In tema di espropriazione immobiliare iniziata o proseguita da un istituto di credito fondiario dopo la dichiarazione di fallimento dell’esecutato, la distribuzione delle somme ricavate dalla vendita forzata da parte del giudice dell’esecuzione ha carattere provvisorio e può divenire definitiva soltanto in esito al riparto in sede fallimentare, sicché il curatore è legittimato ad agire per ottenere la restituzione degli importi percepiti in eccedenza dal creditore fondiario a titolo di anticipazione in sede esecutiva. Cass. Civ. Sez. III, sentenza del 28 settembre 2018, n. 23482
Ai sensi dell’art. 2916 c.c., dettato in relazione agli effetti del pignoramento ed applicabile anche al sequestro conservativo ex art. 2906 c.c., le ipoteche iscritte dopo il sequestro sono improduttive di effetti verso il sequestrante. Conseguentemente la somma ricavata dall’esecuzione deve essere distribuita effettuando dapprima una proporzione tra tutti i crediti dei creditori chirografari e di quelli ipotecari (declassati a chirografari) e poi attribuendo al sequestrante un importo non eccedente quello per il quale la misura cautelare era stata concessa. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 23667 del 10 ottobre 2017
In tema di espropriazione immobiliare, il progetto di distribuzione può prescindere dai crediti per i quali non siano stati prodotti i necessari documenti giustificativi entro il termine a tale scopo fissato, nell’ambito della potestà prevista dagli artt. 484, 175 e 152 c.p.c., dal giudice dell’esecuzione (o dal professionista delegato), in quanto l’eccezionale facoltà prevista dall’art. 566 c.p.c. si riferisce al solo atto originario di intervento nella procedura e non a tutte le successive attività incombenti ai creditori. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 2044 del 27 gennaio 2017
In tema di espropriazione immobiliare, la previsione, ex art. 565 cod. proc. civ., – sia nel testo ante riforma di cui al d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, che in quello ad essa successivo – secondo cui il limite temporale ultimo dell’intervento tardivo del creditore chirografario è “prima dell’udienza di cui all’art. 596 cod. proc. civ.”, doveva e deve intendersi nel senso che tale intervento è ormai precluso dopo che l’udienza abbia avuto inizio (nella data e nell’ora fissate) e si sia ivi svolta un’attività di trattazione effettiva, ancorché venga disposto, in esito ad essa, un rinvio in prosieguo, restando, invece, lo stesso ancora possibile se, in tale udienza, siano compiute attività esclusivamente dirette a rimediare ad una nullità impediente il suo normale svolgimento e finalizzate all’adozione del conseguente provvedimento, con fissazione di una nuova udienza ex art. 596 cod. proc. civ., ovvero se l’udienza stessa non venga tenuta per mero rinvio derivante da ragioni di ufficio. In tali casi, l’intervento è ancora possibile prima dell’udienza di rinvio. Cass. Civ. Sez. III, sentenza del 31 marzo 2015, n. 6432
el processo esecutivo è precluso l’intervento ai creditori, ancorché privilegiati, durante o dopo la celebrazione dell’udienza di discussione del progetto di distribuzione del ricavato della vendita, di cui all’art. 596 cod. proc. civ.. A tale regola non si può derogare nemmeno nel caso in cui, dopo l’approvazione del progetto di distribuzione, vengano acquisite alla procedura nuove somme di denaro ed il giudice fissi una nuova udienza per le conseguenti modifiche del progetto di distribuzione, in quanto tale udienza non solo non è necessaria, ma ha finalità meramente esecutive del progetto di distribuzione, che non può essere ridiscusso. Cass. Civ. Sez. III, sentenza del 8 giugno 2012, n. 9285
Nella procedura di espropriazione forzata immobiliare, verificatasi l’aggiudicazione del bene posto in vendita, l’aggiudicatario deve versare il prezzo corrispondente nel termine fissato con l’ordinanza di vendita (art. 585 cod. proc. civ.) ed il giudice dell’esecuzione, se non ricorrono i presupposti per la sospensione della vendita, pronuncia decreto con il quale trasferisce all’aggiudicatario il bene espropriato (art. 586 cod. proc. civ.), impartendo le disposizioni previste per il pagamento delle somme spettanti. Una volta realizzate le suddette formalità, si perviene al risultato conclusivo del procedimento, il quale, quando è compiuto, non può più essere messo in discussione dalle parti attraverso la proposizione dell’istanza di revoca del relativo provvedimento di trasferimento conseguente all’aggiudicazione del bene espropriato (alla stregua dell’art. 487 cod. proc. civ.), essendo invero proponibili solo le impugnazioni interne al procedimento esecutivo stesso, che, se non formulate nei modi e termini di legge, determinano un effetto preclusivo a carico delle parti medesime. (Nella specie, la S.C., sulla scorta di tale principio, ha accolto il ricorso avverso la sentenza che aveva riconosciuto la possibilità di esercitare l’azione di ripetizione di indebito, da parte dell’aggiudicatario del bene, della somma corrisposta quale prezzo della vendita forzata – il cui decreto aveva stabilito che il trasferimento era sospensivamente condizionato all’esercizio del diritto di prelazione da parte del Ministero dei beni culturali ed ambientali, di cui l’Amministrazione si era poi effettivamente avvalsa -, previo annullamento della relativa ordinanza di aggiudicazione, quando invece l’interessato avrebbe dovuto esperire i mezzi di difesa interni al processo esecutivo, per evitare di incorrere nella conseguente preclusione processuale, o sollecitando l’ufficio del giudice dell’esecuzione a provvedere sulla destinazione, dopo la caducazione del provvedimento di aggiudicazione, delle somme versate dall’aggiudicatario, oppure svolgendo il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi contro il provvedimento di distribuzione del ricavato). Cass. Civ. Sez. III, sentenza del 30 novembre 2005, n. 26078