Il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionare la gravità dell’illecito accertato rientra nel potere di organizzazione dell’impresa quale esercizio della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., onde è riservato esclusivamente al titolare di esso; ne consegue che è precluso al giudice, chiamato a decidere circa la legittimità di una sanzione irrogata, esercitarlo anche solo procedendo ad una rideterminazione della sanzione stessa riducendone la misura. Solo nel caso in cui l’imprenditore abbia superato il massimo edittale e la riduzione consista, perciò, soltanto in una riconduzione a tale limite, ovvero nel caso in cui sia lo stesso datore di lavoro, costituendosi nel giudizio di annullamento della sanzione, a chiederne la riduzione, è consentito al giudice, in accoglimento della domanda del lavoratore, applicare una sanzione minore, poiché in tal modo non è sottratta autonomia all’imprenditore e si realizza l’economia di un nuovo ed eventuale giudizio valutativo, avente ad oggetto la sanzione medesima. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la società datrice, mediante la generica richiesta di una “valutazione anche diversa della congruità della sanzione rispetto al fatto” – priva di indicazione circa la diversa misura disciplinare irrogabile in via alternativa -, avesse demandato al giudice una valutazione discrezionale di proporzionalità tra condotta e sanzione da irrogare, e, quindi, in concreto, la scelta della misura disciplinare da adottare, così in sostanza sollecitando l’esercizio di quel potere disciplinare che è invece precluso al giudice). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 3896 del 11 febbraio 2019
Nel rito cd. Fornero, in caso di soccombenza reciproca nella fase sommaria e di opposizione di una sola delle parti, l’altra parte può riproporre nella fase a cognizione piena, con la memoria difensiva, le domande e le eccezioni non accolte, anche dopo la scadenza del termine per presentare autonoma opposizione e senza necessità di formulare una domanda riconvenzionale con relativa istanza di fissazione di una nuova udienza ai sensi dell’art. 418 c.p.c., atteso che l’opposizione non ha natura impugnatoria, ma produce la riespansione del giudizio, chiamando il giudice di primo grado ad esaminare l’oggetto dell’originaria impugnativa di licenziamento nella pienezza della cognizione integrale. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 30443 del 23 novembre 2018
La decadenza prevista dall’art. 418 c.p.c. per la mancata proposizione dell’istanza di fissazione di nuova udienza relativamente alla domanda riconvenzionale non esclude che quest’ultima, seppure dichiarata inammissibile, possa essere riproposta in altro giudizio, sia per la natura processuale della suddetta previsione, sia per la natura autonoma della domanda in questione, diretta non ad ottenere il rigetto della pretesa avversaria ma una diversa pronuncia giurisdizionale a sé favorevole. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 18125 del 15 settembre 2016
In un giudizio promosso dal datore di lavoro, avente ad oggetto la domanda di accertamento negativo rispetto al verbale ispettivo emesso dal competente Istituto previdenziale per omessa contribuzione, qualora l’Istituto articoli la propria difesa non solo in via di eccezione, ma anche spiegando domanda riconvenzionale basata sulle circostanze poste a fondamento della pretesa contributiva di cui al verbale medesimo, l’inammissibilità della domanda riconvenzionale, ai sensi dell’art. 418 c.p.c., non determina l’inammissibilità delle relative richieste istruttorie formulate, in quanto le stesse attengono necessariamente alla complessiva posizione difensiva dell’Istituto medesimo. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 16457 del 27 settembre 2012
Alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 13 del 1977 e con le successive ordinanze nn. 36 e 64 del 1978, nel rito del lavoro, l’attore convenuto in via riconvenzionale ha gli stessi poteri e correlativamente incorre nelle stesse preclusioni che l’art. 416 c.p.c.prevede per il convenuto in via principale, con la differenza che il termine di riferimento per l’attore convenuto in riconvenzione non è l’udienza di discussione fissata ex art. 415 c.p.c., bensì la nuova udienza da fissarsi in base al meccanismo previsto dall’art. 418 dello stesso codice. Ne consegue che il convenuto in riconvenzionale non ha diritto ad ottenere un nuovo termine per la formulazione dei mezzi di prova, oltre la nuova udienza prevista dall’art. 418 c.p.c. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 22289 del 21 ottobre 2009
