Art. 310 – Codice di Procedura Penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477 - aggiornato al D.Lgs. 08.11.2021, n. 188)

Appello

Articolo 310 - codice di procedura penale

(1) 1. Fuori dei casi previsti dall’art. 309 comma 1, il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore possono proporre appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali (291), enunciandone contestualmente i motivi.
2. Si osservano le disposizioni dell’art. 309, commi 1, 2, 3, 4 e 7. Dell’appello è dato immediato avviso all’autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette al tribunale l’ordinanza appellata (att. 100) e gli atti su cui la stessa si fonda. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall’art. 127. Fino al giorno dell’udienza gli atti restano depositati in cancelleria con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia. Il tribunale decide entro venti giorni dalla ricezione degli atti (att. 99) con ordinanza depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione. L’ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. In tali casi, il giudice può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione (2).
3. L’esecuzione della decisione con la quale il tribunale, accogliendo l’appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare è sospesa fino a che la decisione non sia divenuta definitiva (588).

Articolo 310 - Codice di Procedura Penale

(1) 1. Fuori dei casi previsti dall’art. 309 comma 1, il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore possono proporre appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali (291), enunciandone contestualmente i motivi.
2. Si osservano le disposizioni dell’art. 309, commi 1, 2, 3, 4 e 7. Dell’appello è dato immediato avviso all’autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette al tribunale l’ordinanza appellata (att. 100) e gli atti su cui la stessa si fonda. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall’art. 127. Fino al giorno dell’udienza gli atti restano depositati in cancelleria con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia. Il tribunale decide entro venti giorni dalla ricezione degli atti (att. 99) con ordinanza depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione. L’ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. In tali casi, il giudice può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione (2).
3. L’esecuzione della decisione con la quale il tribunale, accogliendo l’appello del pubblico ministero, dispone una misura cautelare è sospesa fino a che la decisione non sia divenuta definitiva (588).

Note

(1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 71 del 15 marzo 1996, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 309 e 310 c.p.p., nella parte in cui non prevedono la possibilità di valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nell’ipotesi in cui sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio a norma dell’art. 429 dello stesso codice.
(2) Le parole: «con ordinanza depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione. L’ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. In tali casi, il giudice può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione» sono state aggiunte dall’art. 12 della L. 16 aprile 2015, n. 47.

Massime

Nel procedimento conseguente all’appello proposto dall’indagato avverso l’ordinanza di rigetto di richiesta di revoca della misura cautelare personale, è utilizzabile la documentazione prodotta dalla difesa, riguardante elementi probatori nuovi, preesistenti o sopravvenuti, sempre che i nuovi elementi probatori riguardino lo stesso fatto contestato con l’originaria richiesta cautelare, siano idonei a dimostrare che non sussistono le condizioni e i presupposti di applicabilità della misura cautelare richiesta, e sia stato assicurato, in ordine ad essi, il contraddittorio delle parti, eventualmente mediante la concessione di un congruo termine a favore del P.M. Cass. pen. sez. I 17 settembre 2014, n. 38074

La rinuncia, anche parziale, all’impugnazione formulata dal solo difensore dell’interessato, non munito di procura speciale, non ha alcun effetto processuale, neppure nell’ipotesi che egli stesso abbia proposto il gravame. (Fattispecie relativi all’appello ex art. 310 cod. proc. pen.) Cass. pen. sez. I 28 febbraio 2012, n. 7764

Il procuratore generale è legittimato a proporre appello, ai sensi dell’art. 310 c.p.p.avverso le ordinanze in materia de libertate emesse dalla corte d’appello presso la quale esercita le proprie funzioni.Cass. pen. sez. I, 13 marzo 2008, n. 11285

Nel procedimento conseguente all’appello proposto dall’indagato contro l’ordinanza reiettiva della richiesta di revoca della misura cautelare personale, è legittima, in applicazione dei principi del favor libertatis e della ragionevole durata del processo, la produzione di documentazione relativa ad elementi probatori « nuovi» preesistenti o sopravvenuti, sempre che, nell’ambito dei confini segnati dal « devolutum» quelli prodotti dalla parte riguardino lo stesso fatto contestato con l’originaria richiesta cautelare e in ordine ad essi sia assicurato nel procedimento camerale il contraddittorio delle parti, anche mediante la concessione di un congruo termine anche a favore del P.M.e siano idonei a dimostrare che non sussistono le condizioni e i presupposti di applicabilità della misura cautelare richiesta. Cass. pen. sez. II 22 febbraio 2006, n. 6728

