Art. 91 – Codice di Procedura Civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Condanna alle spese

Articolo 91 - codice di procedura civile

Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa (93, 216; 75, 151, 152 att.; 2877 c.c.) . Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92. (1)
Le spese della sentenza (132) sono liquidate dal cancelliere con nota in margine alla stessa; quelle della notificazione della sentenza, del titolo esecutivo (474) e del precetto (480) sono liquidate dall’ufficiale giudiziario con nota in margine all’originale e alla copia notificata.
I reclami contro le liquidazioni di cui al comma precedente sono decisi con le forme previste negli articoli 287 e 288 dal capo dell’ufficio a cui appartiene il cancelliere o l’ufficiale giudiziario.
Nelle cause previste dall’articolo 82, primo comma, le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda. (2)

Articolo 91 - Codice di Procedura Civile

Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa (93, 216; 75, 151, 152 att.; 2877 c.c.) . Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92. (1)
Le spese della sentenza (132) sono liquidate dal cancelliere con nota in margine alla stessa; quelle della notificazione della sentenza, del titolo esecutivo (474) e del precetto (480) sono liquidate dall’ufficiale giudiziario con nota in margine all’originale e alla copia notificata.
I reclami contro le liquidazioni di cui al comma precedente sono decisi con le forme previste negli articoli 287 e 288 dal capo dell’ufficio a cui appartiene il cancelliere o l’ufficiale giudiziario.
Nelle cause previste dall’articolo 82, primo comma, le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda. (2)

Note

(1) Questo periodo è stato così sostituito dall’art. 45, comma 10, della L. 18 giugno 2009, n. 69, a decorrere dal 4 luglio 2009. Ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, tale disposizione si applica ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore.
Il testo precedente così disponeva: «Eguale provvedimento emette nella sua sentenza il giudice che regola la competenza».
(2) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 13, comma 1, lett. b), del D.L. 22 dicembre 2011, n. 212, convertito, con modificazioni, nella L. 17 febbraio 2012, n. 10.

Massime

Poiché, ai fini della distribuzione dell’onere delle spese del processo tra le parti, essenziale criterio rivelatore della soccombenza è l’aver dato causa al giudizio, la soccombenza non è esclusa dalla circostanza che, una volta convenuta in giudizio, la parte sia rimasta contumace o abbia riconosciuto come fondata la pretesa che aveva prima lasciato insoddisfatta, così da renderne necessario l’accertamento giudiziale. Cass. civ. sez. VI 29 maggio 2018, n. 13498

In tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti.  Cass. civ. sez. I 4 agosto 2017, n. 19613

In tema di spese giudiziali, il giudice deve liquidare in modo distinto spese ed onorari in relazione a ciascun grado del giudizio, poiché solo tale specificazione consente alle parti di controllare i criteri di calcolo adottati e, di conseguenza, le ragioni per le quali sono state eventualmente ridotte le richieste presentate nelle note spese. Cass. civ. sez. lav. 25 novembre 2011, n. 24890

In base al principio di causalità la parte soccombente va individuata in quella che, azionando una pretesa accertata come infondata o resistendo ad una pretesa fondata, abbia dato causa al processo o alla sua protrazione e che debba qualificarsi tale in relazione all’esito finale della controversia: è pertanto legittima la condanna alle spese della parte che si sia costituita e abbia svolto la conseguente attività processuale malgrado la sopravvenuta perdita della “legitimatio ad processum”, non potendosi la stessa, in base a quest’ultima circostanza e senza che la stessa sia stata rappresentata alla parte avversa, considerare estranea alle spese che, anche con la sua resistenza, abbia causato all’altra parte, ove questa risulti vittoriosa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto legittima la condanna alle spese pronunciata nei confronti di un genitore, convenuto in riconvenzionale nella qualità di legale rappresentante del figlio minore, il quale, a seguito del rigetto della domanda riconvenzionale in primo grado, si era costituito in appello unitamente al figlio, divenuto maggiorenne nelle more del giudizio di primo grado, resistendo all’impugnazione della controparte). Cass. civ., sez. , III, 30 marzo 2010, n. 7625

Con riguardo ai procedimenti in cui è parte, l’ufficio del P.M. non può essere condannato al pagamento delle spese del giudizio nell’ipotesi di soccombenza, trattandosi di un organo propulsore dell’attività giurisdizionale, che ha la funzione di garantire la corretta applicazione della legge, con poteri meramente processuali, diversi da quelli svolti dalle parti, esercitati per dovere di ufficio e nell’interesse pubblico.  Cass. civ. sez.  I 17 febbraio 2010, n. 3824

