Art. 346 – Codice di Procedura Civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte

Articolo 346 - codice di procedura civile

Le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello (342), si intendono rinunciate (329).

Articolo 346 - Codice di Procedura Civile

Le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello (342), si intendono rinunciate (329).

Massime

La pronuncia delle Sezioni Unite che componga il contrasto sull’interpretazione di una norma processuale non configura un’ipotesi di “overruling” avente il carattere di imprevedibilità e, di conseguenza, non costituisce presupposto per la rimessione in termini della parte che sia incorsa nella preclusione o nella decadenza. (Nella specie, la S.C. ha riformato la decisione impugnata che, in relazione ad una difesa di merito espressamente rigettata in primo grado, aveva ritenuto ammissibile la sua riproposizione in appello, ad opera della parte rimasta vittoriosa in prime cure, mediante un atto di gravame incidentale tardivo). Cassazione civile, Sez. VI-TRI, sentenza n. 23834 del 29 ottobre 2020

In materia di procedimento civile, in mancanza di una norma specifica sulla forma nella quale l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse; tuttavia, pur se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice. Cassazione civile, Sez. VI-III, ordinanza n. 22311 del 15 ottobre 2020

L’appellato che abbia ottenuto l’accoglimento della sua domanda principale nel giudizio di primo grado è tenuto, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c., a riproporre espressamente, in qualsiasi forma indicativa della volontà di sottoporre la relativa questione al giudice d’appello, la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, non potendo quest’ultima rivivere per il solo fatto che la domanda principale sia stata respinta dal giudice dell’impugnazione. (nella specie la S.C. ha ritenuto come rinunciata la domanda di protezione umanitaria non riproposta dal ricorrente in appello in un giudizio in cui il giudice di primo grado aveva accolto la sua richiesta di protezione umanitaria, ma la corte territoriale aveva poi riformato la decisione, negando la protezione sussidiaria e non pronunciando in materia di protezione umanitaria).  Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 13721 del 3 luglio 2020

 

Qualora la sentenza impugnata, nel definire il giudizio, abbia deciso esclusivamente una questione preliminare di rito i motivi di appello, che hanno la finalità di denunciare gli errori di diritto o l’ingiustizia della decisione, non possono concernere anche il merito della domanda che non ha formato oggetto della pronuncia, essendo al riguardo sufficiente che l’appellante abbia riproposto, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., la domanda non esaminata. Cassazione civile, Sez. V, sentenza n. 33580 del 18 dicembre 2019

Anche a fronte di una domanda di condanna in forma generica, il convenuto che assuma che il proprio debito sia in tutto o in parte prescritto ha l’onere di sollevare la relativa eccezione nei termini di legge, a pena di decadenza, e se non accolta, di reiterarla in appello, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.; ciò comporta che il giudice di primo grado ha l’obbligo di decidere su tale eccezione che integra una preliminare di merito, in quanto l’eventuale sussistenza della prescrizione fa venire meno ogni interesse della parte all’accertamento dell’esistenza del diritto azionato. Cassazione civile, Sez. Lavoro, ordinanza n. 20726 del 31 luglio 2019

Nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla l. n. 353 del 1990 e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel “thema probandum” e nel “thema decidendum” del giudizio di primo grado. Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 7940 del 21 marzo 2019

In tema di divieto di licenziamento per causa di matrimonio, la limitazione alle sole lavoratrici madri della nullità prevista dall’art. 35 del d.l.vo n. 198 del 2006 non ha natura discriminatoria, in quanto la diversità di trattamento non trova la sua giustificazione nel genere del soggetto che presta l’attività lavorativa, ma è coerente con la realtà sociale, che ha reso necessarie misure legislative volte a garantire alla donna la possibilità di coniugare il diritto al lavoro con la propria vita coniugale e familiare, ed è fondata su una pluralità di principi costituzionali posti a tutela dei diritti della donna lavoratrice. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 28926 del 12 novembre 2018

Il generico richiamo al contenuto degli scritti difensivi di primo grado non è idoneo a manifestare la volontà della parte di sottoporre nuovamente al giudice del gravame tutte le domande non accolte in primo grado e, quindi, a ritenere assolto l’onere previsto dall’art. 346 c.p.c. di specifica riproposizione in appello di quelle domande, a pena di rinuncia alle stesse. Cassazione civile, Sez. I, ordinanza n. 20520 del 3 agosto 2018

