L’illecito disciplinare non è scriminato dall’asserita buona fede, giacché per l’imputabilità dell’infrazione è sufficiente la volontarietà con la quale è stato compiuto l’atto deontologicamente scorretto, a nulla rilevando la buona fede dell’incolpato ovvero le sue condizioni psico-fisiche, elementi dei quali si può tener conto solo nella determinazione concreta della sanzione. Consiglio nazionale forense, sentenza del 25 febbraio 2020, n. 43
Ai fini della sussistenza dell’illecito disciplinare, è sufficiente la volontarietà del comportamento dell’incolpato e, quindi, sotto il profilo soggettivo, è sufficiente la “suitas” della condotta intesa come volontà consapevole dell’atto che si compie, dovendo la coscienza e volontà essere interpretata in rapporto alla possibilità di esercitare sul proprio comportamento un controllo finalistico e, quindi, dominarlo. L’evitabilità della condotta, pertanto, delinea la soglia minima della sua attribuibilità al soggetto, intesa come appartenenza della condotta al soggetto stesso, a nulla rilevando la ritenuta sussistenza da parte del professionista di una causa di giustificazione o non punibilità. Consiglio nazionale forense, sentenza del 16 ottobre 2019, n. 108
La responsabilità del professionista ai fini dell’addebito dell’infrazione disciplinare non necessita di cosiddetto dolo specifico e/o generico, essendo sufficiente la volontarietà con cui l’atto è stato compiuto ovvero omesso, anche quando questa si manifesti in un mancato adempimento all’obbligo di controllo del comportamento dei collaboratori e/o dipendenti. Il mancato controllo costituisce piena e consapevole manifestazione della volontà di porre in essere una sequenza causale che in astratto potrebbe dar vita ad effetti diversi da quelli voluti, che pero` ricadono sotto forma di volontarietà sul soggetto che avrebbe dovuto vigilare e non lo ha fatto (Nel caso di specie, la collaboratrice di studio aveva modificato la copia del verbale di udienza). Consiglio nazionale forense, sentenza del 28 dicembre 2018, n. 220