Art. 81 – Codice di Procedura Civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Sostituzione processuale

Articolo 81 - codice di procedura civile

Fuori dei casi espressamente previsti dalla (111), nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui.

Articolo 81 - Codice di Procedura Civile

Fuori dei casi espressamente previsti dalla (111), nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui.

Massime

La “legitimatio ad causam”, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte, con conseguente rilevabilità officiosa in ogni stato e grado del procedimento, mentre l’effettiva titolarità del rapporto controverso, attenendo al merito, rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio dei soggetti in lite, sicché il suo difetto non può essere rilevato d’ufficio dal giudice ma dev’essere sollevato nei tempi e modi previsti e, quindi, non per la prima volta in sede di legittimità. Cass. civ., sez. Lavoro 12 agosto 2016, n. 17092

Il principio per cui il difetto di legittimazione processuale è sanato “ex tunc” dalla costituzione nel successivo grado di giudizio del soggetto legittimato (nella specie, per raggiunta maggior età), il quale manifesti la volontà di ratificare la precedente condotta difensiva, non si applica ove sia intervenuta una pronuncia d’inammissibilità dell’impugnazione, atteso che la semplice volontà di ratifica non è sufficiente a rimuovere gli effetti di tale pronuncia, che, invece, deve essere impugnata per vizi suoi propri. Cass. civ. sez. II 30 aprile 2015, n. 8821

Il difetto di legittimazione processuale della persona fisica, che agisca in giudizio in rappresentanza di un ente, può essere sanato, in qualunque stato e grado del giudizio (e, dunque, anche in appello), con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza dell’ente stesso, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del “falsus procurator”. La ratifica e la conseguente sanatoria devono ritenersi ammissibili anche in relazione ad eventuali vizi inficianti la procura originariamente conferita al difensore da soggetto non abilitato a rappresentare la società in giudizio, trattandosi di atto soltanto inefficace e non anche invalido per vizi formali o sostanziali, attinenti a violazioni degli artt. 83 e 125 cod. proc. civ. Cass. civ. sez. VI ord. 18 marzo 2015, n. 5343

Al giudice è consentito accertare d’ufficio la sussistenza, in capo alle parti, del potere di promuovere il giudizio o di resistervi, ossia la “legitimatio ad causam” attiva e passiva, ma non di rilevare d’ufficio l’effettiva titolarità dell’obbligazione dedotta in giudizio. Ne consegue che, in materia di risarcimento del danno da circolazione stradale, non è rilevabile d’ufficio la circostanza che il convenuto non sia proprietario del veicolo che ha causato il danno, se essa non sia stata tempestivamente eccepita. Cass. civ., sez. , III, , 14 febbraio 2012, n. 2091

La legittimazione ad agire e contraddire deve essere accertata in relazione non alla sua sussistenza effettiva ma alla sua affermazione con l’atto introduttivo del giudizio, nell’ambito d’una preliminare valutazione formale dell’ipotetica accoglibilità della domanda. Tale accertamento, pertanto, deve rivolgersi alla coincidenza, dal lato attivo, tra il soggetto che propone la domanda ed il soggetto che nella domanda stessa è affermato titolare del diritto e, da quello passivo, tra il soggetto contro il quale la domanda è proposta e quello che nella domanda è affermato soggetto passivo del diritto o comunque violatore di quel diritto. Inoltre, il difetto della relativa allegazione e dimostrazione, in quanto attinente alla regolare costituzione del contraddittorio e, quindi, disciplinata da inderogabile norma di diritto pubblico processuale, è rilevabile anche di ufficio. Invece, l’accertamento dell’effettiva titolarità del rapporto controverso, così dal lato attivo come da quello passivo, attiene al merito della causa, investendo i concreti requisiti d’accoglibilità della domanda e, quindi, la sua fondatezza (nella specie, non avendo il ricorrente dimostrato la sua qualità di erede della parte, deceduta nelle more, nei cui confronti si era tenuto l’appello, in quanto la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà da lui resa non ha valore probatorio nel processo civile, il ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile).  Cass. civ. sez. II, 6 marzo 2008, n. 6132

