Art. 5 – Codice di Procedura Civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Momento determinante della giurisdizione e della competenza

Articolo 5 codice procedura civile

La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo.

Articolo 5 codice procedura civile

La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo.

Massime

L’articolo 5 c.p.c., il quale stabilisce che la competenza si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, va interpretato nel senso che a questa non equivale l’introduzione dell’impugnazione, con la conseguenza che la sopravvenienza, in corso di causa, di una disposizione che individua in un diverso giudice quello dell’impugnazione, senza incidere sulla tipologia della stessa, non assume rilievo sulla controversia pendente, che resta devoluta – quanto alla fase di gravame – alla cognizione del giudice “ab origine” individuato, fatta eccezione per il solo caso in cui sia stato soppresso l’ufficio giudiziario al tempo competente a conoscere dell’impugnazione, dovendo in tale ipotesi, farsi riferimento al nuovo giudice, cui le funzioni dell’ufficio soppresso siano state attribuite. (Nella specie, era stata appellata, di fronte al Tribunale di Napoli Nord, una sentenza pubblicata prima del 13 settembre 2013, data di efficacia dell’istituzione di quest’ultimo tribunale, emessa dal Giudice di Pace di Casoria, decisione che avrebbe dovuto essere impugnata, al momento della pronuncia, davanti ad una allora sezione distaccata del Tribunale di Napoli, il territorio della quale, però, era ormai ricompreso, all’epoca del gravame, nel circondario del suddetto nuovo tribunale; la S.C., nell’enunciare il principio di cui in massima, ha chiarito come l’atto di appello, benché proposto successivamente alla data summenzionata, dovesse essere presentato – ex art. 5 c.p.c. ed in assenza di disciplina transitoria di diverso contenuto – ancora presso il Tribunale di Napoli). Cass. civ. sez.  VI-III, 29 marzo 2017, n. 8148

Al fine di determinare l’ambito della giurisdizione italiana, ai sensi dell’art. 6, n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 (resa esecutiva con legge 21 giugno 1971, n. 804), rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il “petitum” sostanziale, che va identificato soprattutto in funzione della “causa petendi”, sicché, ove sia invocata l’applicazione dell’art. 2112 cod. civ., non può prescindersi dalla connessione esistente fra le posizioni del cedente e del cessionario. Cass. civ. Sezioni Unite 9 febbraio 2015, n. 2360

In caso di pronuncia declinatoria della giurisdizione, il processo, tempestivamente riassunto innanzi al giudice indicato come munito di giurisdizione, non è nuovo ma costituisce, per effetto della “translatio judicii”, la naturale prosecuzione dell’unico giudizio. Ne consegue che, in applicazione dell’art. 5 c.p.c., assume rilievo, ai fini della determinazione del giudice territorialmente competente, la legge vigente e lo stato di fatto esistente al momento della proposizione dell’originaria domanda, senza che rilevino i mutamenti successivi. (Nella specie, in relazione ad una controversia di pubblico impiego, la S.C., in applicazione dell’anzidetto principio, ha cassato l’ordinanza del giudice di merito che aveva declinato la propria competenza poiché aveva preso in considerazione la sede di lavoro in atto al momento della riassunzione, mutata in epoca anteriore alla declaratoria di difetto di giurisdizione, e non, invece, l’originario luogo di lavoro esistente al momento della proposizione del ricorso al TAR). Cass. civ. sez. VI 21 febbraio 2013, n. 4484

La giurisdizione, come si desume dal principio di cui all’art. 5 c.p.c., si determina sulla base della domanda proposta dall’attore, e non anche del contenuto delle eventuali eccezioni sollevate dal convenuto, a meno che le stesse non evidenzino che la pretesa giudiziale avversa, già come “ab initio” formulata, implichi l’accertamento di situazioni soggettive esulanti dalla cognizione del giudice adito; ne consegue che, nella controversia instaurata davanti al giudice ordinario ed avente ad oggetto la domanda di pagamento dei canoni per una concessione di servizio pubblico, rimane ininfluente, ai fini della giurisdizione, l’eccezione di inadempimento formulata dal convenuto in relazione alla condotta mantenuta dall’amministrazione concedente.  Cass. civ. Sezioni Unite 12 novembre 2012, n. 19600

Il principio sancito dall’art. 5 c.p.c., alla stregua del quale la giurisdizione si determina «con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda» non opera quando la norma che detta i criteri determinativi della giurisdizione è successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima, salvo il limite dei rapporti esauriti al momento della pubblicazione della decisione. (Fattispecie, successiva alla sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, in materia di costituzione di società mista per la gestione di un impianto di incenerimento rifiuti). Cass. civ. Sezioni Unite 16 febbraio 2006, n. 3370Cass., sez. I, 11 maggio 2007, n. 10875

