In tema di esigenze cautelari, allorchè si procede per reati consumati all’interno di “relazioni strette” (nella specie, maltrattamenti in famiglia), la funzione preventiva della misura ha una direzione cautelare specifica, funzionale a contenere una pericolosità “mirata”, orientata nei confronti di una specifica persona, sicchè la concretezza del pericolo e la sua attualità possono escludersi solo in presenza di elementi che indichino la recisione della relazione nella quale si è manifestata la condotta criminosa. Cass. pen. sez. II 12 marzo 2018, n. 11031
In tema di misure cautelari personali, il pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova, richiesto dall’art. 274 lett. a) cod. proc. pen.per l’applicazione delle stesse, deve essere concreto e va identificato in tutte quelle situazioni dalle quali sia possibile desumere, secondo la regola dell’”id quod plerumque accidit”, che l’indagato possa realmente turbare il processo formativo della prova, ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto insufficiente la motivazione delle esigenze cautelari fondata sul persistente inserimento dell’indagato nell’amministrazione comunale nella quale i reati erano stati commessi e dei conseguenti rapporti con altri soggetti presenti nell’organigramma dell’ente, aventi la veste di persone informate sui fatti). Cass. pen. sez. VI 13 giugno 2017, n. 29477
In tema di esigenze cautelari, il pericolo attuale e concreto per l’acquisizione o la genuinità della prova, richiesto per l’emissione di una misura cautelare personale dall’art. 274, lett. a) cod.proc.pen. è riferibile non solo a condotte proprie dell’indagato, ma anche a quelle di eventuali coindagati volte ad inquinare, nell’interesse comune, il quadro probatorio emergente nella fase delle indagini preliminari. Cass. pen. sez. VI 8 ottobre 2013, n. 41606
Ai sensi dell’art. 274, comma 1, lett. a), c.p.p. può concretare un pericolo attuale per la genuinità della prova la concertazione di linee difensive da parte di più indagati. A tale conclusione non è in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, che nel tutelare l’autodifesa e la difesa tecnica, dà fondamento a una situazione giuridica soggettiva inviolabile ma di carattere individuale e non impedisce quindi al legislatore di porre limiti a iniziative collettive degli indagati che, in quanto tali, sono in grado di proiettare i loro effetti al di là della sfera personale di ciascuno. (Nella specie era stata accertata l’esistenza di ripetuti contatti, anche telefonici, tra gli indagati, finalizzati a precostituire difese e strategie comuni). Cass. pen. sez. VI 8 aprile 1998, n. 1015
In tema di applicazione delle misure cautelari, l’esigenza di salvaguardia da inquinamento l’acquisizione e la genuinità della prova non si esaurisce con la chiusura delle indagini preliminari o con la conclusione del giudizio di primo grado. (Nell’affermare tale principio la Corte ha altresì precisato che nel procedimento penale la prova conosce le fasi della individuazione e dell’acquisizione delle sue fonti, quella della vera e propria formazione, poi dell’avanzamento e infine della conservazione, e che ostacoli al corretto evolversi di questo processo formativo e conservativo possono evidentemente insorgere in ciascuno di questi momenti, sicché il potere coercitivo attribuito al giudice, con la possibilità dell’imposizione delle misure cautelari nella loro funzione di tutela di esigenze di tipo probatorio, si estende lungo tutto l’arco del processo di merito, compreso quello di appello ove la prova può attraversare l’ulteriore fase della rinnovazione). Cass. pen. sez. II 12 novembre 1997, n. 3900 .
