Art. 75 – Codice di Procedura Civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

(1) Capacità processuale

Articolo 75 - codice di procedura civile

Sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere (13, 397 c.c.).
Le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio (182, 716) se non rappresentate (48, 320 ss., 357 ss., 402 ss., 414 ss. c.c.), assistite (394, 424 c.c.) o autorizzate (320, 374 n. 5, 375, 394 , 424 c.c.) secondo le norme che regolano la loro capacità.
Le persone giuridiche (11 ss. c.c.) stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto.
Le associazioni e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate negli artt. 36 ss. del codice civile.

Articolo 75 - Codice di Procedura Civile

Sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere (13, 397 c.c.).
Le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio (182, 716) se non rappresentate (48, 320 ss., 357 ss., 402 ss., 414 ss. c.c.), assistite (394, 424 c.c.) o autorizzate (320, 374 n. 5, 375, 394 , 424 c.c.) secondo le norme che regolano la loro capacità.
Le persone giuridiche (11 ss. c.c.) stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto.
Le associazioni e i comitati, che non sono persone giuridiche, stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate negli artt. 36 ss. del codice civile.

Note

(1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 220 del 16 ottobre 1986, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 75 e 300 c.p.c. nella parte in cui non prevedono, ove emerga una situazione di scomparsa del convenuto, l’interruzione del processo e la segnalazione, ad opera del giudice, del caso al pubblico ministero perché promuova la nomina di un curatore, nei cui confronti debba l’attore riassumere il giudizio.

Massime

Il cd. supercondominio viene in essere “ipso iure et facto”, ove il titolo non disponga altrimenti, in presenza di beni o servizi comuni a più condomìni autonomi, dai quali rimane, tuttavia, distinto; il potere degli amministratori di ciascun condominio di compiere gli atti indicati dagli artt. 1130 e 1131 c.c. è limitato, pertanto, alla facoltà di agire o resistere in giudizio con riferimento ai soli beni comuni all’edificio amministrato e non a quelli facenti parte del complesso immobiliare composto da più condomìni, che deve essere gestito attraverso le deliberazioni e gli atti assunti dai propri organi, quali l’assemblea di tutti i proprietari e l’amministratore del cd. supercondominio. Ne consegue che, qualora quest’ultimo amministratore non sia nominato, la rappresentanza processuale passiva compete, in via alternativa, ad un curatore speciale scelto ex art. 65 disp. att. c.c. o al titolare di un mandato “ad hoc” conferito dai comproprietari ovvero, in mancanza, a tutti i titolari delle porzioni esclusive ubicate nei singoli edifici. (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia del giudice di merito che, in un giudizio volto ad ottenere la costituzione di una servitù coattiva di passaggio su una strada interna, comune a due condomìni, aveva ritenuto sufficiente la chiamata in giudizio dei loro amministratori e non pure dei condòmini). Cass. civ. sez. II, 28 gennaio 2019, n. 2279

La legittimazione ad agire per il pagamento degli oneri condominiali, nonché a proporre l’eventuale impugnazione, spetta all’amministratore e non anche ai singoli condomini, poiché il principio per cui l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, né di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore, non trova applicazione nelle controversie aventi ad oggetto non già un diritto comune, ma la sua gestione, ovvero l’esazione delle somme a tal fine dovute da ciascun condomino, siccome promosse per soddisfare un interesse direttamente collettivo, senza correlazione immediata con quello esclusivo di uno o più partecipanti.  Cass. civ. sez. II, 18 gennaio 2017, n. 1208

Il figlio che aziona in giudizio un diritto del genitore, del quale afferma essere erede “ab intestato”, ove non sia stato contestato il rapporto di discendenza con il “de cuius”, non deve ulteriormente dimostrare, al fine di dare prova della sua legittimazione ad agire, l’esistenza di tale rapporto producendo l’atto dello stato civile, attestante la filiazione, ma è sufficiente, in quanto chiamato all’eredità a titolo di successione legittima, che abbia accettato, anche tacitamente, l’eredità, di cui costituisce atto idoneo l’esercizio stesso dell’azione.  Cass. civ. sez. III 20 ottobre 2014, n. 22223

In tema di rappresentanza processuale del minore, l’autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 c.c. è necessaria per promuovere giudizi relativi ad atti di amministrazione straordinaria, che possono cioè arrecare pregiudizio o diminuzione del patrimonio e non anche per gli atti diretti al miglioramento e alla conservazione dei beni che fanno già parte del patrimonio del soggetto incapace. Ne consegue che si atteggiano ad atti di ordinaria amministrazione, per i quali non è necessaria la predetta autorizzazione, tanto l’azione di rivendica finalizzata ad accrescere o a tutelare in senso migliorativo il patrimonio dell’incapace, quanto l’assunzione di una posizione processuale assimilabile a quella di un convenuto, come l’intervento volontario in giudizio per contrastare la domanda dell’attore di riconoscimento di un diritto di proprietà, giacché il provvedimento del giudice tutelare è richiesto solo quando il minore assuma la veste di attore in primo grado, ma non per le difese e gli atti diretti a resistere all’azione avversaria. Cass. civ. sez. II 19 gennaio 2012, n. 743