L’impugnazione del capo di sentenza relativo alla liquidazione delle spese giudiziali non può essere accolta se con essa non vengono specificate le singole voci che la parte assume come alla stessa spettanti e non riconosciute, non essendo il giudice del gravame vincolato in alcun modo da eventuali determinazioni quantitative formulate dalla medesima parte impugnante in difetto della individuazione degli specifici errori che essa attribuisce al giudice come commessi nella decisione impugnata. Cass. civ. sez. III 21 ottobre 2009, n. 22287

La soccombenza, costituendo un’applicazione del principio di causalità, per il quale non è esente da onere delle spese la parte che, col suo comportamento antigiuridico (per la trasgressione delle norme di diritto sostanziale) abbia provocato la necessità del processo, prescinde dalle ragioni – di merito o processuali – che l’abbiano determinata e dal fatto che il rigetto della domanda della parte dichiarata soccombente sia dipeso dall’avere il giudice esercitato i suoi poteri officiosi. (Nella specie dichiarando d’ufficio inammissibile l’appello perché proposto oltre la scadenza del termine previsto dall’art. 327 c.p.c.). Cass. civ. sez. III 15 luglio 2008, n. 19456

La parte che intende impugnare per cassazione la sentenza di merito nella parte relativa alla liquidazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato ha l’onere dell’analitica specificazione delle voci della tariffa professionale che si assumono violate e degli importi considerati, al fine di consentirne il controllo in sede di legittimità, senza bisogno di svolgere ulteriori indagini in fatto e di procedere alla diretta consultazione degli atti, giacché l’eventuale violazione della suddetta tariffa integra un’ipotesi di error in iudicando e non in procedendo. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell’enunciato principio, ha dichiarato l’inammissibilità per genericità della censura del ricorrente inerente la determinazione dell’importo delle spese liquidate, risultando esposto in ricorso solo il risultato finale della liquidazione di dette spese, così rimanendo impedito alla Corte di legittimità di accertare la sussistenza o meno della denunciata violazione della legge relativa all’inderogabilità dei massimi previsti dalla tariffa professionale degli avvocati per onorari e diritti in vigore all’atto dell’esecuzione della prestazione professionale).  Cass. civ. sez. II 16 febbraio 2007, n. 3651

La parte obbligata a rimborsare alle altre le spese che esse hanno sostenuto a cagione del processo è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo, ovvero col darvi inizio resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, ha dato causa al processo o al suo protrarsi, il che si verifica quando l’attore, come fatti costitutivi di un medesimo evento dannoso, ed in funzione di un’unica domanda di risarcimento dei danni, deduca, in via alternativa o solidale, comportamenti illeciti di soggetti diversi ; in questo caso, la partecipazione al giudizio del soggetto la cui responsabilità viene esclusa trova comunque causa nella vocatio in ius operata dall’attore, cui viene legittimamente riferita la situazione di soccombenza.  Cass. civ. sez. III 15 ottobre 2004, n. 20335

Ove la procura alle liti rilasciata ad un avvocato provenga non dal convenuto, rimasto contumace in giudizio, ma da un soggetto non legittimato al processo, la chiamata in causa del terzo ad opera del difensore crea un rapporto processuale tra il terzo e detto avvocato, il quale, essendo il solo soggetto cui è riferibile, nei confronti del chiamato, la qualifica di parte, deve rispondere alle spese, ai sensi dell’art. 91 c.p.c.. (Nel caso di specie l’avvocato si era costituito in giudizio per il convenuto con comparsa di risposta, a margine della quale vi era tuttavia la procura di un soggetto diverso, mai evocato in causa né parte; detto difensore, a sua volta, privo di mandato delle parti del processo, aveva chiamato in causa un terzo, ed era stato – appunto – condannato alle spese processuali nei confronti del terzo chiamato; la S.C., enunciando il principio di cui in massima, ha confermato la statuizione del giudice di merito). Cass. civ. sez. I 24 aprile 2003, n. 6521

Agli effetti del regolamento delle spese processuali, la soccombenza può essere determinata non soltanto da ragioni di merito, ma anche da ragioni di ordine processuale, non richiedendo l’art. 91 c.p.c., per la statuizione sulle spese, una decisione che attenga al merito, bensì una pronuncia che chiuda il processo davanti al giudice adito, tale dovendosi considerare anche la pronuncia con cui il giudice d’appello rimette le parti davanti al primo giudice per ragioni di giurisdizione ai sensi dell’art. 353 c.p.c.. Cass. civ., sez. III 13 settembre 2018, n. 22257

In relazione al concetto di “sentenza che chiude il processo”, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., non è richiesta esclusivamente una soccombenza di merito, assumendo rilievo anche quella avvenuta per ragioni di ordine processuale, purché la pronuncia che la dichiari, in forma di sentenza, chiuda il processo davanti al giudice, cioè sia almeno conclusiva di una fase del giudizio. Pertanto, deve pronunziarsi sulle spese anche il giudice che dichiari la propria incompetenza a conoscere della controversia.  Cass. civ. sez. III 7 agosto 2001, n. 10911

