Art. 949 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Azione negatoria

Articolo 949 - codice civile

Il proprietario (1012) può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio (2653; 15 c.p.c.).
Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno (1170).

Articolo 949 - Codice Civile

Il proprietario (1012) può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio (2653; 15 c.p.c.).
Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno (1170).

Massime

La “actio negatoria servitù utis” ha come essenziale presupposto la sussistenza di altrui pretese sul bene immobile, non potendo essere esercitata in presenza di turbative o molestie che non si sostanzino in una pretesa di diritto sulla cosa. Ne consegue che un’opera astrattamente idonea a consentire il transito da un fondo ad un altro, come un cancello, non può essere posta a fondamento di una servitù di passaggio per usucapione se tale passaggio non venga concretamente esercitato. Cass. civ. sez. VI-II, 5 dicembre 2018, n. 31382

L’«actio negatoria servitù utis» non è esercitabile dal proprietario quando, pur verificandosi una molestia o turbamento del possesso o godimento del bene, la turbativa non si sostanzi in una pretesa di diritto sulla cosa, in tal caso essendo apprestati altri rimedi di carattere essenzialmente personale. Per altro verso, non è precluso a colui che abbia ottenuto, con sentenza passata in giudicato, declaratoria di inesistenza sul suo fondo di una servitù di passaggio, di agire in giudizio per far cessare il comportamento del proprietario dell’altrui fondo che ne abbia continuato l’esercizio nonostante il giudicato sfavorevole. Cass. civ. sez. II, 11 febbraio 2009, n. 3389

Il proprietario del fondo su cui si esercita una veduta illegale può proporre l’azione negatoria e chiedere l’accertamento dell’inesistenza della servitù e anche la sua eliminazione in ogni momento, purché non sia decorso il termine ventennale necessario per l’usucapione delle servitù apparenti, quale è quella di veduta. Cass. civ. sez. II, 14 febbraio 2002, n. 2159

L’azione negatoria, che, a norma dell’art. 949 c.c. il proprietario può esercitare per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, ovvero per far ordinare la cessazione di turbative e di molestie sulla stessa, e per ottenere l’eventuale risarcimento dei danni – anche se considerata nella sua più limitata e ristretta configurazione di azione reale – non postula necessariamente l’esistenza di un rapporto di contiguità materiale tra l’immobile la cui tutela sia esperita e quello a cui vantaggio venga esercitato il diritto negato o da cui promanino le turbative e le molestie; essa presuppone semplicemente che tra i due immobili sussista un rapporto di contiguità in senso giuridico, che permetta, cioè, lo stabilirsi, tra di essi, di situazioni corrispondenti di pregiudizio e vantaggio. (Omissis). Cass. civ. sez. II, 10 marzo 1976, n. 835

L’interesse ad agire in “negatoria servitù utis” sussiste anche quando, pur non denunciandosi l’avvenuto esercizio di atti materialmente lesivi della proprietà dell’attore, questi, a fronte di inequivoche pretese reali affermate dalla controparte sulla stessa, intenda far chiarezza al riguardo con l’accertamento dell’infondatezza delle dette pretese. Cass. civ. sez. II, 8 marzo 2010, n. 5569

L’interesse a proporre l’actio negatoria servitù utis sorge allorquando venga posta in essere dal terzo un’attività implicante in concreto l’esercizio, che si assume abusivo, di una servitù a carico del fondo di proprietà di colui che agisce, mentre non può essere proposta l’azione al fine di far dichiarare una generica libertà del fondo, indipendentemente da concreti attentati alla stessa, i quali possono anche consistere nell’esplicita pretesa di esercitare una determinata servitù . Cass. civ. sez. II, 8 febbraio 1989, n. 781

L’interesse ad agire in negatoria servitù utis postula la sussistenza dell’esercizio attuale e concreto della servitù  accompagnato dalla pretesa di esercitare un diritto sulla cosa asservita. Ne consegue che l’attore è carente di un interesse attuale e concreto ad agire in negatoria in ordine ad una servitù di veduta esercitata in passato su una terrazza di sua proprietà attraverso una finestra successivamente murata. Cass. civ. sez. II, 21 gennaio 2000, n. 649

