Ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – non richiamato dall’art. 273 comma primo bis, cod. proc. pen. Cass. pen. sez. IV 13 febbraio 2017, n. 6660
Ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale, la nozione di gravi indizi di colpevolezza non è omologa a quella applicabile per la formulazione del giudizio di colpevolezza finale, essendo sufficiente in sede cautelare l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare una qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato. (In motivazione la Corte ha indicato a sostegno dell’affermazione l’art. 273, comma primo bis, cod. proc. pen. che richiama soltanto i commi terzo e quarto dell’art. 192 stesso codice e non il comma secondo, il quale oltre alla gravità richiede la precisione e la concordanza degli indizi). Cass. pen. sez. IV 18 settembre 2013, n. 38466
Ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192, comma secondo, c.p.p. non richiamato dall’art. 273 comma primo bis, c.p.p. Cass. pen. sez. II 19 giugno 2013, n. 26764
Sono utilizzabili a fini cautelari le dichiarazioni accusatorie dei pentiti di cui il P.M. non abbia trasmesso la relativa trascrizione integrale ma solo i verbali riassuntivi, non sussistendo l’obbligo di mettere a disposizione gli atti nella loro integralità, segnatamente ove ricorrano concrete esigenze di tutela del segreto di indagine. Cass. pen. sez. II 16 febbraio 2012, n. 6367
Le questioni relative alla persistenza dei gravi indizi di colpevolezza necessari al mantenimento della misura di cautela personale non sono più proponibili dopo la sentenza di condanna, anche non irrevocabile. Cass. pen. sez. I 26 novembre 2008, n. 44081
Sono utilizzabili come gravi indizi di colpevolezza, ai fini della valutazione di legittimità delle misure cautelari personali, atti di altri procedimenti (nella specie, dichiarazioni di collaboranti rese in dibattimento ), indipendentemente dalla circostanza che siano state osservate le condizioni stabilite nell’art. 238 c.p.p. non richiamate dall’art. 273 stesso codice. Cass. pen. sez. I 3 novembre 2008, n. 40997
In tema di misure cautelari, il richiamo ad opera del comma primo bis dell’art. 273 c.p.p. dei commi terzo e quarto dell’art.192 c.p.p. non comporta la necessità che le dichiarazioni della persona offesa trovino riscontro in elementi esterni, così che esse possono ancora costituire da sole fonte di prova quando siano ritenute dal giudice, secondo il suo libero e motivato apprezzamento, attendibili sul piano oggetto e su quello soggettivo (fattispecie in tema di misura cautelare personale). Cass. pen. sez. III 29 novembre 2006, n. 39366
L’avvenuta citazione dell’imputato a giudizio immediato, ai sensi dell’art. 453 c.p.p.siccome basata sulla valutazione operata dal solo pubblico ministero in ordine alla evidenza della prova, non può in alcun modo pregiudicare la diversa ed autonoma valutazione che il giudice de libertate sia chiamato ad operare circa la sussistenza o meno dei «gravi indizi di colpevolezza» richiesti dal’art. 273 c.p.p. per l’applicazione ed il mantenimento delle misure cautelari personali. Cass. pen. sez. IV 24 luglio 2003, n. 31205
Il divieto di applicazione di una misura cautelare, sulla base di nuovi elementi di prova, a carico di soggetto nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere, prima che tale pronuncia sia stata revocata, in tanto opera in quanto il fatto sia sempre lo stesso; il che è da escludere quando vi sia diversità in ordine alla condotta, all’evento o al nesso di causalità. Pertanto, quando trattisi di reati permanenti quali, in particolare, i delitti di associazione, e l’incolpazione per la quale vi è stata sentenza di non luogo a procedere sia stata formulata a «contestazione chiusa», cioè con l’indicazione della data iniziale e finale della condotta addebitata, costituendo fatto diverso il ritenuto protrarsi di tale condotta al di là della data finale, può essere legittimamente disposta, per tale fatto, l’applicazione di una misura cautelare senza che sia intervenuta revoca della suddetta declaratoria. Cass. pen. sez. I 16 luglio 2003, n. 29671
I “gravi indizi di colpevolezza” richiesti per l’adozione di una misura cautelare personale (art. 273 c.p.p.) non si identificano con gli “indizi” che rappresentano la prova logica o indiretta idonea a fondare il giudizio di colpevolezza (art. 192, comma 2), in quanto ai fini cautelari è sufficiente un giudizio di qualificata probabilità in ordine alla responsabilità dell’imputato. Cass. pen. sez. II 16 aprile 2003, n. 18103