Qualora, a seguito della notifica dell’atto di citazione, il convenuto provveda spontaneamente a pagare l’intera sorte richiesta e il giudizio prosegua esclusivamente per la liquidazione delle spese legali, il giudice è ugualmente tenuto ad accertare gli elementi costitutivi ed i requisiti generali di fondatezza della domanda, al fine di verificare l’esistenza del presupposto per la condanna alle spese costituito dalla soccombenza della parte, non potendo il pagamento in via cautelativa essere equiparato all’indiscusso riconoscimento delle ragioni dell’avversario.  Cass. civ. sez. III 11 maggio 2010, n. 11358

In tema di liquidazione degli onorari di avvocato, è demandato al potere discrezionale del giudice di merito stabilire, di volta in volta, l’aumento dell’unico onorario dovuto per la presenza di più parti e ciò anche ove, trattandosi di più processi distinti, sia mancato un provvedimento di riunione.  Cass. civ. sez. II 26 marzo 2019, n. 8399

In tema di liquidazione delle spese del giudizio, in caso di difesa di più parti aventi identica posizione processuale e costituite con lo stesso avvocato, è dovuto un compenso unico secondo i criteri fissati dagli artt. 4 e 8 del d.m. n. 55 del 2014 (salva la possibilità di aumento nelle percentuali indicate dalla prima delle disposizioni citate), senza che rilevi la circostanza che il comune difensore abbia presentato distinti atti difensivi (art. 4 del d.m. cit.), né che le predette parti abbiano nominato, ognuna, anche altro (diverso) legale, in quanto la “ratio” della disposizione di cui all’art. 8, comma 1, del d.m. n. 55 del 2014, è quella di fare carico al soccombente solo delle spese nella misura della più concentrata attività difensiva quanto a numero di avvocati, in conformità con il principio della non debenza delle spese superflue, desumibile dall’art. 92, comma 1, c.p.c. Cass. civ. sez. III 27 agosto 2015, n. 17215

Ai fini della determinazione del compenso spettante al difensore che abbia assistito una pluralità di parti, costituisce valutazione di merito, incensurabile in sede di legittimità, lo stabilire se l’opera difensiva sia stata unica, nel senso di trattazione di identiche questioni in un medesimo disegno difensionale a vantaggio di più parti, o se la stessa abbia, invece, comportato la trattazione di questioni differenti, in relazione alla tutela di posizioni giuridiche non identiche. Cass. civ. sez. VI 4 giugno 2015, n. 11591

In tema di onorari di avvocato, il criterio della parcella unica – secondo cui, ai sensi dell’art. 5, quarto comma, della tariffa forense approvata con d.m. 8 aprile 2004, n. 127, qualora in una causa l’avvocato assista e difenda più persone, aventi la stessa posizione processuale, l’onorario unico può essere aumentato per ogni parte oltre la prima del 20% fino ad un massimo di dieci – deve presiedere anche alla liquidazione, a carico del soccombente, del compenso spettante al difensore di più parti vittoriose con identica situazione processuale, in base al principio generale secondo cui il soccombente non può essere tenuto a rimborsare alla parte vittoriosa più di quanto questa debba al difensore, in relazione all’attività concretamente svolta.  Cass. civ. sez. II 12 agosto 2010, n. 18624

La condanna al pagamento delle spese giudiziali espressa in lire anziché in euro non comporta la nullità della sentenza, e l’importo indicato può essere convertito in euro con la procedura prevista per la correzione dell’errore materiale. Cass. civ. sez. II 23 gennaio 2007, n. 1405.

Qualora il difensore abbia assistito in giudizio una pluralità di parti deve procedersi a una sola liquidazione delle spese processuali, a meno che l’opera defensionale, pur se formalmente unica, non abbia comportato la trattazione di differenti questioni in relazione alla tutela di posizioni giuridiche non identiche;in tal caso soltanto è consentita una distinta liquidazione per ciascuna delle parti. Cass. civ. sez. II 24 novembre 2005, n. 24757

In tema di spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni, poiché l’obbligo di ciascun condomino di contribuirvi insorge nel momento in cui si rende necessario provvedere ai lavori che giustificano la spesa, e non quando il debito viene determinato in concreto, qualora sia pronunciata sentenza di condanna nei confronti del condominio per inosservanza dell’obbligo di conservazione delle cose comuni, il condomino creditore che intenda agire in executivis contro il singolo partecipante per il recupero del proprio credito accertato dalla sentenza, deve rivolgere la propria pretesa, sia per il credito principale, che per quello, accessorio, relativo alle spese processuali, contro chi rivestiva la qualità di condomino al momento in cui l’obbligo di conservazione è insorto, e non contro colui che tale qualità riveste nel momento in cui il debito viene giudizialmente determinato.
Cass. civ. sez. II 1 luglio 2004, n. 12013