La “actio negatoria servitù utis” può essere diretta sia all’accertamento dell’inesistenza di diritti vantati da terzi sia alla cessazione diturbative o molestie e, in tale ultima ipotesi, ove la turbativa o la molestia sia attuata mediante la realizzazione di un’opera, può anche determinare la condanna alla trasformazione o demolizione dell’opera stessa, ma non l’ordine di esecuzione di opere eccedenti la finalità dell’azione, che è quella di rimuovere una situazione comportante una menomazione del godimento del fondo oggetto del pregiudizio. Cass. civ. sez. II, 31 dicembre 2014, n. 27564

Nelle azioni a difesa della proprietà, l’identificazione della porzione immobiliare in contestazione può essere desunta da un frazionamento, anche se redatto in epoca antecedente, purché venga espressamente richiamato nel titolo, proprio al fine di individuare l’area o il lotto oggetto del contratto, senza che sia necessaria né l’apposita sottoscrizione delle parti contraenti sul documento, nè l’allegazione al rogito. Cass. civ. sez. II, 7 febbraio 2008, n. 2857

In tema di azioni a difesa della proprietà, costituisce actio negatoria servitù utis non solo la domanda diretta all’accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù ma anche quella volta alla eliminazione della situazione antigiuridica posta in essere dal terzo mediante la rimozione delle opere lesive del diritto di proprietà dal medesimo realizzate, allo scopo di ottenere la effettiva libertà del fondo, così da impedire che il potere di fatto del terzo corrispondente all’esercizio di un diritto, protraendosi per il tempo prescritto dalla legge, possa comportare l’acquisto per usucapione di un diritto reale su cosa altrui. Ne consegue che l’azione diretta a conseguire la riduzione in pristino a favore di colui che ha subito danno per effetto della violazione delle distanze legali deve qualificarsi come actio negatoria servitù utis, essendo volta non già all’accertamento del diritto di proprietà dell’attore libero da servitù vantate da terzi, bensì a respingere l’imposizione di limitazioni a carico della proprietà suscettibili di dare luogo a servitù . Cass. civ. sez. II, 5 agosto 2005, n. 16495

Configura actio negatoria servitù utis, come tale imprescrittibile, la domanda del proprietario di rispetto delle distanze legali tra costruzioni (art. 873 c.c.), ravvisabile anche se manca la richiesta di demolire le opere costituenti l’esercizio della pretesa servitù. Cass. civ. sez. II, 18 dicembre 1997, n. 12810

La negatoria servitù utis è diretta non solo all’accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù  ma anche al conseguimento della cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, al fine di ottenere la libertà del fondo. Ne consegue che la contestuale domanda concernente la rimozione di opere lesive del diritto di proprietà, inerendo allo stesso oggetto della negatoria, deve ritenersi già considerata nel valore di questa, da determinarsi secondo il criterio fissato dalla legge, senza che trovi applicazione il principio del cumulo delle domande. Cass. civ. sez. II, 31 gennaio 1985, n. 646

Qualora nel corso del giudizio di “negatoria servitù utis” il convenuto acquisti la comproprietà del bene (nella specie, una strada), ogni questione relativa alla servitù è assorbita, atteso che la turbativa della proprietà non può essere più inquadrata come tentativo di acquisire un diritto di servitù  ma deve essere regolata nell’ambito del regime di amministrazione della cosa comune tra comproprietari. Cass. civ. sez. II, 16 settembre 2013, n. 21110

Nel caso in cui uno dei comproprietari di un fondo esegua delle opere su un fondo confinante di sua esclusiva proprietà i rapporti tra i due fondi ed i limiti dei relativi diritti di proprietà non sono disciplinati dai principi che regolano la proprietà comune, ma dalle norme che regolano la contiguità di immobili appartenenti rispettivamente a soggetti diversi. Pertanto, l’altro comproprietario dell’immobile può agire in petitorio per l’accertamento dell’inesistenza dei diritti astrattamente ricollegabili al comportamento del confinante e per la cessazione delle altrui molestie al libero esercizio del diritto di proprietà a norma dell’art. 949 commi 1 e 2 c.c. Cass. civ. sez. II, 9 febbraio 1993, n. 1599

