Il diniego del nulla osta al rilascio o alla restituzione del passaporto, in applicazione dell’art. 3, lett. c) della L. 21 novembre 1967, n. 1185 (da ritenersi tuttora operante, nonostante l’intervenuta abrogazione disposta dall’art. 215 del D.L.vo 28 luglio 1989, n. 271, nei processi che proseguono con l’osservanza delle norme del codice di rito previgente), è equiparabile ad un provvedimento di applicazione o di mantenimento della misura cautelare del divieto di espatrio prevista dall’art. 281 del codice vigente. Conseguentemente, pur in assenza di specifica previsione legislativa (e non potendosi accettare la prospettiva che, per gli imputati nei confronti dei quali sia tuttora applicabile la disciplina processuale previgente, a differenza di quelli per i quali è applicabile la disciplina attuale, il detto divieto non abbia alcun limite finale di durata), devono ritenersi operanti, anche nell’ipotesi anzidetta, i limiti di durata previsti dall’art. 308, comma 1 del vigente codice di procedura penale; limiti la cui decorrenza va fissata dalla data di entrata in vigore di detto codice quando, a tale data, anche in virtù di precedenti provvedimenti adottati nell’ambito del medesimo procedimento, il divieto di espatrio, di fatto, fosse già operante. Cass. pen. Sezioni Unite 3 agosto 1992
È inammissibile per causa sopravvenuta il ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento impositivo della misura cautelare del divieto di espatrio, ai sensi dell’art. 281 del nuovo codice di procedura penale, quando, prima della decisione dello stesso, si sia formato il giudicato sostanziale di condanna. La misura coercitiva in questione, invero, rientra nel novero delle misure cautelari personali, volte ad assicurare il corretto svolgimento del procedimento, la presenza dell’imputato quando necessaria, la genuinità delle prove, la loro acquisizione, la garanzia dall’eventuale pericolo derivante alla collettività dalla personalità del soggetto contro cui si procede. Esauritosi il giudizio di cognizione, tuttavia, si deve passare all’esecuzione del giudicato sicché vengono per ciò stesso meno le ragioni cautelari; pertanto, in ipotesi di proscioglimento, il giudice deve dichiarare cessate le misure cautelari personali eventualmente applicate (art. 532 c.p.p.), mentre, nel caso di condanna non sospesa condizionalmente, segue l’actio iudicati attraverso l’ordine di carcerazione e, in tale ultima ipotesi, il divieto di espatrio resta assorbito nella carcerazione, maggiormente restrittiva della libertà personale, in esecuzione del giudicato. (Fattispecie in cui il divieto di espatrio era stato imposto dalla corte d’assise d’appello e il riesame avverso il relativo provvedimento proposto dall’imputato è stato ritenuto dalla Cassazione «convertito» in ricorso, vertendosi in tema di provvedimento limitativo della libertà personale). Cass. pen. sez. I 13 giugno 1990
L’art. 307, secondo comma, lettera b), c.p.p.prevede il ripristino della misura della custodia cautelare in presenza di sentenza di condanna di primo o di secondo grado, nonché dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, lettera b) c.p.p. (quando l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che si dia alla fuga). In virtù del principio di analogia, consentito nel silenzio della norma, la rinnovazione della misura cautelare deve ritenersi estensibile al divieto di espatrio (art. 281 c.p.p.) ed al diniego del «nulla-osta» dell’autorità giudiziaria al rilascio del passaporto (art. 3, primo comma, lett. c, L. 21 novembre 1967, n. 1185), sempre che sussista il presupposto della modifica della situazione processuale dell’imputato, per effetto d’una sentenza di condanna di primo o di secondo grado. Cass. pen. sez. V 11 maggio 1993, n. 589
L’attivazione della procedura per l’esecuzione di una misura cautelare non detentiva in altro Paese dell’Unione – possibilità introdotta dal d. lgs. n. 36 del 2016, che ha conformato il diritto interno alla decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare – è provvedimento di natura esecutiva rimesso alla valutazione discrezionale del pubblico ministero, il cui controllo di legittimità è effettuabile attraverso l’attivazione dell’incidente di esecuzione. (In motivazione, la S.C. ha altresì precisato che i parametri che devono guidare il pubblico ministero nell’esercizio di tale potere attengono al bilanciamento tra l’interesse della persona sottoposta a cautela a rientrare presso lo Stato di residenza (o altro indicato) e l’interesse collettivo alla tutela della sicurezza, che informa l’intero sistema cautelare, in coerenza con le indicazioni contenute negli artt. 3 e 5 della decisione quadro 2009\829\GAI). Cass. pen. sez. II 26 maggio 2017, n. 26526