La legittimazione ad causam consiste nella titolarità del potere e del dovere – rispettivamente per la legittimazione attiva e per quella passiva – di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, secondo la prospettazione offerta dall’attore, indipendentemente dalla effettiva titolarità, dal lato attivo o passivo, del rapporto stesso. Quando, invece, le parti controvertono sulla effettiva titolarità, in capo al convenuto, della situazione dedotta in giudizio, ossia sull’accertamento di una situazione di fatto favorevole all’accoglimento o al rigetto della domanda attrice, la relativa questione non attiene, alla legitimatio ad causam ma al merito della controversia, con la conseguenza che il difetto di titolarità deve essere provato da chi lo eccepisce e deve formare oggetto di specifica e tempestiva deduzione in sede di merito. Al contrario il difetto di legittimazione ad causam deve essere oggetto di verifica, preliminare al merito, da parte del giudice, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio.  Cass. civ. sez. III 26 settembre 2006, n. 20819

In tema di legittimazione ad causam il soggetto che nel corso del giudizio si costituisce nella qualità di successore universale di una delle parti ha l’onere di fornire – in presenza di contestazione sul punto – la prova della asserita qualità di erede, dimostrando sia l’avvenuto decesso di detta parte sia la inesistenza di altri eredi, trattandosi di presupposti necessari per la successione nel processo. Cass. civ. sez. II 30 gennaio 2006, n. 1848

La legitimatio ad causam attiva e passiva (che si ricollega al principio di cui all’art. 81 c.p.c., inteso a prevenire una sentenza inutiliter data), è istituto processuale riferibile al soggetto che ha il potere di esercitare l’azione in giudizio ed a quello nei cui confronti tale azione può essere esercitata, con conseguente dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento (salvo il formarsi di un giudicato interno circa la coincidenza dell’attore o del convenuto con i soggetti destinatari della pronuncia richiesta secondo la norma che regola il rapporto dedotto in giudizio). Da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito alcun esame d’ufficio, poiché la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata. (Nella specie, la S.C., accogliendo il relativo motivo del ricorso proposto e ritenendo l’assorbimento degli altri, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, con la quale il giudice di appello aveva proceduto – malgrado la questione non avesse formato oggetto di contestazione in primo grado e non gli fosse stata devoluta con il proposto gravame – al rilievo officioso del difetto, dal lato passivo, della titolarità del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, il quale, secondo la specificazione che ne aveva dato l’attore, aveva ad oggetto la responsabilità dell’Amministrazione Provinciale per l’omessa adozione della cautele dirette ad impedire che la fauna selvatica arrecasse danni a terzi).  Cass. civ. sez. III 18 novembre 2005, n. 24457

