioni rese dall’imputato alla polizia giudiziaria, quando era stato arrestato in flagranza del reato di furto). Cass. pen. sez. VI 19 gennaio 1996, n. 649

Il problema relativo all’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’indagato ai carabinieri nell’immediatezza del suo arresto senza l’assistenza del difensore può legittimamente porsi solo nella fase del giudizio e con riferimento alla loro valenza probatoria ai fini della decisione sul merito, ma resta impregiudicata la loro valutabilità nella fase cautelare sotto il profilo della loro sintomaticità ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari poste a sostegno della misura coercitiva. Cass. pen. sez. I 13 ottobre 1995, n. 4725

Il fatto che una persona indagata abbia reso dichiarazioni «confidenziali» alla polizia giudiziaria in assenza del suo difensore non ne inficia il valore dimostrativo – oltre tutto la parte in cui le propalazioni si riferiscono non a fatto proprio ma a fatto altrui – una volta che esse siano state confermate davanti al magistrato in presenza del difensore. Cass. pen. sez. VI 5 settembre 1995, n. 9320

A norma dell’art. 350, comma settimo, c.p.p.le dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria da persona indagata, senza assistenza del difensore, possono essere utilizzate nel dibattimento ai sensi dell’art. 503, comma terzo, c.p.p.; le dichiarazioni medesime possono essere altresì utilizzate in fase di indagini preliminari come indizio di reato non ricorrendo né l’inutilizzabilità generale di cui all’art. 191, stesso codice né alcuna ipotesi di inutilizzabilità specifica, e – ai fini della configurabilità delle condizioni richieste per il sequestro probatorio – possono costituire elementi concorrenti a fare ritenere ragionevolmente presumibile il reato ipotizzato, anche attraverso la valutazione di altri elementi logici. (Nella specie la Suprema Corte, nell’annullare l’ordinanza con la quale veniva disposta la revoca di decreto di convalida di sequestro sull’assunto che «la provenienza estera del T.L.E. e dei generi alimentari sequestrati (presupposto dei reati di contrabbando e della conseguente assoggettabilità a confisca del motopeschereccio e dell’autovettura) si fonda esclusivamente sulle indicazioni fornite alla polizia giudiziaria dagli indagati sul luogo e nell’immediatezza del fatto ai sensi dell’art. 350, comma quinto, cp.p.indicazioni di cui è vietata, ex art. 350, comma sesto, c.p.p.ogni documentazione ed utilizzazione diverse da quella della immediata prosecuzione delle indagini», ha altresì osservato che il sequestro (probatorio) e la confisca sono previste rispettivamente dagli artt. 253 c.p.p. e 301, comma primo, D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (per il delitto di contrabbando). Cass. pen. sez. III 25 febbraio 1995, n. 166

Il regime della ridotta utilizzabilità in dibattimento delle dichiarazioni rese spontaneamente dall’indagato alla polizia giudiziaria senza l’assistenza del difensore – fissato dall’art. 350, settimo comma, c.p.p. – risponde alla specifica finalità di tutela del diritto di difesa dell’indagato medesimo, che potrebbe essere pregiudicato anche dal fatto che tali dichiarazioni vengano rese senza una previa conoscenza dell’addebito. Tale principio di garanzia non pu per trovare applicazione quando le spontanee dichiarazioni rese in assenza del difensore riguardino l’addebito a carico di altro soggetto o si concretizzino in una chiamata di correo, giacché il diritto di difesa dei terzi non subisce alcuna menomazione per il fatto che le affermazioni a loro carico non siano state rese nel corso di un formale interrogatorio dell’accusatore. (Nella specie, in applicazione di tali principi, è stata annullata la sentenza di merito che aveva affermato l’inutilizzabilità della chiamata in correità effettuata, in sede di spontanee dichiarazioni, da soggetto poi deceduto, e l’impossibilità di assumere, in ordine al contenuto di dette dichiarazioni, la testimonianza degli ufficiali di P.G. che avevano raccolto e verbalizzato dette dichiarazioni). Cass. pen. sez. III 28 novembre 1994, n. 1201

Natura e carattere del tutto peculiari ha la decisione adottata con il rito abbreviato, che è assoggettato ad una disciplina autonoma rispetto al giudizio ordinario, in quanto va svolto «allo stato degli atti». L’imputato, nell’accettare questo procedimento speciale, da un lato rinuncia ad avvalersi delle regole ordinarie e dall’altro però ottiene un trattamento premiale attraverso l’applicazione della diminuente. Ne deriva che il giudice può utilizzare tutti gli atti legittimamente confluiti nel fascicolo del pubblico ministero e quindi anche le dichiarazioni, rese dall’indagato in assenza del suo difensore, purché acquisite «sul luogo o nell’immediatezza del fatto», così come stbailito dal comma 5 dell’art. 350 c.p.p. Cass. pen. sez. III 16 giugno 1994, n. 7072