In tema di regolamento delle spese di lite, nella vigenza del regime giuridico introdotto con la novella dell’art. 92 c.p.c. recata dall’art. 2, comma 1, lett. a), della l. n. 263 del 2005, l’espressa motivazione della compensazione delle spese processuali è sottoposta al sindacato di legittimità in ordine alla verifica dell’idoneità in astratto delle ragioni poste a fondamento della pronuncia. Ne consegue che la radicale incoerenza tra la giustificazione esplicita dei “giusti motivi” posti a base della compensazione, nella specie dovuta alla peculiarità e controvertibilità delle questioni oggetto del contendere, e le ragioni del di rigetto della domanda, derivante da accertato difetto di allegazione e prova costituiscono violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.  Cass. civ. sez. III 31 maggio 2018, n. 13767

In tema di spese giudiziali, il giudice deve liquidare in modo distinto spese ed onorari, in relazione a ciascun grado del giudizio, per consentire alle parti di controllare i criteri di calcolo adottati e, in presenza di una nota spese specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può rideterminare globalmente i compensi in misura inferiore a quelli esposti, ma deve motivare adeguatamente l’eliminazione o la riduzione delle singole voci. Cass. civ. sez. VI 28 luglio 2017, n. 18905

In materia di spese processuali, la regola contenuta nell’art. 5 del d.m. n. 140 del 2012, secondo cui il valore della causa, nei giudizi per pagamento di somme, anche a titolo di danno, va fissato sulla base della somma attribuita alla parte vincitrice e non di quella domandata, ha lo scopo di calmierare le liquidazioni a favore di chi abbia richiesto importi eccesivi rispetto al dovuto, mantenendo a carico di chi agisce i possibili maggiori costi di difesa cagionati da una pretesa esorbitante rispetto a quanto spettante; ne consegue che, in un giudizio di appello introdotto per rivendicare importi superiori a quelli riconosciuti e definito con pronuncia di inammissibilità, il valore è pari all’importo domandato e dunque, nella specie, alla differenza tra quanto preteso in sede di gravame e quanto già liquidato, non avendo alcun legame con il giudizio di secondo grado la fissazione del valore sulla base di quanto attribuito e non più in discussione.  Cass. civ. sez. lav. 13 novembre 2019, n. 29420

In tema di liquidazione delle spese processuali successiva al d.m. n. 55 del 2014, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari, i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica “standard” del valore della prestazione professionale; pertanto, il giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi, fermo restando che il superamento dei valori minimi stabiliti in forza delle percentuali di diminuzione incontra il limite dell’art. 2233, comma 2, c.c., il quale preclude di liquidare somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione. Cass. civ. sez. VI 15 dicembre 2017, n. 30286

In tema di liquidazione degli onorari di avvocato, il principio per il quale, ove siano state proposte più domande, alcune di valore indeterminabile ed altre di valore determinato, la controversia deve essere ritenuta, nel complesso, di valore indeterminabile, opera solo laddove l’applicazione dello scaglione tariffario previsto per le cause di valore indeterminabile consenta il riconoscimento di compensi superiori rispetto a quelli che deriverebbero facendo applicazione dello scaglione applicabile in ragione del cumulo delle domande di valore determinato. Cass. civ. sez. II 16 febbraio 2017, n. 4187

In tema di liquidazione del compenso per l’esercizio della professione forense, per la determinazione del valore della controversia, agli effetti dell’art. 6 del d.m. 8 aprile 2004, n. 127 (nella specie, “ratione temporis” applicabile), Ia domanda riconvenzionale, non essendo proposta contro il medesimo soggetto convenuto, non si cumula con Ia domanda principale dell’attore, ma, se di valore eccedente a quest’ultima, può comportare l’applicazione dello scaglione superiore poiché Ia proposizione di una riconvenzionale amplia il “thema decidendum” ed impone all’avvocato una maggiore attività difensiva, sì da giustificare l’utilizzazione del parametro correttivo del valore effettivo della controversia sulla base dei diversi interessi perseguiti dalle parti, ovvero del criterio suppletivo previsto per le cause di valore indeterminabile.  Cass. civ. sez. II 14 luglio 2015, n. 14691

