Art. 161 – Codice di Procedura Civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Nullità della sentenza

Articolo 161 - codice di procedura civile

La nullità delle sentenze (274 bis) soggette ad appello (339) o a ricorso per cassazione (360) può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione.
Questa disposizione non si applica quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice (132, 354; 119 att.).

Articolo 161 - Codice di Procedura Civile

La nullità delle sentenze (274 bis) soggette ad appello (339) o a ricorso per cassazione (360) può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione.
Questa disposizione non si applica quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice (132, 354; 119 att.).

Massime

Le nullità delle sentenze soggette ad appello od a ricorso per Cassazione possono essere fatte valere solo nei limiti e secondo le regole proprie di detti mezzi di impugnazione mentre sono rilevabili d’ufficio, in qualsiasi stato e grado del processo, quei vizi che concernono gli elementi essenziali ed indispensabili perché la sentenza produca gli effetti che le sono propri e che integrano, quindi, ipotesi di inesistenza giuridica della decisione. Cass. civ. sez. VI 24 maggio 2019, n. 14161

In tema di decisioni assunte dal tribunale in composizione monocratica, la sentenza emessa dal GOT che sia cessato dal servizio a seguito di accettazione delle relative dimissioni e che sia stata pubblicata, mediante deposito in cancelleria, successivamente a tale momento, è affetta da nullità insanabile, ricorrendo un vizio di costituzione del giudice, senza che assuma rilievo la diversa ed anteriore data della decisione eventualmente riportata in calce all’atto, difettando – analogamente a quanto avviene per il giudice di pace e diversamente dal caso di decisione collegiale – un momento deliberativo che assuma autonoma rilevanza. Cass. civ. sez. II 28 giugno 2017, n. 16216

La sottoscrizione della sentenza collegiale da parte di un presidente, il cui nominativo sia diverso da quello indicato in epigrafe, qualora il nome del giudice estensore firmatario sia correttamente indicato, costituisce un vizio di costituzione del giudice (salve le ipotesi di errore materiale), regolato dall’art. 158 c.p.c., da dedurre tempestivamente in sede di gravame ai sensi dell’art. 161, comma 1, c.p.c., non potendo tale ipotesi essere assimilata a quella della cd. decisione inesistente, nella quale la sottoscrizione manca del tutto, il cui radicale vizio può essere dedotto in ogni sede e tempo, perché la sottoscrizione è insufficiente ma non assente e una diversa interpretazione, che riconduca la fattispecie a quella disciplinata dall’art. 161, comma 2, c.p.c., sarebbe ritenersi lesiva dei principi del giusto processo e della ragionevole durata dello stesso. Cass. civ. sez. V 5 dicembre 2018, n. 31396

La sentenza emessa da un giudice sospeso dalle funzioni in sede disciplinare, a seguito di deliberazione del CSM, è affetta non già da inesistenza, ma da mera nullità per carenza della “potestas iudicandi”; tale nullità, attenendo alla costituzione del giudice, ex art. 158 c.p.c., è insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, è sottoposta al principio generale di conversione delle nullità in mezzi di impugnazione, ex art. 161, comma 1, c.p.c. e non dà luogo a rimessione della causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 354 c.p.c.. Cass. civ. sez. II 29 dicembre 2016, n. 27362

La sentenza la cui deliberazione risulti anteriore alla scadenza dei termini ex art. 190 od. proc. civ., nella specie quelli per il deposito delle memorie di replica, non è automaticamente affetta da nullità, occorrendo dimostrare la lesione concretamente subita in conseguenza della denunciata violazione processuale, indicando le argomentazioni difensive – contenute nello scritto non esaminato dal giudice – la cui omessa considerazione avrebbe avuto, ragionevolmente, probabilità di determinare una decisione diversa da quella effettivamente assunta. Cass. civ. sez. III 9 aprile 2015, n. 7086