Qualora, nel corso di una perquisizione domiciliare, venga rinvenuta dalla polizia giudiziaria sostanza stupefacente e un quantitativo di questa sia trovato su indicazione di uno degli occupanti dell’immobile, chiamato poi a rispondere del reato di cui all’art. 71, comma 1, L. 22 dicembre 1975, n. 685, e, successivamente, venga sentito al dibattimento l’ufficiale di P.G. che ha eseguito la perquisizione, il quale deponga anche sull’indicazione fornita dall’imputato nell’immediatezza dei fatti, trova applicazione il disposto dell’art. 350, comma 6, c.p.p.secondo cui delle notizie e delle indicazioni assunte senza l’assistenza del difensore sul luogo o nell’immediatezza del fatto è vietato non solo ogni documentazione ma pure ogni utilizzazione in sede processuale. Qualora, poi, si ritenga, che si sia trattato non di notizie o indicazioni assunte, vale a dire sollecitate con precise domande dalla polizia giudiziaria, ma di dichiarazioni spontanee, ai sensi dell’art. 350, comma 7, c.p.p.è possibile l’utilizzazione nel dibattimento delle stesse solo per quanto previsto dall’art. 503, comma 3, c.p.p.vale a dire ai fini di contestare, in tutto o in parte, il contenuto della deposizione dell’imputato che, sui fatti e sulle circostanze da contestare, abbia già deposto. (Nella fattispecie, il ricorrente ha dedotto che i giudici del merito, per il riconoscimento della sua responsabilità, avevano evidenziato che egli era consapevole del luogo ove era tenuta parte della cocaina, così valorizzando l’indicazione che sarebbe stata da lui fornita alla P.G.mentre, invece, avrebbero dovuto recepire e utilizzare unicamente quella parte della deposizione dell’ufficiale di P.G. che non riguardava quanto da questi appreso da esso imputato). Cass. pen. sez. IV 2 maggio 1994, n. 5033

In materia di giudizio abbreviato, poiché l’imputato, nel convenire con il pubblico ministero alla trattazione del processo allo stato degli atti, rinuncia a difendersi provando, in cambio di un più favorevole trattamento sanzionatorio, non possono operare né il divieto previsto dall’art. 526 c.p.p. né le prescrizioni di cui agli artt. 514, secondo comma (divieto di lettura dei verbali e degli altri atti di documentazione delle attività compiute dalla polizia giudiziaria) e 350, settimo comma (divieto di utilizzazione – se non per le contestazioni – delle dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini), precetti, tutti, che si riferiscono esclusivamente al dibattimento. Cass. pen. sez. VI 4 novembre 1993, n. 9942

All’atto con il quale la polizia giudiziaria convoca l’indagato per comunicazioni urgenti e lo sollecita comunque a mettersi in contatto con l’ufficio anche a mezzo telefono, non si applica la disciplina del codice di rito relativa alle forme richieste – in particolare dagli artt. 364, 369 e 375 c.p.p. – per l’attività del P.M.trattandosi di attività a iniziativa della polizia giudiziaria, condizionata dal fine di raccogliere informazioni utili per le investigazioni e potendo i preliminari avvisi relativi alla nomina di un difensore ed alla facoltà di non rispondere, previsti dai commi primo e secondo dell’art. 350 c.p.p.esser compiuti nel momento della presentazione della persona convocata e prima dell’assunzione delle sommarie informazioni. Ne consegue che l’inottemperanza al provvedimento dato con l’atto summenzionato, anche se privo delle forme e degli avvisi suddetti, integra il reato di cui all’art. 650 c.p. in quanto costituisce inosservanza di un provvedimento legalmente dato per ragioni di giustizia. (Sulla scorta del principio di cui in massima la Cassazione ha ritenuto infondato l’assunto del giudice di merito che aveva prosciolto l’imputato perché, a suo avviso, l’invito della polizia avrebbe dovuto indicare che la persona convocata era indagata e recare il contestuale invito a nominarsi un difensore). Cass. pen. sez. I 23 giugno 1993, n. 6360