In tema di misure cautelari personali, la valutazione circa la permanenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato che abbia proposto appello avverso l’ordinanza di rigetto di una istanza di revoca della misura in atto non è preclusa dalla sopravvenienza del rinvio a giudizio per il reato in ordine al quale detta misura è stata applicata, atteso che le modificazioni alla disciplina dell’udienza preliminare introdotte dalla legge 16 dicembre 1999 n. 479 non hanno alterato la portata della dichiarazione di incostituzionalità degli artt. 309 e 310 c.p.p.intervenuta con sentenza 15 marzo 1996 n. 71 della Corte costituzionale. Cass. pen. sez. V 17 marzo 2003, n. 12390
I gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273, comma 1, c.p.p.per l’applicazione ed il mantenimento di misure cautelari personali possono essere ricavati da qualsiasi elemento di indagine, con esclusione soltanto di quelli che non hanno, fin dall’origine, alcuna possibilità di divenire prove nel dibattimento. Ne deriva che, ai fini cautelari, possono essere utilizzate anche dichiarazioni di persone informate sui fatti riferite dalla polizia giudiziaria, relativamente alle quali opererebbe, in dibattimento, il divieto di testimonianza de relato di cui all’art. 195, comma 4, c.p.p. non essendovi ragione di dubitare che dette dichiarazioni abbiano un’alta probabilità di divenire prove in sede dibattimentale, mediante l’assunzione come testimone della persona dalla quale esse sono state rese. Cass. pen. sez. I 12 febbraio 2003, n. 319
Il comma 1 bis dell’art. 273 c.p.p.introdotto dall’art. 11 della legge 1 marzo 2001 n. 63, secondo il quale, nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’applicazione e il mantenimento di misure cautelari personali, trovano applicazione, fra le altre, le disposizioni dell’art. 192, commi 3 e 4, c.p.p.va interpertato nel senso che le dichiarazioni rese dai soggetti indicati in dette disposizioni debbono essere corroborate da riscontri i quali, a differenza di quanto già richiesto in precedenza (sulla base al diritto vivente, tenendo conto del quale è da intendersi il significato della «novella») debbono avere anche un contenuto sia pur parzialmente individualizzante, funzionale alla formulazione di un giudizio che, peraltro, resta pur sempre limitato all’apprezzamento dei presupposti indispensabili per la cautela personale, diversi da quelli richiesti per il giudizio di cognizione. Cass. pen. sez. fer. 26 settembre 2002, n. 31986
In materia cautelare, il giudice, nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza fondati sulle dichiarazioni accusatorie rese da coimputati o coindagati, deve verificare, ai sensi dell’art. 273 comma 1 bis c.p.p. (che richiama espressamente i commi 3 e 4 dell’art. 192), la sussistenza di riscontri individualizzanti alle suddette dichiarazioni, sia pure nel contesto meramente incidentale del procedimento de libertate ed in termini, quindi, non di certezza, ma solo di qualificata probabilità di colpevolezza del soggetto sottoposto a misura. Cass. pen. sez. fer. 26 settembre 2002, n. 31992
L’art. 273 comma 1 bis c.p.p.inserito dall’art. 11 della legge 1 marzo 2001, n. 63, secondo cui, ai fini dell’applicazione di una misura cautelare personale, per la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza devono applicarsi i criteri fissati dall’art. 192 commi 3 e 4 c.p.p. per apprezzare l’attendibilità della chiamata in correità, rende in ogni caso necessario che le dichiarazioni accusatorie su fatto altrui siano confermate da riscontri esterni individualizzanti. Cass. pen. sez. I 24 aprile 2002, n. 15685
Le dichiarazioni accusatorie de relato sono idonee ad integrare il quadro gravemente indiziario richiesto dall’art. 273 c.p.p. per l’applicazione delle misure cautelari personali ancorché non siano suffragate da riscontri individualizzanti, dovendosi ritenere sufficiente, a tal fine, la sussistenza di riscontri oggettivi anche non riferibili alla persona dell’indagato, dai quali risulti confermata la credibilità intrinseca del dichiarante in riferimento all’episodio o agli episodi delittuosi in cui l’indagato è coinvolto. Cass. pen. sez. II 21 settembre 2000, n. 2563
