In tema di misure cautelari personali, il divieto di custodia in carcere per l’imputato ultrasettantenne opera, in assenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, anche quando il predetto abbia compiuto settant’anni dopo l’applicazione della misura per uno dei reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. dovendo quest’ultima conformarsi ai principi di adeguatezza e di gradualità durante tutto il corso del procedimento cautelare. Cass. pen. sez. VI 2 maggio 2019, n. 18195
Anche per i reati associativi relativamente ai quali operi, ai fini dell’applicazione di misure cautelari, la presunzione di adeguatezza esclusiva, in presenza dei gravi indizi di colpevolezza, della custodia cautelare in carcere, ai sensi dell’art. 275, comma 3, c.p.p.deve ritenersi comunque necessario, quando dall’epoca dei fatti contestati sia trascorso un notevole lasso di tempo, che il giudice fornisca specifica motivazione in ordine alla ritenuta permanenza di una attuale e concreta pericolosità del soggetto, specie quando a quest’ultimo venga addebitata la semplice partecipazione, circoscritta nel tempo, a sodalizi criminali che, pur qualificabili come di tipo mafioso o assimilato, non siano tuttavia compresi tra quelli notoriamente caratterizzati da tendenziale stabilità nel tempo. Cass. pen. sez. VI 22 maggio 2017, n. 25517
In tema di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, a seguito della riforma introdotta dalla legge n. 47 del 2015, ove non si sia al cospetto di una delle ipotesi di presunzione assoluta di adeguatezza, il giudice deve sempre motivare sulla inidoneità della misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. Cass. pen. Sezioni Unite 19 maggio 2016, n. 20769
La regola generale contenuta nell’art. 275, comma 3-bis, cod. proc. pen.come novellato dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, secondo cui il giudice, nel disporre la custodia in carcere, deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo elettronico, non trova applicazione quando la custodia in carcere venga disposta per uno dei delitti per i quali opera la presunzione relativa di adeguatezza di tale misura, ai sensi del terzo comma del predetto art. 275. Cass. pen. sez. I 9 maggio 2016, n. 19234
In tema di scelta delle misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento relativo alla misura della custodia cautelare in carcere, non è necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati nonché dalla personalità dell’indagato, gli elementi specifici che inducono ragionevolmente a ritenere la custodia in carcere come la misura più adeguata al fine di impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo, in tal modo, assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle altre misure coercitive. Cass. pen. sez. V 10 dicembre 2014, n. 51260
I principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità – dettati dall’art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali – sono applicabili anche al sequestro preventivo, dovendo il giudice motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso una cautela alternativa meno invasiva. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo di un intero “dominio” internet, in ragione della motivata impossibilità tecnica di oscurare il singolo file lesivo del diritto d’autore). Cass. pen. sez. III 26 maggio 2014, n. 21271
La ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione del reato esime il giudice dal dovere di motivare sulla prognosi relativa alla concessione della sospensione condizionale della pena. Cass. pen. sez. VI 12 dicembre 2013, n. 50132
I principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall’art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali, sono applicabili anche alle misure cautelari reali, costituendo oggetto di valutazione preventiva non eludibile da parte del giudice, il quale deve motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso una meno invasiva misura interdittiva. (In applicazione di questo principio la S.C. ha censurato la decisione con cui il Tribunale della libertà ha rigettato l’istanza di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo emesso nei confronti di legali rappresentanti di una conceria per impiego di solventi oltre i limiti consentiti ed ha ritenuto che l’uso dell’impianto sequestrato è illecito solo se accompagnato dall’impiego sovrabbondante di detti solventi). Cass. pen. sez. III 3 aprile 2012, n. 12500