In tema di esigenze cautelari, il pericolo di inquinamento probatorio, di cui all’art. 274, comma primo, lett. a), c.p.p.postula soltanto che vi siano specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini. Poiché, peraltro, il requisito della specificità è riferito alle esigenze e non alle indagini, non è indispensabile che il giudice, nel suo provvedimento, indichi con precisione gli atti da compiere. Tale requisito, infatti, non è stabilito sia per evitare che il pubblico ministero debba rivelare alla parte gli accertamenti che si appresti ad espletare sia perché lo stesso giudice non deve necessariamente essere posto a conoscenza delle future investigazioni. Cass. pen. sez. VI 14 ottobre 1997, n. 3424
In tema di misure cautelari personali, il pericolo di inquinamento probatorio postula, per effetto della riforma introdotta dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, specifiche e inderogabili esigenze attinenti alle indagini, fondate su circostanze di fatto dalle quali deve emergere il concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova. Tale pericolo non sussiste quando sia trascorso un lungo periodo di tempo dal momento della conoscenza, da parte dell’indagato, dell’esistenza di indagini a suo carico per alcuni reati, senza che sia stata posta in essere alcuna condotta che pregiudichi l’integrità o la genuinità della prova stessa. (Fattispecie relativa alla misura degli arresti domiciliari). Cass. pen. sez. V 12 marzo 1996, n. 786
Non può farsi ricorso alla custodia cautelare (neppure sotto la forma degli arresti domiciliari) per l’acquisizione di una prova documentale ex art. 274, lettera a), c.p.p.quando il documento sia rinvenibile indipendentemente dalla condotta ostruzionistica dell’indagato, poiché in tal caso le esigenze attinenti alle indagini non sono inderogabili, sicché prevale il principio del favor libertatis. (Fattispecie in tema di falso ideologico in atto pubblico e truffa aggravata, riguardante la tabella di adeguamento del costo dei lavori di ricostruzione in un comune danneggiato dal sisma, agevolmente rinvenibile presso il Ministero per i lavori pubblici. Cass. pen. sez. V 23 novembre 1995, n. 2475 .
In tema di misure cautelari personali, il pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova, richiesto dall’art. 274, lettera a), c.p.p.per l’applicazione delle stesse, deve essere concreto e va identificato in tutte quelle situazioni dalle quali sia possibile desumere, secondo la regola dell’id quod plerumque accidit, che l’indagato possa realmente turbare il processo formativo della prova, ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti. Per evitare che il requisito richiesto del «concreto pericolo» perda il suo significato e si trasformi in semplice clausola di stile, è necessario che il giudice indichi, con riferimento all’indagato, le specifiche circostanze di fatto dalle quali esso è desunto e fornisca sul punto adeguata e logica motivazione. Cass. pen. sez. VI 17 luglio 1995, n. 1460
In tema di misure cautelari personali, il pericolo di inquinamento delle prove (art. 274, comma 1, lettera a, c.p.p.) va verificato in relazione alle indagini concernenti la posizione dell’indagato mantenuto in stato di coercizione della libertà personale, non già in relazione alla necessità di scoprire eventuali altri reati ed eventuali altri colpevoli, con sacri.cio della libertà del concorrente già privato della libertà. Cass. pen. sez. VI 7 luglio 1995, n. 2179 .
In tema di esigenze cautelari, necessarie per l’emissione di una misura cautelare personale, ed in particolare per quanto concerne il pericolo di inquinamento delle prove deve ritenersi che le acquisizioni probatorie possono riguardare non soltanto la persona dell’indagato sottoposta alla misura, ma anche altri indagati o addirittura persone non ancora identificate ed in relazione alle quali è concreto il pericolo di cui sopra. Cass. pen. sez. I 26 giugno 1995, n. 1634 .
In materia di misure cautelari personali, non può assegnarsi, ai fini dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, lett. a), allo stato di latitanza dell’indagato, valore di motivo di aggravamento della detta esigenza quoad tempus, stravolgendosi, altrimenti, i presupposti dello status captivitatis, con l’attribuire, inoltre, alle finalità cautelari una funzione in conflitto insanabile con quella propria di esse. (Fattispecie in cui la Corte ha respinto il ricorso del P.M. il quale aveva dedotto che lo status di latitanza dell’indagato aveva aggravato le esigenze cautelari, così da non consentire la riduzione della durata della misura disposta). Cass. pen. sez. VI 10 marzo 1995, n. 4162