La mancanza assoluta di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è annoverabile fra le ragioni meramente formali di annullamento dell’ordinanza applicativa di misura cautelare, la cui riscontrata sussistenza non impedisce la reiterazione della suddetta ordinanza. Cass. pen. sez. I 20 gennaio 2000, n. 7266
I gravi indizi di colpevolezza, necessari per l’applicazione di una misura cautelare, possono essere desunti anche dal semplice dispositivo di una sentenza di condanna, presupponendo l’affermazione di responsabilità un quadro indiziario necessariamente più solido di quello richiesto dall’art. 273 c.p.p. (Nella specie il tribunale de libertate aveva ritenuto la sussistenza di detti indizi a carico dell’imputato, assolto in primo grado e condannato in sede di appello, sulla base del solo dispositivo della sentenza di secondo grado). Cass. pen. sez. VI 8 novembre 1999, n. 2961
Il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati ed apprezzati globalmente secondo logica comune, assumano la valenza richiesta dall’art. 273 c.p.p. Ciò in considerazione della natura stessa degli indizi, quali circostanze collegate o collegabili ad un determinato fatto che non rivelano, se esaminate singolarmente, un’apprezzabile inerenza al fatto da provare, essendo ciascuno suscettibile di spiegazioni alternative, ma che si dimostrano idonei a dimostrare il fatto se coordinati organicamente. Cass. pen. sez. VI 11 febbraio 1999, n. 124
Alla luce della sentenza della Corte costituzionale del 15 marzo 1996, n. 71, pur dovendosi riconoscere l’autonomia del provvedimento de libertate, impositivo di una misura cautelare, ove intervenga una decisione sul merito (quale quella di condanna) l’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza deve ritenersi in essa assorbito, e, quindi, ragionevolmente precluso il riesame di tale punto da parte del giudice chiamato a pronunciarsi in sede di impugnativa avverso il provvedimento applicativo della misura coercitiva. Cass. pen. sez. VI 30 ottobre 1998, n. 2852
Anche le sentenze non irrevocabili possono essere acquisite, nel corso delle indagini preliminari, ai limitati fini della verifica delle condizioni di applicabilità delle misure cautelari; i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p.infatti, devono distinguersi dalle risultanze probatorie utilizzabili nel dibattimento ai fini del giudizio di colpevolezza, in relazione al quale, ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p. e con riferimento al fatto in esse accertato, valgono esclusivamente le decisioni passate in giudicato. Cass. pen. sez. II 11 novembre 1996, n. 3932
Ai fini dell’emissione di una misura cautelare personale, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza deve necessariamente riferirsi alla persona nei confronti della quale si deve applicare la misura custodiale. (In motivazione, la S.C. ha affermato che l’individualizzazione degli indizi costituisce un principio fondamentale dal quale è impossibile derogare senza violare in maniera patente il sistema delle garanzie apprestate dalla legge in favore della libertà dell’individuo e, contemporaneamente, principi costituzionalmente garantiti). Cass. pen. sez. I 11 ottobre 1996, n. 4671
In tema di misure cautelari, i gravi indizi di colpevolezza che giustificano l’emissione della misura possono essere legittimamente tratti da un giudizio ragionevolmente probabilistico che tenga conto delle massime di esperienza, cioè della verifica empirica della probabile sussistenza di una situazione di fatto basata sull’id quod plerumque accidit, ma non è consentito equiparare la massima di esperienza ad una congettura, facendo discendere una conseguenza univoca da una premessa ipotetica attraverso un procedimento sillogistico in cui rimane incerto il primo termine del sillogismo. (Nell’affermare il principio di cui in massima la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del tribunale della libertà che aveva ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza per il reato di corruzione sul presupposto dell’asserito esborso di somme di denaro per fini corruttivi dedotto dalla accertata percezione sine titulo di ingenti somme di denaro da parte di soggetto che plausibilmente avrebbe potuto operare da intermediario senza che fosse accertata la sicura partecipazione di un pubblico ufficiale nel fatto di corruzione, indipendentemente dalla sua identità fisica, né l’atto illecitamente retribuito). Cass. pen. sez. IV 2 settembre 1996, n. 2006 .