Il rapporto di alternatività che deve ritenersi esistente tra appello proposto dal pubblico ministero avverso ordinanza reiettiva della richiesta di applicazione di misura cautelare e formulazione, da parte dello stesso pubblico ministero, di una nuova richiesta per il medesimo fatto, non comporta che, dichiarata dal giudice per le indagini preliminari l’inammissibilità di detta seconda richiesta, l’appello proposto avverso l’ordinanza reiettiva della prima vada dichiarato anch’esso inammissibile. (Mass. redaz.). Cass. pen. sez. I 10 agosto 2005, n. 30474

Nel giudizio di impugnazione di una misura cautelare personale è inibito alla Corte provvedere direttamente alla valutazione, al fine di verificarne il carattere di elemento favorevole per l’indagato, di un atto sopravvenuto alla emissione del provvedimento coercitivo e non trasmesso dal pubblico ministero al tribunale del riesame, atteso che il sindacato di legittimità può essere esercitato, eventualmente, solo sulla motivazione con la quale il predetto tribunale abbia respinto analoga censura prospettata con la richiesta o nel corso dell’udienza camerale. Cass. pen. sez. II 31 gennaio 2002, n. 3797

Anche nel giudizio di appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali, disciplinato dall’art. 310 c.p.p.deve trovare applicazione la regola stabilita dall’art. 291, comma 1 bis, stesso codice, che riconosce al giudice, nel corso delle indagini preliminari, possibilità di disporre misure meno gravi di quelle richieste dal P.M.a meno che quest’ultimo non abbia espressamente chiesto di disporre esclusivamente la misura indicata. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso avverso ordinanza applicativa degli arresti domiciliari, la Suprema Corte ha osservato che dall’atto di appello non si ricavava assolutamente che il P.M. fosse contrario all’applicazione di qualsiasi altra misura diversa dalla richiesta custodia cautelare in carcere; «addirittura» mancava anche la motivazione circa l’inadeguatezza di differenti misure cautelari). Cass. pen. sez. III 24 giugno 1997, n. 1734

In tema di appello avverso le misure cautelari personali l’obbligo di dare immediato avviso all’autorità procedente sussiste anche quando gli atti pervengano al tribunale del riesame da altra autorità (nel caso di specie dalla Corte di cassazione, che aveva proceduto a quali.care quale appello il ricorso presentato). Deve essere perciò annullata con rinvio l’ordinanza emessa prescindendo dall’esame di atti che il giudice procedente, ove fosse stato avvertito della pendenza del procedimento de libertate avanti al tribunale del riesame in funzione di giudice d’appello, avrebbe dovuto inviare ad integrazione della documentazione già acquisita dal tribunale. Cass. pen. sez. V 12 ottobre 1996, n. 3871

In tema di libertà personale i casi in cui è consentito il ricorso diretto sono due: a) quello di cui all’art. 311 c.p.p. avverso i provvedimenti, che dispongono la misura cautelare personale; b) quello di cui all’art. 568 c.p.p. avverso i provvedimenti sulla libertà non altrimenti impugnabili. Ne deriva che esso non è esperibile contro ordinanze attinenti alla modificazione o la estinzione delle misure stesse, poiché in tali casi è possibile l’appello, ex art. 310 c.p.p. (Nella specie la Cassazione ha convertito il ricorso in appello). Cass. pen. sez. II 20 settembre 1994, n. 3696

Il provvedimento di rigetto dell’istanza di liberazione ai sensi dell’art. 302 nuovo c.p.p. per omesso interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare, rientrando tra quelli previsti dall’art. 310, comma primo stesso codice, non è suscettibile di impugnazione mediante ricorso diretto per cassazione ai sensi dell’art. 311 comma secondo, bensì mediante appello ai sensi del citato art. 310. Ne consegue, pertanto, che l’impugnazione proposta come ricorso per cassazione è convertita in appello a norma dell’art. 568 n. 5 c.p.p. 1988 ed i relativi atti vanno trasmessi al giudice competente per la decisione. Cass. pen. sez. I 29 aprile 1991