Nel condominio di edifici, il principio secondo cui l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condòmini del potere di agire a difesa di diritti connessi alla detta partecipazione, né, quindi, del potere di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore del condominio e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti del condominio, non trova applicazione relativamente alle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di deliberazioni della assemblea condominiale che, come quella relativa alla nomina dell’amministratore, perseguono finalità di gestione di un servizio comune e tendono a soddisfare esigenze soltanto collettive, senza attinenza diretta all’interesse esclusivo di uno o più partecipanti; ne consegue che in tali controversie la legittimazione ad agire, e quindi ad impugnare, spetta in via esclusiva all’amministratore, con esclusione della possibilità di impugnazione da parte del singolo condomino. Cass. civ. sez. II 21 settembre 2011, n. 19223

Ciascun partecipante al condominio di edifici può agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico della proprietà comune, sicché nel relativo giudizio non è necessaria la presenza in causa di tutti i condomini, né del condominio. Cass. civ. sez. II 30 giugno 2011, n. 14474

In tema di capacità processuale dell’inabilitato, l’assistenza del curatore è necessaria anche quando l’attività processuale della parte assuma i caratteri dell’atto di ordinaria amministrazione, perché, a prescindere dalla opinabilità della qualificazione in tali termini dell’attività nel processo, l’art. 394, comma 2, c.c., richiamato dall’art. 424 c.c., stabilisce che l’inabilitato può stare in giudizio con l’assistenza del curatore, senza distinguere a seconda dell’attività che egli intenda svolgere.  Cass. civ. Sezioni Unite 19 aprile 2010, n. 9217

Non sussiste il difetto di legittimazione attiva del figlio che fa valere giudizialmente un credito del genitore defunto per il solo fatto che egli non se ne affermi anche erede, in quanto il chiamato all’eredità, qual è necessariamente il figlio del defunto ai sensi dell’art. 536 c.c., agendo giudizialmente nei confronti del debitore del de cuius per il pagamento di quanto dichiaratamente al medesimo dovuto, compie un atto che, nella consapevolezza della delazione dell’eredità, presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede, così realizzando il paradigma normativo dell’accettazione tacita dell’eredità di cui all’art. 476 c.c. Cass. civ. sez. III, , 13 giugno 2008, n. 16002

La legitimatio ad causam attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento. Da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito alcun esame d’ufficio, poichè la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata. Fondandosi, quindi, la legittimazione ad agire o a contraddire, quale condizione all’azione, sulla mera allegazione fatta in domanda, una concreta ed autonoma questione intorno ad essa si delinea solo quando l’attore faccia valere un diritto altrui, prospettandolo come proprio, ovvero pretenda di ottenere una pronunzia contro il convenuto pur deducendone la relativa estraneità al rapporto sostanziale controverso. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che trattavasi di questione non attinente alla dedotta legitimatio ad causam bensì concernente l’accertamento in concreto dell’effettiva titolarità del rapporto fatto valere in giudizio, sostenendo la ricorrente essere di proprietà pubblica e non appartenente alla titolarità della controricorrente e di una delle intimate gli immobili oggetti del contratto di locazione di cui si discuteva in causa ).  Cass. civ.sez. III 30 maggio 2008, n. 14468

La società di persone, anche se sprovvista di personalità giuridica, costituisce un distinto centro di interessi e di imputazione di situazioni sostanziali e processuali, dotato di una propria autonomia capacità processuale, sicché legittimato ad agire in giudizio per gli interessi della società e per far valere diritti, ovvero per contestare eventuali obblighi ascritti alla stessa, è esclusivamente il soggetto che, rivesta la qualità di legale rappresentante. Cass. civ. sez. I 13 dicembre 2006, n. 26744

La domanda proposta nei confronti di una ditta individuale deve ritenersi intentata, ai fini della legittimazione passiva, contro la persona fisica del suo titolare, in quanto la ditta non ha soggettività giuridica distinta ma si identifica con il titolare sotto l’aspetto sia sostanziale che processuale. In particolare, nell’ambito di un rapporto di lavoro intercorso con un’impresa individuale, nei confronti del lavoratore il soggetto datoriale è, ai sensi dell’art. 2094 c.c., colui alle cui dipendenze e sotto la cui direzione la prestazione è svolta.  Cass. civ. sez. lav. 13 febbraio 2006, n. 3052