L’omessa indicazione, nell’intestazione della sentenza, del nome di una delle parti determina la nullità della sentenza stessa solo in quanto riveli che il contraddittorio non si è regolarmente costituito a norma dell’art. 101 cod. proc. civ., o generi incertezza circa i soggetti ai quali la decisione si riferisce, e non anche se dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza la loro identificazione, dovendosi, in tal caso, considerare l’omissione come un mero errore materiale, che può essere corretto con la procedura prevista dagli artt. 287 e 288 cod. proc. civ. (Nella specie, la S.C. ha escluso la nullità della sentenza impugnata, in quanto in quest’ultima si era dato atto che la convenuta, il cui nome era stato omesso, era stata parte del giudizio di primo grado e gli stessi ricorrenti avevano sia esposto nel ricorso per cassazione che la medesima era stata dichiarata contumace nel grado di appello, sia provveduto a notificarle il ricorso, così riconoscendola come parte del processo). Cass. civ. sez. II 20 marzo 2015, n. 5660

Nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato. Cass. civ. Sezioni Unite 16 gennaio 2015, n. 642

La sentenza emessa dal giudice in composizione collegiale priva di una delle due sottoscrizioni (del presidente del collegio ovvero del relatore) è affetta da nullità sanabile ai sensi dell’art. 161, primo comma, c.p.p., trattandosi di sosttoscrizione insufficiente non mancante, la cui sola ricorrenza comporta la non riconducibilità dell’atto al giudice, mentre una diversa interpretazione, che accomuni le due ipotesi con applicazione dell’art. 161, secondo comma, c.p.c., deve ritenersi lesiva dei principi del giusto processo e della ragionevole durata. Cass. civ. Sezioni Unite 20 maggio 2014, n. 11021

La giuridica inesistenza della sentenza, assimilabile nel trattamento al caso espressamente previsto dall’art. 161, secondo comma c.p.c., ricorre allorché il provvedimento manchi di quel minimo di elementi o di presupposti necessari per la produzione dell’effetto di certezza giuridica, proprio del giudicato, come quando sia carente di dispositivo o questo sia assurdo o impossibile o provenga da organo privo di qualsiasi potere giurisdizionale. Ne consegue che un siffatto vizio radicale è da escludere con riguardo al caso di sentenza la cui motivazione, pur risultando da modulo predisposto e completato soltanto negli spazi bianchi, contenga, tuttavia, l’esatta indicazione del collegio giudicante, delle parti, dei relativi difensori, con relative elezioni di domicilio e procure, nonché di altri dati corrispondenti alla realtà processuale e rechi un dispositivo che ne specifichi la portata imperativa. Cass. civ. sez. I 26 febbraio 1994, n. 1965

I vizi sia della sentenza in sé considerata sia degli atti processuali antecedenti si convertono in motivi di gravame e debbono essere fatti valere nei limiti e secondo le regole proprie dei vari mezzi di impugnazione. Quando si tratti di sentenza appellabile detti vizi devono essere censurati con l’atto di appello, non essendo deducibili motivi nuovi nel corso del giudizio, così che la mancata denuncia di detta nullità in sede di gravame comporta l’impossibilità di rilevarla e, in definitiva, la sua sanatoria. Cass. civ. sez. II 27 maggio 2019, n. 14434

La nullità della sentenza di primo grado, conseguente al vizio di notificazione dell’atto di citazione (nella specie, in riassunzione e notificato alla parte, invece che al suo procuratore) non può essere prospettata in sede di comparsa conclusionale, dovendo essere fatta valere con l’ordinario mezzo d’impugnazione dell’appello, ancorchè a norma dell’art. 327, secondo comma, c.p.c., poichè si converte in motivo d’impugnazione, ai sensi dell’art. 161 c.p.c.; ne consegue che l’omessa deduzione osta alla possibilità di far valere successivamente tale nullità in sede di legittimità. Cass. civ. sez. I 30 settembre 2011, n. 20067