In tema di controversie condominiali, la legittimazione dell’amministratore del condominio dal lato passivo ai sensi dell’art. 1131, secondo comma, c.c. non incontra limiti e sussiste, anche in ordine all’interposizione d’ogni mezzo di gravame che si renda eventualmente necessario, in relazione ad ogni tipo d’azione, anche reale o possessoria, promossa nei confronti del condominio da terzi o da un singolo condòmino (trovando in tanto ragione nell’esigenza di facilitare l’evocazione in giudizio del condominio, quale ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condòmini) in ordine alle parti comuni dello stabile condominiale, tali dovendo estensivamente ritenersi anche quelle esterne, purchè adibite all’uso comune di tutti i condòmini. Ne consegue che, in presenza di domanda di condanna all’eliminazione d’opere (nel caso, varco nel muro di cinta condominiale aperto per consentire ai condòmini l’esercizio del passaggio sulla strada di proprietà dei confinanti), ai fini della pregiudiziale decisione concernente la negatoria servitutis non è necessaria l’integrazione del contraddittorio, dalla legge non richiesta per tale tipo di pronunzia, che bene è pertanto resa nei confronti del condominio rappresentato dall’amministratore, dovendo in tal caso essere essa intesa quale utilitas afferente all’intero edificio condominiale e non già alle singole proprietà esclusive dei condòmini. Ne consegue altresì che, poichè l’esistenza di un organo rappresentativo unitario dell’ente, quale l’amministratore, non priva i singoli condòmini della facoltà di agire in giudizio a difesa dei diritti esclusivi e connessi inerenti l’edificio condominiale, ciascun condòmino è d’altro canto legittimato ad impugnare personalmente, anche mediante ricorso per cassazione, la sentenza sfavorevole emessa nei confronti della collettività condominiale. (In applicazione del suindicati principi, nel cassare la sentenza della corte di merito che, in presenza d’impugnazione della sola pronunzia sulla negatoria servitutis e a prescindere quindi dal merito, aveva disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condòmini, la Corte Cass. ha affermato che la partecipazione di questi ultimi, concorrente con quella dell’amministratore, si rende semmai necessaria nella diversa ipotesi di pronunzia emessa sia sulla questione pregiudiziale d’accertamento dell’inesistenza della servitù evocata con la proposizione della negatoria servitutis – che sul merito – domanda di rimozione dell’opera sulla cosa comune integrante la servitù – in presenza di proposizione congiunta di entrambe le questioni).  Cass. civ. sez. II 4 maggio 2005, n. 9206

La legitimatio ad causam, intesa come interesse ad agire o a contraddire, si configura come condizione dell’azione (e cioè come elemento strutturale che la sorregge) interno (e non esterno, quale presupposto sostanziale) all’interesse medesimo, sicché la sua sussistenza deve accertarsi con riferimento al tempo della decisione (principio della cosiddetta effettività sostanziale). Cass. civ. sez. III 2 dicembre 2002, n. 17064

Il difetto di legittimazione passiva (rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, salvo il limite del giudicato eventualmente formatosi) sussiste quando il convenuto non risulti essere il soggetto nei cui confronti, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, l’azione può essere esercitata, e attiene pertanto alla verifica, secondo la prospettazione attorea, della regolarità formale del contraddittorio, mentre l’effettiva titolarità passiva del rapporto giuridico controverso attiene al merito della controversia e il suo difetto non può essere rilevato d’ufficio dal giudice, ma deve essere dedotto nei tempi e nei modi previsti per le eccezioni di parte. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva affermato il difetto di legittimazione passiva dell’azienda unità sanitaria locale soppressa, rilevando che, a norma dell’art. 6 legge n. 274 del 1964, la Asl convenuta non era individuabile come soggetto titolare del rapporto obbligatorio dedotto in giudizio). Cass. civ. sez. lav. 17 maggio 2000, n. 6420

Le società di persone, (nella specie, società in accomandita semplice) costituiscono, pur non avendo personalità giuridica, ma soltanto autonomia patrimoniale, un autonomo soggetto di diritto, che può essere centro di interessi e d’imputazione di situazioni sostanziali e processuali distinte da quelle riferibili ai singoli soci che, pertanto, non sono legittimati ad agire in proprio per gli interessi della società stessa (fattispecie relativa a socio accomandatario unico che agiva per la riscossione di compensi dovuti alla società). Cass. civ. sez. III, 18 luglio 2002, n. 10427

L’art. 1945 c.c., se consente al fideiussore di opporre contro il creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, non gli riconosce tuttavia, per ciò solo, una legittimazione sostitutiva in ordine al proponimento delle azioni che competono al debitore principale nei confronti del creditore, neppure quando esse si riferiscano alla posizione debitoria per la quale è stata prestata garanzia fideiussoria. L’esclusione della possibilità, per il fideiussore, di far valere nel processo, in via di azione ed in nome proprio, un diritto spettante al debitore, trova fondamento, oltre che nel principio generale secondo cui legittimato ad agire in giudizio è (in mancanza di un valido titolo che consenta la sostituzione) il solo titolare dell’interesse leso, anche e soprattutto nel carattere accessorio dell’obbligazione fideiussoria, quale deducibile dagli artt. 1939 e 1945 c.c.  Cass. civ. sez. I 20 agosto 2003