Non è configurabile un eccesso di potere giurisdizionale del giudice amministrativo, per invasione della sfera riservata al potere discrezionale della P.A., nel caso in cui il giudice dell’ottemperanza, rilevata la violazione od elusione del giudicato civile, adotti provvedimenti in luogo della P.A. inadempiente, sostituendosi al soggetto obbligato ad adempiere, in quanto, in ossequio al principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, il giudizio di ottemperanza, al fine di soddisfare pienamente l’interesse sostanziale del ricorrente, non può arrestarsi di fronte ad adempimenti parziali, incompleti od addirittura elusivi del contenuto della decisione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del Consiglio di Stato che, in sede di giudizio di ottemperanza, aveva dichiarato illegittimo l’indennizzo attribuito ad un privato a seguito di acquisizione in sanatoria di un fondo, ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001, perché di importo inferiore a quanto riconosciuto allo stesso, a titolo risarcitorio per l’illegittima espropriazione del medesimo cespite, da una precedente sentenza civile passata in giudicato). Cass. civ. Sezioni Unite 30 maggio 2018, n. 13702

In tema di capacità processuale, ai sensi dell’articolo 75 c.p.c., il potere di rappresentanza di un ente o di una società dotata di personalità giuridica, ove spettante al presidente, deve essere di regola riconosciuto al vice presidente, cui normalmente competono funzioni vicarie senza necessità di apposita delega.  Cass. civ. sez. III 14 luglio 2016, n. 14362

In tema di capacità processuale, qualora la procura sia rilasciata dal direttore generale di una società che si assuma munito del potere rappresentativo della società, ossia da un soggetto diverso da quelli – come la persona fisica che ricopre la carica di amministratore – aventi per legge la rappresentanza sociale e per i quali soltanto, una volta adempiute le prescritte formalità, può presumersi la capacità processuale, occorre la prova della speciale “legitimatio ad processum”, ossia della sussistenza dell’asserito potere rappresentativo, quale eccezione alla regola della esclusiva spettanza di questo agli amministratori. (In applicazione dell’anzidetto principio, la S.C. ha confermato il giudizio di inammissibilità dell’opposizione allo stato passivo di un fallimento proposta da una banca per difetto di legittimazione processuale, poiché la procura era stata rilasciata dal direttore generale, cui, tra l’altro, neppure lo statuto attribuiva la rappresentanza in giudizio). Cass. civ. sez.  VI,  9 ottobre 2015, n. 20387

In tema di rappresentanza processuale, il potere rappresentativo, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento di procura alla lite, può essere riconosciuto soltanto a colui che sia investito di potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, sicché, in difetto, è esclusa la “legittimatio ad processum” del rappresentante e il relativo accertamento – attenendo alla verifica della regolare costituzione del rapporto processuale – può essere effettuato anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di legittimità, con il solo limite del giudicato sul punto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione con cui il giudice di appello – nel pronunciarsi sul gravame proposto dall’assicuratore della responsabilità civile, terzo chiamato in garanzia nell’ambito di un giudizio risarcitorio, diretto a far valere l’inoperatività della polizza – aveva respinto l’eccezione con cui l’attrice-danneggiata, già vittoriosa in primo grado, aveva inteso far valere il difetto di legittimazione del procuratore del chiamato in garanzia per l’omessa dimostrazione del conferimento dei poteri inerenti la qualità di procuratore speciale, erroneamente motivato sul presupposto dell’estraneità dell’appellata al rapporto tra assicurato ed assicuratore). Cass. civ. sez. III 31 luglio 2015, n. 16274

In tema di associazione temporanea di imprese, il potere di rappresentanza, anche processuale, di cui all’art. 23, comma 9, del d.l.vo 19 dicembre 1991, n. 406 (“ratione temporis” vigente), spetta all’impresa mandataria, o “capogruppo”, esclusivamente nei confronti della stazione appaltante, per le operazioni e gli atti dipendenti dall’appalto, e non si estende anche nei confronti dei terzi estranei a quel rapporto; inoltre, non essendo automatica la rappresentanza processuale, l’impresa capogruppo, per poter proporre un appello anche a nome delle imprese rappresentate, è tenuta a spenderne il nome, essendo priva di legittimazione processuale qualora – come nel caso di specie – lo abbia proposto in proprio.  Cass. civ., sez. II 20 maggio 2010, n. 12422

Premesso che la persona fisica che si costituisce in giudizio per conto di una società dotata di personalità giuridica ha l’onere di allegare la qualità di legale rappresentante della società – assumendo rilevanza la prova di tale qualità solo nel caso che la stessa sia contestata dalla controparte –, tale allegazione, mentre può ritenersi implicita qualora si deduca di ricoprire la qualità di organo amministrativo della società (trattandosi di veste astrattamente idonea alla rappresentanza in giudizio della persona giuridica), deve essere, invece, esplicita – anche senza necessità di indicare la fonte del potere rappresentativo – nel caso di costituzione in giudizio di chi dichiari di rivestire la qualità di direttore generale della società. Il direttore generale, infatti, costituisce un organo con compiti di direzione interna, dotato del potere di rappresentare la società, anche processualmente, nei rapporti esterni con effetti vincolanti soltanto se sussiste, in tal senso, una specifica attribuzione statutaria, oppure un conferimento negoziale da parte dell’organo amministrativo, ovvero ancora se tale potere deriva dalla natura dei compiti affidatigli. Ne consegue che, in mancanza di tale esplicita allegazione, il ricorso per cassazione proposto dal direttore generale della società deve essere dichiarato inammissibile. Cass. civ.sez. II 15 novembre 2006, n. 24298