L’applicazione della custodia cautelare contestualmente ad una sentenza di condanna, sulla base di una valutazione discrezionale fondata sui criteri previsti dall’art. 275, comma primo bis, c.p.p.è consentita, oltre che al giudice di primo grado, anche a quello di appello, indipendentemente dalla ricorrenza delle particolari condizioni che, ai sensi del comma secondo ter del citato art. 275, renderebbero la misura obbligatoria. Cass. pen. sez. I 24 novembre 2008, n. 43814
La presunzione normativa dell’adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere nei casi in cui sussistano gravi indizi di colpevolezza per un delitto di criminalità mafiosa superabile solo in forza di elementi concreti e specifici dai quali emerga l’insussistenza delle esigenze cautelari esonera il giudice dal dovere di motivare nel provvedimento genetico l’applicazione della misura, a fronte della deduzione difensiva di elementi generici e privi di concretezza. Cass. pen. sez. VI 23 ottobre 2008, n. 39897
Una volta che il giudice, nel disporre il provvedimento di coercizione personale, abbia ritenuto sussistente l’esigenza cautelare di prevenire la reiterazione del reato, non sussiste obbligo di motivazione sul divieto di disporre la custodia cautelare nel caso di prognosi favorevole alla futura concessione della sospensione condizionale della pena previsto dall’art. 275, comma 2 bis, c.p.p. Cass. pen. sez. I 16 settembre 1998, n. 2955
In tema di motivazione dei provvedimenti sulla libertà personale, l’ordinanza applicativa della misura e quella che decide sulla richiesta di riesame sono tra loro strettamente collegate e complementari, sicché la motivazione del tribunale del riesame integra e completa l’eventuale carenza di motivazione del provvedimento del primo giudice e, viceversa, la motivazione insufficiente del giudice del riesame può ritenersi integrata da quella del provvedimento impugnato, allorché in quest’ultimo siano state indicate le ragioni logico-giuridiche che, ai sensi degli artt. 273, 274 e 275 c.p.p. ne hanno determinato l’emissione. (In applicazione di detto principio la Corte, rilevando la completezza della motivazione dell’ordinanza di riesame, ha ritenuto infondato il motivo di ricorso con il quale si deduceva la nullità del provvedimento del Gip – e la conseguente nullità dell’ordinanza del tribunale – sotto il profilo della carenza della motivazione, costituita dal semplice richiamo alla richiesta del pubblico ministero). Cass. pen. Sezioni Unite 3 luglio 1996, n. 7
Deve ritenersi adeguatamente motivato il provvedimento restrittivo della libertà personale che illustri i motivi per i quali si ritiene sussistente il pericolo concreto di reiterazione del reato e non faccia esplicito riferimento alla prevedibile esclusione della concessione della sospensione condizionale della pena poiché tale previsione può ritenersi implicitamente contenuta nel primo ordine di considerazioni. Cass. pen. sez. VI 11 giugno 1996, n. 1463
Qualora il delitto addebitato al ricorrente sia compreso fra quelli indicati dall’art. 275, comma 3, c.p.p. nel testo sostituito dall’art. 5 della L. n. 332 del 1995, la motivazione in ordine al tempus commissi delicti non è richiesta, operando per tali reati la «presunzione di adeguatezza» di cui alla norma citata. Ed invero, l’art. 292, comma 2, lett. c), va considerata nel quadro del principio di adeguatezza della misura custodiale; un quadro diversamente delineato dal comma 3 dell’art. 275 che impone di ritenere presenti le esigenze cautelari, salvo prova contraria. Cass. pen. sez. VI 28 maggio 1996, n. 985
In tema di motivazione del provvedimento che dispone la custodia cautelare la precisazione introdotta nell’art. 292 n. 2 lett. c) dall’art. 9 comma 1 L. 8 agosto 1995 n. 332 nella parte in cui si dispone che debbano essere esposte «le concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all’art. 274 non possono essere soddisfatte con altre misure» non ha sostanzialmente modificato la disciplina precedente, espressa dal principio fissato dall’art. 275 comma 3 c.p.p.che consente l’adozione della misura della custodia cautelare in carcere solo quando ogni altra misura risulti inadeguata. Nell’emettere la misura perciò non è indispensabile che il Gip si pronunci analiticamente esponendo le ragioni per le quali non viene adottata una misura meno afflittiva, essendo necessario e sufficiente che emerga dalla motivazione del provvedimento che la custodia cautelare in carcere è l’unica misura idonea a fronteggiare le esigenze processuali nel caso concreto. Cass. pen. sez. III 10 maggio 1996, n. 1241