In tema di appello cautelare proposto dal P.M.la riforma sfavorevole all’indagato della decisione emessa dal GIP relativamente all’insussistenza dei gravi indizi di reato, non impone, diversamente da quanto richiesto nel giudizio di merito, la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, della insostenibilità della soluzione adottata dal primo giudice, essendo sufficiente, ai fini dell’applicazione della misura cautelare, la gravità indiziaria, cioè un livello di verosimiglianza della responsabilità penale dell’indagato inferiore alla soglia del ragionevole dubbio. Cass. pen. sez. II 20 marzo 2018, n. 12851

L’appello del P.M. avverso ordinanza di rigetto di misura cautelare, motivato con il mero richiamo al contenuto della originaria richiesta cautelare, è inammissibile perchè non soddisfa i requisiti di specificità tranne che nel caso in cui, per motivi formali ritenuti assorbenti o per l’apoditticità della decisione del gip, sia mancata qualsiasi valutazione della richiesta medesima. (Fattispecie in cui la Corte ha dichiarato inammissibile l’appello del P.M. che si era limitato a riprodurre in larga parte la richiesta cautelare, aggiungendo brevi interpolazioni che non rappresentavano critiche alle argomentazioni del Gip ma apodittici commenti alla bontà delle proprie pretese originarie o generiche critiche metodologiche della decisione del giudicante). Cass. pen. sez. VI 7 gennaio 2014, n. 277

In tema di misure cautelari personali, è inammissibile l’appello con il quale il P.M. muti i termini della domanda cautelare originaria chiedendo l’adozione di un provvedimento diverso e piaf.ittivo. (Fattispecie in cui il P.M.dopo il rigetto di una misura interdittiva in relazione ad uno specifico incarico, acquisita la notizia della dismissione dello stesso, aveva chiesto in sede di appello cautelare la sospensione dell’indagato da qualunque pubblico ufficio o servizio ricoperto). Cass. pen. sez. VI 30 maggio 2013, n. 23626

È inammissibile l’appello ex art. 310 cod. proc. pen. proposto via fax, in quanto la disciplina delle impugnazioni delle misure cautelari reali prevede che l’appello deve essere presentato nella cancelleria del tribunale competente. Cass. pen. sez. VI 17 febbraio 2012, n. 6565

La norma che prevede la notifica dell’avvenuta impugnazione alle altre parti (art. 584 c.p.p.) non trova applicazione nell’ambito dei procedimenti “de libertate”, dato che essa è funzionale alla facoltà di proposizione dell’appello incidentale, estraneo al sistema delle impugnazioni in materia cautelare. Cass. pen. Sezioni Unite 19 gennaio 2011, n. 1235

In tema di mandato di arresto europeo, non è impugnabile il provvedimento con il quale il Tribunale, decidendo in sede di appello ex art. 310 c.p.p.rigetti la richiesta di revoca del mandato di arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria italiana nell’ambito della procedura attiva di consegna di cui agli artt. 28 ss. della L. n. 69/2005, atteso che si è in presenza di provvedimento adottato in base a una sentenza irrevocabile di condanna da eseguire ovvero una misura cautelare emessa nell’ambito di un procedimento; provvedimenti che rappresentano il titolo su cui si fonda il mandato di arresto europeo e in relazione ai quali l’interessato può attivare le procedure di controllo previste dall’ordinamento. Cass. pen. sez. VI 3 giugno 2010, n. 20823

L’appello del pubblico ministero avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di misura cautelare è inammissibile per genericità dei motivi se, per l’illustrazione delle censure, si limita a richiamare la richiesta rigettata e non indica i punti di fatto e le questioni di diritto rimesse alla cognizione del giudice dell’impugnazione. Cass. pen. sez. VI 24 ottobre 2008, n. 39926

È inammissibile l’appello tardivamente proposto contro una sentenza pronunciata in contumacia, sul presupposto del mancato decorso dei termini d’impugnazione in ragione del vizio di notifica dell’estratto contumaciale. (La Corte ha chiarito che il sindacato sulla valida formazione del titolo esecutivo va esercitato mediante l’incidente di esecuzione, fermo restando che in tale sede l’osservanza delle “garanzie previste per il caso di irreperibilità del condannato” può essere verificata solo con riguardo a provvedimenti assunti dopo e non prima della pronuncia della sentenza). Cass. pen. sez. V 25 settembre 2008, n. 36779