Nelle società di persone, l’unificazione della collettività dei soci (che si manifesta con l’attribuzione alla società di un nome, di una sede, di un’amministrazione e di una rappresentanza) e l’autonomia patrimoniale del complesso dei beni destinati alla realizzazione degli scopi sociali (che si riflette nell’insensibilità, più o meno assoluta, di fronte alle vicende dei soci e nell’ordine, più o meno rigoroso, imposto ai creditori sociali nella scelta dei beni da aggredire) costituiscono un congegno giuridico volto a consentire alla pluralità (dei soci) una unitarietà di forme di azione e non valgono anche a dissolvere tale pluralità nell’unicità esclusiva di un ens tertium. Pertanto, mentre sul piano sostanziale va esclusa, nei rapporti interni, una volontà od un interesse della società distinto e potenzialmente antagonista a quello dei soci, sul piano processuale è sufficiente, ai fini di una rituale instaurazione del contraddittorio nei confronti della società, la presenza in giudizio di tutti i soci, facendo poi stato la pronuncia, nei confronti di questi emessa, anche nei riguardi della società stessa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che la proposizione della domanda di annullamento di un atto di cessione delle quote sociali intervenuto tra i soci di una società in nome collettivo richiedesse l’instaurazione del contraddittorio anche nei confronti della società).  Cass. civ. sez. I 5 aprile 2006, n. 7886

In tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche che, ai sensi dell’art. 75 c.p.c., spetta al soggetto al quale è conferita a norma di legge o dello statuto, la capacita di agire o resistere in giudizio in nome e per conto delle società di capitali, essa è attribuita ai sensi del primo comma dell’art. 2384 c.c., agli amministratori che abbiano la rappresentanza esterna, salve peraltro le deroghe stabilite dall’atto costitutivo e dallo statuto, che sono senz’altro opponibili dai terzi, atteso che il principio di cui al comma 2 dell’art. 2384 c.c. – secondo cui le limitazioni del potere di rappresentanza risultanti dall’atto costitutivo o dallo statuto sono opponibili soltanto se si provi che i terzi abbiano agito intenzionalmente in danno della società – ha effetti limitati alla tutela dei terzi e per certi versi dell’onere gravante sull’amministratore di provare la sussistenza dei poteri spesi. (La Corte ha cassato la decisione impugnata che, nell’escludere – ai sensi dell’art. 2384 secondo comma c.c. – l’opponibilità, da parte dei terzi delle limitazioni del potere di rappresentanza degli amministratori risultanti dell’atto costitutivo e dello statuto, aveva ritenuto la capacità processuale dell’amministratore delegato della società opponente in virtù di delega del consiglio di amministrazione della società che gli aveva conferito i poteri di ordinaria amministrazione con rilevanza esterna, fra i quali rientravano quelli di agire o resistere in giudizio, nonostante che lo statuto li attribuisse soltanto al presidente).  Cass. civ. sez. II 14 maggio 2004, n. 9199

In tema di rappresentanza sostanziale delle persone giuridiche, vige il principio secondo cui la legittimazione processuale – relativamente alla quelità dichiarata – va d’ufficio accertata dal giudice con riferimento all’astratta idoneità della veste del soggetto che agisca in nome e per conto dell’ente ad abilitarlo alla rappresentanza sostanziale nel processo. Ad un tale riguardo, nelle società per azioni il potere di rappresentanza spetta agli amministratori i quali possono conferirlo, in base allo statuto o alle determinazioni dell’organo deliberativo, anche a soggetti che siano preposti a un settore con poteri di rappresentanza sostanziale o inseriti con carattere sistematico nella gestione sociale o in un suo ramo. (La Corte, nel formulare il principio sopra richiamato, ha dichiarato inammissibile, per carenza di allegazione e di prova della rappresentanza sostanziale di coloro che avevano agito, il ricorso per cassazione proposto da una società per azioni in persona dei funzionari che, dichiarando di essere i suoi legali rappresentanti, avevano conferito la procura al difensore). Cass. civ.sez. II 29 settembre 2003, n. 14455

 

L’autorizzazione necessaria perché un ente pubblico possa agire o resistere in giudizio, emessa dall’organo collegiale competente, e della quale l’organo rappresentante l’ente pubblico deve essere munito, attiene alla legittimatio ad processum ossia all’efficacia e non alla validità della costituzione stessa, sicché essa può intervenire ed essere prodotta in causa anche dopo che sia scaduto il termine per l’impugnazione, con efficacia convalidante dell’attività processuale svolta in precedenza, sempre che il giudice di merito non abbia già rilevato il difetto di legittimazione processuale, ossia l’irregolarità della costituzione del rappresentante dell’ente pubblico, traendone come conseguenza l’invalidità degli atti compiuti.  Cass. civ. sez. I 8 marzo 2007, n. 5353

Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, la rappresentanza processuale del comune spetta istituzionalmente al sindaco, cui compete, in via esclusiva, il potere di conferire al difensore la procura alle liti, senza necessità di autorizzazione della giunta municipale, salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, spettando in tal caso alla parte interessata provare la carenza di tale autorizzazione producendo idonea documentazione. Cass. civ. sez. lav. 10 giugno 2010, n. 13968

Nel nuovo quadro delle autonomie locali, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l’autorizzazione alla lite da parte della giunta comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all’azione, salva restando la possibilità per lo statuto comunale – competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio (ex art. 6, secondo comma, del testo unico delle leggi sull’ordinamento delle autonomie locali, approvato con il D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267) – di prevedere l’autorizzazione della giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente (ovvero, ancora, di postulare l’uno o l’altro intervento in relazione alla natura o all’oggetto della controversia). Ove l’autonomia statutaria si sia così indirizzata, l’autorizzazione giuntale o la determinazione dirigenziale devono essere considerati atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell’organo titolare della rappresentanza. Cass. civ. Sezioni Unite 16 giugno 2005, n. 12868

La legittimazione a promuovere giudizi in rappresentanza dell’ente Comune compete in via primaria al sindaco e può spettare al segretario generale, nella sua qualità di dirigente di ufficio dirigenziale generale, solo in quanto tale potestà sia stata a lui attribuita dal sindaco medesimo, o derivi da una norma dello statuto o del regolamento dell’ente locale; siffatta legittimazione non compete, invece, al dirigente titolare della direzione di uffici o servizi ex art. 107, comma secondo, D.L.vo n. 267 del 2000, in quanto le attribuzioni previste da quest’ultima norma, l’art. 50, comma secondo, di detto decreto – che riserva al sindaco il potere-dovere di rappresentare l’ente – nonchè il D.L.vo n. 165 del 2001 – che conferisce ai soli dirigenti delle istituzioni scolastiche la legale rappresentanza dell’ente al quale sono preposti (art. 25) – impongono di escludere che un identico potere spetti ai dirigenti del Comune. Inoltre, il D.L.vo n. 267 del 2000, attribuendo in via esclusiva al sindaco la rappresentanza anche giudiziale del Comune, prevedendo che lo statuto può disciplinare i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio (art. 6), permette di stabilire il regime delle autorizzazioni a promuovere o resistere in giudizio, non anche di individuare i soggetti che possono rappresentare il comune in giudizio; conseguentemente, è illegittimo e deve essere disapplicato il regolamento comunale che, in contrasto con detto decreto legislativo, attribuisce al dirigente comunale preposto ad un settore o ad un ufficio il potere di rappresentare in giudizio il comune. Cass. civ. sez. III 26 febbraio 2003

L’ammissibilità del ricorso per cassazione, proposto dal Sindaco in rappresentanza del Comune, non resta esclusa per il fatto che la deliberazione della Giunta municipale, autorizzativa di tale impugnazione, sia intervenuta successivamente alla proposizione del ricorso, posto che detta autorizzazione può intervenire, con effetto sanante ex tunc, fino all’udienza di discussione della causa. (Nella specie l’autorizzazione della Giunta era stata deliberata anteriormente alla notifica del controricorso e depositata in cancelleria). Cass. civ. Sezioni Unite 10 dicembre 2001, n. 15603

Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali (artt. 36 e 35, secondo comma, della legge 8 giugno 1990, n. 142, poi trasfusi negli artt. 48, secondo comma, e 50, secondo e terzo comma, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267), competente a conferire al difensore del comune la procura alle liti è il sindaco, non essendo necessaria l’autorizzazione della giunta municipale, atteso che al sindaco è attribuita la rappresentanza dell’ente, mentre la giunta comunale ha una competenza residuale, sussistente cioè soltanto nei limiti in cui norme legislative o statutarie non la riservino al sindaco. Cass. civ. Sezioni Unite 10 maggio 2001, n. 186

In seguito alla soppressione delle USL ad opera del d.l.vo n. 502 del 1992, che ha istituito le AUSL, e per effetto degli artt. 6, comma 1, della l. n. 724 del 1994 e 2, comma 14, della l. n. 549 del 1995, si è verificata una successione “ex lege” delle regioni nei rapporti di debito e credito già facenti capo alle vecchie USL, caratterizzata da una procedura di liquidazione affidata alle gestioni stralcio, con conseguente inefficacia, per i rapporti pregressi all’istituzione delle stesse, degli atti interruttivi della prescrizione indirizzati alle AUSL e non alle predette sezioni stralcio.  Cass. civ.sez. VI 21 febbraio 2017, n. 4392

