In tema di reati ministeriali, la violazione del divieto, per il procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 6, comma 2, della L.C. 16 gennaio 1989, n. 1, di compiere indagini prima della trasmissione delle proprie richieste, con i relativi atti, al collegio di cui all’art. 7 della citata legge costituzionale non comporta l’inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 191 c.p.p.in sede cautelare, degli elementi acquisiti; e ciò in forza della espressa deroga al principio della inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite prevista dall’art. 26 c.p.p. per il caso in cui tale illegittimità derivi dall’inosservanza delle norme sulla competenza per materia (assimilabile a quella per funzione) e le prove siano ripetibili ed utilizzate soltanto nella fase precedente il giudizio. Cass. pen. Sezioni Unite 1 agosto 1994, n. 14
Nel procedimento penale relativo a reati ministeriali, successivamente alla concessione dell’autorizzazione a procedere, la competenza allo svolgimento di specifici atti istruttori ed alla decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio spetta al Collegio per i reati ministeriali: ciò in base al dettato testuale dell’art. 9 quarto comma L. 16 gennaio 1989 n. 1, istitutiva di tale Collegio, che espressamente dispone che «l’Assemblea», ove conceda l’autorizzazione, rimette gli atti al Collegio di cui all’art. 7, perché continui il procedimento secondo le norme vigenti, dovendosi escludere che il verbo «continui», in quanto preposto al termine «procedimento» possa essere stato usato in senso intransitivo; né è pensabile che la legge costituzionale abbia inteso istituire un Collegio da restare relegato nella posizione marginale di organo competente per le sole indagini preliminari ex art. 8, fra l’altro con incoerente frantumazione della fase delle indagini in due tronconi ante e post autorizzazione a procedere, attribuiti alla competenza di organi del tutto diversi e di rango differente. Cass. pen. sez. I 21 aprile 1994, n. 1099
Per la proposizione da parte del P.M. della richiesta di autorizzazione a procedere è previsto un duplice termine: uno, di carattere strutturale, esige che la richiesta detta intervenga prima dell’esercizio dell’azione penale, l’altro è di carattere temporale, dovendo la stessa essere presentata entro trenta giorni dall’iscrizione nel registro delle notizie di reato del nome della persona per la quale è necessaria l’autorizzazione. L’inosservanza del termine strutturale non ha una diretta ed immediata sanzione processuale ma incide solo sul rapporto tra autorizzazione a procedere ad azione penale, costituendo la prima condizione di promuovibilità della seconda, e su quello tra autorizzazione ed iniziativa del P.M. nell’ambito del procedimento, prevedendo il sistema normativo rigorosi e speciali limiti al compimento di atti da parte del P.M. prima della concessione dell’autorizzazione. Il termine temporale non ha carattere perentorio. (Nella fattispecie, il P.M. aveva chiesto l’autorizzazione a procedere nei confronti di imputata per il reato di cui all’art. 278 c.p. oltre il termine di trenta giorni indicato dall’art. 344, primo comma, c.p.p. e dopo la richiesta di rinvio a giudizio ma il Gip aveva dichiarato non luogo a procedere per mancanza di autorizzazione. Successivamente, questa era stata concessa dal Ministro di grazia e giustizia e il P.M. aveva disposto una nuova iscrizione nel registro notizie reato e formulato una seconda richiesta di rinvio a giudizio. Il Gip all’esito di giudizio abbreviato, aveva prosciolto l’imputata per mancanza di valida autorizzazione. La Corte di cassazione ha annullato con rinvio la sentenza enunciando il principio di cui in massima). Cass. pen. sez. I 14 luglio 1993, n. 6984