Ove l’attore, sostenendo di essere proprietario di un’immobile, neghi che il convenuto sia titolare di un diritto di passaggio sul medesimo, e quest’ultimo, a sua volta, pur riconoscendo il titolo di proprietà dell’attore, opponga di essere comproprietario del bene stesso, l’azione va qualificata negatoria servitù utis, in quanto la proprietà dell’attore non è oggetto di controversia, che è limitata ai soli diritti vantati sulla cosa del convenuto. In tal caso, pertanto, mentre l’attore adempie il suo onere probatorio esibendo il suo titolo d’acquisto, incombe alla controparte dimostrare i fatti costitutivi del suo preteso diritto di comproprietà sul bene. Cass. civ. sez. II, 3 giugno 1991, n. 6258

In tema di negatoria servitù utis, l’azione tendente a far dichiarare la libertà del fondo dell’attore non muta qualificazione per il fatto che il convenuto opponga, in via di eccezione, di essere comproprietario del fondo stesso, rendendo così necessario, ma pur sempre mezzo al fine, l’accertamento della proprietà, il cui onere probatorio ricade in ogni caso a carico dell’attore, mercè la produzione di un valido titolo di acquisto. Cass. civ. sez. II, 4 ottobre 1976, n. 3245

L’azione “negatoria servitù utis”, quella di rivendica e la “confessoria servitù utis” si differenziano in quanto l’attore, con la prima, si propone quale proprietario e possessore del fondo, chiedendone il riconoscimento della libertà contro qualsiasi pretesa di terzi; con la seconda, si afferma proprietario della cosa di cui non ha il possesso, agendo contro chi la detiene per ottenerne, previo riconoscimento del suo diritto, la restituzione; con la terza, infine, dichiara di vantare sul fondo, che pretende servente, la titolarità di una servitù  Pertanto, sotto il profilo probatorio, nel primo caso egli deve dimostrare, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido; allorché, invece, agisca in rivendica, deve fornire la piena prova della proprietà, dimostrando il suo titolo di acquisto e quello dei suoi danti causa fino ad un acquisto a titolo originario; da ultimo, nell’ipotesi di “confessoria servitù utis”, ha l’onere di provare l’esistenza della servitù che lo avvantaggia. Cass. civ. sez. II, 11 gennaio 2017, n. 472

L’azione “negatoria servitù utis” tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sul bene e, quindi, non al mero accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù ma al conseguimento della cessazione della dedotta situazione antigiuridica, al fine di ottenere la libertà del fondo, mentre la domanda di riduzione in pristino per aggravamento di servitù esistente prospetta un’alterazione dei luoghi compiuta dal titolare di una servitù prediale, trovando fondamento nei rimedi di cui agli artt. 1063 e 1067 c.c.. Cass. civ. sez. II, 9 gennaio 2017, n. 203

La domanda diretta ad ottenere la rimozione della situazione lesiva del diritto di proprietà, non accompagnata dalla contestuale richiesta di declaratoria del diritto reale, esorbita dai limiti della “negatoria servitù utis” e può assumere la veste di azione di reintegrazione in forma specifica di natura personale se è intesa al ristabilimento di un’attività esercitata sulla base del diritto di proprietà, in quanto l’azione si fonda sul diritto di credito conseguente alla lesione del diritto reale; in tal caso, la difesa del convenuto che pretenda di essere proprietario del bene in contestazione non è idonea a trasformare l’azione personale in reale, poiché la controversia va decisa con esclusivo riferimento alla pretesa dedotta, né la semplice contestazione da parte del convenuto può porre a carico dell’attore il più gravoso onere della prova dell’azione di rivendicazione (c.d. “probatio diabolica”). Cass. civ. sez. II, 17 gennaio 2011, n. 884

