L’identificazione dell’indagato ad opera della polizia giudiziaria è validamente operata sulla base delle dichiarazioni dallo stesso fornite, perché il ricorso ai rilievi dattiloscopici, fotografici o antropometrici, o ad altri accertamenti, si giustifica soltanto in presenza di elementi di fatto che facciano ritenere la falsità delle indicate dichiarazioni. Cass. pen. sez. IV 20 aprile 2017, n. 19044
Gli accertamenti dattiloscopici compiuti dalla polizia giudiziaria, pur potendo costituire fonte di prova nel giudizio, non hanno carattere né formale, né sostanziale di perizia, ma s’inquadrano nell’attività preliminare d’accertamento e d’assicurazione delle prove, per l’espletamento della quale non è necessario venga garantita la presenza e l’intervento del difensore dell’indiziato. Cass. pen. sez. IV 10 ottobre 2008, n. 38544
Atteso il principio di fondo per cui i «gravi indizi di colpevolezza» richiesti dall’art. 273 c.p.p. non coincidono con le «prove» sulla base delle quali può affermarsi, in sede decisoria di merito, la responsabilità dell’imputato, la sussistenza dei detti indizi può essere desunta anche da atti non utilizzabili come prove tra cui, in particolare, gli accertamenti dattiloscopici eseguiti, anche d’iniziativa, dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 349, comma 2, c.p.p. Cass. pen. sez. fer. 9 settembre 1991
L’art. 349, comma secondo, c.p.p.collocato nel titolo IV del libro V del codice, dedicato proprio alla disciplina dell’attività ad iniziativa della polizia giudiziaria, cioè non delegata dal P.M.prevede espressamente che all’identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini – attività che la polizia giudiziaria può eseguire di propria iniziativa – possa procedersi anche effettuando, se necessario, rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici nonché altri accertamenti. Se, quindi, la polizia giudiziaria è autorizzata ad eseguire rilievi dattiloscopici finalizzati all’identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, è evidente che la stessa può anche di propria iniziativa, effettuare raffronti, tramite personale specializzato a sua disposizione, tra le impronte rilevate e quelle di pregiudicati in precedenza acquisite ovvero tra le medesime e quelle della persona inquisita. Cass. pen. sez. V 9 settembre 1991
Il riconoscimento fotografico di persone – che deve essere tenuto distinto dalla ricognizione personale prevista dall’art. 213 c.p.p. – costituisce un mezzo di prova pienamente utilizzabile ai fini della formazione del convincimento del giudice se adeguatamente motivato in relazione al suo contenuto intrinseco ed alle modalità di controllo e di riscontro. Cass. pen. sez. I 10 febbraio 1995, n. 1326
Il valore della ricognizione fotografica eseguita dalla polizia giudiziaria, per sé meramente indiziario, viene totalmente meno ove la ricognizione di persona, successivamente eseguita in sede di incidente probatorio, dia esito negativo, potendo conservare valenza indiziaria al riconoscimento fotografico solo la dimostrazione che il detto esito negativo sia l’effetto di un mendacio. Da ciò deriva, a corollario, che l’individuazione consente un’oggettiva ripetibilità attraverso il corrispondente strumento di acquisizione probatoria e, dunque, come ad essa non possa essere assegnato il valore di atto (contenutisticamente) non ripetibile. Cass. pen. sez. VI 1 giugno 1994, n. 6422
Gli atti di individuazione fotografica effettuati dalla polizia giudiziaria su delega del P.M. non sono compresi tra gli atti del P.M. ai quali il difensore e l’indagato abbiano diritto di assistere. La mancata partecipazione del difensore e della persona indagata alla individuazione fotografica non può pregiudicare il diritto alla difesa, trattandosi di atto di indagine finalizzato non a formare la prova ma ad orientare le investigazioni e che è utilizzabile per l’emissione di una misura cautelare. Cass. pen. sez. II 22 aprile 1994, n. 1725
Il giudice di merito può trarre il proprio convincimento da ogni elemento indiziante o di prova e, quindi, anche da ricognizioni non formali e riconoscimenti fotografici, sicché nell’ambito dei poteri discrezionali di valutazione che l’ordinamento gli riconosce, può attribuire concreto valore indiziante o probatorio all’identificazione dell’autore del reato mediante riconoscimento fotografico, che costituisce accertamento di fatto utilizzabile in virtù dei principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento, che consentono il ricorso non solo alle cosiddette «prove legali», ma anche ad elementi di giudizio diversi, purché acquisiti non in violazione di specifici divieti. Cass. pen. sez. I 8 giugno 1993, n. 1680
Alla persona accompagnata presso gli uffici della polizia giudiziaria per l’identificazione ai sensi dell’art. 349, comma 4, cod. proc. pen. non spetta il diritto di ricevere le informazioni concernenti i diritti processuali, tra cui quello al silenzio e quello ad essere informata dell’accusa. (Fattispecie nella quale la Corte ha affermato l’utilizzabilità nel giudizio abbreviato delle spontanee dichiarazioni rese da persona condotta nella caserma dei carabinieri ai fini della identificazione che, sebbene non avesse ricevuto le informazioni indicate, sapeva di essere indagata). Cass. pen. sez. III 2 luglio 2018, n. 29641
Allorché risulti rispettato il termine di cui all’art. 390 c.p.p. per la richiesta di convalida dell’arresto, diviene irrilevante la questione dell’eventuale legittimità del precedente accompagnamento in commissariato. Cass. pen. sez. I 3 luglio 1992