Le dichiarazioni accusatorie, spontaneamente rese da un indagato a norma dell’art. 350, comma settimo, c.p.p.raccolte dalla polizia giudiziaria ma non documentate in verbale (né per esteso né riassunto), possono essere utilizzate in fase di indagini preliminari come indizio di reato e stimolo ed oggetto di ulteriori investigazioni, non ricorrendo né l’inutilizzabilità generale di cui all’art. 191 c.p.p. (mancando un espresso o implicito divieto) né una ipotesi di inutilizzabilità specifica. Esse, tuttavia, non sono utilizzabili ai fini della emissione della misura cautelare nei confronti di altra persona chiamata in correità. La chiamata di correità, emergente da dichiarazioni spontanee, non formalizzate in verbale secondo l’espressa previsione dell’art. 357, comma secondo, c.p.p. non è infatti suscettibile di alcuna utilizzazione dibattimentale. Tale utilizzazione, pure ai limitati fini della contestazione di cui all’art. 503, terzo comma, è possibile soltanto se le dichiarazioni siano state verbalizzate secondo quanto è richiesto dall’art. 357, comma secondo. Ciò significa che tali dichiarazioni, non essendo suscettibili in alcun modo di concorrere, neppure come indizio, alla formazione di un quadro probatorio che sorregga il giudizio di colpevolezza dell’imputato, non possono costituire i «gravi indizi di colpevolezza» necessari per l’emissione di un provvedimento cautelare. Questi infatti devono essere tali da legittimare la probabilità di un giudizio di colpevolezza, sia pure con gli arricchimenti e gli ulteriori approfondimenti che potranno venire dall’ulteriore corso del procedimento. Ma la assoluta insuscettibilità di utilizzazione dibattimentale rende impossibile formulare una prognosi di probabilità sulla base di tali indizi: questi, cioè, non possono considerarsi «gravi», come invece richiede l’art. 273 c.p.p. per l’adozione di una misura cautelare personale. (Nella specie la Corte ha annullato senza rinvio l’ordinanza del tribunale di rigetto dell’istanza di riesame e l’ordinanza applicativa della misura della custodia in carcere, motivata sulla base di una chiamata di correità costituita da dichiarazioni accusatorie di un indagato, non verbalizzate ma riferite in una nota informativa della polizia giudiziaria). Cass. pen. sez. VI 27 marzo 1993, n. 107

L’obbligo di avvertire a pena di nullità i prossimi congiunti dell’imputato, o dell’indagato, della facoltà di astenersi dal deporre (art. 199, comma 2, c.p.p.) si pone come principio generale che va osservato ogni volta in cui nei vari momenti procedimentali, non esclusi quelli di polizia giudiziaria (art. 351 c.p.p.), le dichiarazioni dei prossimi congiunti devono essere assunte per esigenze di ordine processuale e, quindi, si caratterizza al tempo stesso per l’autonomia delle singole scelte di volta in volta operate dal teste e per la reversibilità della scelta affermativa che eventualmente fosse stata fatta in una prima tornata: ciò pure perché ogni falsa dichiarazione (compresa quella assunta dal P.M. ai sensi del nuovo art. 371 bis c.p.), ancorché resa sul medesimo oggetto testimoniale nell’ambito del medesimo procedimento penale, dà luogo ad autonomi e distinti reati di falsa testimonianza. Cass. pen. sez. VI 21 aprile 1994, n. 4641

L’art. 350, comma 7, c.p.p. nel consentire l’utilizzabilità, salvo che nel dibattimento, delle dichiarazioni rese spontaneamente (e non, quindi, a seguito di sollecitazione) dalla persona sottoposta a indagini che si trovi in stato di libertà, pur in assenza del difensore e senza l’osservanza degli adempimenti di cui agli artt. 63 e 64 c.p.p. non si pone in contrasto né con l’art. 3 della Direttiva europea 2012/13/UE, recepita in Italia con il D.L.vo n. 101/2014, che si limita alla generica previsione secondo cui alle persone indagate o imputate dev’essere “tempestivamente” fornita l’informazione circa il diritto di avvalersi di un avvocato ed il diritto di restare in silenzio, né con gli orientamenti espressi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con le sentenze 27 ottobre 2011, Stoycovic c. Francia e Belgio e 24 ottobre 2013, Navone ed altri c. Monaco, la prima delle quali riguardava un caso in cui le dichiarazioni erano state rese non spontaneamente ma su sollecitazione, in sede di rogatoria internazionale, e la seconda un caso in cui il dichiarante non si trovava in stato di libertà. Cass. pen. sez. II 25 maggio 2017, n. 26246