In tema di misure cautelari personali, il provvedimento che ripristina la custodia cautelare in carcere a norma dell’art. 307, secondo comma, lettera b) c.p.p.facendo rivivere quello originario, è impugnabile dall’interessato non già mediante il riesame bensì con l’appello ex art. 310 c.p.p. Cass. pen. sez. IV 6 febbraio 2008, n. 5740

Avverso il provvedimento adottato dal giudice per le indagini preliminari sulla richiesta di revoca dell’isolamento continuo quale modalità esecutiva della custodia cautelare in carcere è ammissibile l’appello ai sensi dell’art. 310 c.p.p.ma non il ricorso immediato per cassazione, che deve essere qualificato come appello con trasmissione degli atti al competente tribunale della libertà. Cass. pen. sez. I 5 febbraio 2008, n. 5589

È inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione, l’appello del P.M. volto a far valere l’illegittimità dell’autorizzazione all’indagato a recarsi per motivi di lavoro in un comune diverso da quello per il quale è soggetto alla misura cautelare di cui all’art. 283 c.p.p.allorché nelle more l’occasione di lavoro per l’indagato abbia perso di attualità. Cass. pen. sez. VI 31 ottobre 2007, n. 40395

In tema di impugnazione del P.M.la legittimazione a impugnare ai sensi dell’art. 310 c.p.p. il provvedimento con il quale il Gip ha negato, in sede di udienza di convalida dell’arresto, l’applicazione della misura cautelare spetta al pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento. (Nell’affermare tale principio, la Corte ha ritenuto irrilevante, ai fini della legittimazione ad impugnare, se la competenza ad indagare sul reato per cui si procede spetti al pubblico ministero periferico o a quello distrettuale). Cass. pen. sez. VI 21 settembre 2007, n. 35214

La persona offesa del reato non è legittimata a proporre appello, ai sensi dell’art. 322 bis c.p.p.avverso il provvedimento con il quale il giudice abbia respinto la richiesta di sequestro preventivo avanzata dal pubblico ministero, non potendosi, in contrario, far leva sulla inclusione, tra i soggetti legittimati al gravame, della «persona che avrebbe diritto alla restituzione», dal momento che una tale legittimazione presuppone che il sequestro sia stato disposto e vi sia quindi interesse ad opporvisi onde ottenere, appunto, la restituzione del bene sequestrato. (Mass. redaz.). Cass. pen. sez. II 19 febbraio 2007, n. 6908

In tema di termini di durata massima della custodia cautelare, poiché a norma dell’art. 304, commi 1 e 4, c.p.p. è consentita l’immediata appellabilità dell’ordinanza che ne dispone la sospensione, la mancata presentazione, da parte dell’interessato, dell’atto di appello nel termine perentorio stabilito dall’art. 310, comma 2, stesso codice, comporta, in virtù del fenomeno della preclusione endoprocessuale, l’inammissibilità della successiva e tardiva richiesta di declaratoria di estinzione della misura e di scarcerazione per sopravvenuta scadenza dei termini cautelari di fase, a nulla rilevando l’illegittimità dell’originaria sospensione. (Fattispecie relativa a provvedimento, non impugnato tempestivamente, di sospensione dei termini, disposto, a seguito di dichiarazione di ricusazione del giudice da parte dell’imputato, con effetti fino alla successiva udienza di rinvio, anziché fino alla data, anteriore, di reiezione dell’istanza e quindi, almeno sotto il profilo della durata della sospensione, illegittimo). Cass. pen. sez. I 23 dicembre 2002, n. 43566

In tema di interesse a impugnare, permane l’interesse ad ottenere una decisione sulla legittimità della misura cautelare reale, anche in presenza della sua avvenuta revoca o sostituzione, allorché ciabbia un’effettiva e attuale rilevanza sulla posizione complessiva del ricorrente. (Fattispecie in cui la Corte ha dichiarato sussistente l’interesse del responsabile civile alla pronuncia sulla legittimità del sequestro conservativo, già revocato a seguito di versamento di una cauzione, in quanto una decisione favorevole avrebbe avuto effetti significativi sul permanere della cauzione versata). Cass. pen. sez. IV 11 luglio 2001, n. 27964