La giurisdizione si determina in base alla domanda e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il “petitum” sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della “causa petendi”, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto la giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia avente ad oggetto l’accertamento, in via riconvenzionale, del diritto di un Comune al rimborso delle spese per la messa in sicurezza e bonifica ai sensi dell’art. 17 del d.l.vo n. 22 del 1997, applicabile “ratione temporis”, conseguente all’adozione di un provvedimento amministrativo, diretto ad imporre al responsabile privato l’esecuzione degli interventi di ripristino ambientale, la cui legittimità era stata definitivamente accertata dal giudice amministrativo). Cass. civ. Sezioni Unite 31 luglio 2018, n. 20350 

In applicazione del principio della “perpetuatio iurisdictionis” di cui all’art. 5 cod. proc. civ., la proposizione, in via riconvenzionale, da parte del convenuto dinanzi alla sezione specializzata agraria, di una domanda di accertamento della esistenza di un rapporto di affittanza agraria, ovvero la prospettazione, in via di mera eccezione, della ricorrenza dei presupposti per l’applicabilità delle norme speciali in tema di rapporti agrari, è idonea a radicare la competenza di quel giudice anche se il tenore della domanda attorea inizialmente poteva legittimamente escluderla, senza che alcun rilievo assuma la circostanza che in corso di causa la domanda riconvenzionale venga dichiarata improponibile o rigettata, ovvero l’eccezione venga ritenuta infondata. Cass. civ., sez. , VI-III, , 19 settembre 2014, n. 19833

La determinazione della competenza deve essere fatta in base al contenuto della domanda giudiziale, salvo che nei casi in cui la prospettazione ivi contenuta appaia prima facie artificiosa e finalizzata soltanto a sottrarre la cognizione della causa al giudice predeterminato per legge. Detto principio, valevole anche per la competenza per territorio, non può essere derogato dalle contestazioni del convenuto circa la sussistenza del rapporto, né dalla domanda riconvenzionale, che, a norma dell’art. 36 c.p.c., è conosciuta dal giudice competente per la causa principale, purché non ecceda la sua competenza per materia o valore. Anche nell’ipotesi di connessione di cause ai sensi dell’art. 40 la proposizione di domanda riconvenzionale non può determinare lo spostamento di tutta la causa ad altro giudice per ragioni di competenza territoriale, in quanto la norma prevede soltanto che nei casi di cui agli artt. 31, 32, 34, 35 e 36, le cause cumulativamente proposte o successivamente riunite, siano trattate e decise con rito ordinario, salva l’applicazione del solo rito speciale quando una di esse rientri tra quelle indicate negli artt. 409 e 442 dello stesso codice. (Nella specie, relativa a controversia instaurata per l’adempimento di un contratto d’agenzia, la S.C. ha cassato, regolando la competenza, la sentenza di merito che aveva declinato la competenza territoriale a seguito della riconvenzionale del convenuto, il quale aveva chiesto l’accertamento della simulazione del contratto di agenzia dedotto dalla attrice e aveva chiamato un terzo in causa per far affermare che il rapporto era incorso con quest’ultimo). Cass. civ. sez. lav. 17 maggio 2007, n. 11415

Il principio di cui all’art. 5 c.p.c., secondo cui la competenza si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, non opera quando la norma che regola la competenza è dichiarata costituzionalmente illegittima, data l’efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità della Corte costituzionale, salve l’avvenuta formazione del giudicato e la presenza di preclusioni processuali già verificatesi. (Principio espresso con riferimento alla sentenza n. 147 del 2004, in tema di competenza nei procedimenti civili in cui è parte un magistrato). Cass. civ., sez. I, 11 maggio 2007, n. 10875

La determinazione della competenza deve essere fatta in base al contenuto della domanda giudiziale, la quale fissa l’oggetto della causa, e non sulla scorta delle contestazioni sollevate dal convenuto in relazione agli elementi posti a fondamento della domanda, nè in base all’indagine di merito che il giudice deve compiere per la decisione, poichè tale attività non assume alcun rilievo in ordine all’individuazione del giudice competente.  Cass. civ. sez. lav. 4 agosto 2005, n. 16404

Ai fini della determinazione della competenza, l’art. 5 c.p.c., anche nella nuova formulazione introdotta dall’art. 2 legge n. 353 del 1990, attribuisce valenza determinante non già al decisum bensì al deductum o, meglio, al disputandum, e perciò alla valutazione della domanda, con ogni suo accessorio, al momento della relativa proposizione; ne consegue che, proposta dinanzi al tribunale per i minorenni domanda di dichiarazione giudiziale di paternità e di condanna del genitore naturale al mantenimento del minore, la competenza del tribunale per i minorenni resta ferma anche nell’ipotesi in cui venga successivamente dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione alla richiesta di dichiarazione giudiziale di paternità.  Cass. civ., sez. I, 16 giugno 2000, n. 8243

Il principio, secondo il quale la competenza si determina in relazione allo stato di fatto esistente al momento della domanda, si riferisce alle circostanze attinenti ai presupposti di fatto della competenza medesima, e non osta, pertanto, a che quest’ultima debba essere riscontrata tenendo conto anche delle modifiche dell’originaria domanda, ritualmente introdotte in corso di causa.  Cass. civ., Sezioni Unite, 13 dicembre 1983, n. 7346.