Il socio di una società in nome collettivo è privo di legittimazione autonoma a far accertare ed inibire l’attività concorrenziale con quella della società, svolta dal socio uscente nonché a richiedere l’annullamento del contratto stipulato tra la società e detto socio uscente in ordine alla liquidazione della quota, ma può assumere nel giudizio una posizione adesiva a quella della società. Cass. civ. sez. I 17 aprile 2003, n. 6169

Anche il custode giudiziario di un bene sottoposto a sequestro ex art. 321 c.p.p. è legittimato a stare in giudizio a tutela della conservazione del bene stesso, onde preservare la funzione strumentale del provvedimento cautelare, nell’ipotesi in cui l’atto contestato, in relazione al quale egli assuma la veste di parte processuale, sia suscettibile di pregiudicare l’esercizio delle funzioni e gli interessi alla cui salvaguardia egli è preposto. Cass. civ.sez. I 17 aprile 2003, n. 6185

La titolarità attiva o passiva della situazione soggettiva dedotta in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, così che grava sull’attore l’onere di allegarne e provarne i fatti costitutivi, salvo che il convenuto li riconosca o svolga difese incompatibili con la loro negazione, ovvero li contesti oltre il momento di maturazione delle preclusioni assertive o di merito. (Nella specie, la S.C. in un giudizio di opposizione all’esecuzione ha ritenuto insussistente l’onere, da parte del creditore, di provare la titolarità del credito azionato in via esecutiva, sul presupposto che il debitore ne aveva contestato i fatti costitutivi soltanto con la comparsa conclusionale).  Cass. civ. sez. III 27 giugno 2018, n. 16904

La carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa. (Nella specie, relativa ad un contratto di trasporto di cose, la S.C. ha ritenuto che l’eccezione ex art. 1692 c.c., sollevata per la prima volta in sede di gravame dal mittente per contestare la titolarità passiva dell’obbligazione relativa al costo del servizio svolto dal vettore, costituisse una mera difesa, in quanto tale non preclusa neppure in appello e rilevabile anche d’ufficio, non implicando un ulteriore accertamento di fatto – ossia quello della differenza tra la persona del mittente e quella del destinatario del trasporto presupposta dalla norma – atteso che nella specie quest’ultimo profilo risultava inequivocabilmente ammesso dalla controparte, laddove aveva qualificato il rapporto come contratto a favore di terzo). Cass. civ. sez. III 15 maggio 2018, n. 11744

In materia di assistenza pubblica, la legge n. 448 del 1998 ha attribuito al Ministero del Tesoro la legittimazione processuale in tutte le controversie relative ai risultati della verifica della permanenza dei requisiti sanitari previsti nei confronti di titolari di trattamenti economici di invalidità civile, ancorché in tali controversie venga richiesta la condanna al ripristino dei benefici economici revocati, non assumendo al riguardo rilievo la circostanza che la revisione dei requisiti sanitari venga effettuata dalla commissione medica dell’unità sanitaria locale e non già dalle commissioni mediche previste dall’art. 11 legge n. 537 del 1993 e dal regolamento emanato con D.P.R. n. 698 del 1994. In tali controversie (nel caso, di ripristino di indennità di accompagnamento), il Ministero assume la veste di sostituto processuale ex art. 81 c.p.c. del titolare del rapporto obbligatorio – da individuarsi nell’Inps o nelle Regioni ai sensi dell’art. 130 D.L. n. 112 del 1998 (richiamato anche dall’art. 80, commi settimo ed ottavo, legge n. 448 del 1998, che ha introdotto modifiche sul piano della ripartizione delle competenze in materia tra tali due enti) – e nei suoi confronti deve essere emessa la decisione, la quale fa tuttavia stato anche nei confronti del sostituito, che rimane la parte sostanziale del rapporto (e che, giusta la peculiare richiamata normativa, può intervenire nel processo, ma non anche subentrare al sostituto). Cass. civ. sez. lav. 14 gennaio 2003, n. 446