In presenza di procedimento connesso in sede di riesame, la cui udienza si è celebrata unitariamente per diversi coindagati, anche per differenti titoli di reato, ai fini della decisione sulla singola misura custodiale sono correttamente utilizzabili tutti gli atti depositati dal P.M. procedente, anche se alcuni di essi non riguardano specificamente il singolo interessato al riesame, ma pur tuttavia servono a confortare i particolari elementi accusatori a carico di costui, sì da far sussistere, nel complesso del loro esame, i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p. Cass. pen. sez. I 5 aprile 1995, n. 529
I divieti assoluti di utilizzabilità previsti dal codice di procedura penale in tema di prove, trovano applicazione anche per gli indizi posto che questi sono pur sempre una probatio sia pur minor. Conseguentemente una dichiarazione su voci correnti, inutilizzabili ex art. 194, comma 3, c.p.p.è del tutto inidonea a costituire riscontro esterno ad accuse rese da altri al fine di dare compiuta ragione della sussistenza della gravità degli indizi richiesti dal comma 1 dell’art. 273 c.p.p. per l’applicazione di una misura cautelare personale. Cass. pen. sez. I 1 dicembre 1994, n. 4653
Ai fini dell’applicazione delle misure cautelari, l’indizio può anche essere unico: ed invero l’uso del plurale – «gravi indizi» – ha scopo soltanto indeterminativo. Cass. pen. sez. VI 19 novembre 1994, n. 3734
Agli effetti dell’indagine in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, necessari, ai sensi del primo comma dell’art. 273 c.p.p. per l’emissione della misura cautelare, si richiede che da essi possa trarsi il convincimento della elevata probabilità che il reato sia attribuibile all’indagato e non già della certezza, necessaria, poi, in sede di giudizio, per l’affermazione di responsabilità. Siffatto principio trova supporto, da un lato, nella norma – l’art. 274, lettera a) c.p.p. – per la quale la misura cautelare può essere, tra l’altro, disposta allorquando sussistono inderogabili esigenze afferenti situazioni di concreto pericolo per l’acquisizione della prova (dal che si desume che questa non è ancora costituita, ma solo costituenda) e, dall’altro, nella manifesta non estensibilità alle misure cautelari della norma – l’art. 530, secondo comma, c.p.p. – per la quale anche la insufficienza o contradditorietà della prova importa l’assoluzione dell’imputato. Cass. pen sez. I 1 aprile 1994, n. 752
Al fine della configurabilità dei gravi indizi di colpevolezza, la cui sussistenza è richiesta dall’art. 273 c.p.p. quale condizione per l’applicabilità delle misure cautelari personali, i diversi dati probatori non vanno considerati svincolati gli uni dagli altri ma globalmente, di modo che, quantunque valutati singolarmente possano sembrare dotati di non apprezzabile rilevanza, mediante la reciproca integrazione e l’organico coordinamento assumano ugualmente la valenza necessaria. Cass. pen. sez. I 29 marzo 1994, n. 626
La motivata sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per uno soltanto dei reati in relazione ai quali è stata disposta l’applicazione di una misura cautelare non esime il giudice dall’obbligo di motivare anche in ordine agli indizi relativi agli altri reati. L’inosservanza di tale obbligo rende il provvedimento annullabile, in sede di legittimità, nella parte relativa ai detti ultimi reati. Cass. pen. sez. I 8 marzo 1994, n. 422
In materia di misure cautelari, il concetto di indizio contemplato nel primo comma dell’art. 273 c.p.p. si distacca dalla definizione della prova indiziaria da ancorarsi ai requisiti di cui al secondo comma dell’art. 192 c.p.p.; deve però necessariamente avere il crisma della gravità, che si individua in direzione dell’indagato come consistente probabilità di colpevolezza. Per altro verso i gravi indizi cui fa riferimento il citato art. 273 c.p.p. possono essere desunti anche da circostanze che, esaminate singolarmente, possono apparire non univoche nel loro significato, ma, valutate globalmente in un’unica costellazione, induttivamente conducono ad un solido substrato legittimante la misura coercitiva. Cass. pen. sez. I 9 febbraio 1994, n. 4430
Ai fini dell’emissione di un provvedimento coercitivo della libertà personale, gli indizi richiesti dall’art. 273 c.p.p. possono anche essere desunti da circostanze che singolarmente considerate appaiono equivoche o scarsamente significative ma che, valutate globalmente e collegate tra di loro in modo organico e ordinato, individuano un quadro probatorio che, seppure non ancora definito, e suscettibile, quindi, di revisione critica, giusti.ca allo stato degli atti l’emanazione di un provvedimento cautelare. Cass. pen. sez. I 3 febbraio 1994, n. 4323