La competenza per materia si determina, ai sensi dell’art. 10 c.p.c. ( dettato per la competenza per valore ma esprimente un principio generale e, come tale, applicabile anche in riferimento agli altri tipi di competenza), con criterio «a priori» secondo la prospettazione fornita dall’attore nella domanda. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto sussistente la competenza per materia del Tribunale, e non del giudice di pace, atteso che l’attrice lamentava di subire gravi turbative nell’esercizio del proprio diritto di proprietà su una cisterna da parte di alcuni comproprietari, ritenendo irrilevante a questi fini che i convenuti riconoscessero il diritto di proprietà dell’attrice sul bene, atteso che rimaneva comunque da accertare l’avvenuto compimento degli atti impeditivi, in tutto o in parte, del godimento e che il riconoscimento del diritto dominicale da parte dei convenuti non fosse idoneo a far inquadrare la controversia tra quelle relative «alla misura e alle modalità d’uso dei servizi di condominio di case» devolute alla competenza del giudice di pace).  Cass. civ. sez. II, 18 gennaio 2007, n. 1122

La competenza per materia del giudice adito si determina sulla base della domanda proposta dall’attore e dei fatti posti a suo fondamento, mentre le eccezioni del convenuto possono, al più, costituire fonte (residuale) di ulteriore convincimento del giudice, ma non anche condurre all’individuazione di una diversa competenza sulla base di elementi incompatibili con la domanda. Nella ipotesi in cui, con la domanda, l’attore chieda, poi, l’accertamento di un certo rapporto giuridico, ovvero il riconoscimento di diritti rispetto ai quali l’esistenza di quel rapporto si pone in termini di presupposto necessario, il giudice non può, ai fini dell’indagine sulla competenza, verificare la concreta esistenza del rapporto così affermato (ovvero qualificarlo in modo diverso ed incompatibile con la pretesa fatta valere), ma deve rimettersi alle sole affermazioni dell’istante, onde pervenire alla decisione di merito (affermando, o negando, l’esistenza del rapporto stesso).  Cass. civ. sez. III, 23 giugno 1999, n. 6404.

Ai fini della individuazione del giudice competente ratione materiae, la determinazione della materia del contendere deve essere compiuta con riferimento alla domanda, e cioè alla sostanza della pretesa ed ai fatti posti a fondamento di essa, che il giudice può peraltro liberamente qualificare sotto l’aspetto giuridico, fermo restando che le eccezioni del convenuto, mentre non possono comportare l’esclusione della competenza individuata secondo i criteri suddetti, possono tuttavia concorrere alla sua individuazione quando essa non possa radicarsi in concreto con esclusivo riferimento al contenuto della domanda.  Cass. civ. sez. lav., 21 marzo 1997, n. 2509

La determinazione del giudice competente a decidere la causa dev’essere effettuata con riguardo al disputatum (e non al decisum), ossia con riguardo alle asserzioni delle parti, indipendentemente dalla loro fondatezza, con la conseguenza che un’eccezione di competenza per materia, prevista da norme speciali (nella specie, dall’art. 45 della L. n. 392 del 1978, essendosi dal convenuto sostenuto che la locazione in questione riguardava un’immobile destinato a cinematografo e non un’azienda cinematografica) può essere respinta solo quando essa appaia infondata prima facie. Cass. civ., , sez. III, , 20 gennaio 1982, n. 364.

Il nuovo criterio di competenza territoriale introdotto dall’art. 4 del D.L.vo n. 168 del 2003, istitutivo delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale presso tribunali e corti d’appello, si applica a decorrere dal 1° luglio 2003; restano invece assegnate al giudice competente in base alla normativa previgente le controversie già pendenti e iscritte al ruolo alla data del 30 giugno 2003, quale che sia il grado di giudizio nel quale esse si trovino al momento dell’entrata in vigore della legge. (Mass. redaz.). Cass. civ. sez. I, 1 febbraio 2007, n. 2203.