La sentenza d’appello che, in riforma quella di primo grado, faccia sorgere il diritto alla restituzione degli importi pagati in esecuzione di questa, non costituisce, in mancanza di un’espressa statuizione di condanna alla ripetizione di dette somme, titolo esecutivo, occorrendo all’uopo che il “solvens” formuli in sede di gravame – per evidenti ragioni di economia processuale ed analogamente a quanto disposto dagli artt. 96, comma 2 e 402, comma 1, c.p.c. – un’apposita domanda in tal senso, ovvero attivi un autonomo giudizio, tenendo conto che, ove si determini in quest’ultimo senso, non gli sarà opponibile il giudicato derivante dalla mancata impugnazione della sentenza per omessa pronuncia, perché la rinuncia implicita alla domanda di cui all’art. 346 c.p.c. ha valore processuale e non anche sostanziale. Cassazione civile, Sez. III, ordinanza n. 18062 del 10 luglio 2018

Qualora vi sia incompatibilità tra la domanda principale e quella subordinata proposte in primo grado (nella specie, rispettivamente, di costituzione di servitù coattiva di acquedotto e di accertamento della servitù di corrispondente contenuto fondata su titolo convenzionale), il rigetto della prima e l’accoglimento della seconda non precludono alla parte di ripresentare nel giudizio di impugnazione la domanda principale. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 23531 del 9 ottobre 2017

Una soccombenza soltanto teorica in primo grado – che ha luogo quando la parte, pur vittoriosa, abbia però visto respingere taluna delle sue tesi od eccezioni, ovvero accogliere le sue conclusioni per ragioni diverse da quelle prospettate – non fa sorgere l’interesse della stessa ad appellare, ma le impone unicamente l’onere di manifestare in maniera esplicita e precisa la propria volontà di riproporre le domande ed eccezioni respinte o dichiarate assorbite nel giudizio di primo grado, onde superare la presunzione di rinuncia e, quindi, la decadenza di cui all’art. 346 c.p.c. Cassazione civile, Sez. II, ordinanza n. 20451 del 28 agosto 2017

Allorché la parte abbia proposto, nello stesso giudizio, due o più domande alternative, ma tra loro compatibili, ovvero legate da rapporto di subordinazione, l’accoglimento della principale o della domanda alternativa compatibile non obbliga l’attore, che voglia insistere su quella non accolta, a proporre appello incidentale, essendone sufficiente la riproposizione ai sensi dell’art. 346 c.p.c.; diversamente, qualora si tratti di domande incompatibili, ovvero sia stata accolta la subordinata, l’attore che voglia insistere nella domanda alternativa incompatibile non accolta, ovvero nella domanda principale, ha l’onere di farlo mediante appello incidentale, eventualmente condizionato all’accoglimento del gravame principale, in quanto solo in tal modo può evitare la formazione del giudicato sull’accertamento dei fatti posti a fondamento della pretesa accolta ed incompatibili con quella disattesa. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 8674 del 4 aprile 2017

In caso di rigetto della domanda principale e conseguente omessa pronuncia sulla domanda condizionata di garanzia, la devoluzione di quest’ultima al giudice investito del gravame sulla domanda principale non richiede la proposizione di appello incidentale, essendo sufficiente la riproposizione della domanda, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.. (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia di merito, che aveva ritenuto necessaria la proposizione, da parte del convenuto vittorioso in prime cure, dell’appello incidentale per fare valere la garanzia per evizione nei confronti dei propri danti causa, nonostante la relativa domanda fosse rimasta assorbita in primo grado, in virtù del rigetto della domanda principale di usucapione). Cassazione civile, Sez. VI-II, ordinanza n. 832 del 16 gennaio 2017

In tema di appello, la presunzione di rinuncia alle domande ed eccezioni non accolte in primo grado, sancita dall’art. 346 c.p.c., non è impedita da un richiamo, del tutto generico, agli atti di quel grado, così da tradursi in una mera formula di stile, ma, ove ciò non sia accaduto e l’appellato abbia soltanto omesso di riproporre espressamente una determinata domanda, occorre tenere conto dell’intero contenuto delle sue difese e della posizione da lui complessivamente assunta, sicchè quando questi, con qualsiasi forma, abbia evidenziato la sua volontà di mantenere comunque ferma la propria domanda, sollecitando il giudice di secondo grado a decidere in merito, va escluso che vi abbia rinunciato. (Così statuendo, la S.C. ha ritenuto non configurabile la rinuncia in una fattispecie in cui il convenuto appellato, pur senza riproporre espressamente la domanda di manleva nei confronti del terzo chiamato, si era costituito resistendo non solo verso l’appellante principale, ma anche nei confronti del terzo, appellante incidentale). Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 413 del 11 gennaio 2017

