Il giudice può rilevare d’ufficio la nullità di un contratto, a norma dell’art. 1421 c.c., anche ove sia stata proposta domanda di annullamento (o di risoluzione o di rescissione), senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, atteso che in ognuna di tali domande è implicitamente postulata l’assenza di ragioni che determinino la nullità del contratto medesimo. L’efficacia della pronuncia, tuttavia, non può eccedere i limiti della causa, la cui efficacia si deve conformare al perimetro della domanda proposta, potendo tuttavia estendersi all’intero rapporto contrattuale se questa lo investa interamente. Cass. civ. sez. III 17 gennaio 2019, n. 1036
La regola dettata dall’art. 157, terzo comma, cod. proc. civ., secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, si riferisce solo ai casi nei quali la nullità non possa pronunciarsi che su istanza di parte, e non riguarda, perciò, le ipotesi in cui, invece, questa debba essere rilevata d’ufficio, con la conseguenza che essa non trova applicazione quando, come nel caso di mancata integrazione del contraddittorio in causa inscindibile, la nullità si ricolleghi ad un difetto di attività del giudice, al quale incombeva l’obbligo di adottare un provvedimento per assicurare il regolare contraddittorio nel processo. Cass. civ. sez. VI-II 18 febbraio 2014, n. 3855
Il principio della rilevabilità d’ufficio della nullità dell’atto va necessariamente coordinato con il principio dispositivo e con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e trova applicazione soltanto quando la nullità si ponga come ragione di rigetto della pretesa attorea (ad esempio: di esecuzione di un contratto nullo), non anche quando sia invece la parte a chiedere la dichiarazione di invalidità di un atto ad essa pregiudizievole, dovendo in tal caso la pronuncia del giudice essere circoscritta alle ragioni di illegittimità denunciate dall’interessato, senza potersi fondare su elementi rilevati d’ufficio o tardivamente indicati, giacchè in tal caso l’invalidità dell’atto si pone come elemento costitutivo della domanda attorea. (Nella specie, in relazione all’impugnativa di un licenziamento, era stata dedotta, in primo grado, la simulazione del passaggio di un lavoratore da una società alle dipendenze di un’altra società, al fine di potere attribuire alla prima il licenziamento e, perciò, invocare la tutela reale in relazione al numero dei dipendenti della stessa, ed il giudice di primo grado, escludendo l’invocata simulazione, aveva ritenuto la nullità del predetto passaggio, perché in frode alla legge; in base al principio sopraesposto, la S.C. ha confermato la sentenza d’appello, che aveva riformato quella di primo grado perché affetta da ultrapetizione). Cass. civ. sez. lav. 14 gennaio 2003, n. 435
Dalla disamina della (complessa) disciplina delle nullità processuali può desumersi il principio generale secondo cui la mancanza di una pronuncia «costitutiva» di nullità da parte del giudice procedente consente, all’atto processuale viziato (in via assoluta o relativa), di produrre, comunque, i suoi effetti, con la conseguenza che, al fine di addivenire alla detta pronuncia, il giudicante deve rilevare la nullità, se assoluta, (al più tardi) prima di pronunziarsi nel merito della res dubia, e, se relativa, per effetto della tempestiva denunzia fattane dalla parte (che non vi abbia dato causa) nei termini di cui all’art. 157 (e, comunque, prima della sentenza). La mancanza di tale attività di rilevazione da parte del giudice di primo grado comporta la formazione, in seno alla resa pronuncia di merito, di una sottostante ed implicita statuizione di regolarità formale del processo, rimediabile soltanto attraverso il tempestivo esperimento dei rituali mezzi di impugnazione (non totalmente devolutivi) dell’appello e del ricorso per cassazione, il cui utile esercizio postula una specifica, espressa deduzione dell’errore che si assume viziare la pronuncia impugnata, pena la formazione di un giudicato (cosiddetto «interno»), ostativo, per il giudice del gravame, ad ogni ulteriore verifica ex officio della regolarità del primo giudizio (salve le ipotesi tassativamente previste dagli artt. 354 e 375 c.p.c.). Cass. civ. sez. II 29 agosto 1997, n. 8232
Agli effetti della norma di cui al secondo comma dell’art. 157 c.p.c. – applicabile, in difetto di norme speciali, anche al procedimento disciplinare nei confronti degli avvocati –, affinché sorga, per la parte che vi abbia interesse, l’onere di opporre la nullità dell’atto nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso, occorre che il denunziante, nel cui interesse è stabilito il requisito che si assume mancante, abbia avuto notizia effettiva – e non soltanto potenziale – dell’atto che si afferma nullo. (Nella specie era in discussione la tempestività della denuncia di nullità della notificazione della decisione del Consiglio dell’ordine, avvenuta a mani di persona asseritamene in nessun modo collegata o riferibile all’incolpato, nullità dall’incolpato medesimo fatta valere per la prima volta con il ricorso per cassazione avverso la decisione del CNF, dichiarativa dell’inammissibilità, per tardività, dell’impugnazione dinanzi ad esso proposta; enunciando il principio di cui in massima, le S.U. hanno ritenuto irrilevante la circostanza che – ai sensi dell’art. 59 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37, recante Norme integrative e di attuazione dell’Ordinamento professionale forense – gli atti del procedimento disciplinare debbano essere depositati e le parti possano prenderne visione, atteso che, ai fini dell’art. 157 del codice di rito, ciò che viene in gioco è la conoscenza, e non la mera conoscibilità dell’atto). Cass. civ. Sezioni Unite 12 novembre 2003, n. 17013