La competenza per territorio dev’essere determinata con riferimento alla domanda così come proposta, prescindendo da ogni indagine circa la relativa fondatezza nel merito. Ne consegue che, ove un professionista deduca di avere ricevuto un incarico professionale dalla P.A., il giudice adìto non può declinare la competenza per il solo fatto che quest’ultima eccepisca l’invalidità del contratto. Cass. civ. sez. III, , 18 aprile 2006, n. 8950

Poiché, a norma dell’art. 5 c.p.c., la competenza si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, qualora la norma processuale, vigente alla data della domanda introduttiva, preveda espressamente una competenza per territorio inderogabile, così escludendo la possibilità di un foro convenzionale, il giudice designato nell’accordo delle parti non può essere adito, ancorché la clausola pattizia relativa alla competenza territoriale sia stata concordata tra le parti medesime in epoca anteriore alla disposizione prevedente l’inderogabilità del foro. (Principio espresso in fattispecie di controversia in materia di locazione di immobili urbani, nella vigenza del secondo comma dell’art. 447 bis c.p.c., anteriormente alla avvenuta soppressione della norma, con decorrenza 2 giugno 1999, ad opera dell’art. 87 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51).  Cass. civ. sez. III ord. 23 maggio 2002, n. 7566

Il criterio per la determinazione della competenza va fissato in base non solo all’oggetto della domanda proposta dall’attore, ma anche ai fatti posti a fondamento di esse, indipendentemente dalla loro fondatezza, senza che abbiano, a tal fine, rilevanza le contestazioni formulate dal convenuto e le diverse prospettazioni dei fatti da esso avanzate. Unico limite alla rilevanza dei fatti prospettati dall’attore, ai fini della determinazione della competenza, è costituito da una eventuale prospettazione artificiosa (cioè finalizzata a sottrarre la controversia al giudice precostituito per legge) o prima facie infondata. Ne consegue che nell’ipotesi in cui l’attore, qualificandosi come «consumatore», agisca per far valere un diritto previsto dal D.L.vo n. 50 del 1992, la competenza territoriale a decidere la controversia è da attribuire inderogabilmente al giudice del luogo di residenza o di domicilio dell’attore (in applicazione dell’art. 12 del citato D.L.vo n. 50 del 1992), indipendentemente dalla fondatezza o meno della prospettazione relativa alla qualificabilità dello stesso come consumatore, potendo giungersi ad un diverso risultato solo nell’ipotesi in cui tale prospettazione risulti artificiosa o prima facie infondata. (Nella specie la Suprema Corte ha accolto una istanza di regolamento necessario di competenza precisando che, essendo stato il giudizio instaurato per far valere un pretesto diritto di recesso dal contratto ex art. 4, D.L.vo n. 50 del 1992, l’adito giudice del luogo di residenza dell’attore non avrebbe potuto dichiarare la propria incompetenza territoriale (considerando operativa la clausola di deroga convenzionale del foro) basandosi sul rilievo che l’attore non era qualificabile come consumatore, in quanto la relativa prospettazione contenuta nell’atto introduttivo del giudizio non era da ritenere prima facie infondata). Cass. civ. sez. III 1 dicembre 2000, n. 15367

In tema di radiodiffusione sonora, la cognizione della controversia possessoria promossa, anteriormente alla entrata in vigore della legge 6 agosto 1990, n. 223, a tutela del preuso di una determinata frequenza, spetta alla cognizione del giudice ordinario, a nulla rilevando che, nelle more del giudizio, sopravvenuta detta legge, il convenuto abbia ottenuto provvedimento di concessione per la radiodiffusione sonora, atteso che, ai sensi del testo originario – e ratione temporis applicabile – dell’art. 5 c.p.c., la giurisdizione si determina con riguardo allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda e non hanno rilevanza rispetto ad essa i successivi mutamenti dello stato medesimo.  Cass. civ. Sezioni Unite, 12 dicembre 2001, n. 15712

In tema di espropriazione eseguita nel quadro del programma straordinario per l’edilizia residenziale di Napoli, l’opposizione alla stima dell’indennità spetta alla Giunta speciale per le espropriazioni presso la Corte d’appello di Napoli, salvo che la determinazione della medesima sia frutto di accordo amichevole e sorga controversia riguardo alla valutazione ed interpretazione del patto di concordamento; peraltro, il concordamento stipulato successivamente all’introduzione del giudizio innanzi alla Giunta dà luogo ad un mutamento dello stato di fatto, che, ai sensi dell’art. 5 c.p.c., non rileva rispetto alla giurisdizione come originariamente determinata.  Cass. civ., Sezioni Unite, 20 giugno 2000, n. 453