In tema di libertà personale, per l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare, è richiesta la sussistenza di «gravi indizi». Dalla mancata ripetizione della specificazione, contenuta nell’art. 192 c.p.p. circa la convergenza e precisione dei medesimi si desume che, in presenza di indizi tra loro contrastanti, è indispensabile utilizzare elementi di rilevante consistenza, dotati di un così alto grado di attendibilità, da determinare un complessivo scadimento di quelli opposti. Questi ultimi dovranno pertanto costituire esclusivamente la traccia di una diversa tesi, da sottoporre comunque a ponderata analisi, anche se al limitato fine di disattenderla e conseguentemente di rafforzare il giudizio già espresso. Ne deriva che il suddetto provvedimento può essere fondato anche su un indizio unico. Cass. pen. sez. III 26 ottobre 1993, n. 1741
Il termine «indizi» ha valore e significato diversi secondo che con esso si faccia riferimento agli elementi di prova necessari per affermare la responsabilità di un soggetto in ordine ai reati ascrittigli, ovvero a quelli legittimanti una misura cautelare personale. Nel primo caso per indizi si intendono le prove logiche, attraverso le quali da un fatto certo si risale, per massime di comune esperienza, ad uno incerto, mentre nel secondo caso la parola «indizi» fa riferimento anche alle prove dirette che, al pari di quelle indirette, devono essere tali da far apparire probabile la responsabilità dell’indagato in ordine al fatto o ai fatti per i quali si procede. L’indizio richiesto dall’art. 273 c.p.p. ai fini dell’adozione di misura cautelare non coincide con quello di cui all’art. 192 comma secondo stesso codice che indica i criteri di valutazione della prova logica indiziaria, in quanto la prima di tali disposizioni non richiede anche l’univocità e la convergenza dei dati indizianti, bensì soltanto la gravità di essi. Il concetto di gravità dell’indizio non può identificarsi con quello di sufficienza da cui si distingue sia qualitativamente, sia quantitativamente in quanto postula l’obiettiva precisione dei singoli elementi indizianti che, nel loro complesso, debbono essere, per la loro convergenza, tali da consentire di pervenire a un giudizio che, pur senza raggiungere il grado di certezza richiesto per la condanna, sia di alta probabilità dell’attribuibilità del reato all’indagato. Cass. pen. sez. III 18 agosto 1993, n. 1782
Al fine dell’applicazione di misura cautelare personale, non è necessaria la sussistenza di una prova, sia essa diretta, cioè storica o indiretta, cioè critica (indiziaria), bensì solo l’individuazione di «gravi indizi». In questo stadio procedimentale l’indizio deve essere fornito dei requisiti della certezza effettuale e della gravità. Con il primo ci si riferisce alla verifica processuale circa la reale sussistenza della circostanza di fatto, non potendo essere valorizzato il mero sospetto o la personale congettura. Con il secondo si richiama la capacità dimostrativa, la pertinenza del dato rispetto al thema probandum. Non sono invece necessari gli estremi della precisione e della concordanza, indispensabili unicamente in sede di decisione definitiva. L’art. 273 c.p.p. infatti, diversamente dall’art. 192, non menziona questi requisiti, proprio per rendere agevole e snella la ricerca e la verifica degli elementi, posti a fondamento di una decisione meramente interinale. Cass. pen. sez. II 18 giugno 1992
La disciplina fissata dal nuovo codice di rito in ordine alla valutazione e rilevanza della prova logica, di cui all’art. 192 c.p.p.ed ai requisiti richiesti (molteplicità, gravità, convergenza nell’univocità della indicazione degli indizi acquisiti muovendo da circostanze accertate) attiene alla prova della responsabilità da acquisire in giudizio, che richiede certezza, mentre i gravi indizi cui fa richiamo l’art. 273 c.p.p. si sostanziano negli elementi probatori individuati nella indagine preliminare (anche non costituenti indizi in senso proprio), idonei a fornire una consistente e ragionevole probabilità di colpevolezza dell’indagato. Cass. pen. sez. I 25 maggio 1992 (c.c. 29 aprile 1992 n. 1882)
In tema di condizioni di applicabilità delle misure cautelari, il concetto di «gravità» degli indizi non può essere identificato con quello di «sufficienza» distinguendosi da questo dal punto di vista quantitativo e qualitativo, giacché per la sua integrazione occorre l’obiettiva precisione dei singoli elementi indizianti, che nel loro complesso devono essere convergenti, sì da consentire di pervenire, attraverso la loro coordinazione logica, a quel giudizio che, senza raggiungere il grado di certezza richiesto per la condanna, sia di alta probabilità dell’esistenza del reato e della attribuibilità di esso all’indagato; giudizio che, alla stregua delle regole di esperienza, possa qualificarsi grave in quanto capace di resistere ad interpretazioni alternative. Il concetto di gravità dell’indizio è correlato poi anche alla conferenza all’oggetto del giudizio, nel senso che non può non essere direttamente proporzionale al grado di congruità e conferenza all’individuazione della responsabilità dell’indagato. Cass. pen. sez. I 19 maggio 1992