Nel caso in cui il Gip, richiesto dell’applicazione di una misura cautelare, si dichiari incompetente a provvedere, non perché individui la competenza di altro giudice, ma – come nella fattispecie – a seguito di una valutazione di merito attinente all’esistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato per il quale la misura è stata richiesta, il relativo provvedimento è di sostanziale rigetto, onde è appellabile innanzi al tribunale. Cass. pen. sez. V 21 giugno 2000, n. 2453

È inammissibile l’appello proposto al tribunale del riesame avverso il rigetto della richiesta di revoca della misura cautelare allorché non vengano rispettate le forme di cui al quarto comma dell’art. 309 e al secondo comma dell’art. 310 c.p.p. che impongono la presentazione del gravame nella cancelleria del tribunale del riesame. (Nella fattispecie, relativa alla presentazione del gravame, da parte del difensore dell’imputato, davanti al giudice “a quo”, la Corte ha affermato il principio precisando che, nel caso specifico, non può trovare applicazione il secondo comma dell’art. 582 c.p.p.in quanto il luogo in cui era stata presentata l’impugnazione non è diverso da quello in cui era stato emesso il provvedimento). Cass. pen. sez. VI 30 maggio 2000, n. 1071

Il soggetto sottoposto a custodia cautelare ha interesse a ricorrere avverso un provvedimento restrittivo della libertà personale anche nel caso in cui il gravame sia limitato a una sola delle imputazioni, poiché il venir meno del titolo della custodia, anche se con riferimento esclusivo a una delle accuse, pur senza incidere sull’assoggettamento del medesimo alla misura cautelare a causa del mantenimento del provvedimento restrittivo in relazione ad altri reati, rende meno gravosa la posizione difensiva e consente il riacquisto della libertà, nel caso in cui il titolo legittimante l’applicazione della misura venga meno, per qualsiasi motivo, in ordine agli altri reati. Cass. pen. sez. I 16 maggio 2000, n. 1067

Poiché il procedimento di riesame è preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento cautelare, e non anche di quelli incidenti sulla sua persistenza, non è consentito dedurre con tale mezzo di impugnazione la successiva perdita di efficacia della misura derivante dalla mancanza o invalidità di successivi adempimenti; ne consegue che esulano dall’ambito del riesame le questioni relative a mancanza, tardività o comunque invalidità dell’interrogatorio previsto dall’art. 294 c.p.pfile quali, inerendo a vicende del tutto avulse dall’ordinanza oggetto del gravame, si risolvono in vizi processuali che non ne intaccano l’intrinseca legittimità ma, agendo sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l’estinzione automatica che deve essere disposta, in un distinto procedimento, con l’ordinanza specificamente prevista dall’art. 306 c.p.p.suscettibile di appello ai sensi dell’art. 310 dello stesso codice. (Nella fattispecie, relativa a ricorso diretto in Cassazione contro il ripristino della misura ordinata dal Gip, la Corte, ribadendo il principio affermato dalle sezioni unite anche con riferimento al caso specifico di ricorso per saltum, ha precisato che non può essere rintracciata ratione materiale [misura cautelare] una vis attractiva del ricorso per cassazione rispetto alla procedura ex artt. 306 e 310 c.p.p.; e ciò in quanto la questione dedotta – inefficacia sopravvenuta per mancanza dell’interrogatorio – non risulta neppure dal fascicolo del ricorso concernente il provvedimento coercitivo). Cass. pen. sez. III 4 maggio 2000, n. 809

È inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso avverso ordinanza di custodia cautelare già revocata, allorché con lo stesso si deduca la destinazione all’uso personale dello stupefacente, atteso che l’interesse ad impugnare un provvedimento di custodia cautelare revocato sussiste solo ove la relativa decisione possa essere utile per fondare il diritto all’equa riparazione, e cioè ove si contesti la sussistenza delle condizioni generali o speciali previste dagli artt. 273 o 280 c.p.p. per l’applicabilità della misura. Cass. pen. sez. IV 22 gennaio 2000, n. 4763

Non rientra nel novero dei provvedimenti impugnabili a norma dell’art. 310 c.p.p.in quanto non idoneo ad incidere sullo status libertatis, il provvedimento con il quale il giudice respinge la richiesta di revoca del divieto di incontro con i coimputati imposto per ragioni di giustizia nei confronti di persona sottoposta alla misura della custodia cautelare in carcere. Cass. pen. sez. I 18 gennaio 2000, n. 6520