Poichè la delega del Presidente dell’I.N.P.D.A.P. ad un direttore di sede periferica, per agire in giudizio, attiene al momento genetico del processo e alla valida instaurazione del contraddittorio, la procura da questi conferita al difensore dichiarando di agire per l’I.N.P.D.A.P., senza neppure dedurre di averne ricevuto i poteri rappresentativi in base alla suddetta delega, determina la nullità del giudizio, rilevabile d’ufficio semprechè, sulla specifica questione, non si sia formato il giudicato interno, che si determina allorché la carenza del potere rappresentativo sia stata appositamente denunciata e, quindi, sia stata espressamente negata dal giudice di merito ovvero sia rimasta senza esplicita risposta e tale omessa pronuncia non sia stata poi oggetto di appello. Cass. civ., sez. lav. 21 dicembre 2011, n. 28078

Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali recato dal D.L.vo 12 agosto 2000, n. 267, in mancanza di una disposizione statutaria che la richieda espressamente, l’autorizzazione alla lite da parte degli organi collegiali (consiglio o giunta) non costituisce atto necessario ai fini del promuovimento di azioni o della resistenza in giudizio da parte del presidente della comunità montana, che è organo responsabile dell’Amministrazione locale, munito di rappresentanza legale della stessa (secondo il combinato disposto degli artt. 2 e 50 del predetto D.L.vo n. 267); ne consegue che l’eventuale illegittimità della delibera autorizzativa della giunta non può incidere sulla validità della costituzione in giudizio della comunità per mezzo del suo presidente. Cass. civ sez. lav. 13 marzo 2009, n. 6227

La rappresentanza processuale attiva e passiva dell’Enel, che l’art. 14 dello statuto dell’ente, approvato con D.P.R. 21 dicembre 1965, n. 1720, conferisce al direttore di compartimento nell’ambito della circoscrizione territoriale e in relazione agli affari di sua competenza, deve ritenersi automaticamente estesa al vice direttore di compartimento per il caso di assenza o impedimento del primo, integrando ciò una conseguenza naturale dell’attribuzione a detto vice direttore della qualità di vicario per l’espletamento, sia pure in via secondaria e con il ruolo di supplenza, delle stesse funzioni del titolare dell’ufficio. Ne consegue la validità ed efficacia della procura ad litem predisposta dal direttore compartimentale e poi, per impedimento di quest’ultimo, sottoscritta dal vice direttore, a nulla rilevando la diversità delle persone fisiche intervenute nell’attività negoziale, essendo esse parimenti organo rappresentativo dell’ente in base al cosiddetto rapporto organico. Cass. civ. sez. III 16 luglio 2002, n. 10285

Per il disposto dell’art. 2 del D.L.vo del Capo provvisorio dello Stato 13 maggio 1947, n. 438 (che regola la composizione e la competenza degli organi amministrativi dell’INAIL) la rappresentanza legale di detto ente spetta al suo presidente, il quale, sentito il consiglio di amministrazione può delegale l’anzidetto potere amministrativo o l’esercizio di particolari attribuzioni ad altri organi dell’istituto. Nel caso di giudizio promosso dall’INAIL in persona del direttore pro-tempore di una sede provinciale, questi è tenuto a dare la prova della delega per potere rappresentativo essendo, in difetto, inammissibile la domanda. Cass. civ. sez. III 27 marzo 2001, n. 4432

Anche prima del nuovo ordinamento delle autonomie locali, le aziende municipalizzate costituivano una struttura dotata di una propria autonomia organizzativa distinta da quella pubblicistica del Comune, che svolgevano la loro attività economica con modalità e strumenti tipicamente imprenditoriali da esse equiparati agli enti pubblici economici. Ne deriva che va affermata la giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie relative alla revisione dei prezzi di appalto, che resta disciplinata dall’art. 1664 c.c. e non dalla normativa dettata per gli appalti di opere pubbliche (fattispecie relativa alle aziende municipalizzate esercenti servizi di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani). Cass. civ. sez. I 7 marzo 2001, n. 96

L’autorizzazione a stare in giudizio in rappresentanza della unità sanitaria locale, rilasciata dal comitato di gestione ai fini dell’opposizione a precetto, non abilita il rappresentante legale dell’Usl alla proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione, a tal fine occorrendo – a pena d’inammissibilità (rilevabile d’ufficio) del regolamento – una distinta autorizzazione, che può essere anche successiva al ricorso, salva la necessità della notifica prevista dall’art. 372, secondo comma, c.p.c. Cass. civ. Sezioni Unite 5 agosto 1992, n. 9284