Come le limitazioni legali della proprietà sono essenzialmente diverse dalle servitù prediali così l’azione di chi tende alla affermazione di tali limitazioni a carico della proprietà del vicino – il quale le ha, di fatto, trasgredite pur senza vantare sul fondo altrui un diritto di servitù che legittimerebbe tale inosservanza o che da questa, per usucapione, sarebbe comunque derivato, legittimandola ab origine – non può confondersi con l’azione negatoria servitù utis. Soltanto nella prima ipotesi, infatti, la libertà attuale del fondo dell’attore da vincoli correlati al fatto del convenuto non è materia né di azione né di eccezione, ma semplice presupposto, non controverso, di fondatezza della domanda, la quale non mira all’accertamento, positivo o negativo, di un diritto reale di godimento. Cass. civ. sez. II, 4 aprile 1978, n. 1523.

L’azione negatoria servitù utis e l’azione di rivendicazione, pur avendo quale presupposto comune il diritto di proprietà, differiscono nei requisiti e nel contenuto. Nella prima l’attore, proprietario e possessore di un immobile, tende ad ottenere il riconoscimento della libertà del bene contro terzi che, vantando diritti reali su di esso, ne attentino il libero ed evolutivo godimento da parte sua. Nella seconda, invece, l’attore mira a conseguire il riconoscimento giudiziale del suo diritto di proprietà, al fine di ottenere, in dipendenza di tale riconoscimento, anche la restituzione della res che ne è oggetto; ciò che caratterizza quest’ultima azione e ne costituisce il presupposto è un effettuale conflitto di titoli, il quale manca, invece, nella prima. Cass. civ. sez. II, 16 febbraio 1977, n. 695

L’azione diretta al rispetto delle distanze legali è modellata sullo schema dell’”actio negatoria servitù utis”, essendo rivolta non già all’accertamento del diritto di proprietà dell’attore, bensì a respingere l’imposizione di limitazioni a carico della proprietà, suscettibili di dar luogo a servitù  essa, pertanto, non esige la rigorosa dimostrazione della proprietà dell’immobile a cui favore l’azione viene esperita, essendo sufficiente che l’attore dimostri con qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, di possedere il fondo in base ad un valido titolo di acquisto. Cass. civ. sez. II, 12 dicembre 2016, n. 25342

In tema di “actio negatoria servitù utis”, ai sensi dell’art. 2697 c.c. il proprietario del fondo servente che ammetta l’esistenza legittima della servitù  deducendo solo che la stessa debba esercitarsi con determinate modalità ed entro certi limiti, ha l’onere di provare l’esistenza delle dedotte modalità e limitazioni. Cass. civ. sez. II, 14 gennaio 2016, n. 476

In tema di azione negatoria, poiché la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, la parte che agisce in giudizio non ha l’onere di fornire la prova rigorosa della proprietà, come accade nell’azione di rivendica, essendo sufficiente la dimostrazione con ogni mezzo, anche in via presuntiva, del possesso del fondo in forza di un titolo valido, mentre incombe sul convenuto l’onere di provare l’esistenza del diritto di compiere l’attività lamentata come lesiva dall’attore. Cass. civ.sez. , II, 15 ottobre 2014, n. 21851

L’azione negatoria servitù utis tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sulla cosa dell’attore, e dunque non soltanto all’accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù  ma anche al conseguimento della cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, al fine di ottenere la libertà del fondo, e si differenzia dall’azione di rivendicazione in quanto ciò che caratterizza quest’ultima azione e ne costituisce un presupposto è un eventuale conflitto tra titoli; conseguentemente, l’onere della prova che grava sull’attore nel possesso del bene è meno rigoroso che nell’azione di rivendicazione, essendo sufficiente provare l’esistenza del titolo di proprietà, ed anche il possesso del terreno qualora il convenuto eccepisca l’intervenuta usucapione. Cass. civ. sez. II, 19 agosto 2002, n. 12233