Le esigenze cautelari tutelate dall’art. 274, lett. a) c.p.p. non riguardano soltanto quelle investigative in senso stretto, ma concernono anche l’acquisizione della prova e la conservazione della sua genuinità. Pertanto, ai fini della necessità di prevenire, con la misura della custodia in carcere, il persistente e concreto pericolo di inquinamento probatorio, a nulla rileva la circostanza che le indagini preliminari si siano concluse. Cass. pen. Sezioni Unite 12 dicembre 1994, n. 19
In tema di misure cautelari personali, la formula di cui all’art. 274 lett. a) c.p.p. (inderogabili esigenze attinenti alle indagini) non deve essere intesa nel senso che, una volta acquisito il riscontro certo di una rilevante prova di accusa, cessa il riferimento ad ogni pericolo per l’acquisizione della genuinità della prova, ma deve essere interpretata come esigenza assoluta di evitare i rischi attinenti alla completa e corretta salvaguardia del potenziale probatorio, che le indagini possono fornire, onde la tutela da parte del legislatore dell’insieme delle potenzialità probatorie contro il rischio di interventi, da parte dell’indagato, soppressivi di fonti probatorie reali già esistenti o impeditivi nei confronti di persone che sono fonti di prove, il tutto con particolare riguardo alle imputazioni dell’indagato medesimo e ai riflessi che su di essa possono proiettare fatti di terzi, dato che la prova è quella riferita a tutta l’imputazione, compresi i fatti relativi alla punibilità e alla determinazione della pena. Cass. pen. sez. VI 1 marzo 1994, n. 3415
L’inderogabilità delle esigenze attinenti alle indagini e la concretezza del pericolo per l’acquisizione e la genuinità della prova, richieste ai fini della configurabilità dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, lett. a), c.p.p. non possono essere affermate sulla sola base della asserita lunghezza e complessità delle indagini, dovendosi invece spiegare quali elementi specifici, e per quali ragioni, debbano essere necessariamente acquisiti e quali siano, altresì, i pericoli concreti per la loro acquisizione e la loro genuinità, cui la misura cautelare è destinata a far fronte; e ciò tenendo anche presente che la «concretezza» del pericolo postula non soltanto il richiamo ad una situazione effettiva, e non semplicemente astratta, ma anche il riferimento ad una situazione controllabile sulla base degli atti del procedimento. Cass. pen. sez. I ord. 9 novembre 1993, n. 4153
Ai fini dell’applicazione o del mantenimento di misura cautelare personale, il pericolo di inquinamento probatorio va valutato con riferimento sia alle prove da acquisire, sia alle fonti di prova già individuate, e ciò in considerazione della spiccata valenza endoprocessuale del dato riferito alle indagini preliminari e alla sua ridotta utilizzabilità in dibattimento. Pertanto, al fine di prevenire il persistente e concreto pericolo di inquinamento probatorio, a nulla rileva il fatto che le indagini preliminari siano in stato avanzato, ovvero siano già concluse. (Fattispecie relativa a sfruttamento e induzione alla prostituzione di cittadine straniere, in stato di grave soggezione nei confronti dell’indagato, al quale faceva capo una vasta organizzazione internazionale di avviamento alla prostituzione). Cass. pen. sez. III 20 gennaio 1998, n. 4005 .
Poiché va riconosciuto all’indagato il diritto di scegliere liberamente la propria linea difensiva, anche avvalendosi della facoltà di non rispondere e di non «collaborare» con l’autorità giudiziaria, una siffatta condotta può acquistare solo significato sintomatizzante nell’ambito del quadro di preciso riferimento normativo di cui all’art. 274, lett. a), c.p.p. per quanto concernente la sussistenza del pericolo di inquinamento delle prove. Cass. pen. sez. VI 4 gennaio 1995, n. 4177
Se le esigenze di cui all’art. 274 c.p.p. identificano i criteri prognostici di pericolosità dell’indagato, tale da consigliare il vincolo de libertate, il pericolo richiesto dalla norma citata, con riguardo a tutte le ipotesi comprese nella norma stessa, deve essere concreto, cioè caratterizzarsi secondo effettività ed attualità. In altri termini, si deve trattare di prognosi di probabile accadimento della situazione di paventata compromissione di quelle esigenze di giustizia che la misura cautelare è diretta a salvaguardare. In particolare, per quanto riguarda l’ipotesi di cui alla lett. a) dell’art. 274, il «concreto pericolo» di inquinamento delle prove postula la sussistenza di inderogabili esigenze attinenti alle indagini. (Nella fattispecie è stato ritenuto che siffatto parametro non era integrato dalla possibilità che l’indagato potesse avere rapporti con quanti avevano fatto dichiarazioni a lui sfavorevoli, o con altre imprecisate persone, trattandosi di eventualità del tutto generica, né era sufficiente invocare in modo parimenti generico la contiguità dell’indagato con imprecisati «ambienti» amministrativi, soprattutto quando il lungo tempo trascorso dal fatto e dall’incarico ricoperto nell’ufficio pubblico, in forza del quale sarebbe stato commesso, attenuava o elideva la eventuale efficacia della pretesa contiguità o influenza). Cass. pen. sez. VI 30 marzo 1993, n. 182