Colui che agisce in giudizio in qualità di legale rappresentante di una società di capitali, non in virtù di una formale nomina di fonte statutaria o assembleare, ma quale amministratore di fatto, che esercita poteri gestori analoghi all’amministratore di diritto, ha l’onere di dimostrare l’effettivo esercizio di tali poteri, ai fini dell’accertamento della legittimazione ad agire in nome e per conto della società, non potendo invocare a supporto delle proprie allegazioni norme statutarie o risultanze del registro delle imprese. (Nella specie, la S.C. ha annullato la decisione impugnata, che aveva ritenuto provata la qualità di amministratore di fatto in capo a colui che aveva agito in tale veste, sulla scorta di una sentenza di tribunale che, proprio per l’attività svolta in tale qualità, lo aveva condannato al risarcimento dei danni cagionati alla società, considerato che, peraltro, tale decisione era stata totalmente riformata in appello). Cass. civ. sez.  V, 22 marzo 2019, n. 8120

In tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, neppure nel caso in cui l’ente si sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa. Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa. (Nella specie, le Sezioni unite, con riferimento ad un ricorso per regolamento di competenza, hanno disatteso l’eccezione di inammissibilità avanzata dai controricorrenti relativa alla invalidità della procura rilasciata dalla società ricorrente per assunto difetto di legittimazione alla rappresentanza processuale della persona fisica che l’aveva conferita, siccome rimasta priva di prova e risultata comunque formulata solo con la memoria di cui all’art. 47 c.p.c., depositata, però, tardivamente). Cass. civ. Sezioni Unite 1 ottobre 2007, n. 20596

Premesso che la persona fisica che si costituisce in giudizio per conto di una società dotata di personalità giuridica ha l’onere di allegare la sua qualità di legale rappresentante della società – assumendo rilevanza la prova di tale qualità solo nel caso che la stessa sia contestata dalla controparte –, tale allegazione, mentre può ritenersi implicita qualora si deduca di ricoprire la qualità di organo amministrativo della società (trattandosi di veste astrattamente idonea alla rappresentanza in giudizio della persona giuridica), deve essere, invece, esplicita – anche senza necessità di indicare la fonte del potere rappresentativo – nel caso di costituzione in giudizio di chi dichiari di rivestire la qualità di direttore generale della società. Il direttore generale, infatti, costituisce un organo con compiti di direzione interna, dotato del potere di rappresentare la società, anche processualmente, nei rapporti esterni con effetti vincolanti soltanto se sussista in tal senso una specifica attribuzione statutaria, oppure un conferimento negoziale da parte dell’organo amministrativo, ovvero ancora se tale potere derivi dalla natura dei compiti affidatigli. Cass. civ. sez. V 8 settembre 2004, n. 18090

Le ordinarie preclusioni istruttorie non operano ai fini dell’accertamento della legittimazione processuale, che può essere compiuto dal giudice anche di ufficio. Cass. civ. sez. lav. 21 giugno 2004, n. 11506

Qualora sia parte del processo una società, la persona fisica che, a norma di legge o di statuto, rappresenta la società ha conferito il mandato al difensore, ha l’onere di allegare ma non di provare tale sua qualità, spettando, invece, alla parte che contesta la sussistenza di detta qualità fornire la relativa prova negativa, anche nella ipotesi in cui la società sia costituita in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante, sempre che l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto della società medesima. Ne consegue la nullità della procura qualora il direttore generale della società, organo al quale la legge non ricollega poteri rappresentativi, abbia rilasciato la procura al difensore senza indicare la qualità di legale rappresentante e senza dimostrare la fonte dei poteri rappresentativi, pur contestata da controparte. Cass. civ. sez. lav. 3 ottobre 2003, n. 14813

L’ammissibilità dell’atto difensivo (nella specie il controricorso nel giudizio di cassazione) posto in essere prodotto da una persona fisica in nome e per conto di una società non può essere messa in discussione sotto il profilo del difetto del potere di rappresentanza, una volta che quella persona fisica abbia esercitato tale potere nelle pregresse fasi del processo, senza opposizione della controparte, che abbia anzi preso posizione sulle altre questioni, sì da realizzare un impulso processuale idoneo alla pronuncia, impostando un sistema difensivo fondato su circostanze logicamente incompatibili con il disconoscimento del potere rappresentativo. Cass. civ. sez. I 4 luglio 2003, n. 10563

In relazione alla rappresentanza in giudizio delle persone giuridiche, il principio che il giudice ha l’obbligo di accertare, anche d’ufficio e in sede di impugnazione, la legittimazione processuale, comporta che egli deve verificare se il soggetto che agisce per l’ente dichiara di agire in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza del giudizio, non anche che il giudice è tenuto, di sua iniziativa, a svolgere accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, avendo quest’ultimo l’onere di provare la qualità allegata solo in caso di contestazione della controparte; la tempestività di tale contestazione va valutata in relazione al momento in cui la suddetta controparte ha avuto certezza della carenza di prove in ordine alla qualità di rappresentante allegata dal suo contraddittore. (Nella specie la Corte ha ritenuto non tempestiva la contestazione intervenuta per la prima volta in sede di conclusioni in appello).  Cass. civ. sez. I 11 giugno 2002, n. 8327.