L’azione negatoria, diversamente da quella di rivendicazione, pone un onere probatorio di minor rigore, potendo essere dimostrata la proprietà con ogni mezzo, anche mediante presunzioni, in ipotesi di insufficienza dei titoli di provenienza. Cass. civ. sez. II, 12 agosto 2002, n. 12166

In tema di azione negatoria di servitù  poiché la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva, qualora il convenuto la contesti, la parte che agisce ha l’onere di provare il suo diritto di proprietà nei confronti del convenuto. Cass. civ. sez. II, 27 marzo 2002, n. 4366

Esercitata l’azione negatoria per sentir dichiarare l’inesistenza di un diritto di servitù sul fondo dell’attore, qualora il convenuto eccepisca di essere egli stesso proprietario del fondo che si assume gravato, oggetto del giudizio è l’accertamento della libertà del fondo mentre l’accertamento della proprietà del medesimo ha valore soltanto strumentale; conseguentemente, non essendo la domanda volta al recupero del bene, l’onere della prova che grava sull’attore nel possesso del bene è meno rigoroso che nell’azione di rivendica e la prova, in caso di insufficienza dei titoli di provenienza, può essere data con ogni mezzo ed anche con presunzioni. Cass. civ. sez. II, 29 marzo 1999, n. 2982

Colui che agisce in negatoria servitù utis, dimostrata la sua qualità di proprietario della res, può limitarsi a contestare la titolarità del diritto altrui su di essa senza necessità di contestarne anche l’esistenza, la quale non ha l’effetto di costringerlo a subirne l’esercizio da parte di chiunque. Omologamente, il convenuto che affermi un diritto in re aliena deve dimostrare di esserne anche il titolare. Cass. civ. sez. II, 29 maggio 1998, n. 5299

In tema di azione negatoria, di cui all’art. 949 c.c. nel difetto di proposizione di una specifica domanda di accertamento positivo o, da parte del convenuto, di accertamento negativo della proprietà del bene oggetto dell’azione, la titolarità del bene stesso, ponendosi come mero requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della causa, può essere provata anche in base a presunzioni semplici. (Nella specie, le risultanze dell’atto d’acquisto dell’immobile od il possesso della cosa a partire dalla stessa data). Cass. civ. sez. II, 4 dicembre 1995, n. 12488

Chi agisce giudizialmente per fare dichiarare la inesistenza a carico del proprio fondo di una servitù di veduta diretta deve limitarsi a provare che sul fondo del vicino si aprono delle vedute a distanza inferiore a un metro e mezzo dal confine, in quanto l’art. 905 c.c. gli dà il diritto di pretenderne l’eliminazione, e incombe al convenuto, ai sensi dell’art. 2697 c.c. per evitare il riconoscimento di tale diritto, fornire la prova di un titolo che gli attribuisca la servitù di veduta, atteso che solo se l’attore affermi che la veduta sia stata aperta in sostituzione di un’altra veduta di cui ammetta o non contesti la conformità al diritto, deve, altresì, dimostrare il presupposto su cui si basa la sua pretesa, cioè la difformità della nuova veduta rispetto a quella preesistente. Cass. civ. sez. II, 13 giugno 1994, n. 5734

Nelle azioni reali di “negatoria servitù utis” ai sensi dell’art. 949 c.c. la legittimazione processuale attiva compete non soltanto al proprietario, ma anche al titolare di un diritto reale di godimento sul fondo servente diverso da quello di proprietà. Cass. civ. sez. II, 15 maggio 2018, n. 11823

Legittimato passivo rispetto all’”actio negatoria servitù utis” esercitata da colui che, essendo nel possesso di un bene immobile, vanti di averne acquistato la proprietà a titolo di usucapione è chi contesti detto acquisto a titolo originario ovvero vanti altri diritti sul bene, e non anche l’apparente proprietario dello stesso. Cass. civ. sez. II, 1 agosto 2017, n. 19145