Il termine di impugnazione per far valere, ai sensi dell’art. 161, primo comma, c.p.c., la nullità della sentenza pronunciata in un giudizio proseguito nonostante l’automatica interruzione conseguente alla morte del convenuto, verificatasi dopo la notificazione dell’atto di citazione ma prima della costituzione, è, in conformità alla regola generale stabilita dall’art. 327, primo comma, c.p.c., di un anno dalla pubblicazione della sentenza, a meno che i suoi eredi, nell’impugnarla, non alleghino specificamente l’esistenza dei presupposti per l’applicazione del secondo comma dello stesso art. 327 c.p.c., dovendosi equiparare la posizione degli eredi a quella del contumace che non abbia avuto cognizione del processo per nullità della citazione o della sua notificazione. Tale equiparazione comporta, con l’applicazione analogica dell’art. 327, secondo comma, c.p.c., che gli eredi debbano allegare specificamente la mancata conoscenza del processo, fornendone la prova, anche sulla base di elementi presuntivi in relazione alle circostanze del caso. Cass. civ. sez. I 8 giugno 2007, n. 13506

Per far valere quale motivo di appello un vizio di nullità relativa che abbia inficiato il giudizio di primo grado, riflettendosi sulla validità della relativa sentenza, è necessario, in considerazione del disposto di cui all’art. 157 c.p.c., che la parte interessata lo abbia dedotto tempestivamente nella prima istanza o difesa successiva all’atto ritenuto invalido, ovvero alla notizia di esso, e che non abbia, quindi, rinunciato tacitamente ad eccepirlo, così implicitamente sanandolo, poiché, in caso contrario, il relativo motivo di impugnazione è da ritenersi inammissibile per carenza di interesse, fermo restando peraltro, che, anche quando non si sia verificata la preclusione a far valere la suddetta nullità processuale, è necessario che la parte impugnante indichi specificamente quale sia stato il pregiudizio arrecato alle proprie attività difensive dalla invocata invalidità. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso con il quale si era censurata la sentenza di appello per non aver pronunciato sull’eccezione di nullità per violazione del principio del contraddittorio nel giudizio di primo grado verificatasi in apposita udienza, avendo lo stesso ricorrente ammesso di aver partecipato a quella immediatamente successiva nella quale non aveva formulato alcuna eccezione, così producendo la sanatoria della presunta nullità ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 157 c.p.c.). Cass. civ. sez. III 4 giugno 2007, n. 12952

Nel caso di riunione di un procedimento civile ordinario soggetto al rito previsto per i giudizi iniziati dopo il 30 aprile 1995 ad altro procedimento introdotto prima di tale data, anche ammettendo, in via di ipotesi, che tale riunione abbia determinato l’adozione, per la causa piú recente, di un rito diverso da quello stabilito dalla legge, si deve escludere che ciò comporti, di per sè, effetti invalidanti sulla sentenza, che non è né inesistente né nulla e può essere impugnata – deducendo, come motivo di impugnazione, l’errore consistito nell’utilizzazione di un diverso rito processuale – soltanto ove si indichi lo specifico pregiudizio che ne sia derivato, per aver inciso sulla determinazione della competenza, ovvero sul contraddittorio o sui diritti di difesa. (Alla luce dell’enunciato principio, la Corte di cassazione ha ritenuto quindi superflua, nella specie, ogni ulteriore considerazione riguardo al fatto che la diversità di rito non è ostativa alla riunione delle cause in simultaneo processo). Cass. civ. sez. I 8 luglio 2005, n. 14376

La nullità, comminata dal secondo comma dell’art. 161 c.p.c., del provvedimento collegiale, avente natura sostanziale di sentenza ma erroneamente emanato in forma di ordinanza e quindi sottoscritto dal solo presidente, può essere fatta valere con l’appello e con il ricorso per cassazione – cioè con gli stessi rimedi prescritti dal primo comma della medesima norma per le nullità di carattere relativo – oppure, trattandosi di nullità assoluta, con un’azione autonoma di accertamento o con una semplice eccezione. Cass. civ. sez. II 4 febbraio 2000, n. 1254