L’eccezione di usucapione sollevata, ma non esaminata, in primo grado e non tempestivamente riproposta dall’appellato, non è rilevabile d’ufficio dal giudice del gravame, trattandosi di eccezione da ritenersi rinunciata, ex art. 346 c.p.c., in quanto fondata su una ragione del tutto autonoma e non su una mera difesa a sostegno del rigetto del gravame. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, a fronte di un’eccezione di usucapione assorbita in primo grado, a seguito del rigetto della domanda attorea di accertamento della proprietà, ma riproposta in appello solo con la comparsa conclusionale, l’aveva, ciononostante, esaminata ed accolta, ritenendo la relativa questione rilevabile d’ufficio in base alla considerazione per cui la “causa petendi” delle azioni a difesa della proprietà è rappresentata dal diritto e non dal titolo). Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 25345 del 12 dicembre 2016

Le istanze istruttorie non accolte in primo grado e reiterate con l’atto di appello, ove non siano state riproposte in sede di precisazione delle conclusioni, sia in primo grado che nel giudizio di gravame, devono reputarsi rinunciate, a prescindere da ogni indagine sulla volontà della parte interessata, così da esonerare il giudice del gravame dalla valutazione sulla relativa ammissione o dalla motivazione in ordine alla loro mancata ammissione. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 16886 del 10 agosto 2016

Nel caso di assorbimento cd. improprio, ricorrente nel caso di rigetto di una domanda in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo che rende vano esaminare le altre, sul soccombente non grava l’onere di formulare sulla questione assorbita alcun motivo di impugnazione, ma è sufficiente, per evitare il giudicato interno, che censuri o la sola decisione sulla questione giudicata di carattere assorbente o la stessa statuizione di assorbimento, contestando i presupposti applicativi e la ricaduta sulla effettiva decisione della causa. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in ragione del gravame proposto, involgente il diritto dell’appaltatore al compenso, aveva riesaminato l’intera vicenda processuale, ivi comprese le eccezioni ritenute assorbite in primo grado, tra le quali quella di decadenza dell’appaltatore). Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 14190 del 12 luglio 2016

L’appellato che ha visto accogliere nel giudizio di primo grado la sua domanda principale è tenuto, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 cod. proc. civ., a riproporre espressamente, in qualsiasi forma indicativa della volontà di sottoporre la relativa questione al giudice d’appello, la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, non potendo quest’ultima rivivere per il solo fatto che la domanda principale sia stata respinta dal giudice dell’impugnazione. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 7457 del 14 aprile 2015

Quando è proposta domanda di risoluzione per inadempimento, subordinatamente a quelle di nullità e di annullamento del contratto, ed è inoltre formulata “in ogni caso” specifica domanda di risarcimento, l’accoglimento in primo grado della principale, con rigetto della richiesta risarcitoria, consente di riproporre in appello, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., la domanda subordinata, perché assorbita nell’accoglimento di quella principale, ma non anche la risarcitoria, rispetto alla quale l’avvenuta soccombenza richiede la proposizione di un tempestivo appello incidentale. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 26159 del 12 dicembre 2014

In caso di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su un punto della domanda, l’appellante, ai fini della specificità del motivo di gravame, deve soltanto reiterare la richiesta non esaminata in prime cure. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza con cui la corte d’appello, a fronte dell’omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado, aveva ritenuto nullo l’atto di appello nel quale la parte si era limitata ad insistere per l’accoglimento della domanda non esaminata, senza formulare un apposito motivo di impugnazione). Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 9485 del 30 aprile 2014

Qualora l’appellato miri all’accoglimento della propria domanda nei confronti del chiamato in garanzia, per l’ipotesi in cui venga accolta la domanda principale proposta nei suoi confronti dall’attore rimasto soccombente in primo grado, non è necessaria la proposizione di appello incidentale condizionato, essendo sufficiente la riproposizione, ex art. 346 cod. proc. civ., della domanda non esaminata dal primo giudice per essere stata respinta la domanda principale, in quanto la parte vittoriosa in primo grado non ha motivo di dolersi dell’impugnata sentenza né dispone di elementi sui quali fondare le proprie censure sicché non può che limitarsi, per superare la presunzione di rinunzia, a riproporre la domanda di garanzia non esaminata, ancorché il rapporto dedotto in giudizio con l’appello principale sia diverso da quello concernente la domanda proposta nei confronti dei chiamati in causa. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 2051 del 30 gennaio 2014

Il principio sancito dall’art. 346 cod. proc. civ., che intende rinunciate e non più riesaminabili le domande ed eccezioni non accolte dalla sentenza di primo grado che non siano state espressamente riproposte in appello, trova applicazione anche nei riguardi dell’appellato rimasto contumace in sede di gravame, in coerenza con il carattere devolutivo dell’appello, così ponendo appellato e appellante su un piano di parità – senza attribuire alla parte, rimasta inattiva ed estranea alla fase di appello, un posizione sostanzialmente di maggior favore – sì da far gravare su entrambi, e non solo sull’appellante, l’onere di prospettare al giudice del gravame le questioni (domande ed eccezioni) risolte in senso ad essi sfavorevole. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 28454 del 19 dicembre 2013

