Art. 913 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Scolo delle acque

Articolo 913 - codice civile

Il fondo inferiore è soggetto a ricevere le acque che dal fondo più elevato scolano naturalmente, senza che sia intervenuta l’opera dell’uomo (1094 ss.).
Il proprietario del fondo inferiore non può impedire questo scolo, né il proprietario del fondo superiore può renderlo più gravoso (1043).
Se per opere di sistemazione agraria dell’uno o dell’altro fondo si rende necessaria una modificazione del deflusso naturale delle acque, è dovuta un’indennità al proprietario del fondo a cui la modificazione stessa ha recato pregiudizio (1044).

Articolo 913 - Codice Civile

Il fondo inferiore è soggetto a ricevere le acque che dal fondo più elevato scolano naturalmente, senza che sia intervenuta l’opera dell’uomo (1094 ss.).
Il proprietario del fondo inferiore non può impedire questo scolo, né il proprietario del fondo superiore può renderlo più gravoso (1043).
Se per opere di sistemazione agraria dell’uno o dell’altro fondo si rende necessaria una modificazione del deflusso naturale delle acque, è dovuta un’indennità al proprietario del fondo a cui la modificazione stessa ha recato pregiudizio (1044).

Massime

L’art. 913 c.c. in tema di scolo delle acque, ponendo a carico dei proprietari, sia del fondo inferiore che superiore, l’obbligo di non alterare la configurazione naturale del terreno, non vieta tutte le possibili modificazioni incidenti sul deflusso naturale delle acque, ma soltanto quelle che alterino apprezzabilmente tale deflusso, rendendo più gravosa la condizione dell’uno o dell’altro fondo. Si tratta, dunque, di un accertamento di fatto che, se adeguatamente motivato sotto il profilo logico e giuridico, non è censurabile in sede di legittimità. Cass. civ. sez. II, 20 novembre 2019, n. 30239

L’art. 913 c.c. pone a carico dei proprietari, sia del fondo superiore che del fondo inferiore, un obbligo di non fare, vietando ad essi ogni alterazione che abbia per effetto quello di rendere più gravoso ovvero di ostacolare il naturale deflusso delle acque a valle. Cass. civ. sez. II, 15 giugno 2011, n. 13097

Pur essendo vero che il proprietario del fondo sovrastante non può rendere più gravoso per il proprietario del fondo inferiore il deflusso delle acque che, dal terreno superiore, scolano verso quello sottostante e pur potendosi ritenere che questo principio, dettato dall’art. 913 c.c. è da considerarsi applicabile anche ai rapporti tra i Comuni confinanti, escludendosi, così, la legittimità di opere, quali le strade pubbliche, eseguite nei territori posti a maggiore quota, in tutti quei casi in cui queste, siccome prive di impianti di smaltimento delle acque piovane, accrescano la quantità e la velocità del deflusso delle acque stesse verso i suoli posti a minore quota, tuttavia tale regola riguarda solo il rapporto tra i proprietari dei due territori, che possono – come detto – identificarsi anche con due enti pubblici. Viceversa, questo principio non si estende al rapporto tra il Comune ed i suoi abitanti, verso i quali l’Amministrazione è, comunque, tenuta all’osservanza del divieto del neminem laedere che di per sé implica l’obbligo di adottare, nella costruzione delle strade pubbliche, gli accorgimenti e i ripari necessari per evitare che, dalla strada, le acque che nella medesima si raccolgono o che sulla stessa sono convogliate, legalmente o illegalmente, senza opposizione del Comune proprietario, possano defluire in modo anomalo nei fondi confinanti, così impedendo di arrecare loro un danno ingiusto. Cass. civ. sez. III, 6 febbraio 2007, n. 2566

