Nel giudizio di interdizione parenti ed affini dell’interdicendo non hanno qualità e veste di parti in senso proprio avendo essi un compito «consultivo» e cioè di fonti di utili informazioni al giudice. Di talché escluso che detti parenti ed affini siano qualificabili come parti necessarie del procedimento ne discende che non intervenuti né chiamati in primo grado e facoltizzati ad impugnare la prima sentenza sol deducendo fatti ed informazioni indebitamente pretermesse per effetto della loro esclusione certamente non sono ammessi a dedurre in sede di legittimità – e per la prima volta – pretesi vizi correlati alla ridetta esclusione Cass. civ. sez. I 1 dicembre 2000 n. 15346
Nel giudizio di interdizione o di inabilitazione i parenti e gli affini che a norma dell’art. 712 c.p.c. devono essere indicati nel ricorso introduttivo non hanno veste di parti in senso tecnico-giuridico bensì svolgono funzioni consultive essendo fonti di informazioni per il giudice. Conseguentemente la mancata notifica del ricorso ad alcuni dei predetti a seguito dell’omessa indicazione degli stessi nel ricorso mentre non determina alcuna nullità del procedimento qualora a tale omissione si sia ovviato nel corso dell’istruttoria può costituire motivo di impugnazione soltanto quando la persistente omissione concerna un congiunto verosimilmente in grado di fornire al giudice informazioni tali da far decidere il giudizio diversamente. Al fine dell’osservanza delle norme che prevedono in un determinato procedimento l’intervento obbligatorio del P.M. è sufficiente che quest’ultimo venga informato del procedimento medesimo e così posto in grado di svolgere l’attività che ritenga più opportuna restando irrilevante che in concreto non partecipi alle udienze ovvero non prenda conclusioni. Il principio della ripartizione dell’onere delle spese giudiziali secondo i criteri di cui agli artt. 90 e seguenti c.p.c. si applica anche nella disciplina dei procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone (nella specie procedimento di inabilitazione) Cass. civ. sez. I 18 febbraio 1982 n. 1023