L’articolo 5 c.p.c., che prevede che la competenza si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, va interpretato nel senso che a questa non equivale l’introduzione dell’impugnazione, conseguentemente la sopravvenienza, in corso di causa, di una disposizione che individua in un diverso giudice quello dell’impugnazione, senza incidere sulla tipologia di essa, non assume rilievo sulla controversia pendente, che resta devoluta – quanto alla fase di gravame – alla cognizione del giudice “ab origine” individuato, fatta eccezione per il solo caso di soppressione dell’ufficio giudiziario al tempo competente a conoscere dell’impugnazione, dovendo in tale ipotesi, farsi riferimento al nuovo giudice, al quale le funzioni dell’ufficio soppresso siano state attribuite. (Nella specie, era stata appellata, di fronte al Tribunale di Napoli Nord, una sentenza pubblicata prima del 13 settembre 2013, data di efficacia dell’istituzione di detto tribunale, emessa dal Giudice di Pace di Aversa, per la quale sarebbe stato competente, al momento della pronuncia, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere; in applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza di appello – che aveva dichiarato inammissibile il gravame escludendo la “translatio iudicii” – e rinviato la causa al tribunale preesistente).  Cass. civ. sez. VI, 29 novembre 2017, n. 28468

Le norme sopravvenute in corso di giudizio che modifichino la giurisdizione e la competenza trovano applicazione anche nei giudizi pendenti se tale giurisdizione o competenza venga, per l’effetto, attribuita ai giudici dinanzi ai quali la causa pende, ovvero dinanzi ai quali la causa stessa dovrebbe essere ripresa o riassunta se fosse dichiarato che, al momento della domanda, essi mancavano della giurisdizione o della competenza che hanno esercitato. (Principio affermato con riferimento a controversia nella quale si disputava originariamente se le domande rientrassero nella competenza per valore del tribunale ovvero del pretore, essendo entrate in vigore, nelle more, le norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado).  Cass. civ., sez. , II, , 9 giugno 2010, n. 13882; Cass. civ. sez. III, 9 aprile 2001,n. 5279. 

Il momento determinativo della competenza va fissato, ai sensi dell’art. 5 cod. proc. civ., sulla base della legge vigente e dello stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda; ne consegue che, sull’opposizione ad ordinanza ingiunzione riguardante una violazione amministrativa in materia di igiene di alimenti e bevande, proposta successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 507 del 1999, è competente il tribunale e non il giudice di pace, ai sensi dell’art. 22 bis legge n. 689 del 1981, aggiunto per effetto della citata innovazione legislativa, in quanto ai fini dell’individuazione dell’organo giudiziario competente non deve farsi riferimento al momento della commissione o dell’accertamento della violazione amministrativa, ma al momento della proposizione dell’opposizione al provvedimento di applicazione della sanzione, che rappresenta la domanda ed il radicamento della controversia davanti al giudice. (Nella fattispecie, la Corte ha cassato la pronuncia del giudice di pace, in quanto sia l’ordinanza ingiunzione sia l’opposizione erano successive alla novella normativa in materia di competenza). Cass. civ., sez. II, , 14 gennaio 2009, n. 753

Il principio sancito dall’art. 5 c.p.c., secondo cui i mutamenti di legge intervenuti nel corso del giudizio non assumono rilevanza ai fini della giurisdizione, la quale si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, si riferisce esclusivamente all’effetto abrogativo determinato dal sopravvenire di una nuova legge, e non anche all’effetto di annullamento dipendente dalle pronunce di incostituzionalità: esse, infatti, a norma dell’art. 136 Cost., dell’art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 e della legge di attuazione 11 marzo 1953, n. 87, impediscono al giudice di tenere conto della norma dichiarata illegittima ai fini della decisione sulla giurisdizione, la quale non si risolve nella mera constatazione di un evento già verificatosi, ma implica lo svolgimento di un’attività valutativa sul contenuto della norma dichiarata incostituzionale e sulla sua pertinenza al caso di specie. Tale efficacia retroattiva, che si arresta esclusivamente di fronte al giudicato o al decorso dei termini di prescrizione o decadenza stabiliti per l’esercizio di determinati diritti, non contrasta con il principio costituzionale di ragionevole durata del processo, in quanto l’opportunità di evitare lo spreco di attività conseguente alla rinnovazione del processo non può prevalere sull’esigenza di evitare, a tutela del diritto di difesa del convenuto, l’esercizio di un potere giurisdizionale che, in relazione ad una determinata controversia, sia stato ritenuto contrario alla Costituzione. (Principio enunciato dalla S.C. in riferimento all’applicabilità, ai fini del riparto di giurisdizione in una controversia relativa al pagamento di prestazioni sanitarie erogate da una struttura privata in regime di accreditamento con il Servizio Sanitario Nazionale, dell’art. 33 del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80, nel testo sostituito dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, con cui ne è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale).  Cass. civ. Sezioni Unite, 13 febbraio 2007, n. 3046; Cass., Sezioni Unite, 21 dicembre 2004, n. 23645; Cass., Sezioni Unite, 16 novembre 2004, n. 21635; Cass. civ., Sezioni Unite, 16 luglio 2008, n. 19495; Cass. civ., Sezioni Unite, 2 dicembre 2008, n. 28545.