In tema di procedura di estradizione, qualora in epoca successiva alla sentenza favorevole alla richiesta dello Stato estero si provveda con decreto ministeriale alla sospensione della consegna del cittadino e si chieda la revoca della misura coercitiva, il mantenimento del ritiro del passaporto, una volta revocata dal giudice la misura, non trova alcuna giustificazione, trattandosi di adempimento funzionale ad eventuale misura cautelare del divieto di espatrio che, in assenza di richiesta del ministro, non può essere disposta. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio l’ordinanza della corte di appello che aveva respinto la richiesta di restituzione del passaporto sul presupposto della pendenza della pratica estradizionale e del permanere dell’esigenza di evitare che il possesso del passaporto potesse favorire la sottrazione dell’estradando all’esecuzione della consegna). Cass. pen. sez. VI 25 settembre 2001, n. 34796
È legittima l’applicazione della misura del divieto di espatrio a carico di un soggetto che si sia trasferito all’estero in epoca precedente all’inizio del procedimento a suo carico, qualora tale misura sia giustificata dall’esigenza di prevenire il pericolo di una sottrazione irreversibile dell’indagato all’istanza di giustizia dello Stato, pericolo cui la misura è diretta a porre rimedio, non appena si presenti la concreta possibilità di dare attuazione al divieto di espatrio a seguito della intervenuta presenza dell’indagato nel territorio dello Stato. Pertanto, il trasferimento in un Paese estero in epoca anteriore all’inizio del procedimento non è né giuridicamente né logicamente in contraddizione con tale misura quando concretamente sia ravvisabile la suddetta situazione di pericolosità, desumibile nella specie, dalle modalità della condotta (permanenza all’estero senza apprezzabile e comprovato motivo durante il procedimento nonché assenza di qualsiasi affidabile prospettiva di disponibilità verso la giurisdizione dello Stato) e dalla contestazione di un fatto criminoso di particolare gravità. Cass. pen. sez. VI 30 ottobre 1996, n. 2799
La misura coercitiva del divieto di espatrio (art. 281 c.p.p.) può essere applicata, nelle ipotesi in cui si procede per uno dei delitti previsti dall’art. 280 c.p.p.quando – come si evince, nel silenzio della norma, dalla ratio che la ispira – si palesi sussistente il pericolo di fuga, il quale deve ritenersi idoneo a fondare il provvedimento coercitivo qualora, dall’esame di elementi e fatti obiettivi, della valutazione della personalità dell’imputato anche in riferimento ai riflessi che detti elementi e fatti possono avere sulla condotta post delictum, nonché dalla natura degli addebiti e dall’entità della pena già comminata nel giudizio di cognizione in itinere, sia ravvisabile la ragionevole probabilità che l’inquisito, ove non si intervenisse, farebbe perdere all’estero le proprie tracce. (Nell’affermare detto principio la Corte ha altresì precisato che la «ragionevole probabilità» non deve intendersi quale certezza o quasi certezza dell’espatrio, né che essa presupponga un pericolo particolarmente intenso, essendo solo necessario che si correli ad un pericolo di fuga reale, effettivo e non immaginario). Cass. pen. sez. VI 4 settembre 1996, n. 2736
In tema di misure cautelari personali, è preclusa, in tutti i casi in cui non sia espressamente consentita dalle norme processuali, l’applicazione congiunta di misure coercitive che pure siano tra loro astrattamente compatibili, quali il divieto di espatrio, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria ed il divieto od obbligo di dimora, di cui agli artt. 281, 282 e 283 c.p.p. (In motivazione la Corte ha rilevato come l’art. 2, comma 6, del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito con modificazioni nella L. 19 gennaio 2001, n. 4, attraverso l’introduzione dell’art. 307, comma 1 bis, c.p.p.abbia affiancato all’unica previsione autorizzativa preesistente – l’art. 276 c.p.p. in materia di violazione delle prescrizioni concernenti una misura cautelare – il caso delle misure non detentive applicate dopo la decorrenza del termine massimo di custodia, per la sola eventualità che si proceda con riguardo ai gravi delitti elencati all’art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p.e come proprio tale specifica delimitazione dei casi di applicazione congiunta escluda che possa prospettarsi una regola generale di possibile coesistenza delle misure cautelari non detentive). Cass. pen. sez. II 9 gennaio 2002, n. 641