In tema di scolo delle acque, l’art. 913 c.c. imponendo il divieto di compiere le alterazioni dello stato dei luoghi che possano comportare una sensibile modifica del deflusso delle acque, prevede un nesso causale fra l’opera dell’uomo e l’aggravamento della servitù  pertanto, qualora siano state disposte dal Comune modifiche dell’assetto urbanistico, occorre verificare se le opere realizzate dal proprietario del fondo superiore per convogliare direttamente le acque sul fondo inferiore non siano state determinate dall’operato dell’amministrazione. Cass. civ. sez. II, 18 aprile 2005, n. 8067

La soggezione del proprietario del fondo inferiore a ricevere le acque reflue provenienti dal fondo superiore, stabilita dall’art. 913 c.c. riguarda una limitazione legale della proprietà, non una servitù prediale. Cass. civ. sez. II, 12 settembre 2002, n. 301

In tema di scolo delle acque, la regola dell’art. 913 c.c. trova applicazione, previa la verifica delle ulteriori circostanze di fatto, solamente in caso di aggravamento della situazione anteriore. Cass. civ. sez. II, 14 novembre 2001, n. 14179

L’art. 913 c.c. impone al proprietario del fondo superiore l’obbligo negativo consistente nel divieto di ogni manufatto che modifichi il deflusso naturale delle acque e correlativamente legittima il proprietario e il titolare di altri diritti sul fondo inferiore ad agire per il ripristino dello stato naturale dei luoghi. L’esecuzione di manufatti che rendano pigravoso il naturale scolo delle acque non legittima il proprietario del fondo inferiore al risarcimento per tutti i danni, anche imprevedibili e lontani nel tempo, che comunque obiettivamente si possano collegare alla modifica vietata. Cass. civ. sez. III, 1 agosto 2000, n. 10039

La norma di cui all’ultimo comma dell’art. 913 c.c. ammette solo eccezionalmente, in relazione ad opere di sistemazione o trasformazione agraria, la possibilità di modificare il deflusso delle acque previa corresponsione di una mera indennità al proprietario del fondo finitimo (derogando all’ipotesi generale che obbliga l’autore delle modifiche alla riduzione in pristino o alla esecuzione di opere eliminative), ma non presuppone che, ogni qualvolta dette opere debbano esser compiute, la modificazione dello scolo possa venir realizzata senza alcun limite, poiché l’interesse del fondo superiore a potenziare la propria produttività va senza meno conciliato con il contrapposto interesse del fondo inferiore a non veder ridotta la propria, con la conseguenza che, ove la modifica dello scolo abbia provocato un assoggettamento ben più gravoso del fondo inferiore, rispetto a quello preesistente (dovuto all’originario dislivello tra i fondi ed al naturale deflusso delle acque), le modifiche (quantunque necessarie per lavori di sistemazione o trasformazione agraria) assumono indubitabili connotati di illiceità (ponendosi contro il generale divieto dell’art. 913 c.c. di rendere più gravoso lo scolo), e non consentono all’autore la semplice corresponsione dell’indennizzo, obbligandolo, per converso, a restituire l’acqua al suo naturale deflusso mediante l’esecuzione di opere che neutralizzino l’aggravamento, ripristinando nella originaria quantità ed intensità lo scolo naturale. Cass. civ. sez. II, 23 agosto 1997, n. 7934

In tema di scolo delle acque, la regola dell’art. 913 c.c. – per il quale il fondo inferiore è soggetto a ricevere le acque che scolano dal fondo più elevato – trova applicazione soltanto allorché il deflusso avviene «naturalmente», mentre, qualora sia intervenuta l’opera dell’uomo (nella specie, con la costruzione di un vialetto), è necessario stabilire se essa abbia aggravato, quanto a scolo delle acque, la situazione del fondo inferiore quale era precedentemente all’opera stessa, tenendo altresì conto al servizio di quale fondo detta opera sia stata costruita (nella specie il vialetto era al servizio del fondo inferiore). Cass. civ. sez. II, 28 febbraio 1984, n. 1428

Istituti giuridici

Novità giuridiche