Sono utilizzabili nel giudizio abbreviato le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, senza assistenza difensiva, dalla persona sottoposta alle indagini sul luogo e nell’immediatezza del fatto durante l’esecuzione di una perquisizione domiciliare (nella specie finalizzata alla ricerca di sostanze stupefacenti). Cass. pen. sez. IV 12 febbraio 2013, n. 6962

Le dichiarazioni accusatorie non verbalizzate, ma raccolte dalla polizia giudiziaria in una nota informativa, devono considerarsi acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e ricomprese nell’ipotesi di inutilizzabilità di cui all’art. 191 cod. proc. pen.con conseguente impossibilità che esse fondino l’emissione di una misura cautelare. Cass. pen. sez. II 16 febbraio 2012, n. 6355

Sono inutilizzazibili le dichiarazioni “provocate” da un operatore della polizia giudiziaria il quale, dissimulando tale sua quali.ca e funzione, rivolga domande inerenti ai fatti criminosi oggetto di indagine a chi appaia fin dall’inizio in tali fatti coinvolto quale indiziato di reità, allo scopo di ottenere dalla persona, già colpita da indizi di un reato, dichiarazioni che possono servire alla prova di questo e della relativa responsabilità. Ne consegue che di tali dichiarazioni non putenersi conto non solo nei confronti di chi le ha rilasciate, ma anche nei confronti degli indagati per il medesimo fatto ovvero per fatti connessi o collegati, secondo quanto dispone l’art. 63, secondo comma c.p.p. e neppure può avere rilevanza il fatto che tali dichiarazioni siano state acquisite a dibattimento con il consenso delle parti, non avendo queste la disponibilità di rinunziare ad eccepire la sanzione di inutilizzabilità. (In motivazione, la Corte ha osservato che non è consentito alla polizia giudiziaria, in un sistema rigorosamente ispirato al principio di legalità, scostarsi dalle previsioni legislative per compiere atti atipici i quali, permettendo di conseguire risultati identici o analoghi a quelli conseguibili con gli atti tipici, eludano tuttavia le garanzie difensive dettate dalla legge per questi ultimi). Cass. pen. sez. VI 25 marzo 2003, n. 13623

Le sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, ai sensi degli art. 350 e 351 c.p.p. ed annotate ex art. 357 c.p.p. non rientrano nell’elencazione tassativa di cui all’art. 431 c.p.p.relativa agli atti che trasmigrano nel fascicolo per il dibattimento e di cui si può dare lettura, a meno che non si tratti di atti irripetibili. Ne consegue che le sommarie informazioni non possono essere utilizzate in dibattimento, e ciò vale anche se provengano dal responsabile civile – ancorché l’art. 63 c.p.p.imponendo di interrompere l’interrogatorio qualora emergano indizi di reità, si riferisca al solo imputato e non anche al responsabile civile –, in quanto anche gli atti relativi all’azione civile, se acquisiti con le forme previste nella fase delle indagini preliminari, sono assoggettati alle regole proprie del processo penale e non sono, pertanto, utilizzabili se la prova contenuta in quegli atti non viene nuovamente formata nel dibattimento. Cass. pen. sez. IV 28 febbraio 2003, n. 9290

Il dovere imposto all’autorità giudiziaria ed alla polizia giudiziaria dall’art. 63, comma 2, c.p.p.di non procedere all’esame quale testimone o persona informata sui fatti di colui che debba essere sentito fin dall’inizio in qualità di indagato o imputato, non trova applicazione nell’ipotesi in cui il soggetto sia stato avvertito di tale sua qualità e rilasci dichiarazioni spontanee, le quali, se assunte senza la presenza del difensore, rientrano nella disciplina di cui all’art. 350, comma 7, c.p.p. e dunque, pur non essendo utilizzabili ai fini del giudizio salvo quanto previsto dall’art. 503, comma 3, c.p.p.possono essere utilizzate nella fase delle indagini preliminari ed apprezzate ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’applicazione di una misura cautelare, anche nei confronti di terzi. (Fattispecie relativa a dichiarazioni spontanee rilasciate alla polizia giudiziaria dal soggetto passivo di un’estorsione immediatamente dopo la contestazione del reato di favoreggiamento degli estorsori e di invito a nominare un difensore di fiducia). Cass. pen. sez. II 25 maggio 2000, n. 2539