Poiché le impugnazioni avverso i provvedimenti in materia di libertà personale non hanno di regola effetto sospensivo (artt. 588, comma 2, e 310, comma 3, c.p.p.) deve considerarsi legittimamente adottata l’ordinanza de libertate emessa dal giudice per le indagini preliminari in pendenza del ricorso per cassazione proposto avverso la decisione di annullamento, da parte del tribunale, di una precedente decisione pronunciata dallo stesso giudice in ordine alla medesima istanza dell’indagato. (Nel caso di specie l’ordinanza cautelare con cui il giudice per le indagini preliminari aveva, su istanza dell’indagato, sostituito la custodia cautelare con l’obbligo di residenza, era stata annullata dal tribunale su appello del pubblico ministero, di cui non era stato acquisito il parere prima della decisione; avverso tale pronuncia di annullamento aveva proposto ricorso per cassazione l’interessato, sulla cui originaria istanza il giudice per le indagini preliminari aveva nuovamente provveduto, con l’ordinanza di cui la Corte ha ritenuto la legittimità, pur in pendenza del predetto ricorso). Cass. pen. sez. II 2 dicembre 1999, n. 4639

Nel giudizio di appello contro i provvedimenti de libertate, quando l’impugnazione sia stata proposta dal P.M.l’indagine – a differenza del caso in cui appellante sia l’imputato ed in ossequio quindi al principio costituzionale del favor libertatis – non può essere portata oltre la situazione esistente al momento in cui il provvedimento impugnato venne adottato, pur persistendo il dovere, nella positività di quella indagine, di ulteriormente verificare l’attualità delle condizioni e dei presupposti per l’adozione delle misure cautelari; di conseguenza, non è ammissibile la valutazione di elementi indiziari sopravvenuti alla formulazione dell’atto di impugnazione e fatti pervenire tempestivamente al giudice. Cass. pen. sez. IV 23 gennaio 1998, n. 3213

Rientra nei poteri del giudice chiamato a decidere in sede di appello ex art. 310 c.p.p. – al pari di ogni altro giudice – accertare la ricorrenza, nell’ambito della concreta fattispecie, degli elementi previsti dalla legge per l’applicabilità di una determinata norma, indipendentemente dal fatto che una tale doverosa indagine sia stata trascurata nel precedente grado o, più semplicemente, che il rigetto dell’istanza abbia trovato altra motivata giustificazione sì da rendere superfluo l’approfondimento di altri aspetti normativi. (Nella fattispecie il tribunale, in sede di gravame ai sensi dell’art. 310 c.p.p.aveva rigettato l’appello proposto nell’interesse dell’indagato – tendente ad ottenere la rimessione in libertà di quest’ultimo in applicazione dell’art. 89 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, in materia di provvedimenti restrittivi nei confronti dei tossicodipendenti – sulla base di argomentazione estranea all’impugnato provvedimento del Gip, e precisamente avendo ritenuto inapplicabile, nel caso concreto, la disposizione del secondo comma del citato art. 89 del detto D.P.R.secondo cui la misura cautelare in carcere deve essere revocata quando si tratti di indagato o imputato tossicodipendente che intenda sottoporsi ad un programma di recupero, stante il divieto previsto dal quarto comma del medesimo articolo. La Suprema Corte, pur annullando con rinvio, per un diverso motivo, l’impugnato provvedimento, ha disatteso, in applicazione del principio di cui in massima, l’assunto del ricorrente sul punto relativo alla denunciata violazione del principio devolutivo, stabilito dal primo comma dell’art. 597 del codice di procedura penale). Cass. pen. sez. V 25 agosto 1997, n. 3638  .