In tema di compensi di avvocato, il criterio della parcella unica, che esclude la possibilità di moltiplicare le liquidazioni (salva la possibilità di aumento) in caso di difesa di più parti aventi identica posizione processuale (nella specie, tre controricorrenti difesi dal medesimo difensore, il quale aveva presentato tre distinti controricorsi di uguale contenuto), deve essere utilizzato anche dopo l’abrogazione delle tariffe professionali, tenuto conto che l’art. 4, quarto comma, del d.m. 20 luglio 2012, n. 140, il quale ha dato attuazione all’art. 9, secondo comma, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27, espressamente stabilisce che, in tale situazione, il compenso unico può essere aumentato fino al doppio.
Cass. civ. sez. VI 29 novembre 2012, n. 21320

In tema di spese processuali, agli effetti dell’art. 41 del d.m. 20 luglio 2012, n. 140, il quale ha dato attuazione all’art. 9, secondo comma, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di “compenso” la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata. Cass. civ. Sezioni Unite 12 ottobre 2012, n. 17405

In caso di rigetto della domanda, nei giudizi per pagamento di somme o risarcimento di danni, il valore della controversia, ai fini della liquidazione degli onorari di avvocato a carico dell’attore soccombente, è quello corrispondente alla somma da quest’ultimo domandata, dovendosi seguire soltanto il criterio del “disputatum”, senza che trovi applicazione il correttivo del “decisum”. Cass. civ. sez. II 7 novembre 2018, n. 28417

In tema di spese giudiziali, quando la parte presenta la nota delle spese, secondo quanto è previsto dall’art. 75 disp. att. c.p.c., specificando la somma domandata, il giudice non può attribuire alla parte, a titolo di rimborso delle spese, una somma di entità superiore. Cass. civ. sez. III 26 giugno 2019, n. 17057

In tema di liquidazione dei compensi del difensore, il valore della causa concernente l’accertamento dell’esistenza di una servitù di passaggio va determinato sulla base dei criteri stabiliti dall’art. 15 c.p.c. ed alla luce dell’oggetto delle domande della parti, non potendo attribuirsi autonoma rilevanza alla domanda di inibitoria contestualmente avanzata, poiché ricompresa nell’azione a difesa della servitù, e dovendosi ritenere il procedimento possessorio svoltosi nel corso del giudizio anch’esso sottoposto, per analogia, alla disposizione sopra indicata. In particolare, il giudice può considerare la lite di valore indeterminabile solo dopo avere verificato gli atti processuali, essendo ininfluente la posizione assunta sul punto dalle parti, e ciò pure ove il reddito dominicale e la rendita catastale del fondo non siano stati indicati nell’atto di citazione e l’attore abbia qualificato la lite come di valore indeterminabile o non abbia contestato l’affermazione in tal senso dei convenuti. Cass. civ. sez. II 17 aprile 2019, n. 10755

In tema di liquidazione delle spese di lite, essendo le spese e le spettanze procuratorie stabilite dalla tariffa in misura fissa per ciascuna voce, la relativa liquidazione non può avvenire che con riferimento alla parcella, riscontrando la ricorrenza effettiva delle prestazioni e la rispondenza di queste agli importi tariffari, cosi da non lasciare margine di discrezionalita; per gli onorari, invece, essendo la tariffa articolata in una serie di scaglioni, in rapporto alla natura e al valore della causa, con alcuni correttivi, entro tali limiti il giudice può procedere discrezionalmente alla determinazione del compenso. Cass. civ. sez. III 28 febbraio 2019, n. 5798

In tema di spese processuali le regole della soccombenza e della causalità della lite prevalgono, come norme speciali attinenti al processo, sulla regola generale dell’art. 2033 c.c. in ordine agli interessi. Pertanto, in relazione al principio dell’integrale ripristino dell’equilibrio patrimoniale violato dalla decisione rivelatasi ingiusta, gli interessi sulle somme delle quali il giudice abbia disposto la restituzione, quali spese di soccombenza relative ai precedenti gradi del giudizio erogate alla parte allora vittoriosa, sono dovuti con decorrenza non dalla relativa domanda giudiziale, ma dal momento anteriore del loro esborso. Cass. civ. sez. III 21 dicembre 2017, n. 30658

In tema di liquidazione delle spese del giudizio di appello, ai fini della determinazione del valore della controversia, quando la sentenza di primo grado sia impugnata solo in ordine ad una questione processuale, il cui ipotetico accoglimento comporterebbe la necessità da parte del giudice del gravame di rimettere la causa al giudice di primo grado, il valore della causa deve considerarsi indeterminabile, poiché l’esame di tale unica questione non comporta la necessità di esaminare il merito della causa. (In applicazione del predetto principio, la S.C. ha confermato la decisione della Corte d’appello che aveva considerato di valore indeterminabile la causa relativa all’impugnazione di una sentenza per violazione del contraddittorio determinata dalla nullità della notificazione dell’atto introduttivo). Cass. civ. sez. VI 4 settembre 2018, n. 21613