Sussiste un contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza, ai sensi degli artt. 156 e 360 n. 4 c.p.c., nel caso in cui il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale, non essendo possibile ricostruire la statuizione del giudice attraverso il confronto tra motivazione e dispositivo, mercé valutazioni di prevalenza di una delle affermazioni contenute nella prima su altre di segno opposto presenti nel secondo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale, in una causa di risarcimento dei danni, aveva ritenuto insussistente la prova dell’an debeatur rigettando per tale motivo non solo l’appello principale del danneggiato, che aveva lamentato l’insufficienza della liquidazione effettuata dal giudice di primo grado, ma anche l’appello incidentale del danneggiante, che aveva chiesto il rigetto della domanda). Cass. civ. sez. I 2 luglio 2007, n. 14966

Il contrasto tra motivazione e dispositivo che dà luogo alla nullità della sentenza si deve ritenere configurabile solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale. Una tale ipotesi non è ravvisabile nel caso in cui il detto contrasto sia chiaramente riconducibile a semplice errore materiale, il quale trova rimedio nel procedimento di correzione al di fuori del sistema delle impugnazioni – distinguendosi, quindi, sia dall’error in iudicando deducibile ex art. 360 c.p.c., sia dall’errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c. – ed è quello che si risolve in una fortuita divergenza tra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza, e che, come tale, può essere percepito e rilevato ictu oculi senza bisogno di alcuna indagine ricostruttiva del pensiero del giudice, il cui contenuto resta individuabile ed individuato senza incertezza. Cass. civ. sez. II 30 agosto 2004, n. 17392

La difformità tra il dispositivo letto in udienza e quello trascritto in calce alla motivazione della sentenza non è causa di nullità di quest’ultima, giacchè, nel contrasto tra i due dispositivi, prevale quello portato a conoscenza delle parti mediante lettura in udienza, potendosi ravvisare nullità solo nel caso di insanabile contrasto tra il dispositivo letto in udienza e la motivazione della sentenza. Cass. civ. sez. lav. 26 gennaio 2004, n. 1369

Nel rito del lavoro solo il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo che, acquistando pubblicità con la lettura in udienza, cristallizza stabilmente la statuizione emanata (salvo che non si configuri un caso di inesistenza della sentenza). Tale insanabilità deve escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, divergenti solo da un punto di vista quantitativo, e la seconda inoltre sia ancorata ad un elemento obiettivo che inequivocabilmente la sostenga (sì da potersi escludere l’ipotesi di un ripensamento del giudice); in tal caso è configurabile l’ipotesi legale del mero errore materiale, con la conseguenza che, da un lato, è consentito l’esperimento del relativo procedimento di correzione e, dall’altro, deve qualificarsi come inammissibile l’eventuale impugnazione diretta a far valere la nullità della sentenza asseritamente dipendente dal contrasto tra dispositivo e motivazione. (Nella specie sussisteva una divergenza relativamente alla data di decorrenza del riconosciuto pensionamento di invalidità, e la data indicata nella motivazione era quella coerente con le risultanze della consulenza tecnica posta a base dell’accertamento giudiziale). Cass. civ. sez. lav. 11 gennaio 2001, n. 300

Il contrasto tra motivazione e dispositivo il quale non consenta di individuare il concreto comando del giudice attraverso la valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella sentenza e neppure offre la possibilità di ricorrere all’interpretazione complessiva della decisione – che presuppone una sostanziale coerenza delle diverse parti e proposizioni della medesima – concreta una ipotesi di nullità del provvedimento giudiziale, secondo quanto disposto dall’art. 156, comma secondo, c.p.c. Cass. civ. sez. lav. 4 luglio 2000, n. 8946

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