Il provvedimento col quale il giudice adotta altra misura cautelare nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini, ai sensi dell’art. 307, primo comma, c.p.p. trova l’unica ragione giustificativa nella persistenza delle esigenze cautelari. Pertanto, esso è impugnabile non già col riesame, impugnazione che rimette in discussione l’intero quadro probatorio, esigendo la valutazione degli indizi di colpevolezza, bensì con l’appello, mirante ad una pronuncia sulla persistenza delle esigenze cautelari e sull’adeguatezza della misura prescelta. Cass. pen. sez. V 7 febbraio 1996, n. 261

Il provvedimento di diniego (o di concessione) all’indagato, che si trovi agli arresti domiciliari, dell’autorizzazione ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo degli arresti è inoppugnabile. Contro di esso invero non è prevista impugnazione alcuna, né può ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 della Costituzione in quanto lo stesso non decide sulla libertà personale, ma si limita a regolare le modalità di esecuzione della misura cautelare, ossia di un beneficio che non si configura come diritto dell’imputato. Cass. pen. sez. VI 27 novembre 1995, n. 3942

Mentre l’art. 254 quinquies del codice abrogato consentiva di impugnare le ordinanze che decidevano in ordine alla «misura» degli arresti domiciliari, e, di conseguenza, in ordine all’applicazione ed alla revoca della misura stessa, con esclusione di ogni questione relativa alle prescrizioni imposte, l’art. 310 del codice vigente si riferisce in modo pilato all’impugnazione delle «ordinanze in materia di custodia cautelare», e cioè ad ogni provvedimento avente ad oggetto la materia della libertà personale e quindi anche a quelli che, imponendo o negando determinate prescrizioni, finiscono con l’incidere in maniera pio meno restrittiva sulla privazione della libertà medesima; ne deriva che il provvedimento di concessione o di diniego all’imputato in stato di arresti domiciliari dell’autorizzazione ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di custodia per esercitare un’attività lavorativa, è impugnabile con il rimedio dell’appello di cui all’art. 310 suddetto, avendo ad oggetto una modifica, non contingente (come il permesso), bensì permanente delle modalità di esecuzione della misura cautelare coercitiva, che incide inevitabilmente sullo status libertatis del soggetto. Cass. pen. sez. I 26 ottobre 1995, n. 3104

Avverso il provvedimento di proroga della custodia cautelare non è ammesso il ricorso per saltum in Cassazione, ma è esperibile l’appello di cui all’art. 310 c.p.p. dinanzi al tribunale della libertà, che può provvedere alla motivazione della proroga che non sia stata motivata dal giudice che l’ha concessa. Ne consegue che gli indagati che non propongano appello a norma degli artt. 305, comma 2, e 310, c.p.p.implicitamente riconoscono la sussistenza delle condizioni di legge per l’emissione del provvedimento di custodia cautelare e, comunque, non consentono al giudice di appello di formulare un’adeguata motivazione della decisione di proroga della custodia cautelare, tale da resistere eventualmente al controllo di legittimità della Corte di cassazione, sicché non possono successivamente lamentare disparità di trattamento rispetto alla posizione di altri coindagati nei confronti dei quali sia stato accolto ricorso per cassazione. (Fattispecie nella quale per due coindagati la S.C. aveva disposto l’annullamento con rinvio della sentenza di merito e non anche dell’ordinanza in tema di libertà, in ordine alla quale erano stati rigettati i ricorsi di altri coindagati). Cass. pen. sez. I 15 settembre 1995, n. 3367

Qualora il Gip accolga la richiesta del pubblico ministero di proroga dei termini di custodia cautelare prima della scadenza del termine concesso al difensore per il deposito di note scritte, si realizza una nullità a regime intermedio che pertanto deve essere eccepita, al pitardi, nel giudizio di appello dinnanzi al tribunale costituito a norma dell’art. 310 c.p.p. Cass. pen. sez. VI 15 settembre 1995, n. 3089

Quando il Gip, ritenuta la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, abbia respinto la richiesta dal pubblico ministero di applicazione di una misura cautelare personale per assenza di esigenze cautelari e il P.M. abbia proposto appello su quest’ultimo punto, la parziale statuizione del Gip sulla sussistenza degli indizi, non suscettibile di autonoma impugnazione da parte dell’indagato, non determina a carico di questo alcuna preclusione nel giudizio di appello né sotto il profilo del giudicato cautelare né sotto quello dell’effetto devolutivo dell’impugnazione del P.M. In tale caso il giudice di appello è legittimato a procedere alla verifica della sussistenza dei gravi indizi in quanto antecedente logico necessario alla decisione sulle esigenze cautelari e presupposto ineludibile dell’applicabilità della misura cautelare. Cass. pen. sez. VI 29 agosto 1995, n. 1835  .

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