Ai sensi dell’art. 157 comma secondo c.p.c., affinché sussista l’obbligo del giudice di esaminare l’eccezione di nullità (relativa) di un atto processuale, è necessario che la deduzione della medesima ad opera della parte avvenga nella prima istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso, atteso che, in mancanza di tale deduzione, la nullità resta sanata e non può più essere eccepita dalla parte che, non opponendosi nella prima difesa successiva all’atto, ha implicitamente rinunciato a farla valere. Cass. civ. sez. lav. 1 giugno 1998, n. 5369
La violazione delle norme sulla notificazione della citazione, con conseguente nullità della stessa, e la inosservanza delle disposizioni sulla regolare costituzione del contraddittorio nei confronti di un convenuto, con conseguente erronea dichiarazione della sua contumacia, costituiscono eccezioni “de iure tertii”, che non possono essere sollevate da altro convenuto, in quanto deducibili soltanto dalla parte direttamente interessata. Cass. civ. sez. III 29 ottobre 2019, n. 27607
La nullità della consulenza tecnica d’ufficio – ivi compresa quella dovuta all’eventuale ampliamento dell’indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente – è soggetta al regime di cui all’art. 157 c.p.c., avendo carattere di nullità relativa, e deve, pertanto, essere fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanata. Cass. civ. sez. III 15 giugno 2018, n. 15747
Le contestazioni ad una relazione di consulenza tecnica d’ufficio costituiscono eccezioni rispetto al suo contenuto, sicché sono soggette al termine di preclusione di cui al comma 2 dell’art. 157 c. p. c., dovendo, pertanto, dedursi – a pena di decadenza – nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito. Cass. civ. sez. I 3 agosto 2017, n. 19427
Qualora l’avvocato sia sostituito in udienza da praticante non abilitato alla causa, in quanto di valore superiore ai limiti di cui all’art. 7 della l. n. 479 del 1999, l’invalidità che ne deriva resta sanata se non sia fatta rilevare entro la prima istanza o difesa successiva, ai sensi dell’art. 157, comma 2, c.p.c., trattandosi di nullità relativa che non incide sulla regolare costituzione in giudizio della parte. Cass. civ. sez. lav. 22 marzo 2016, n. 5579
L’inammissibilità della prova per testi nei contratti, derivante dalla previsione della forma scritta “ad probationem”, non attiene all’ordine pubblico ma alla tutela d’interessi privati, per cui non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata, entro il termine previsto dall’art. 157, secondo comma, c.p.c., nella prima istanza o difesa successiva al suo configurarsi. Cass. civ. sez. III 30 marzo 2010, n. 7765
La prova testimoniale, raccolta prima della integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario pretermesso, è affetta da una nullità posta a tutela della sola parte pretermessa; solo questa potrà quindi farla valere nei modi indicati dall’art. 157, secondo comma, c.p.c., ovvero deducendola nel suo primo atto difensivo, non appena interviene in giudizio. Cass. civ. sez. III 14 novembre 2002, n. 16034
Quando la legge imponga la introduzione del giudizio con citazione anziché con ricorso e l’adozione del rito ordinario anziché quello camerale, il fatto che il giudizio erroneamente sia introdotto con ricorso e si svolga col rito camerale non comporta la invalidità del giudizio stesso, per il principio della conversione degli atti nulli che abbiano raggiunto il loro scopo (art. 156 c.p.c.), quando dall’erronea inversione non sia derivato un concreto pregiudizio per alcuna delle parti relativamente al rispetto del contraddittorio, all’acquisizione delle prove e, più in generale, a quant’altro possa aver impedito o anche soltanto ridotto la libertà di difesa consentita nel giudizio ordinario. Cass. civ. sez. I 12 luglio 2002, n. 10143
Il divieto di nuovi mezzi di prova in grado di appello, sancito dall’art. 437, secondo comma, c.p.c., si riferisce solo alle prove costituende, richiedenti una ulteriore attività processuale, e non anche a nuovi documenti la cui produzione è ammissibile – e soggiace al regime stabilito dall’art. 157, comma secondo, c.p.c. sicché la parte interessata deve far valere eventuali nullità ad essa relative nella prima istanza o difesa successiva alla produzione stessa o alla notizia di essa – a prescindere dal carattere effettivamente «nuovo» della documentazione offerta in sede di impugnazione, se cioè questa sia, o meno, preesistente rispetto al precedente grado del giudizio. Cass. civ. sez. lav. 22 luglio 1999, n. 7919
