Art. 63 – Codice Deontologico Forense

(Approvato in data 31 gennaio 2014)

Rapporti con i terzi

Art. 63 – codice deontologico forense

1. L’avvocato, anche al di fuori dell’esercizio del suo ministero, deve comportarsi, nei rapporti interpersonali, in modo tale da non compromettere la dignità della professione e l’affidamento dei terzi.
2. L’avvocato deve tenere un comportamento corretto e rispettoso nei confronti dei propri dipendenti, del personale giudiziario e di tutte le persone con le quali venga in contatto nell’esercizio della professione.
3. La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento.

Art. 63 – Codice Deontologico Forense

1. L’avvocato, anche al di fuori dell’esercizio del suo ministero, deve comportarsi, nei rapporti interpersonali, in modo tale da non compromettere la dignità della professione e l’affidamento dei terzi.
2. L’avvocato deve tenere un comportamento corretto e rispettoso nei confronti dei propri dipendenti, del personale giudiziario e di tutte le persone con le quali venga in contatto nell’esercizio della professione.
3. La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento.

Pronunce Consiglio Nazionale Forense

L’Avvocato deve svolgere la propria attività con lealtà e correttezza non solo nei confronti della parte assistita, ma anche verso i terzi in genere e verso la controparte, giacché il dovere di lealtà e correttezza nell’esercizio della professione è un canone generale dell’agire di ogni Avvocato, che mira a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nell’Avvocato stesso quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività. Consiglio nazionale forense, sentenza del 28 dicembre 2020, n. 249

Commette illecito disciplinare, sanzionabile ai sensi degli artt. 7, 9 e 63 co. 2 C.D.F. il professionista che, avendo ricevuto mandato da una società di recupero crediti, omettendo ogni vigilanza, consente ai dipendenti di quest’ultima di effettuare, a suo nome, “diffide di pagamento telefoniche” ai presunti debitori con modalità assillanti, moleste e con toni minacciosi, peraltro rendendosi di fatto irreperibile con quest’ultimi, impedendo ogni doverosa interlocuzione. Consiglio nazionale forense, sentenza del 28 luglio 2020, n. 89

 

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