Art. 25 – Codice Deontologico Forense

(Approvato in data 31 gennaio 2014)

Accordi sulla definizione del compenso

Art. 25 – codice deontologico forense

1. La pattuizione dei compensi, fermo quanto previsto dall’art. 29, quarto comma, è libera. È ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfettaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene il destinatario della prestazione, non soltanto a livello strettamente patrimoniale.
Sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso, in tutto o in parte, una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa.
3. La violazione del divieto di cui al precedente comma comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi.

Art. 25 – Codice Deontologico Forense

1. La pattuizione dei compensi, fermo quanto previsto dall’art. 29, quarto comma, è libera. È ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfettaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene il destinatario della prestazione, non soltanto a livello strettamente patrimoniale.
Sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso, in tutto o in parte, una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa.
3. La violazione del divieto di cui al precedente comma comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi.

Pronunce Consiglio Nazionale Forense

Affinché possa dirsi rispettato il canone deontologico posto dall’art. 24 cdf (già art. 37 codice previgente) non solo deve essere chiara la terzietà dell’avvocato, ma è altresì necessario che in alcun modo possano esservi situazioni o atteggiamenti tali da far intendere diversamente. La suddetta norma, invero, tutela la condizione astratta di imparzialità e di indipendenza dell’avvocato – e quindi anche la sola apparenza del conflitto – per il significato anche sociale che essa incorpora e trasmette alla collettività, alla luce dell’id quod plerumque accidit, sulla scorta di un giudizio convenzionale parametrato sul comportamento dell’uomo medio, avuto riguardo a tutte le circostanze e peculiarità del caso concreto, tra cui la natura del precedente e successivo incarico. Consiglio nazionale forense, sentenza del 17 dicembre 2018, n. 182

Il rapporto tra difensore ed assistito deve essere sempre diretto e basato sulla fiducia, e l’avvocato deve evitare sempre di trovarsi in posizione di conflitto di interessi anche potenziale con il proprio cliente: ciò, tanto nell’ipotesi che sia il solo difensore, quanto nella diversa ipotesi che altri colleghi siano associati a lui nella difesa del cliente, giacché non vi è una ulteriore funzione di controllo o di garanzia che un difensore deve svolgere nei confronti dell’altro, che consenta l’elusione di una delle norme fondamentali che devono caratterizzare il comportamento dell’avvocato, che deve essere sempre improntato alla lealtà. Consiglio nazionale forense, sentenza del 29 novembre 2018, n. 164

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