Qualora la sentenza impugnata, nel definire il giudizio, abbia deciso esclusivamente una questione preliminare di rito (nella specie dichiarando improcedibile l’opposizione a decreto ingiuntivo, per tardività di costituzione dell’opponente), sebbene l’appellante possa limitarsi a riproporre, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., la domanda non esaminata, non è tuttavia sufficiente, ad evitare la declaratoria di inammissibilità dell’appello, un generico richiamo al precedente giudizio di primo grado, privo di ogni rinvio alle difese ed ai contenuti della domanda di merito posta al giudice di primo grado. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 20064 del 2 settembre 2013

Qualora l’appellato miri all’accoglimento della propria domanda nei confronti del chiamato in garanzia, per l’ipotesi in cui non venga accolta la domanda principale proposta nei suoi confronti dall’attore rimasto soccombente in primo grado, non è sufficiente la riproposizione, ex art. 346 c.p.c., della domanda non esaminata o respinta dal primo giudice, ma deve essere proposto appello incidentale condizionato, poiché la richiesta dell’appellato non mira alla conferma della sentenza per ragioni diverse da quelle poste a fondamento della decisione, ma tende alla riforma della pronuncia concernente un rapporto diverso, non dedotto in giudizio con l’appello principale. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 15107 del 17 giugno 2013

Nel caso di domanda proposta alternativamente nei confronti di due diversi convenuti, che venga accolta nei confronti di uno solo di questi ultimi e rigettata nei confronti dell’altro, l’appello del soccombente non basta a devolvere al giudice dell’impugnazione anche la cognizione circa la pretesa dell’attore nei confronti del convenuto alternativo, posto che l’unicità del rapporto sostanziale, con titolare passivo incerto, non toglie che due e distinte siano le formali pretese, caratterizzate – pur nell’unità del “petitum” – dalla diversità dei soggetti convenuti (“personae”) e, in parte, dei fatti e degli argomenti di sostegno (“causae petendi”); in relazione alla suddetta pretesa, pertanto, l’attore-appellato ha l’onere di riproporre la domanda già formulata in primo grado, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.. (Nella specie, concernente domanda per l’indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992 nei confronti del Ministero della Salute e della Regione Marche, il giudice di primo grado aveva condannato la Regione e dichiarato privo di legittimazione passiva il Ministero, nei cui confronti l’attore non aveva proposto gravame; la S.C., affermato il principio, ha ritenuto che si fosse formato il giudicato sul rigetto della domanda nei confronti del Ministero e, pertanto, ha cassato senza rinvio la decisione impugnata). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 28711 del 23 dicembre 2011

Nel giudizio di cassazione non trova applicazione il disposto dell’art. 346 c.p.c., relativo alla rinuncia alle domande ed eccezioni non accolte in primo grado; pertanto, sulle questioni esplicitamente o implicitamente dichiarate assorbite dal giudice di merito, e non riproposte in sede di legittimità all’esito di tale declaratoria, non si forma il giudicato implicito, ben potendo le suddette questioni, in caso di accoglimento del ricorso, essere riproposte e decise nell’eventuale giudizio di rinvio. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 1566 del 24 gennaio 2011

La parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado non ha l’onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione le eccezioni e le questioni che risultino superate o assorbite, difettando di interesse al riguardo, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel nuovo giudizio in modo chiaro e preciso, tale da manifestare in forma non equivoca la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 14086 del 11 giugno 2010

In tema di appello, la regola per cui le domande non esaminate perché ritenute assorbite, pur non potendo costituire oggetto di motivo d’appello, devono comunque essere riproposte ai sensi dell’art. 346 c.p.c., non trova applicazione in caso di impugnazione della decisione che ha giudicato inammissibile il ricorso di primo grado (nella specie in materia tributaria), la quale costituisce comunque manifestazione di volontà di proseguire nel giudizio, con implicita riproposizione della domanda principale, specialmente quando tale volontà sia anche chiaramente espressa con l’esplicito rinvio, nelle conclusioni dei motivi di appello, al ricorso introduttivo, non avendo altrimenti alcuna valida e concreta ragione la sola impugnativa della questione preliminare di rito. Cassazione civile, Sez. V, sentenza n. 13855 del 9 giugno 2010

Nel giudizio di appello, la parte appellata vittoriosa in primo grado, non riproponendo ovviamente alcuna richiesta di riesame della sentenza, ad essa favorevole, deve manifestare in maniera univoca la volontà di devolvere al giudice del gravame anche il riesame delle proprie richieste istruttorie sulle quali il primo giudice non si è pronunciato, richiamando specificamente le difese di primo grado, in guisa da far ritenere in modo inequivocabile di aver riproposto l’istanza di ammissione della prova. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 22687 del 27 ottobre 2009