Le spese di registrazione della sentenza, in quanto conseguenti alla pronuncia, devono ritenersi rientranti tra le spese di lite, senza che nella provvedimento di condanna della parte soccombente sia necessaria un’espressa statuizione al riguardo. Cass. civ. sez. II 15 ottobre 2018, n. 25680

In tema di liquidazione dell’onorario spettante all’avvocato, per domanda di valore indeterminabile, con applicazione del conseguente scaglione tariffario, deve intendersi la domanda il cui valore non può essere determinato, non anche quella di valore indeterminato e da accertarsi nel corso dell’istruttoria, il cui ammontare può essere fissato fino al momento della precisazione delle conclusioni.  Cass. civ. sez. II 15 febbraio 2007, n. 3372

In tema di condanna alle spese processuali e con riferimento agli esborsi sostenuti dalle parti per consulenze, mentre la mancata determinazione nella sentenza del compenso spettante al consulente tecnico d’ufficio integra un mero errore materiale per omissione, suscettibile di correzione da parte del giudice d’appello con riferimento all’importo della liquidazione effettuata in favore del consulente, non è possibile disporre la condanna del soccombente al pagamento delle spese relative ad una consulenza di parte, in mancanza di prova dell’esborso sopportato dalla parte vittoriosa. Cass. civ. sez. I 7 febbraio 2006, n. 2605

In tema di onorari professionali di avvocato e procuratore, l’esigibilità delle spese e dei diritti spettanti per la corrispondenza informativa con il cliente e per ricerca di documenti presuppone necessariamente la documentazione e comunque la prova non equivoca dell’effettività della prestazione professionale; tale prova non può farsi derivare dalla sola esistenza del rapporto professionale, non implicando questo necessariamente ed indefettibilmente un’attività informativa diversa dalle consultazioni con il cliente; in particolare, non è prova sufficiente dell’esistenza di una corrispondenza col cliente il deposito di documenti pur riconducibili nel contenuto ad una comunicazione informativa se manca la prova dell’invio al cliente. Cass. civ. sez. lav. 15 settembre 2003, n. 13539 

Il potere del giudice di compensare le spese è assolutamente discrezionale e pertanto sottratto ad ogni obbligo di motivazione, mentre la Cassazione può controllare se sono stati violati i minimi stabiliti dalla tariffa professionale purché il ricorso censuri analiticamente i conteggi liquidati. Invece l’errore nella determinazione delle spese vive è rimediabile o con la correzione o con la revocazione del provvedimento che le ha liquidate.  Cass. civ. sez. II 1 dicembre 2000, n. 15373

In forza del principio di causazione – che, unitamente a quello di soccombenza, regola il riparto delle spese di lite – il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore qualora la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda; il rimborso rimane, invece, a carico della parte che ha chiamato o fatto chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa del chiamante, rivelatasi manifestamente infondata o palesemente arbitraria, concreti un esercizio abusivo del diritto di difesa. Cass. civ. sez. III 6 dicembre 2019, n. 31889

Le spese di giudizio sostenute dal terzo chiamato in garanzia, una volta che sia stata rigettata la domanda principale, vanno poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata in garanzia, trovando tale statuizione adeguata giustificazione nel principio di causalità, che governa la regolamentazione delle spese di lite, anche se l’attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo, salvo che l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria. Cass. civ. sez. II 17 settembre 2019, n. 23123

Attesa la lata accezione con cui il termine “soccombenza” è assunto nell’art. 91 c.p.c., il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria. Cass. civ., sez. I 14 maggio 2012, n. 7431

In tema di spese processuali, la palese infondatezza della domanda di garanzia proposta dal convenuto nei confronti del terso chiamato comporta l’applicabilità del principio della soccombenza nel rapporto processuale instaurato tra convenuto e terzo chiamato, anche quando l’attore principale sia a sua volta soccombente nei confronti del convenuto, atteso che il convenuto chiamante sarebbe stato soccombente nei confronti del terzo anche in caso di esito diverso della causa principale. (Nella fattispecie, il diritto dell’assicurato-convenuto nei confronti dell’assicuratore-terzo chiamato era prescritto). Cass. civ. sez. III 8 aprile 2010, n. 8363

Qualora l’attore convenga in giudizio, oltre al soggetto nei cui confronti è indirizzata la domanda, anche un terzo nei cui confronti ritiene che debba essere adottata o comunque avere effetto la pronunzia, in caso di non accoglimento della domanda legittimamente il giudice pone a suo carico le spese giudiziali sopportate (anche) da tale terzo, pur se nei confronti del medesimo non risultino proposte specifiche domande, giacchè, da un canto, la partecipazione di costui al giudizio, in primo grado, è necessitata dalla citazione notificatagli dall’attore, e, in secondo grado, trova giustificazione sotto il profilo del litisconsorzio processuale; d’altro canto, l’onere della rivalsa discende dal principio generale della soccombenza – pur mancando un diretto rapporto sostanziale e processuale tra attore e terzo –, stante la responsabilità dell’uno per avere dato luogo, con una pretesa infondata, al giudizio nel quale l’altro è rimasto coinvolto ed ha dovuto svolgere le proprie ragioni e difese. Cass. civ. sez. II 24 febbraio 2004, n. 3642