Nell’”actio negatoria servitù utis” la legittimazione attiva e passiva compete a coloro che sono titolari delle posizioni giuridiche dominicali, rispettivamente svantaggiate o avvantaggiate dalla servitù  e, nel caso in cui la legittimazione di una delle parti, pur assente all’atto della proposizione della domanda, sopravvenga nel corso del giudizio, il procedimento può proseguire fino all’emissione della decisione, dato che la legittimazione ad agire, rappresentando una condizione dell’azione, non può subire limitazioni temporali, sicché è sufficiente che essa sussista al momento della decisione, poiché la sua sopravvenienza rende proponibile l’azione “ab origine”, indipendentemente dal momento in cui si verifichi. Cass. civ. sez. II, 18 dicembre 2014, n. 26769

In tema di limitazioni legali della proprietà, l’azione per denunciare la violazione da parte del vicino delle distanze nelle costruzioni ha natura di “negatoria servitù utis”, essendo diretta a far valere l’inesistenza di “iura in re” a carico della proprietà suscettibili di dar luogo ad una servitù  e pertanto al suo esercizio è legittimato, a norma dell’art. 1012, secondo comma, c.c. anche il titolare del diritto di usufrutto sul fondo. Cass. civ. sez. II, 21 ottobre 2009, n. 22348

L’azione negatoria della servitù  può essere esercitata non solo contro colui che vanti un preteso diritto configurabile come ius in re aliena ma anche contro chi si affermi proprietario della porzione immobiliare oggetto dell’azione pur non avendone il possesso, in quanto finalizzata a rimuovere una situazione che comporti una manomissione del godimento del fondo stesso. Cass. civ. sez. II, 23 gennaio 2009, n. 1778

In materia di distanze legali tra costruzioni, l’azione del proprietario di un fondo diretta a conseguire la demolizione o l’arretramento dell’opera è esperibile esclusivamente nei confronti del proprietario confinante, in considerazione del carattere reale dell’azione medesima, qualificabile come negatoria servitù utis. Cass. civ. sez. II, 18 settembre 2006, n. 20126

L’azione volta ad ottenere l’accertamento della inesistenza della servitù di apporre le tubature del gas sul muro perimetrale di un edificio e la conseguente condanna alla loro rimozione va proposta non nei confronti dell’utente del servizio di fornitura comproprietario del muro, che è privo di legittimazione passiva, ma nei confronti dell’ente erogatore del gas, quale proprietario del fondo dominante costituito dall’impianto di distribuzione. Cass. civ. sez. II, 19 maggio 2006, n. 11784

La actio negatoria servitù utis può essere proposta da uno solo dei proprietari del bene, anche se, oltre ad essere diretta all’accertamento dell’inesistenza di diritti reali su di esso, sia volta a conseguire la cessazione dell’attività illegittima del convenuto e, ove questa consista in opere, ad ottenerne la demolizione, in quanto la quota ideale di interessi di ognuno dei partecipi è compenetrata nell’intera consistenza della cosa comune. Cass. civ. sez. II, 8 maggio 1998, n. 4658

Legittimato attivamente a proporre l’azione negatoria di servitù non è solo il proprietario esclusivo della cosa, bensì anche il condominio (Recte: condomino -N.d.R.) il quale, trattandosi di azione a tutela della proprietà della cosa comune contro i terzi che su tale cosa vantano i propri diritti, può agire senza che sia necessaria l’integrazione del giudizio nei confronti degli altri partecipanti alla comunione. Cass. civ. sez. II, 13 febbraio 1995 n. 1563

Nel caso di servitù le quali, pur avendo lo stesso contenuto, siano distinte, perché poste a servizio di fondi diversi, non è ravvisabile alcun litisconsorzio necessario tra i relativi titolari, rispetto all’”actio negatoria” esperita contro alcuno di essi dal proprietario del fondo servente, anche se questi domandi di essere autorizzato ad eseguire nel suo fondo opere che impediscano l’esercizio dell’attività comune alle diverse servitù . Cass. civ. sez. II, 3 ottobre 2019, n. 24724

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