In materia di misure cautelari, non occorre una separata motivazione specifica sul diniego di sostituzione di una misura con altra minore, quando il giudice motivi in merito alla idoneità di quella più grave come l’unica adeguata al caso concreto. Cass. pen. sez. VI 7 giugno 1995, n. 1250
I principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall’art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali, sono applicabili anche al sequestro preventivo ed impongono al giudice di motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso una cautela alternativa meno invasiva, al fine di evitare un’esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata. (Fattispecie in cui la Corte ha censurato la decisione con cui il tribunale aveva rigettato la richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo di un intero complesso immobiliare destinato a centro commerciale, per quanto i lavori che si assumevano eseguiti per effetto di condotte truffaldine riguardassero soltanto una parte di esso). Cass. pen. sez. II– 8 luglio 2019, n. 29687
In tema di custodia cautelare in carcere applicata, ai sensi dell’art. 275, comma 1-bis, cod. proc. pen.nei confronti del condannato per il delitto di associazione di tipo mafioso, per il quale l’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. pone una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti accertati, il giudice, pur nel perimetro cognitivo limitato alla verifica della sussistenza delle sole esigenze cautelari, ha l’obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari. (In applicazione di tale principio, la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del tribunale del riesame di conferma della misura custodiale emessa dal G.u.p.successivamente alla condanna del ricorrente per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.rilevando che il lungo periodo di custodia cautelare nella specie circa cinque anni – subito dal ricorrente per altro reato doveva essere valutato, unitamente all’epoca risalente dei fatti ed alla genericità della dedotta permanenza della condotta associativa, quale elemento incidente sulla valutazione, in termini di concretezza ed attualità, del pericolo di fuga e di quello di reiterazione che non divengono concreti ed attuali per effetto dell’intervenuta condanna). Cass. pen. sez. VI 28 aprile 2017, n. 20304
In caso di sentenza di condanna, l’art. 275, comma 1-bis cod. proc. pen. non limita l’applicabilità delle misure cautelari al momento stesso della pronuncia, ma, al di là del dovere di non ritardare oltre tempi ragionevoli l’applicazione della misura, impone al giudice di verificare la sussistenza delle esigenze cautelari indicate dall’art. 274, comma primo, lett. b) e c), cod. proc. pen.tenendo conto degli elementi che emergono dalla pronuncia del giudice della cognizione, dovendosi, a tal fine, escludere alcun vincolo derivante da un precedente giudicato cautelare favorevole al condannato. (In applicazione di tale principio la Suprema Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso con il quale la difesa contestava la possibilità per il giudice dell’udienza preliminare di applicare la misura della custodia cautelare successivamente alla sentenza di condanna, nonostante il rigetto della stessa nel corso delle indagini preliminari). Cass. pen. sez. VI 28 aprile 2017, n. 20304
In tema di misure cautelari personali, ai fini della sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, nell’indagine volta ad accertare l’adeguatezza di quest’ultima, non può riconoscersi rilevanza esclusiva ed assorbente al fatto che sia venuta meno, nelle more, una parte delle accuse in origine contestata, dovendosi, piuttosto, fornire specifica indicazione delle ragioni per le quali la misura meno afflittiva viene ritenuta idonea allo scopo e proporzionata all’entità e gravità dei fatti di reato oggetto di indagine e di cautela. Cass. pen. sez. II 17 giugno 2015, n. 25378
L’art. 275, comma secondo bis, cod. proc. pen. – nel testo introdotto dal D.L. n. 92 del 2014 prima della modi.ca apportata in sede di conversione – deve essere letto congiuntamente alla previsione di cui all’art. 656, commi 5 e 9, cod. proc. pen.di talché la misura cautelare della custodia in carcere disposta per il reato di rapina aggravata non si caduca automaticamente nel caso in cui la pena ancora da espiare, tenuto conto del presofferto cautelare, sia inferiore ai tre anni, perché non sarebbe comunque possibile disporre la sospensione dell’esecuzione della pena inflitta, stante la previsione di cui al richiamato art. 656 con riguardo al titolo di reato per cui si procede. Cass. pen. sez. II 23 marzo 2015, n. 12139