In materia di esigenze cautelari, mentre appartiene al legittimo esercizio della strategia difensiva la facoltà di negare taluno o tutti gli addebiti che vengono mossi, è corretto e congruo, in tema di giudizio incidentale de libertate, il riferimento da parte del giudice a tale situazione per dare ragione dell’attualità del pericolo di attentato all’acquisizione di fonti di prova. Cass. pen. sez. VI 4 marzo 1993, n. 201
In tema di libertà personale, il «concreto» pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova, necessario per l’adozione della misura cautelare, deve essere ipotizzabile non in astratto, ma desunto da elementi di fatto esistenti nella cosiddetta realtà effettuale dei quali negli atti processuali devono ricorrere estremi tali da farlo ritenere sussistente. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non assolto il dovere della motivazione da un provvedimento che si limita – per concludere che v’è «concreto» pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova – ad affermare che «le indagini sono ancora in corso e vanno allargandosi ad altre persone a dimostrazione della gravità e della pericolosità e delle esigenze connesse all’attività di indagine». E ciò in quanto questa affermazione si risolve in una evidente petizione di principio, poiché, supposto che le indagini si stiano allargando ad altre persone, restano da indicare queli elementi di fatto che, rendendo concreto, e non solo, astratto, il pericolo per la genuinità e l’acquisizione delle prove, giustificano il ricorso alla misura cautelare). Cass. pen. sez. VI 20 agosto 1992, n. 2996
In tema di misure cautelari, il pericolo di fuga di cui all’art. 274, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. (nel testo modificato dalla l. 16 aprile 2015, n. 47), oltre che concreto, dev’essere anche attuale, ma tale requisito non comporta necessariamente l’esistenza di condotte materiali che rivelino l’inizio dell’allontanamento o che siano comunque espressione di fatti ad esso prodromici, essendo sufficiente accertare, con giudizio prognostico verificabile, perché ancorato alla concreta situazione di vita del soggetto, alle sue frequentazioni, ai precedenti penali, alle pendenze giudiziarie e, piin generale, a specifici elementi vicini nel tempo, l’esistenza di un effettivo e prevedibilmente prossimo pericolo di allontanamento, che richieda un tempestivo intervento cautelare. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che correttamente il giudice di merito aveva fondato il pericolo di fuga su dati obiettivi, quali il pregresso trasferimento in Spagna dell’imputato, lo svolgimento in quel paese di attività criminale quale fattore indicativo dell’instaurazione di una rete di collegamenti, il suo passato delinquenziale e l’entità della pena inflittagli). Cass. pen. sez. VI 22 ottobre 2018, n. 48103
Il nuovo testo dell’art. 274, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen.risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 47 del 2015, se non consente di desumere il pericolo di fuga e di recidiva esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede, non osta alla considerazione, ai fini cautelari, della concreta condotta perpetrata e delle circostanze che la connotano, in quanto la modalità della condotta e le circostanze di fatto in presenza delle quali essa si è svolta restano concreti elementi di valutazione imprescindibili per effettuare una prognosi di probabile ricaduta del soggetto nella commissione di ulteriori reati. Cass. pen. sez. V 25 ottobre 2017, n. 49038
In tema di misure cautelari, il requisito della attualità del pericolo di fuga di cui all’art. 274, comma primo, lettera b), cod. proc. pen. (nel testo modificato dalla legge n. 47 del 2015), richiede la formulazione di un giudizio prognostico in base al quale ritenere, senza il ricorso a formule astratte e non verificabili in concreto, che sia imminente la sottrazione dell’indagato al processo e, in caso di condanna, alla irrogazione della pena. (In applicazione del principio, la S.C.ha censurato l’ordinanza che aveva desunto il pericolo di fuga di una cittadina rumena principalmente dalla sua facilità di spostamento all’estero, laddove dagli atti risultava che la stessa si era limitata ad attivarsi per il trasferimento presso la nazione di provenienza dei pro.tti illecitamente conseguiti). Cass. pen. sez. III 13 aprile 2017, n. 18496