La disposizione dell’art. 346 c.p.c., secondo cui le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado si intendono rinunciate se non espressamente riproposte in appello, è dettata per la parte vittoriosa, la quale, non onerata dall’impugnazione per difetto di interesse, deve tuttavia riproporre specificamente nell’atto di costituzione in secondo grado, oltreché le domande, le questioni non accolte dal primo grado, tra cui i fatti che per il loro rilievo giuridico siano serviti a contrastare l’altrui pretesa, come quelli giustificativi del licenziamento impugnato dal lavoratore. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 14673 del 23 giugno 2009

In materia di procedimento civile, in mancanza di una norma specifica sulla forma nella quale l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse. Tuttavia, pur se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 10796 del 11 maggio 2009

L’art. 346 cod. proc. civ., nel prevedere che le eccezioni non accolte in primo grado si intendono rinunciate se non sono espressamente riproposte in appello, non fa alcuna distinzione tra eccezioni di merito ed eccezioni concernenti la validità e l’ammissibilità delle prove. Deve di conseguenza presumersi rinunciata l’eccezione di inammissibilità della prova testimoniale (nella specie, perché concernente il pagamento dell’obbligazione) disattesa dal giudice di primo grado, e non riproposta in appello. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 4496 del 25 febbraio 2009

Nel caso di domanda proposta alternativamente nei confronti di due diversi convenuti, che venga accolta nei confronti di uno solo di questi ultimi e rigettata nei confronti dell’altro, l’appello del soccombente non basta a devolvere al giudice dell’impugnazione anche la cognizione circa la pretesa dell’attore nei confronti del convenuto alternativo, posto che l’unicità del rapporto sostanziale, con titolare passivo incerto, non toglie che due e distinte siano le formali pretese, caratterizzate – pur nell’unità del “petitum” – dalla diversità dei soggetti convenuti (“personae”) e in parte dei fatti e degli argomenti di sostegno (“causae petendi”); in relazione alla suddetta pretesa, pertanto, l’attore – appellato ha l’onere di riproporre la domanda già formulata in primo grado, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ.. (Nella specie, relativa a domanda di corresponsione dell’indennità di accompagnamento proposta contro la Regione Emilia Romagna e contro l’INPS, accolta dal giudice di primo grado solo nei confronti della Regione, la ricorrente, nel costituirsi in appello, aveva riproposto la questione della legittimazione passiva ed aveva dichiarato di vedere “ben volentieri” accolta la pretesa nei confronti dell’INPS, con la condanna dell’Istituto stesso; la S.C., nell’affermare il principio di cui alla massima, ha ritenuto che la parte, pur con formulazione non perspicua, avesse, nella sostanza, ottemperato all’onere imposto dall’art. 346 cod. proc. civ. e, quindi, decidendo nel merito, ha condannato l’Istituto all’erogazione dell’indennità). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 65 del 7 gennaio 2009

In tema di prescrizione, la declaratoria di estinzione del diritto non comporta di per sè il riconoscimento implicito della titolarità del diritto azionato, dovendo verificarsi in concreto – in relazione alla singola fattispecie – l’oggetto dell’indagine demandata al giudice, il quale, in considerazione del tempo trascorso, potrebbe dichiarare per ragioni di economia processuale l’avvenuta prescrizione, prescindendo dall’accertamento in ordine alla titolarità del diritto. Peraltro, qualora il convenuto abbia contestato la titolarità del diritto azionato, deve ritenersi che la sentenza di primo grado, con la quale sia stata dichiarata l’estinzione per prescrizione del diritto medesimo, ne abbia implicitamente accertato l’esistenza, rivestendo tale questione carattere necessariamente preliminare rispetto al quella relativa alla prescrizione, con la conseguenza che su di essa – ove non riproposta in sede di appello dalla parte vittoriosa, ai sensi dell’art. 346 c.p.c. – si forma la cosa giudicata. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 3380 del 15 febbraio 2007

Il principio sancito dall’art. 346 c.p.c., che intende rinunciate e non più riesaminabili le domande ed eccezioni non accolte dalla sentenza di primo grado che non siano state espressamente riproposte in appello, trova applicazione anche nei riguardi dell’appellato rimasto contumace in sede di gravame, in coerenza con il carattere devolutivo dell’appello, così ponendo appellato e appellante su un piano di parità – senza attribuire alla parte, rimasta inattiva ed estranea alla fase di appello, un posizione sostanzialmente di maggior favore – sì da far gravare su entrambi, e non solo sull’appellante, l’onere di prospettare al giudice del gravame le questioni (domande ed eccezioni) risolte in senso ad essi sfavorevole; tuttavia, mentre il soccombente soggiace ai vincoli di forme e di tempo previsti per l’appello, la parte vittoriosa ha solo un onere di riproposizione, in difetto presumendosi che manchi un interesse alla decisione, mancanza che ben può essere imputata anche alla parte contumace. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 19555 del 13 settembre 2006