Per effetto della nuova formulazione dell’art. 5 c.p.c. (conseguente alla sua sostituzione ad opera dell’art. 2 della legge n. 353 del 1990) il momento determinativo della giurisdizione va fissato non soltanto con riguardo allo stato di fatto esistente al tempo della proposizione della domanda (come sancito dalla norma nella sua precedente versione), ma anche con riferimento alla legge vigente in quel momento, senza che possano, successivamente, rilevare i mutamenti tanto dello stato di fatto quanto delle norme (eventualmente) sopravvenute, dovendosi ritenere esteso anche allo ius superveniens il principio della perpetuatio della giurisdizione, in precedenza non applicabile ai mutamenti di diritto modificativi di essa, ovvero incidenti, in qualche misura, sui suoi criteri determinativi. Con tale previsione il legislatore ha inteso, in realtà, perseguire l’obiettivo di conservare la giurisdizione del giudice correttamente adito in base alla legge applicabile al momento della proposizione della domanda giudiziale, sottraendola a successive diverse scelte legislative, senza peraltro incidere sul più generale principio dell’immediata operatività, in materia processuale, della legge sopravvenuta (pure con riguardo alla giurisdizione), quando valga invece a radicare la giurisdizione presso il giudice dinanzi al quale sia stato comunque già promosso il giudizio. Cass. civ. Sezioni Unite, 20 settembre 2006, n. 20322

Il canone generale dell’art. 5 c.p.c. (come riformulato dall’art. 2 della legge 26 novembre 1990, n. 353), secondo cui non è influente sulla giurisdizione il mutamento della legge intervenuto successivamente alla domanda, esige, in fase di composizione del conflitto tra giudice ordinario e giudice speciale ex art. 362 c.p.c., il riferimento alla legge in vigore al momento della prima iniziativa processuale, ove la seconda, pur aprendo un autonomo procedimento, esprima mera reiterazione della stessa domanda, in conformità della decisione del giudice in precedenza adito, atteso che l’indicato momento segna l’effettiva apertura del dibattito, successivamente spostatosi in una sede diversa per ragioni esclusivamente inerenti alla questione di giurisdizione.  Cass. civ., Sezioni Unite, , 7 febbraio 2002, n. 1734

Per effetto del disposto dell’art. 5, nuovo testo, c.p.c., il momento determinativo della giurisdizione va fissato non soltanto con riguardo allo stato di fatto esistente al tempo della proposizione della domanda (come sancito dalla norma nella sua precedente formulazione), ma anche con riferimento alla legge vigente in quel momento, senza che possano, successivamente, rilevare i mutamenti tanto dello stato di fatto quanto delle norme (eventualmente) sopravvenute, dovendosi oggi ritenere esteso anche allo ius superveniens il principio della perpetuatio della giurisdizione, in precedenza non applicabile ai mutamenti di diritto modificativi di essa, ovvero incidenti, in qualche misura, sui suoi criteri determinativi.  Cass. civ., Sezioni Unite, 1° luglio 1997, n. 5899

Il principio sancito dall’art. 5 c.p.c., alla stregua del quale la giurisdizione si determina «con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda» trova la sua ragion d’essere in esigenze di economia processuale e riceve applicazione solo nel caso di sopravvenuta carenza della giurisdizione del giudice adito. Ne deriva che la sostituzione dell’art. 33 del D.L.vo n. 80 del 1998 con l’art. 7 della legge n. 205 del 2000 (in dipendenza degli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 292 del 2000) non ha comportato che alle norme nuovamente dettate sia stata attribuita un’efficacia retroattiva, con la conseguenza che esse sono entrate in vigore il 10 agosto 2000 e, in virtù del citato art. 5 del codice di rito, non possono valere a spostare la giurisdizione dal giudice ordinario a quello amministrativo nelle cause già pendenti davanti al primo alla data di entrata in vigore della legge. Cass. civ., Sezioni Unite, 20 settembre 2006, n. 20315

La norma transitoria prevista dall’art. 69, comma settimo, del D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165, rappresenta certamente una deroga al disposto dell’art. 5 c.p.c., ma solo nel senso che non è sufficiente instaurare una controversia in sede di giurisdizione ordinaria dopo la data del 30 giugno 1998 per escludere la giurisdizione amministrativa esclusiva in materia di rapporto di lavoro pubblico, occorrendo anche che le questioni dedotte in giudizio siano attinenti al periodo di lavoro successivo alla predetta data. Per le controversie instaurate prima, in sede di giurisdizione amministrativa, opera integralmente il disposto del citato art. 5 c.p.c., secondo il quale la giurisdizione è determinata con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, senza che possano rilevare i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo.  Cass. civ. Sezioni Unite, 6 luglio 2006, n. 15344