A seguito di convalida dell’arresto per il delitto di evasione il giudice può disporre, una volta riscontrate le esigenze cautelari, la misura della custodia in carcere anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’art. 274, comma primo lett. c), oltre che a quelli fissati dall’art. 280, cod. proc. pen.in applicazione dell’art. 391, comma quinto, cod. proc. pen. Cass. pen. sez. VI 12 ottobre 2015, n. 40994
Il pubblico ministero che abbia richiesto una misura per plurime esigenze cautelari ha interesse ad impugnare l’ordinanza del G.i.p. che abbia adottato la misura richiesta, ma soltanto per l’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma primo, lett. b), c.p.p. e non anche per quelle di cui alle lett. a) e c), potendo l’unica esigenza riconosciuta sussistente dal giudice venire meno in seguito ai successivi sviluppi processuali. Cass. pen. sez. II 21 gennaio 2014, n. 2691
In tema di mandato di arresto europeo, la sussistenza del pericolo di fuga che legittima l’emissione di una misura cautelare ai sensi dell’art. 9, comma quarto, della L. n. 69/2005, ben può desumersi dal richiamo all’entità della pena applicabile per effetto della sentenza di condanna posta alla base della procedura di consegna. (Fattispecie relativa ad un m.a.e. esecutivo emesso dalle autorità rumene). Cass. pen. sez. VI 17 gennaio 2012, n. 1724
In tema di esigenze cautelari, il pericolo di fuga, indicato dall’art. 274 lett. b) c.p.p. non può essere individuato nel fatto della mera irreperibilità del soggetto, qualora non vi siano elementi concreti tali da fare ritenere che l’irreperibilità sia significativa della volontà di sottrarsi al processo. (La Corte ha altresì specificato che il pericolo di fuga non può essere automaticamente desunto dal fatto che il soggetto non abbia .ssa dimora, situazione questa meritevole di adeguato apprezzamento ai fini del giudizio sulla sussistenza del pericolo, ma che di per sè non esprime la volontà di sottrarsi al processo, almeno le volte in cui nessuna variazione dello stile di vita sia sopravvenuta a seguito dell’inizio delle indagini preliminari). Cass. pen. sez. II 11 gennaio 2006, n. 775
In tema di misure coercitive disposte in via provvisoria nell’ambito di una procedura di estradizione passiva, il pericolo di fuga che giustifica il mantenimento del provvedimento limitativo della libertà personale deve intendersi anche come pericolo di allontanamento dal territorio dello Stato richiesto con conseguente rischio di inosservanza dell’obbligo assunto a livello internazionale di rendere possibile ed effettiva la consegna dell’estradando al Paese richiedente, affinchè risponda dei suoi comportamenti aventi rilevanza penale in quello Stato. Cass. pen. sez. VI 7 marzo 2003, n. 10680
In tema di esigenze cautelari, una sentenza di condanna, emessa all’esito del doppio grado di giudizio, ad una grave pena detentiva può essere posta a base di un giudizio di ragionevole probabilità di fuga dell’imputato, ove non ristretto in carcere. Cass. pen. sez. II 8 febbraio 2000, n. 6317
In tema di valutazione della sussistenza del concreto pericolo di fuga, il pregresso stato di latitanza dell’indagato assume significativo valore sintomatico in quanto rilevatore di una tendenza ostruzionistica all’esecuzione di provvedimenti restrittivi della libertà e, pertanto, in posizione di patente inosservanza dei dettami della legge. (Fattispecie nella quale, a seguito della latitanza dell’indagato, conseguente alla trasgressione dell’obbligo di restituire il passaporto – obbligo attraverso il quale si rende effettiva la misura cautelare del divieto di espatrio – il Gip aveva emesso ordinanza di custodia cautelare in carcere, anche sul presupposto della disponibilità da parte del soggetto di ingenti somme di denaro all’estero, dove lo stesso risultava inoltre aver preso domicilio). Cass. pen. sez. V 22 marzo 1999, n. 863
In tema di misure cautelari personali, l’esigenza cautelare di prevenzione del pericolo di fuga non può essere desunta automaticamente dalla particolare gravità della pena inflitta in primo grado, anche se tale elemento è rilevante per la valutazione del possibile concreto realizzarsi di propositi di fuga da parte del condannato. Cass. pen. sez. V 8 marzo 1999, n. 579