Le questioni esaminabili di ufficio, che abbiano formato oggetto nel corso del giudizio di primo grado di una specifica domanda od eccezione, non possono più essere riproposte nei gradi successivi del giudizio, sia pure sotto il profilo della sollecitazione dell’organo giudicante ad esercitare il proprio potere di rilevazione ex officio, qualora la decisione o l’omessa decisione di tali questioni da parte del primo giudice non abbia formato oggetto di specifica impugnazione, ostandovi un giudicato interno che il giudice dei gradi successivi deve in ogni caso rilevare. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 14755 del 26 giugno 2006

Soltanto la parte totalmente vittoriosa in primo grado non ha l’onere di riproporre con appello incidentale le domande od eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado e, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia di cui all’art. 346, c.p.c., può limitarsi a riproporle nella comparsa di risposta e nelle successive difese, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni; la parte che sia rimasta soccombente su di una questione preliminare — qual è la qualificazione giuridica di un contratto rispetto all’accertamento dell’inadempimento dell’obbligo di adempiere, quando tale qualificazione abbia condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito — ha invece l’onere di proporre appello incidentale condizionato, pena il formarsi sulla questione preliminare del giudicato (cosiddetto giudicato implicito), che concerne anche gli accertamenti che costituiscono il presupposto logico-giuridico della decisione.

Soltanto la parte totalmente vittoriosa in primo grado non ha l’onere di riproporre con appello incidentale le domande od eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado e, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia di cui all’art. 346, c.p.c., può limitarsi a riproporle nella comparsa di risposta e nelle successive difese, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni; la parte che sia rimasta soccombente su di una questione preliminare – qual è la qualificazione giuridica di un contratto rispetto all’accertamento dell’inadempimento dell’obbligo di adempiere, quando tale qualificazione abbia condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito – ha invece l’onere di proporre appello incidentale condizionato, pena il formarsi sulla questione preliminare del giudicato (cosiddetto giudicato implicito), che concerne anche gli accertamenti che costituiscono il presupposto logico-giuridico della decisione. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 19126 del 23 settembre 2004

Per sottrarsi alla presunzione di rinuncia di cui all’art. 346, c.p.c., la parte vittoriosa in primo grado ha l’onere di riproporre, a pena di formazione del giudicato implicito, in modo chiaro e preciso le domande e le eccezioni (in senso stretto) respinte o ritenute assorbite, in qualsiasi momento del giudizio di secondo grado, fino alla precisazione delle conclusioni, non essendo applicabile al giudizio di appello il sistema di preclusioni introdotto per il giudizio di primo grado, con il D.L. n. 432 del 1995, conv. nella legge n. 534 del 1995. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 15427 del 10 agosto 2004

La parte vittoriosa in primo grado, che abbia però visto respingere taluna delle sue tesi od eccezioni, ovvero taluni dei suoi sistemi difensivi, ha l’onere di manifestare in maniera esplicita e precisa la propria volontà di riproporre la domanda od eccezioni respinte, onde superare la presunzione di rinuncia, e quindi la decadenza, di cui all’art. 346 c.p.c. (Nella specie, nel giudizio avente ad oggetto una domanda di risarcimento dei danni, la parte convenuta era risultata vittoriosa in primo grado con riguardo alla pronuncia sul quantum avendo il tribunale ritenuto non risarcibili i danni morali e non provati quelli patrimoniali; ma, rispetto a tale pronuncia, l’accertamento relativo alla sussistenza della colpa non si poneva affatto in termini di consequenzialità, né poteva considerarsi assorbito o implicitamente risolto in senso favorevole alla parte stessa). Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 13401 del 20 luglio 2004

Nel caso in cui in primo grado una questione di giurisdizione sia stata espressamente risolta in senso sfavorevole alla parte rimasta, sia pure parzialmente, soccombente nel merito, quest’ultima, ove la controparte abbia proposto appello (in relazione alle parti della sentenza che l’hanno vista soccombente), deve proporre appello incidentale ove intenda impugnare la decisione relativa alla giurisdizione, rispetto alla quale si è verificata nei suoi confronti una soccombenza «pratica» e non «teorica» non essendo sufficiente, pertanto, la mera riproposizione della medesima questione, ai sensi dell’art. 346 c.p.c. Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 12138 del 2 luglio 2004

La riproposizione in oggetto delle domande e delle eccezioni non accolte in primo grado, pur se libera da forme, deve essere tuttavia compiuta in modo specifico, non essendo, all’uopo, sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni rassegnate dinanzi al primo giudice. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 7918 del 26 aprile 2004