Nel rito del lavoro, l’onere di chiedere al giudice l’emissione di un nuovo decreto di fissazione dell’udienza, posto dall’art. 418 cod. proc. civ., a pena di decadenza, a carico del convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale, si applica anche nei confronti del terzo chiamato in causa, che, con la memoria di costituzione, abbia proposto una autonoma domanda riconvenzionale nei confronti di una delle parti in giudizio. (Nella specie, la S.C., nel cassare la sentenza impugnata, ha rilevato che l’INPS, chiamato in causa dal ricorrente dopo la costituzione del convenuto, oltre ad aderire alla domanda attorea di accertamento della natura subordinata del rapporto, aveva chiesto la condanna del convenuto al pagamento delle omissioni contributive, senza, tuttavia, chiedere la fissazione di una nuova udienza ed incorrendo, quindi, nella relativa decadenza processuale). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 20176 del 22 luglio 2008
Nelle controversie soggette al rito di cui agli artt. 409 e segg. c.p.c. l’inosservanza dell’onere, posto dall’art. 418 c.p.c. a carico del convenuto, di chiedere la fissazione di una nuova udienza comporta la decadenza dalla riconvenzionale e l’inammissibilità di questa, decadenza che non è sanata dall’emissione da parte del giudice, in difetto della specifica istanza, del decreto di fissazione della nuova udienza o dall’accettazione del contraddittorio ad opera della controparte o per aver quest’ultima sollevato l’eccezione esclusivamente nel corso del giudizio di appello e che, attenendo alla regolarità del contraddittorio, è rilevabile anche d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo; tale principio trova applicazione anche qualora la domanda riconvenzionale sia proposta dall’attore nei confronti del convenuto (cosiddetta reconventio reconventionis), atteso che una corretta lettura dello stesso art. 418 c.p.c. impone di ritenere che in tal caso l’attore è soggetto agli stessi obblighi e alle medesime preclusioni previste per il convenuto che proponga una domanda riconvenzionale. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 23815 del 16 novembre 2007
Nel rito del lavoro, l’inosservanza da parte del convenuto, che abbia ritualmente proposto, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., domanda riconvenzionale, del disposto di cui al primo comma dell’art. 418 c.p.c. — il quale impone, a pena di decadenza dalla domanda riconvenzionale medesima, di chiedere al giudice, con apposita istanza contenuta nella memoria di costituzione in giudizio, di emettere ulteriore decreto per la fissazione della nuova udienza — non determina la decadenza stabilita ex lege qualora l’attore ricorrente compaia all’udienza originariamente stabilita ex art. 415 c.p.c. ovvero alla nuova udienza di cui all’art. 418 c.p.c. eventualmente fissata d’ufficio dal giudice, senza eccepire l’irritualità degli atti successivi alla riconvenzione ed accettando il contraddittorio anche nel merito delle pretese avanzate con la stessa domanda riconvenzionale. Infatti, osta ad una declaratoria di decadenza sia la rilevanza da riconoscere, ai sensi dell’art. 156, terzo comma, c.p.c., alla realizzazione della funzione dell’atto, sia il difetto di eccezione della sola parte che, in forza dell’art. 157, secondo comma, c.p.c., sarebbe legittimata a far valere il vizio, essendo appunto quella nel cui interesse è stabilita la decadenza stessa, dovendosi inoltre escludere che l’istanza di fissazione dell’udienza rappresenti un elemento costitutivo della domanda riconvenzionale (tale che in suo difetto non possa neppure reputarsi proposta la domanda stessa), giacché l’istanza di fissazione concerne la vocatio in jus ed è, perciò, «esterna» rispetto alla proposizione della riconvenzionale, la quale, ai sensi dell’art. 416, secondo comma, c.p.c., si realizza con la editio actionis. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 16955 del 1 agosto 2007