La trasformazione del rapporto di lavoro privatistico in rapporto di pubblico impiego, sopravvenuta (nella specie, per effetto della L. 24 dicembre 1979, n. 653) all’instaurazione del giudizio, non è idonea, stante il principio della perpetuatio iurisdictionis, a devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la causa già incardinata presso il giudice ordinario, il cui potere di cognizione permane, comunque, con riguardo a pretese che, attenendo esclusivamente al periodo anteriore alla detta trasformazione, si esauriscono nell’ambito dell’originario rapporto privatistico. Cass. civ. Sezioni Unite, 23 agosto 1990, n. 8573

Si vedano anche, con riguardo a controversie di lavoro, sub art. 413, par. e), e sub art. 428, par. a), in fine. Vedi, inoltre, con riguardo ad ipotesi di conflitto, Cass. lav., 1 giugno 1993, n. 461

In materia processuale, la legge sopravvenuta ha immediata operatività (anche con riguardo alla giurisdizione o alla competenza) quando valga a radicare la competenza presso il giudice davanti al quale sia stato comunque promosso il giudizio, poiché in tal caso sussistono ragioni di economia processuale che giustificano la deroga all’art. 5 c.p.c.; pertanto, in tema di sanzioni amministrative concernenti la violazione finanziaria disciplinata dall’art. 195 del d.l.vo 24 febbraio 1998, n. 58, a seguito della modifica introdotta dall’art. 16 del d.l.vo 17 settembre 2007, n. 164, sussiste, nel caso di violazione commessa da persona fisica, anche la competenza del giudice del luogo di domicilio dell’autore di essa, davanti al quale deve essere giudicata l’opposizione ivi già proposta in epoca antecedente la citata modifica legislativa. Cass. civ. sez. II, 16 luglio 2010, n. 16667

Il principio sancito dall’art. 5 cod. proc. civ., alla stregua del quale la giurisdizione si determina “con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda”, trova la sua ragion d’essere in esigenze di economia processuale e riceve applicazione solo nel caso di sopravvenuta carenza della giurisdizione del giudice adito e non anche quando il mutamento dello stato di fatto e di diritto comporti l’attribuzione della giurisdizione al giudice che ne era privo, dovendosi in questo caso confermare la giurisdizione di esso. Pertanto, nel caso in cui il giudice amministrativo sia stato adito con domanda di risarcimento danni da occupazione appropriativa allorché (nella specie, nel luglio 2000), ai sensi dell’art. 34 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, apparentemente era fornito di giurisdizione esclusiva, venuta meno con effetto retroattivo in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 281 del 2004 (dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 34), la sua giurisdizione esclusiva dev’essere confermata, per essergli stata, in pendenza del giudizio, nuovamente attribuita, a seguito della sostituzione del citato art. 34 operata dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205, essendo stato dotato dalla nuova legge, al momento della pronuncia, del potere di decidere sulla domanda.  Cass. civ. Sezioni Unite, ord. 16 aprile 2009, n. 8999

L’art. 5 c.p.c., anche nel testo novellato dall’art. 2 della legge 26 novembre 1990, n. 353, che esclude la rilevanza dei mutamenti in corso di causa della legge – oltre che dello stato di fatto – in ordine alla determinazione della competenza, va interpretato in conformità alla sua ratio che è quella di favorire, non già di impedire, la perpetuatio iurisdictionis sicché, ove sia stato adito un giudice incompetente al momento della proposizione della domanda, non può l’incompetenza essere dichiarata se quel giudice sia diventato competente in forza di legge entrata in vigore nel corso del giudizio. (Fattispecie relativa a un giudizio di risarcimento danni in cui, tra gli altri, era stata convenuta anche l’ANAS; la S.C., rilevato che la trasformazione dell’ANAS in ente pubblico economico, con conseguente sottrazione al foro erariale delle controversie in cui il predetto ente è convenuto, disposta con D.L.vo n. 143 del 1994, ha avuto luogo con d.p.c.m. 26 luglio 1995 e, quindi, in data successiva alla notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, ha dichiarato la competenza del tribunale adito, inizialmente privo della stessa ma diventato competente nel corso del giudizio per l’intervenuto mutamento legislativo).  Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2008, n. 857