L’autenticazione, apposta dal difensore in calce alla procura alle liti, fa fede della provenienza dell’atto da colui che ne appare l’autore, ma non della legittimazione processuale di quest’ultimo. Ne consegue che è invalida la costituzione in un giudizio di una società commerciale, ove – a fronte di specifica eccezione in tal senso – non sia dimostrata la sussistenza di potere rappresentativo in capo alla persona che ha conferito il mandato alle liti per conto della società stessa, a nulla rilevando che la suddetta persona sia indicata nella procura alle liti come “dirigente”. Cass. civ. sez. III 2 aprile 2001, n. 4785

In ordine alla documentazione del potere di rappresentanza, è necessario che la controparte sia posta in grado di conoscere la fonte del potere e di contestarlo; a tal fine il rappresentante, che agisca come organo della persona giuridica, non ha l’onere di produrre con il mandato ad litem l’atto di conferimento del suo potere, bensì, ove questo sia contestato, ha l’onere di indicare l’atto di conferimento, in modo da consentire l’eventuale prova contraria.  Cass. civ. sez. lav.  17 marzo 2001, n. 3867

La delibera della Giunta regionale, con la quale si autorizza il presidente della regione ad agire o difendersi in giudizio, costituisce un presupposto della legitimatio ad processum: essa pertanto, se pure non tempestivamente depositata, può sempre essere validamente prodotta con efficacia retroattiva anche nei successivi gradi di giudizio, ed anche nel giudizio di legittimità, a meno che in quest’ultimo caso il giudice del merito non avesse già rilevato il difetto del presupposto processuale, dichiarando improcedibile la domanda. Cass. civ. sez. III 2 settembre 1998, n. 8722

La mancanza al momento della decisione dei documenti inerenti alla prescritta autorizzazione a stare in giudizio impone la declaratoria di inammissibilità del gravame senza che il collegio sia tenuto ad assegnare un termine per consentire l’acquisizione di quei documenti, tenendo conto che tale regolarizzazione è contemplata dall’art. 182 c.p.c. solo con riferimento alla fase istruttoria e che si ricollega all’esercizio di un potere discrezionale.  Cass. civ. sez. I 15 luglio 1996, n. 6395

Il difetto di legittimazione processuale della persona fisica, che agisca in giudizio in rappresentanza di un ente (nella specie, per mancanza dell’autorizzazione preventiva alla proposizione dell’azione da parte dell’organo competente per statuto), può essere sanato, in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza dell’ente stesso, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare l’operato del “falsus procurator”. Cass. civ., sez.  I 15 novembre 2016, n. 23274

L’autorizzazione del consiglio d’amministrazione di un ente al presidente ad agire o resistere in giudizio, che concorre ad integrare la capacità processuale dell’ente medesimo, costituendo una condizione dell’azione, può intervenire per tutto il corso del processo, con effetto retroattivo, salvo sia intervenuto sul punto il giudicato e purché contenga la volontà espressa di ratificare e sia depositata, qualora intervenga nella fase del giudizio di cassazione, unitamente al ricorso e non successivamente ai sensi dell’art. 372 c.p.c., la cui previsione è limitata alle ipotesi di nullità della sentenza. Cass. civ sez. I 19 giugno 2007, n. 14260

La delibera dell’organo collettivo di un’associazione, richiesta per patto statutario, affinché il presidente dell’ente, cui per legge compete la legitimatio ad processum possa agire o resistere in giudizio, concorre ad integrare la capacità processuale dell’ente e costituisce una condizione di efficacia degli atti processuali posti in essere, la quale può intervenire, con effetti retroattivi, anche in un momento successivo alla proposizione del giudizio (e perciò anche in relazione alla fase del giudizio di cassazione) senza che si rendano quindi rilevanti eventuali preclusioni determinate dallo svolgimento del processo, salvo che sul punto sia intervenuto il giudicato (nella fattispecie il verbale del consiglio di amministrazione del consorzio ricorrente, attestante la volontà di ratificare gli atti posti in essere dal presidente dell’ente, era stato depositato, ai sensi dell’art.372 c.p.c., nel giudizio di cassazione).  Cass. civ. sez. I 6 ottobre 2006, n. 21574

L’autorizzazione a stare in giudizio è condizione di efficacia e non requisito di validità della costituzione in giudizio dell’ente pubblico, con la conseguenza che essa, sebbene intervenuta successivamente all’introduzione della causa, è idonea a sanare retroattivamente le irregolarità – non rilevate dal giudice – inficianti la pregressa fase del procedimento (nella fattispecie, relativa a controversia tributaria, la Suprema Corte, in base all’enunciato principio, ha rigettato il motivo di ricorso concernente l’originaria mancanza dell’autorizzazione della giunta comunale al sindaco a stare in giudizio, risultando dagli atti di causa che detta autorizzazione era stata successivamente concessa). Cass. civ. sez. V 6 settembre 2004, n. 17936

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