In tema di formalità di proposizione della domanda riconvenzionale nelle controversie soggette al rito del lavoro o alle quali tale rito si estenda, qualora la controversia principale sia stata erroneamente introdotta con il rito ordinario e venga disposto il cambiamento del rito ed il passaggio al rito speciale dallo stesso giudice adito oppure, per il caso di incompetenza di questi, le parti vengano rimesse avanti al giudice competente e la causa venga riassunta con le forme del rito speciale, il mantenimento della domanda riconvenzionale, già proposta anteriormente al cambiamento del rito o alla detta rimessione, non esige da parte del convenuto l’istanza di fissazione della nuova udienza ai sensi del primo comma dell’art. 418 c.p.c. Tale istanza, viceversa, è necessaria allorquando la proposizione della riconvenzionale avvenga dopo il cambiamento del rito disposto dal giudice adito con il rito ordinario ovvero nella fase di riassunzione, a seguito della declinatoria della competenza da parte di quel giudice, in quanto soltanto in questo caso ricorre l’esigenza cui è funzionale la previsione dell’obbligo di formulare l’istanza, cioè quella di garantire l’utile svolgimento del contraddittorio sulla riconvenzionale in ragione del regime delle preclusioni proprio del rito speciale, contraddittorio che nell’altra ipotesi invece ha già avuto corso. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 10335 del 17 maggio 2005
Nel rito del lavoro, l’onere di chiedere al giudice l’emissione di un nuovo decreto di fissazione dell’udienza, posto dall’art. 418 c.p.c., a pena di decadenza, a carico del convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale, non rispondendo in maniera specifica ed infungibile ad un’esigenza di carattere generale (tant’è che non è previsto incombente analogo nel rito ordinario), costituisce previsione a carattere eccezionale, non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica; tale onere deve pertanto ritenersi sussistente solo nell’ipotesi di domanda riconvenzionale in senso tecnico (ossia di domanda proposta dal convenuto nei confronti dell’attore) e non in tutte le ipotesi di proposizione di qualsivoglia domanda diversa da quella dell’originario attore nei confronti dell’originario convenuto, tant’è che, anche nel rito del lavoro, in ipotesi di chiamata in causa di terzo, non è previsto a pena di decadenza l’onere per il chiamante di richiedere al giudice la fissazione di una nuova udienza. (Nella specie, la S.C. ha escluso che l’onere previsto dall’art. 418 c.p.c. fosse estensibile all’ipotesi di domanda in via di regresso proposta da un convenuto nei confronti di altro convenuto). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 12300 del 21 agosto 2003
Nel rito del lavoro, non determina nullità la mancata comunicazione al convenuto, che abbia proposto domanda riconvenzionale, della data fissata per la nuova udienza ai sensi dell’art. 418 c.p.c., considerato che tale comunicazione non è richiesta da alcuna disposizione di legge e che per il convenuto — il quale, a pena di decadenza, ha l’onere di chiedere tale nuova fissazione di udienza — non esorbita dall’ordinaria diligenza dover prendere conoscenza dell’esecuzione dell’adempimento da lui stesso richiesto e per il quale la legge fissa uno specifico termine. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 4347 del 19 aprile 1995
Nel rito del lavoro, l’inosservanza del convenuto, il quale formuli domanda riconvenzionale, all’onere di chiedere la fissazione di una nuova udienza, secondo le previsioni dell’art. 418, primo comma, c.p.c., implica decadenza, e, quindi, inammissibilità della domanda medesima, che è rilevabile anche d’ufficio ed in sede di legittimità. (Nella specie, le Sezioni Unite della suprema Corte, enunciando il riportato principio, hanno precisato che la parte attrice aveva sempre rifiutato il contraddittorio sulla domanda riconvenzionale, di modo che non occorreva prendere posizione sul problema della configurabilità, nell’eventuale accettazione del contraddittorio, di una situazione preclusiva al riscontro di detta decadenza). Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 13025 del 4 dicembre 1991
La richiesta in via subordinata, da parte del creditore convenuto in opposizione al decreto ingiuntivo, di una somma minore di quella originaria non costituisce domanda riconvenzionale, soggetta, nel rito del lavoro, al disposto dell’art. 418 c.p.c., atteso che nel giudizio di opposizione il creditore conserva, nonostante la sua veste formale di convenuto, il ruolo sostanziale di attore, restando per contro inammissibile un’eventuale modifica in aumento della somma originaria richiesta sotto il profilo della (mancata) osservanza dei requisiti stabiliti dall’art. 414 c.p.c. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 5648 del 11 giugno 1990
