Art. 9 – Codice Deontologico Forense

(Approvato in data 31 gennaio 2014)

Doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza

Art. 9 – codice deontologico forense

1. L’avvocato deve esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa, rispettando i principi della corretta e leale concorrenza.
2. L’avvocato, anche al di fuori dell’attività professionale, deve osservare i doveri di probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della professione forense.

Art. 9 – Codice Deontologico Forense

1. L’avvocato deve esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa, rispettando i principi della corretta e leale concorrenza.
2. L’avvocato, anche al di fuori dell’attività professionale, deve osservare i doveri di probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della professione forense.

Pronunce Consiglio Nazionale Forense

Il comportamento dell’avvocato deve essere adeguato al prestigio della classe forense, che impone comportamenti individuali ispirati a valori positivi, immuni da ogni possibile giudizio di biasimo, etico, civile o morale. Conseguentemente, commette e consuma illecito deontologico l’avvocato che non provveda al puntuale adempimento delle proprie obbligazioni nei confronti dei terzi (art. 64 cdf) e ciò indipendentemente dalla natura privata o meno del debito, atteso che tale onere di natura deontologica, oltre che di natura giuridica, è finalizzato a tutelare l’affidamento dei terzi nella capacità dell’avvocato al rispetto dei propri doveri professionali e la negativa pubblicità che deriva dall’inadempimento si riflette sulla reputazione del professionista ma ancor più sull’immagine della classe forense (Nel caso di specie, dopo la convalida dello sfratto per morosità, l’avvocato ometteva di restituire nella disponibilità del proprietario l’immobile adibito a studio professionale, tanto da subire l’escomio a mezzo ufficiale giudiziario. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per mesi sei). Consiglio nazionale forense, sentenza del 24 marzo 2021 n. 50

L’Avvocato deve svolgere la propria attività con lealtà e correttezza non solo nei confronti della parte assistita, ma anche verso i terzi in genere e verso la controparte, giacché il dovere di lealtà e correttezza nell’esercizio della professione è un canone generale dell’agire di ogni Avvocato, che mira a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nell’Avvocato stesso quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività. Consiglio nazionale forense, sentenza del 28 dicembre 2020 n. 249

L’avvocato ha il dovere di comportarsi, in ogni situazione (quindi anche nella dimensione privata e non propriamente nell’espletamento dell’attività forense), con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l’avvocatura svolge nella giurisdizione e perciò anche in tale ambito deve in ogni caso astenersi dall’esprimere apprezzamenti denigratori sulle capacità professionali di un collega, che l’art. 42 cdf ammette -seppur non in modo indiscriminato- solo se il Collega stesso sia parte del giudizio e ciò sia necessario alla tutela di un diritto (Nel caso di specie, durante un colloquio con un terzo, l’avvocato esprimeva apprezzamenti denigratori -tra cui “capra”- nei confronti del proprio ex collaboratore di studio, ritenuto solo capace di fare “decreti ingiuntivi su sentenze”). Consiglio nazionale forense, sentenza del 4 dicembre 2020 n. 234

L’avvocato ha il dovere di comportarsi, in ogni situazione (quindi anche nella dimensione privata e non propriamente nell’espletamento dell’attività forense), con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l’avvocatura svolge nella giurisdizione e deve in ogni caso astenersi dal pronunciare espressioni sconvenienti od offensive, il cui carattere illecito deve essere accertato caso per caso ed alla luce dell’ambito in cui esse sono pronunciate. Consiglio nazionale forense, sentenza del 4 dicembre 2020 n. 232

Costituisce gravissima violazione dei doveri di probità, dignità e decoro (art. 9 ncdf, già art. 5 codice previgente), tale da rendere incompatibile la permanenza dell’iscritto nell’albo, il comportamento dell’avvocato che sostanzialmente utilizzi la professione forense per carpire la fiducia dei propri clienti e perpetrare in danno degli stessi, con artifici, raggiri e destrezza, comportamenti riprovevoli e di una gravità inaudita, che danneggiano in modo significativo le parti assistite e compromettono gravemente l’immagine che l’avvocatura deve mantenere al fine di assicurare la propria funzione sociale, sì da meritare la massima sanzione disciplinare (Nel caso di specie, l’incolpato era stato condannato in sede penale per essersi appropriato di diverse decine di migliaia di euro, che si era fatto precedentemente consegnare da alcuni clienti con artifici, raggiri e minacce. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della radiazione). Consiglio nazionale forense, sentenza del 18 settembre 2019 n. 79

I concetti di probità, dignità e decoro costituiscono doveri generali e concetti guida, a cui si ispira ogni regola deontologica, giacché essi rappresentano le necessarie premesse per l’agire degli avvocati, e mirano a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nella figura dell’avvocato, quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività. Consiglio nazionale forense, sentenza del 31 dicembre 2018 n. 243

Il principio di stretta tipicità dell’illecito, proprio del diritto penale, non trova applicazione nella materia disciplinare forense, nell’ambito della quale non è prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati, giacché il nuovo sistema deontologico forense -governato dall’insieme delle norme, primarie (artt. 3 c.3 – 17 c.1, e 51 c.1 della L. 247/2012) e secondarie (artt. 4 c.2, 20 e 21 del C.D.)- è informato al principio della tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante e delle relative sanzioni “per quanto possibile” (art. 3, co. 3, cit.), poiché la variegata e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti (anche della vita privata) costituenti illecito disciplinare non ne consente una individuazione dettagliata, tassativa e non meramente esemplificativa. Conseguentemente, l’eventuale mancata “descrizione” di uno o più comportamenti e della relativa sanzione non genera l’immunità, giacché è comunque possibile contestare l’illecito anche sulla base della citata norma di chiusura, secondo cui “la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza”. Consiglio nazionale forense, sentenza del 25 ottobre 2018 n. 132

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