La norma di cui all’art. 346 c.p.c. impone alla parte totalmente vittoriosa in primo grado l’onere di riproporre in modo specifico, al giudice d’appello, le questioni decise in modo diverso dal giudice di primo grado e che siano in funzione della pronuncia su eccezioni che il giudice può esaminare solo se la parte le propone, e non ha, invece, riferimento alle questioni di fatto su cui il giudice di primo grado non si sia pronunciato in modo contrario a quello sostenuto dalla parte vittoriosa e che rilevano in funzione della decisione su punti investiti dall’appello principale. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 18743 del 9 dicembre 2003

Ai fini della decadenza dalle domande non riproposte in appello, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., occorre distinguere tra i fatti costitutivi del diritto postulato con la domanda e i fatti dedotti quali fonti di prova dell’esistenza del diritto stesso: solo i fatti costitutivi del diritto, quando siano plurimi, debbono essere riproposti in appello dalla parte vittoriosa che li aveva dedotti, quando il giudice di primo grado abbia accolto la domanda sulla base di uno di essi, ritenendo assorbiti gli altri; i plurimi elementi di prova, quand’anche ritenuti in parte superflui dal giudice di primo grado, debbono invece essere valutati tutti dal giudice d’appello anche in mancanza di specifica deduzione dell’appellato, perché in materia di prova vige il principio di acquisizione processuale, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice.
Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 13430 del 12 settembre 2003

La norma dell’art. 346 c.p.c., relativa all’onere di riproporre espressamente in appello le domande e le eccezioni non accolte in primo grado o rimaste assorbite, disciplina l’ipotesi di una pluralità di domande o di eccezioni proposte non già in via cumulativa, ma in via alternativa o subordinata, e presuppone la soccombenza su alcuna di esse. Pertanto, nell’ipotesi in cui l’attore appellante abbia proposto un’unica domanda non è configurabile alcun onere di riproposizione, sussistendo invece l’onere di proporre specifici motivi di appello che investano singole motivazioni della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 342 c.p.c. e, nel rito del lavoro, dall’art. 434 c.p.c. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 6803 del 5 maggio 2003

Nel caso in cui il giudice di primo grado non abbia esaminato una domanda riconvenzionale condizionata all’accoglimento della domanda principale, ritenendola assorbita dal rigetto di quest’ultima, non è richiesto l’appello incidentale ai fini della devoluzione nel giudizio di secondo grado della medesima domanda condizionata, essendo necessaria e sufficiente la sua mera riproposizione a norma dell’art. 346 c.p.c.; viceversa, qualora in primo grado la domanda riconvenzionale, avanzata condizionatamente all’accoglimento della domanda principale, non sia stata dichiarata assorbita dalla pronuncia di rigetto della principale, ma, a seguito di espresso esame, il giudice ne abbia dichiarato l’inammissibilità in rito ovvero l’infondatezza nel merito, l’appellato vincitore in primo grado, che intenda reiterare in secondo grado la domanda riconvenzionale subordinatamente all’accoglimento dell’appello principale, ha l’onere di proporre appello incidentale condizionato. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 4212 del 25 marzo 2002

Per sottrarsi alla presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c., la parte vittoriosa in primo grado ha l’onere di riproporre, a pena di formazione del giudicato implicito, le domande e le eccezioni respinte o ritenute assorbite, manifestando in modo chiaro e preciso la propria volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse in qualsiasi momento del giudizio di secondo grado, fino alla precisazione delle conclusioni; a tale onere la parte non è soggetta per le contestazioni che investono l’esistenza del fatto costitutivo della domanda o di elementi di esso, da ritenere implicitamente comprese nella richiesta di rigetto dell’appello. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 4009 del 20 marzo 2001

La presunzione di rinunzia prevista dall’art. 346 c.p.c. riguarda le domande e le eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie. Tuttavia, le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello con le domande e le eccezioni a sostegno delle quali erano state formulate, ma devono essere riproposte, laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei termini previste per il giudizio di primo grado, in virtù del richiamo operato dall’art. 359 c.p.c. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 14135 del 26 ottobre 2000

L’accoglimento della domanda in base ad una sola delle causae petendi fungibilmente poste a fondamento di essa non implica l’onere, per il vittorioso appellato, di proporre impugnazione incidentale per le causae petendi non esaminate né di riproporre con espresse deduzioni le ragioni pretermesse, essendo sufficiente che ad esse non rinunci, esplicitamente o implicitamente, manifestando in qualsiasi modo la volontà di provocarne il riesame. (La S.C. in base a tale principio ha confermato la sentenza d’appello che aveva a sua volta confermato quella di primo grado in base a ragioni dedotte ma pretermesse dal giudice, rinvenendosi l’intento di insistere in tutte le ragioni dedotte e la carenza di volontà dismissiva nella generica richiesta di conferma della sentenza impugnata e nel richiamo a tutte le deduzioni e istanze svolte in primo grado «da intendersi integralmente richiamate e trascritte»). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 5065 del 18 aprile 2000