La distinzione tra eccezione riconvenzionale e domanda riconvenzionale risiede nel fatto che quest’ultima consiste in una controdomanda con la quale il convenuto non si limita a chiedere il rigetto della domanda dell’attore, ma chiede con effetto di giudicato un positivo accertamento del suo diritto, mentre la prima consiste in un mero strumento di difesa mirante ad elidere gli effetti della pretesa della parte attrice; consegue che solo nel primo caso trova applicazione l’art. 418 c.p.c. e quindi è necessaria l’istanza del convenuto diretta ad ottenere la fissazione di una nuova udienza. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 756 del 6 febbraio 1986
L’art. 418 c.p.c. sulla richiesta in caso di proposizione di domanda riconvenzionale di emissione di un nuovo decreto per la fissazione dell’udienza trova la sua specifica ragione nella necessità di provocare la modificazione di un provvedimento già in precedenza emesso, e di conseguenza non può trovare applicazione, neppure in via analogica, per l’atto di appello ove siffatto incombente non è prescritto dalla legge, e la cui proposizione si perfeziona con il deposito in cancelleria del relativo atto, il quale deve contenere le indicazioni previste dall’art. 434 c.p.c. modif. in relazione anche all’art. 414, restando la fissazione dell’udienza compito esclusivo del presidente del tribunale a norma dell’art. 415 dello stesso codice di rito. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 382 del 21 gennaio 1986
Nel rito del lavoro la necessità per il convenuto che agisce in riconvenzionale di chiedere — a pena di decadenza come espressamente sancisce l’art. 418 c.p.c. — che il giudice adito fissi una nuova udienza di discussione assolve alla funzione di consentire alla parte attrice convenuta in riconvenzionale di predisporre le proprie difese. Tale necessità invece non sussiste nel caso in cui, iniziato il giudizio con il rito ordinario e proposta in esso ritualmente e tempestivamente la domanda riconvenzionale, si sia già costituito il contraddittorio, mentre solo successivamente sia stata disposta la trasformazione del rito ex art. 426 c.p.c., giacché la posizione della parte attrice (come quella della parte convenuta) non può essere pregiudicata atteso che all’udienza di discussione fissata a norma del citato art. 426 entrambe le parti possono adeguare la rispettiva attività processuale alle regole del rito del lavoro senza che il convenuto che agisce in via riconvenzionale sia tenuto a chiedere lo spostamento dell’udienza di discussione predetta. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 5122 del 17 ottobre 1985
La domanda riconvenzionale in controversia che, benché soggetta al rito del lavoro, sia stata instaurata con quello ordinario ben può essere proposta, prima della trasformazione del rito disposta dal giudice, con lo stesso rito ordinario, con conseguente inoperatività per essa della decadenza collegata dall’art. 418, primo comma, c.p.c. all’omessa richiesta, da parte del convenuto, di fissazione di una nuova udienza di discussione. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 2026 del 27 marzo 1984
Nel caso in cui il giudice del lavoro ritenga di non dover dare corso alla domanda riconvenzionale del convenuto (per un qualsiasi motivo di forma o di sostanza) dichiarandola in limine litis inammissibile, e così ometta di provvedere alla fissazione di una nuova udienza ai sensi dell’art. 418 c.p.c., il processo non può che svolgersi secondo i tempi dell’iniziale decreto di fissazione d’udienza e con oggetto circoscritto alla domanda attorea; né il convenuto — che avrebbe avuto l’onere di rendersi parte diligente per conoscere la data della (eventuale) nuova udienza — può poi dolersi di aver ignorato la disposta inammissibilità della sua domanda riconvenzionale ed il conseguente mantenimento dell’udienza originariamente fissata. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 6090 del 18 ottobre 1983
Qualora la domanda riconvenzionale, nelle cause soggette al rito del lavoro, quali le controversie in tema di rapporti agrari, sia stata tempestivamente proposta dal convenuto in sede di costituzione, a norma dell’art. 416 c.p.c., l’eventuale inosservanza del disposto dell’art. 418 c.p.c., circa la fissazione di una nuova udienza per la discussione anche di tale domanda riconvenzionale e la notificazione all’attore del relativo provvedimento, resta irrilevante se l’attore stesso, all’udienza già fissata per la trattazione del suo ricorso, accetti il contraddittorio, chiedendo il rigetto delle pretese avversarie. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 4091 del 9 luglio 1982