L’art. 91 c.p.c., secondo cui il giudice con la sentenza che chiude il processo dispone la condanna alle spese giudiziali, intende riferirsi a qualsiasi provvedimento che, nel risolvere contrapposte pretese, definisce il procedimento, e ciò indipendentemente dalla natura e dal rito del procedimento medesimo; pertanto, la norma trova applicazione anche ai provvedimenti di natura camerale e non contenziosa, come quelli in materia di revoca dell’amministratore di condominio, tant’è vero che mentre la decisione nel merito del ricorso di cui all’art. 1129 c.c.-, avendo sostanzialmente natura cautelare e tale da non pregiudicare il diritto dell’amministratore-non è ricorribile in cassazione, la consequenziale statuizione relativa alle spese, in quanto dotata dei caratteri della definitività e della decisorietà, è impugnabile ai sensi dell’art. 111 Cost.  Cass. civ. sez. II 26 giugno 2006, n. 14742

In materia di regolazione delle spese giudiziali, in caso di appello proposto dalla parte vittoriosa in primo grado nei confronti della parte soccombente, senza che sia avanzate specifiche censure alla sentenza di primo grado che riguardino la posizione di quest’ultima, è conforme all’art. 91 cod. proc. civ. la sentenza che condanni l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore dell’appellato, poiché il gravame proposto nei confronti di quest’ultimo va considerato inammissibile per carenza di interesse. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato “in parte qua” la decisione con cui il giudice di merito aveva condannato la parte appellante a rifondere le spese sostenute nel secondo grado di giudizio da uno degli appellati, posto che il gravame non conteneva doglianze concernenti la posizione di costui, né aveva ad oggetto domande che lo riguardassero e rispetto alle quali potesse essere considerato soccombente). Cass. civ. sez. III 13 gennaio 2015, n. 300

In tema di spese processuali, è vittoriosa la parte che, dopo essere stata condannata in primo grado al risarcimento integrale del danno da fatto illecito, ottenga in appello il riconoscimento di un concorso di colpa, a carico del danneggiato; ne consegue che, in tal caso, il giudice del gravame non può, neppure in parte, condannare l’appellante a rimborsare le spese del secondo grado all’appellato, il quale ha dato causa al prolungarsi del processo, opponendo all’impugnazione una resistenza rivelatasi ingiustificata, ma può, eventualmente, compensare, in tutto o in parte, tali spese, qualora ne ravvisi i giusti motivi. Cass. civ. sez. III 13 dicembre 2010, n. 25132

Il giudice d’appello, che è giudice del merito, è tenuto a sindacare il provvedimento di compensazione delle spese processuali adottato dal giudice di primo grado, anche d’ufficio, ove riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, in quanto il relativo onere va attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, ed inoltre (in caso di conferma) quando il relativo capo della decisione di prime cure abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione. Cass. civ. sez. V 7 luglio 2006, n. 15557

Il rimborso c.d. forfetario delle spese generali (nella specie ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.m. n. 140 del 2012) costituisce una componente delle spese giudiziali, la cui misura è predeterminata dalla legge, e compete automaticamente al difensore, anche in assenza di allegazione specifica e di apposita istanza, che deve ritenersi implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali che incombe sulla parte soccombente. Cass. civ., sez.  I 30 maggio 2018, n. 13693

In tema di compenso dovuto al consulente tecnico d’ufficio, il decreto di liquidazione che pone lo stesso a carico di entrambe le parti (o di una di esse) non è implicitamente assorbito dalla regolamentazione delle spese di lite ex art. 91 c.p.c. poiché quest’ultima attiene al diverso rapporto tra parte vittoriosa e soccombente sicché, ove non sia espressamente modificato dalla sentenza in sede di regolamento delle spese di lite, resta fermo e vincolante anche nei confronti della parte vittoriosa, salvi i rapporti interni tra la medesima e quella soccombente. Cass. civ. sez. II 10 ottobre 2018, n. 25047

Le spese di custodia ed il compenso al custode giudiziario rientrano tra le spese di lite e devono essere poste a carico della parte soccombente, anche d’ufficio ed in mancanza di apposita istanza della parte vittoriosa. Cass. civ., sez. II 11 luglio 2011, n. 15198