Il dovere imposto all’autorità giudiziaria ed alla polizia giudiziaria dall’art. 63, comma 2, c.p.p.di non procedere all’esame quale testimone o persona informata sui fatti di colui che debba essere sentito fin dall’inizio in qualità di indagato o imputato, non trova applicazione nell’ipotesi in cui il soggetto sia stato avvertito di tale sua qualità e rilasci dichiarazioni spontanee, le quali, se assunte senza la presenza del difensore, rientrano nella disciplina di cui all’art. 350, comma 7, c.p.p. e dunque, pur non essendo utilizzabili ai fini del giudizio salvo quanto previsto dall’art. 503, comma 3, c.p.p.possono essere utilizzate nella fase delle indagini preliminari ed apprezzate ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’applicazione di una misura cautelare, anche nei confronti di terzi. (Fattispecie relativa a dichiarazioni spontanee rilasciate alla polizia giudiziaria dal soggetto passivo di un’estorsione immediatamente dopo la contestazione del reato di favoreggiamento degli estorsori e di invito a nominare un difensore di fiducia). Cass. pen. sez. II 25 maggio 2000, n. 2539

Le dichiarazioni rese, divenute irripetibili per la soppressione del dichiarante, ben possono essere valutate – secondo la loro sostanziale natura di spontanee dichiarazioni di persona informata sui fatti e almeno virtualmente coindagata – a fini cautelari nella fase delle indagini preliminari, ove documentate o comunque quando del loro contenuto venga fatta relazione dall’ufficiale di P.G. che le ha raccolte, ovvero se questi renda testimonianza de relato. Cass. pen. sez. I 27 luglio 1999, n. 3020

Dal tenore letterale e dalla ratio della norma del capoverso dell’art. 63 c.p.p.come dal suo necessario coordinamento con le disposizioni di cui agli artt. 62 e 350 c.p.p.si deve rtienere che la preclusione all’utilizzazione dibattimentale, diretta o indiretta, delle dichiarazioni rese senza assistenza difensiva dall’indiziato alla polizia giudiziaria abbia carattere assoluto e generale. La disposizione, infatti, non opera distinzioni fra dichiarazioni sollecitate e dichiarazioni spontanee, né limita l’inutilizzabilità alle dichiarazioni di imputato o indagato interessato o a quelle di imputato o indagato in reato connesso, e neppure alle sole dichiarazioni di chi abbia già la veste formale di imputato o di indagato e dichiarazioni di chi, pur trovandosi sostanzialmente in tale condizione, non ne abbia ancora assunto la qualità. Cass. pen. sez. VI 9 ottobre 1998, n. 10621

Sono pienamente utilizzabili, a fini cautelari, le dichiarazioni rese dall’indagato alla polizia giudiziaria nell’immediatezza della perquisizione e subito dopo confermate alla presenza del difensore di ufficio. Le dichiarazioni cui fa riferimento il settimo comma dell’art. 350 c.p.p.per le quali l’ordinamento pone limiti all’utilizzabilità solo in sede dibattimentale, sono infatti radicalmente diverse da quelle cui fa riferimento il quinto comma dello stesso articolo, che non possono essere né documentate né utilizzate se non per la immediata prosecuzione delle indagini. Né alle dichiarazioni rese nelle condizioni indicate dall’art. 350, comma 7, c.p.p. sono applicabili i limiti previsti dall’art. 63 c.p.p. Cass. pen. sez. VI 27 agosto 1997, n. 1770

Le informazioni assunte da un con.dente della polizia giudiziaria e da questa riferite all’autorità giudiziaria dopo la morte del medesimo (nella specie assassinato) possono essere legittimamente utilizzate all’interno della fase delle indagini preliminari e per l’applicazione delle misure cautelari, siccome informazioni assunte da persona in grado di riferire sui fatti oggetto di indagine. (Con riferimento alla fattispecie concreta, la Cassazione ha altresì evidenziato la necessità di particolare cautela nella valutazione di tali informazioni attesa la virtuale posizione di coindagato del con.dente deceduto). Cass. pen. sez. I 13 gennaio 1993, n. 3952

Il mancato invio al pubblico ministero dei verbali di sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria non è causa di nullità, in quanto, atteso il principio di tassatività sancito dall’art. 177 c.p.p.la stessa non è prevista da alcuna norma esplicita. (Fattispecie nella quale la S.C. ha disatteso la tesi del ricorrente, secondo la quale la omessa trasmissione dei verbali costituiva nullità di ordine generale attinente alla iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio della azione penale, in quanto la mancata conoscenza delle prime dichiarazioni testimoniali avrebbe viziato lo sviluppo successivo delle indagini, producendo un «vizio genetico» nel promovimento della azione penale). Cass. pen. sez. I 14 gennaio 1999, n. 345

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