Il divieto, ai sensi dell’art. 275, comma secondo bis, cod. proc. pen. di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nel caso in cui il giudice abbia irrogato una pena detentiva inferiore a tre anni, non impedisce di adottare la più grave misura cautelare qualora ogni altra misura si riveli inadeguata e gli arresti domiciliari non possono essere disposti per mancanza del luogo di esecuzione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima la applicazione della custodia in carcere nei confronti dell’imputato, che aveva concordato la applicazione della pena di anni due e mesi due di reclusione, essendosi reso responsabile di più reati di furto e rivelatosi privo di domicilio per l’imminente scadenza del contratto di locazione). Cass. pen. sez. V 19 febbraio 2015, n. 7742
In tema di misure cautelari personali, il riconoscimento, nel giudizio di merito, dell’attenuante della collaborazione con la giustizia (art. 8 D.L. n. 152 del 1991, conv. in legge n. 203 del 1991), pur consentendo il superamento della presunzione di pericolosità sancita dall’art. 275, comma terzo, c.p.p. non comporta automaticamente la prognosi di adeguatezza di una misura meno afflittiva, essendo comunque necessaria la valutazione delle esigenze cautelari e la concreta verifica che il comportamento collaborativo sia garanzia, nella prospettiva della diversa condizione di vita intrapresa, di una scelta radicale di rimozione di qualsivoglia legame con la criminalità organizzata e, in particolare, con la precedente attività delinquenziale. Cass. pen. sez. I 10 gennaio 2013, n. 1213
Il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza di cui all’art. 275, comma 2, c.p.p.opera come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità di quella specifica misura a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale. Cass. pen. Sezioni Unite 22 aprile 2011, n. 16085
In tema di criteri di scelta delle misure cautelari, è legittimo il riferimento alle specifiche modalità e circostanze del fatto ai fini della motivazione circa l’applicazione della custodia in carcere, costituendo la condotta tenuta dal soggetto, in occasione del reato, elemento diretto e significativo per interpretare la personalità dell’agente. (Nella specie la Corte ha precisato che non può ritenersi la misura irrogata sproporzionata alle esigenze cautelari per rapporto alla asseritamente omessa valutazione del giudice circa la prognosi di applicabilità della sospensione condizionale, posto che proprio la ritenuta gravità dei fatti, per cui viene disposta la cautela, renderebbe contraddittoria un’ipotesi di applicabilità del beneficio ). Cass. pen. sez. II 13 ottobre 2008, n. 38615
In tema di esigenze cautelari, l’adeguatezza della misura in concreto applicata va valutata anche con riferimento alla prognosi di spontaneo adempimento da parte dell’indagato degli obblighi e delle prescrizioni che a detta misura cautelare siano eventualmente collegati. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto adeguatamente motivata la applicazione della custodia cautelare in carcere, in luogo della meno gravosa misura degli arresti domiciliari, avendo il giudice di merito fatto riferimento a precedenti violazioni da parte del ricorrente degli obblighi della sorveglianza speciale). Cass. pen. sez. II 14 gennaio 1999, n. 2170
In tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di indagato per delitto aggravato dall’art. 7, legge n. 203 del 1991, la presunzione relativa di pericolosità sociale di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice emerga che l’associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa. In assenza di tali elementi, il giudice della cautela non ha l’onere di argomentare in ordine alla sussistenza o permanenza delle esigenze cautelari ancorché sia decorso un notevole lasso di tempo tra i fatti contestati in via provvisoria all’indagato e l’adozione della misura cautelare. (Fattispecie in cui tra la data dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere e i fatti addebitati all’indagato erano decorsi circa cinque anni). Cass. pen. sez. V 26 luglio 2018, n. 35847
In tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti dell’indagato per uno dei delitti per i quali l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. pone una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati in via provvisoria all’indagato, e si tratti, in particolare, di un reato non permanente, il giudice ha l’obbligo di motivare puntualmente in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari. (Fattispecie in tema di omicidio aggravato ai sensi dell’art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n, 153, conv. in legge 12 luglio 1991, n. 203). Cass. pen. sez. V 6 giugno 2018, n. 25670
In tema di misure cautelari, quando si procede per i reati di cui all’art. 275, comma terzo cod. proc. pen.pur operando una presunzione “relativa” di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47 e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice ai fini della valutazione della sussistenza di dette esigenze di cautela, ove si tratti di “tempo silente”, cioè di un rilevante arco temporale non segnato da condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, che può rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. Cass. pen. sez. VI 14 giugno 2017, n. 29796
In tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti dell’indagato del delitto di associazione di tipo mafioso, la presunzione relativa di pericolosità sociale, di cui all’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen.come novellato dalla legge n. 47 del 2015, può essere superata anche quando dagli elementi a disposizione del giudice emerga una situazione che, pur in mancanza di una rescissione del vincolo associativo, dimostri – in modo obiettivo e concreto – l’effettivo e irreversibile allontanamento dell’indagato dal gruppo criminale e la conseguente mancanza delle esigenze cautelari. (In motivazione, la S.C. ha aggiunto che la mancanza di prova di rapporti dell’indagato con altri esponenti della cosca non costituisce elemento idoneo al superamento della presunzione di pericolosità). Cass. pen. sez. I 20 marzo 2017, n. 13593
In materia di misure cautelari personali, il limite di tre anni di pena detentiva necessario per l’applicazione della custodia in carcere, previsto dall’art. 275, comma secondo bis, cod. proc. pen.come novellato dal D.L. 26 giugno 2014, n. 92, nel testo anteriore alle modificazioni introdotte dalla legge di conversione 11 agosto 2014, n. 117, deve essere oggetto di valutazione prognostica solo al momento di applicazione della misura, ma non anche nel corso della protrazione della stessa, con la conseguenza che il presupposto assume rilievo non in termini di automatismo, ma solo ai fini del giudizio di perdurante adeguatezza del provvedimento coercitivo, a norma dell’art. 299, cod. proc. pen. Cass. pen. sez. IV 27 marzo 2015, n. 13025
Nei confronti di soggetto raggiunto da ordinanza cautelare per concorso esterno in associazione mafiosa, anche dopo la sentenza della corte costituzionale n. 57 del 2013, continua ad applicarsi la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e quella assoluta di adeguatezza della custodia in carcere, di cui al comma terzo dell’art. 275 cod. proc. pen. (In motivazione, la Corte ha evidenziato che la sentenza della Corte costituzionale citata, dichiarando l’incostituzionalità del comma terzo dell’art. 275 cod. pen. limitatamente all’ipotesi della presunzione di adeguatezza per i delitti aggravati ex art. 7 del D.L. n. 152 del 1991, non ha alcuna ricaduta sulle imputazioni di concorso esterno, che sono ben diverse dalle contestazioni di reati aggravati ex art. 7 cit. riferendosi a condotte pienamente espressive dei connotati di illiceità previsti dall’art. 416 bis cod. pen.). Cass. pen. sez. I 22 gennaio 2014, n. 2946
In tema di misure cautelari, il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è assimilabile, ai fini della presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere di cui all’art. 275, comma terzo, c.p.p. alla partecipazione ad associazione mafiosa, non potendo essere equiparato ai reati aggravati dall’art. 7 del D.L. n. 152 del 1991, in relazione ai quali, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 57 del 2013, la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere può essere superata quando, in relazione al caso concreto, siano acquisiti elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.(In applicazione di tali principi la S.C. ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente ritenendo non illogica la equiparazione del concorrente esterno al partecipe all’associazione mafiosa, la cui posizione non può essere paragonata con quella di colui che commette un singolo reato seppur aggravato dall’art. 7 del D.L. n. 152 del 1991). Cass. pen. sez. II 20 gennaio 2014, n. 2242