Il regolamento delle spese di lite è consequenziale ed accessorio rispetto alla definizione del giudizio, potendo la condanna essere emessa, a carico del soccombente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., anche d’ufficio e pure se non sia stata prodotta la nota spese, prevista dall’art. 75 disp. att. c.p.c., ma il giudice non è onerato, in tal caso, dell’indicazione specifica delle singole voci prese in considerazione. Cass. civ., sez. VI 28 febbraio 2012, n. 3023

La condanna al pagamento delle spese processuali, che consegue alla soccombenza e prescinde da una specifica richiesta della parte vittoriosa, trova ostacolo nella dichiarazione di rinuncia, purché essa provenga dalla parte medesima o dal difensore munito di mandato speciale, e non anche, pertanto, dal difensore munito della sola procura alla lite, salvo che si dichiari antistatario.  Cass. civ. Sezioni Unite 28 luglio 1984, n. 4489.

La statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte vittoriosa nel giudizio di merito determina l’insorgere di un diritto di credito in favore di quest’ultima con la conseguenza che, impugnata per cassazione la relativa sentenza su tale capo, il procuratore di detta parte, ove non sia munito di procura speciale ad hoc, ma semplicemente dei poteri di rappresentanza nel giudizio di legittimità, non è abilitato a rinunciare al menzionato credito ed a determinare la susseguente cessazione della materia del contendere. Cass. civ. sez. I 16 luglio 1983, n. 4921.

Il d.m. di approvazione della tariffa forense, avendo natura di fonte regolamentare così come desumibile dalla legge di attribuzione della competenza al Consiglio Nazionale Forense, n. 1051 del 1957, deve essere interpretata alla luce dei parametri e all’interno dei limiti stabiliti dalla legge n. 794 del 1942 che escludono il riconoscimento dei diritti di procuratore per qualsiasi giudizio di Cassazione compreso il regolamento di competenza, nonostante l’istanza possa essere proposta anche da un avvocato non iscritto nell’albo speciale dei cassazionisti. Cass. civ. sez. III ord. 18 dicembre 2008, n. 29577

La parte soccombente non ammessa al patrocinio a spese dello stato, se condannata al pagamento delle spese processuali in favore della parte ammessa, deve effettuare il versamento in favore dello Stato, sicchè, ove esso venga disposto, erroneamente, in favore della parte ammessa al patrocinio a spese dello stato, il dispositivo della sentenza può essere corretto mediante il procedimento di cui all’art. 287 c.p.c.. Cass. civ. sez. VI 12 giugno 2019, n. 15817

In tema di liquidazione delle spese giudiziali, il limite del valore della domanda, fissato dall’art. 91, comma 4, c.p.c., vale solo per il primo grado di giudizio celebrato davanti al giudice di pace e nei limiti della sua competenza equitativa, ma non per l’appello e ciò a prescindere dal fatto se si tratti di appello puro e semplice o a motivi vincolati.  Cass. civ. sez.  VI 6 dicembre 2017, n. 29145

In tema di sanzioni amministrative e nell’ipotesi in cui l’Amministrazione, nel giudizio di opposizione all’applicazione delle sanzioni, si sia difesa a mezzo di un proprio funzionario e non a mezzo di procuratore mandatario, spettano alla parte pubblica vincente esclusivamente le spese vive, debitamente documentate con apposita nota. (In applicazione di tale principio, la Corte, decidendo nel merito la vertenza proprio sul punto delle spese liquidate nella sentenza di merito, ha rigettato la richiesta di condanna formulata dalla parte pubblica). Cass. civ. sez. I 2 settembre 2004, n. 17674

In tema di contenzioso elettorale, la gratuità dell’azione popolare (comportante, per il ricorrente, la non necessità della difesa tecnica, ma non inibente l’utilizzabilità della stessa) non esclude che, ove spese siano state sostenute, queste possano essere poste a carico della controparte secondo il principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c.  Cass. civ. sez. I 10 luglio 2004, n. 12806

In tema di liquidazione delle spese giudiziali, il limite del valore della domanda, sancito dal quarto comma dell’art. 91 cod. proc. civ., opera soltanto nelle controversie devolute alla giurisdizione equitativa del giudice di pace e non si applica, quindi, nelle controversie di opposizione a ordinanza-ingiunzione o a verbale di accertamento di violazioni del codice della strada, le quali, pur se di competenza del giudice di pace e di valore non superiore ai millecento euro, esigono il giudizio secondo diritto, ciò che giustifica la difesa tecnica e fa apparire ragionevole sul piano costituzionale l’esclusione del limite di liquidazione. Cass. civ. sez. II 30 aprile 2014, n. 9556

La richiesta di rimborso delle spese di assistenza legale stragiudiziale non è compresa né nella generica domanda di risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali né nella nota spese e, ove venga formulata per la prima volta in appello, costituisce domanda nuova. Cass. civ. sez. III 26 novembre 2019, n. 30732

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