In materia di integrazione salariale, le posizioni di diritto soggettivo nascenti, a favore dei privati, dal provvedimento di ammissione dell’impresa alla cassa integrazione guadagni degradano, di nuovo, a posizioni di interesse legittimo – con conseguente devoluzione delle relative controversie al giudice amministrativo – qualora intervengano atti amministrativi di annullamento o di revoca di tale provvedimento, trattandosi di atti che sono espressione del potere discrezionale esercitato dall’Amministrazione nell’ambito della tutela dell’interesse pubblico ad essa affidato. Qualora il provvedimento di ritiro intervenga (come nella specie) nel corso di un giudizio che la parte privata abbia instaurato correttamente – in quanto titolare di un pregresso diritto soggettivo – dinanzi al giudice ordinario, viene a radicarsi la giurisdizione e la competenza a decidere la controversia da parte dello stesso giudice, ai sensi dell’art. 5 c.p.c. Ove venga denunciata davanti al medesimo giudice l’illegittimità del provvedimento sopravvenuto, non può venire in questione l’istituto della disapplicazione, poiché ciò che, sostanzialmente, diviene oggetto di discussione è l’esercizio del potere di autotutela e oggetto dell’azione del privato è non già la tutela di una sua posizione di diritto soggettivo tuttora perdurante ma la rimozione dell’atto amministrativo (di annullamento o di revoca), di modo che sia reintegrata, a tutti gli effetti, la posizione di diritto soggettivo (venuta meno) della quale era precedentemente titolare. In tale contesto, pertanto, il giudice ordinario non può dichiarare il proprio difetto di giurisdizione, ma solo decidere sulla base della situazione attuale di fatto e di diritto (sopravvenuto annullamento o revoca del decreto di concessione della C.I.G. e, dunque, insussistenza in capo al privato delle posizioni di diritto soggettivo delle quali chiede la tutela sulla base del provvedimento autorizzativo), salva l’eventuale sospensione del processo, ex art. 295 c.p.c., in caso di avvenuta impugnazione dell’atto di annullamento (o di revoca) dinanzi al giudice amministrativo. Cass. civ., sez. lav., 27 gennaio 2006, n. 1732

L’irrilevanza, ai fini della giurisdizione, dei mutamenti legislativi successivi alla proposizione della domanda, sancita dall’art. 5 c.p.c., opera nel caso in cui il sopravvenuto mutamento dello stato di diritto privi il giudice della giurisdizione che egli aveva quando la domanda è stata introdotta, non già nel caso, inverso, in cui esso comporti l’attribuzione della giurisdizione al giudice che ne era inizialmente privo; a quest’ultimo riguardo è indifferente che la norma attributiva sopravvenga nel corso del giudizio di appello, in ogni caso trovando applicazione il principio della perpetuatio iurisdictionis di cui il citato art. 5 è espressione. (Principio espresso in relazione alla nuova disciplina di cui all’art. 9 del decreto legge 3 aprile 1995, n. 101, che ha equiparato, ai fini della tutela giurisdizionale, le concessioni in materia di lavori pubblici agli appalti). * , Cass. civ., , Sezioni Unite, , 19 febbraio 2002, n. 2415, , Amm. infrastrutture e dei trasporti c. Società Adriatica Costruzioni Ancona a rl ed altre.. Conformi, sul principio generale: Cass., Sezioni Unite, 13 settembre 2005, n. 18126; Cass., Sezioni Unite, 7 marzo 2005, n. 4820; Cass., Sezioni Unite, ord. 12 novembre 2002, n. 15885. Nello stesso senso, Cass. civ., sez. II, 8 ottobre 2014, n. 21221.

A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 31 bis della L. 11 febbraio 1994, n. 109 (introdotto dall’art. 9 del D.L. 3 aprile 1995, n. 101, convertito con modificazioni nella L. 2 giugno 1995, n. 216), le controversie relative alla concessione di sole costruzioni di opere pubbliche sono assoggettate agli ordinari criteri di riparto giurisdizionale in tema di appalto di opere pubbliche e sono pertanto devolute alla giurisdizione del giudice ordinario quando si controverta su posizioni di diritto soggettivo; poiché esigenze di economia processuale impongono di attribuire rilevanza alla giurisdizione (così come alla competenza) sopravvenuta anche alla luce del nuovo testo dell’art. 5 c.p.c. (come risultante dalla L. n. 353 del 1990), in caso di giudizio su diritti pendente alla data di entrata in vigore dell’art. 31 bis citato innanzi al giudice ordinario, questi, sebbene originariamente sfornito di giurisdizione, non deve dichiararne il difetto ma decidere nel merito dato il sopravvenire per effetto della nuova legge di un criterio di collegamento tra la controversia e l’ufficio giudiziario adito. Cass. civ., , Sezioni Unite, , 27 luglio 1999, n. 516 . Conforme, Cass. civ., 12 giugno 1997, n. 5299.

Istituti giuridici

Novità giuridiche