Ai fini dell’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, l’irrogazione di una pena detentiva di notevole entità non è, di per sè sola, sufficiente a integrare il concreto pericolo di fuga della persona che ne è destinataria, dal momento che il legislatore non ha configurato tale situazione come sintomatica di detta esigenza cautelare e che, normalmente, prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ogni imputato rimane in stato di libertà, prevedendo il vigente codice di rito la misura cautelare della custodia in carcere soltanto come l’ultima applicabile tra quelle meno gravose previste in marginali casi di specifica gravità. Ne consegue che l’esistenza di una condanna a pena di una certa rilevanza deve essere accompagnata da concreti elementi di fatto sintomatici dell’esistenza di un pericolo di fuga, non identificabili con circostanze ipotizzate in via meramente eventuale. (Fattispecie nella quale il giudice del merito aveva rigettato l’appello avverso il diniego di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, sul rilievo che l’entità della pena inflitta con la sentenza – 23 anni di reclusione – era idonea a determinare propositi di fuga, facendo così passare in secondo piano il tempo trascorso in stato di detenzione). Cass. pen. sez. I 6 giugno 1998, n. 2680
In tema di applicazione di misure cautelari, è obbligo del giudice individuare gli elementi concludenti che confermino attualità e concretezza delle esigenze poste a fondamento del provvedimento coercitivo, anche per il rilievo che l’art. 292, secondo comma, lett. c), c.p.p.come modificato dalla legge 8 agosto 1995, n. 332, attribuisce al tempo trascorso dalla commissione del reato; tale obbligo può ritenersi soddisfatto, in relazione all’esigenza cautelare del pericolo di fuga, con il riferimento al combinarsi dei due elementi consistenti nella pregressa latitanza dell’indagato e nella pena potenzialmente irroganda; lo stato di latitanza, invero, è sintomatico sia di una condotta ostruzionistica all’esecuzione dei provvedimenti che incidono sullo status libertatis, sia di una capacità organizzativa in grado di assicurare i non facili supporti logistici atti ad eludere l’attività della polizia giudiziaria, e ciò tanto più quando l’interesse all’elusione si ricollega alla gravità del reato ed alla conseguente presumibile gravità della sanzione. Cass. pen. sez. II 5 maggio 1998, n. 2012
L’art. 3 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 convertito con modi.ca in legge 12 luglio 1991, n. 203 («provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata») non pone limiti all’arresto fuori flagranza, che può sempre essere eseguito. È, quindi, irrilevante che esso sia effettuato a distanza di alcuni giorni dalla verifica da parte della polizia giudiziaria dell’allontanamento dagli arresti domiciliari. Esso è stato previsto, proprio perché il comportamento dell’evaso dimostra che sussiste – salvo casi eccezionali – il pericolo concreto di fuga e di reiterazione della condotta, come è dimostrato dalla previsione della possibilità di applicare la misura coercitiva al di fuori dei limiti di pena stabiliti dall’art. 280
c.p.p. e, conseguentemente, di quelli attualmente stabiliti dall’art. 274 c.p.p.che, in subiecta materia, va letto unitariamente al dettato dell’art. 280 stesso. La statuizione di cui al menzionato art. 3 ha, d’altronde, una specifica finalità e, cioè, quella di assicurare che l’evaso sia nuovamente ristretto in carcere, pur se in precedenza agli arresti domiciliari, proprio per l’evidente presenza del suddetto pericolo di fuga. Soltanto nell’ipotesi di arresto in flagranza – che diversamente dal primo (fuori flagranza) consente l’introduzione del rito direttissimo – il soggetto è trattenuto nelle cosiddette camere di sicurezza. Anche in quest’ultimo caso, per la finalità legislativa è concretamente conseguita per la sostanziale equiparabilità dei due mezzi di detenzione. Cass. pen. sez. III 5 dicembre 1996, n. 3712 .
L’esigenza cautelare di prevenzione del pericolo di fuga non può essere desunta sic et simpliciter dalla particolare gravità della pena inflitta con la sentenza di primo grado, in quanto la sua valutazione comporta un giudizio di probabilità che deve essere ricavato da elementi concreti, e non meramente congetturali, e può fondarsi anche sulla natura degli addebiti nonché sulla previsione, in relazione allo sviluppo del processo, di una pio meno prossima esecuzione della pena, ma non può prescindere dall’esame di ogni altro elemento che possa in.uire sulla psiche del soggetto, in un giudizio complessivo della sua personalità. Cass. pen. sez. I 25 novembre 1996, n. 5536 . Conforme, Cass. pen. sez. VI, 18 aprile 1997, n. 1280, G.