La parte vittoriosa nel merito, la quale, in caso di gravame proposto dal soccombente, chieda la conferma della decisione impugnata, eventualmente anche in base ad una diversa soluzione di questioni pregiudiziali di giurisdizione o di competenza da lei proposte nel precedente grado di giudizio, difetta di interesse alla proposizione dell’impugnazione incidentale ed ha soltanto l’onere di riproporre dette questioni – ivi compresa quella nascente da eccezione di difetto di giurisdizione, che sia stata espressamente esaminata e respinta dal giudice del precedente grado – ai sensi dell’art. 346 c.c., per superare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo.
Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 602 del 20 gennaio 2000

L’onere di espressa riproposizione in appello disposto dall’art. 346 c.p.c. riguarda le domande ed eccezioni non esaminate o non accolte dal giudice di primo grado e non è, pertanto, estensibile alle domande ed eccezioni che il primo giudice abbia invece esaminato ed accolto, per ribadire le quali, salva l’ipotesi di una linea difensiva con esse incompatibile, è sufficiente che la parte vittoriosa richieda la conferma della sentenza impugnata ex adverso. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 13308 del 29 novembre 1999

Il principio secondo cui l’art. 346 c.p.c. (decadenza dalle domande ed eccezioni non riproposte in appello) non si applica con riferimento alle questioni rilevabili d’ufficio, deve coordinarsi con il sistema delle preclusioni e con l’art. 342 c.p.c. circa la specificità dei motivi d’impugnazione, per cui il potere d’iniziativa del giudice d’appello con riguardo alle questioni rilevabili d’ufficio trova un limite nel caso in cui una di dette questioni sia stata espressamente decisa nel precedente grado del giudizio ed il relativo punto non abbia formato oggetto di impugnazione o, nel caso di parte vittoriosa, non sia stato riproposto in appello. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 2678 del 26 marzo 1997

L’art. 346 c.p.c., nel considerare rinunciate le domande ed eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado (o perché respinte o perché non esaminate) si riferisce a quelle ragioni delle parti in cui il giudice non può pronunciarsi se ne manchi l’allegazione ad opera delle stesse parti, e non riguarda i fatti dedotti dalle parti a fondamento della domanda o della eccezione né le inerenti deduzioni probatorie, che, sottoposti al giudice di primo grado, tornano a costituire oggetto di esame, valutazione ed accertamento da parte del giudice di appello, in quanto questi, a causa della impugnazione, torna a doversi pronunciare sulla domanda accolta o sulla eccezione respinta e quindi a dover esaminare fatti, allegazioni probatorie e ragioni giuridiche già dedotte in primo grado e rilevanti ai fini del giudizio sulla domanda o sull’eccezione. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 6843 del 19 giugno 1993

Il principio secondo cui l’art. 346 c.p.c. (decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte in appello) non si applica con riferimento alle questioni rilevabili d’ufficio deve coordinarsi con il sistema delle preclusioni e con l’art. 342 c.p.c. (circa la specificità dei motivi d’impugnazione), in virtù dei quali la libera iniziativa del giudice con riguardo alle questioni rilevabili d’ufficio trova un limite nel caso in cui una di tali questioni sia stata espressamente decisa nel precedente grado di giudizio ed il relativo punto non abbia formato oggetto d’impugnazione ovvero, nel caso di parte praticamente vittoriosa, non sia stato comunque riproposto al giudice di appello. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 5394 del 12 maggio 1993

Qualora nel giudizio di primo grado sia stata proposta, con la domanda principale, altra domanda in via subordinata, l’appellato vittorioso, in seguito all’accoglimento della prima, è tenuto a riproporre espressamente nel giudizio di impugnazione — in qualsiasi forma indicativa della volontà di sottoporre la relativa questione al giudice d’appello — la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c., non potendo quest’ultima domanda rivivere per il solo fatto che quella principale sia stata respinta dal giudice d’appello. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 10975 del 8 ottobre 1992

L’appellato totalmente vittorioso è soggetto all’onere della esplicita riproposizione in secondo grado, entro l’udienza di precisazione delle conclusioni, ai sensi ed agli effetti dell’art. 346 c.p.c., delle eccezioni respinte dal primo giudice, ovvero non esaminate o ritenute assorbite; mentre, con riguardo alle eccezioni accolte in primo grado, è sufficiente la generica richiesta di conferma della sentenza impugnata a comportare l’obbligo del giudice dell’appello di riesaminarle, ove rilevanti al fine del rigetto del gravame. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 5118 del 17 ottobre 1985

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