In tema di prova testimoniale dei contratti, il principio per cui le nullità riguardanti l’ammissione e l’espletamento della prova in violazione degli artt. 2721 e ss. c.c. hanno carattere relativo, onde non essendo rilevabili d’ufficio restano sanate se non eccepite dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva alla loro verificazione (art. 157 c.p.c.), trova deroga soltanto nel caso in cui la scrittura sia imposta dalla legge a pena di nullità, cioè non per la prova, ma per l’esistenza stessa del contratto. Cass. civ. sez. III 12 maggio 1999, n. 4690
La sanatoria della nullità della consulenza, in relazione al comportamento della parte interessata che ometta di opporla alla prima udienza successiva alla data del deposito dell’elaborato peritale (art. 157 secondo comma c.p.c.), postula la possibilità, in detta udienza, di avere adeguata cognizione dell’elaborato stesso. Pertanto, ove tale possibilità difetti, a causa della sostanziale contestualità di quell’udienza con il deposito (nella specie, in quanto tenuta nel medesimo giorno), si deve ritenere esclusa la suddetta sanatoria in presenza di un’eccezione di nullità formulata all’udienza immediatamente seguente. Cass. civ. Sezioni Unite 11 novembre 1991, n. 12008
Dà causa a una nullità, ai sensi dell’art. 157, comma 3, c.p.c., la parte che ometta sia di attivarsi per acquisire nella cancelleria del giudice informazioni sulle vicende processuali che la riguardino, sia di rilevare l’esistenza di un errore materiale, agevolmente rilevabile, in un provvedimento istruttorio, quando l’una o l’altra di tali attività avrebbero consentito di prevenire il compimento dell’atto nullo da parte del giudice. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto non opponibile, ad opera del procuratore costituito di una delle parti, la nullità derivante dalla mancata comunicazione del differimento d’ufficio di un’udienza già fissata, sul presupposto che egli avrebbe potuto agevolmente avvedersi dell’errore di inserimento del proprio nome di battesimo nel registro informatico della cancelleria, che tale nullità aveva determinato). Cass. civ. sez. VI 19 febbraio 2019, n. 4868
La regola dettata dall’art. 157, comma 3, c.p.c., secondo cui la parte che ha determinato la nullità non può rilevarla, non opera quando si tratti di una nullità rilevabile anche d’ufficio, ma tale inoperatività è correlata alla durata del potere ufficioso del giudice, sicché una volta che quest’ultimo abbia deciso la causa omettendo di rilevare la nullità, la regola si riespande, con la conseguenza che la parte che vi ha dato causa con il suo comportamento, ed anche quella che, omettendo di rilevarla, abbia contribuito al permanere della stessa, non possono dedurla come motivo di nullità della sentenza, a meno che si tratti di una nullità per cui la legge prevede il rilievo officioso ad iniziativa del giudice anche nel grado di giudizio successivo. Cass. civ. sez. III 30 agosto 2018, n. 21381
La regola dettata dal terzo comma dell’art. 157 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, si riferisce solo ai casi in cui la nullità non possa pronunciarsi che su istanza di parte e non riguarda, perciò, i casi in cui, invece, questa debba essere rilevata d’ufficio. La regola non trova quindi, applicazione, quando, come nel caso di mancata integrazione del contraddittorio in causa inscindibile, la nullità si ricolleghi ad un difetto di attività del giudice al quale incombeva l’obbligo di adottare un provvedimento per assicurare il regolare contraddittorio del processo. (Nella specie, in una causa di divisione, l’appellante non aveva notificato l’atto di impugnazione a tutti i condividendi e il giudice di secondo grado non aveva disposto l’integrazione del contraddittorio, la S.C., enunciando il principio sopra citato, ha cassato la sentenza di appello, rinviando ad altra sezione della medesima Corte). Cass. civ. sez. II 4 aprile 2001, n. 4948
La norma di cui all’art. 157, secondo comma, c.p.c. deve essere interpretata nel senso che la parte interessata ha l’onere di eccepire la nullità di un atto del processo (nella specie, violazione dell’art. 244 c.p.c. in tema di ammissione di prove testimoniali) nella prima istanza o difesa successiva all’atto stesso (o alla notizia di esso), ma non anche quello di reiterare l’eccezione in sede di precisazione di conclusioni. La mancata precisazione delle conclusioni, pertanto, non equivale a rinuncia, la quale può essere, al più, desumibile, ai sensi dell’art. 157, terzo comma, c.p.c., solo se l’eccezione non venga reiterata nel caso di precisazione delle conclusioni. Cass. civ. sez. II 17 maggio 2002, n. 7256
Le nullità attinenti alla deduzione ed all’assunzione di prove testimoniali sono relative, e perciò sanabili per acquiescenza della parte a svantaggio della quale la prova si sia svolta. Pertanto, qualora sia sentito un teste, che il giudice abbia ammesso sebbene sia stato indicato dalla parte interessata dopo il termine da lui fissato, senza alcuna opposizione della controparte, che abbia anzi assistito all’escussione, la nullità derivante dalla tardiva indicazione deve ritenersi sanata. Cass. civ. sez. III 27 gennaio 1981, n. 611.