Il carattere accessorio dell’obbligazione fideiussoria consente al fideiussore di opporre al creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, ma non comporta l’attribuzione di una legittimazione sostituiva per proporre le azioni che competono a quest’ultimo nei confronti del creditore, neppure quando le stesse si riferiscano alla posizione debitoria per la quale è stata prestata la garanzia, ostandovi anche il principio generale sancito dall’art. 81 c.p.c.,secondo cui, in mancanza di un valido titolo che consenta la sostituzione, legittimato ad agire in giudizio è solo il titolare dell’interesse leso.  Cass. civ., sez. I 4 dicembre 2019, n. 31653

L’ente esponenziale degli interessi degli utenti dei servizi bancari (nella specie, Codacons) è legittimato, giusta gli artt. 1 e 3 della l. n. 281 del 1998, applicabili “ratione temporis”, a proporre, a tutela dell’interesse comune dei clienti della banca convenuta, tutte quelle domande che siano volte ad eliminare gli effetti delle violazioni in danno degli utenti medesimi e ad imporre al trasgressore comportamenti conformi alle regole di correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali, sicché può formulare richieste tese ad ottenere una pronuncia di accertamento di ogni questione che, a prescindere dalle peculiarità delle singole posizioni individuali, sia idonea ad agevolare le iniziative dei singoli consumatori, sollevandoli dai relativi oneri e rischi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva inibito alla banca di continuare a rifiutarsi di restituire alla propria clientela le somme indebitamente percepite in applicazione della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi). Cass. civ., sez. I 24 maggio 2016, n. 10713

Nell’ipotesi di supercondominio, ciascun condomino, proprietario di alcuna delle unità immobiliari ubicate nei diversi edifici che lo compongono, è legittimato ad agire per la tutela delle parti comuni degli stessi ed a partecipare alla relativa assemblea, con la conseguenza che le disposizioni dell’art. 1136 c.c., in tema di formazione e calcolo delle maggioranze, si applicano considerando gli elementi reale e personale del medesimo supercondominio, rispettivamente configurati da tutte le porzioni comprese nel complesso e da tutti i rispettivi titolari. (Nella specie la S.C. ha ravvisato la legittimazione del singolo condomino ad impugnare la sentenza inerente all’apposizione di cancelli su area antistante e comune agli edifici del supercondominio).  Cass. civ. sez. II 21 febbraio 2013, n. 4340

La servitù di uso pubblico è caratterizzata dall’utilizzazione, da parte di una collettività indeterminata di persone, di un bene il quale sia idoneo al soddisfacimento di un interesse collettivo; la legittimazione ad agire o a resistere in giudizio a tutela di tale diritto spetta non soltanto all’ente territoriale che rappresenta la collettività – normalmente il Comune – ma anche a ciascun cittadino appartenente alla collettività “uti singulus”. Cass. civ. sez. II, 10 gennaio 2011, n. 333

Il commissario liquidatore di società di assicurazioni designato dalla pubblica autorità, e di fatto insediato nella carica, ha il potere rappresentativo della società, e può pertanto costituirsi in giudizio ed esercitare i correlati poteri di impugnazione in nome e per conto della medesima, anche quando l’atto amministrativo di preposizione del detto commissario alla gestione della società, contestualmente posta in liquidazione coatta, sia giuridicamente inesistente, per essere stato emesso in totale carenza dei relativi poteri. Cass. civ. sez. I 29 aprile 2004, n. 8204

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