Art. 907 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Distanza delle costruzioni dalle vedute

Articolo 907 - codice civile

Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell’art. 905 (1027 ss.).
Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita.
Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia.

Articolo 907 - Codice Civile

Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell’art. 905 (1027 ss.).
Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita.
Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia.

Massime

Il diritto di veduta sancito dall’art. 907 c.c. intende assicurare, attraverso l’esercizio della “inspectio” e della “prospectio”, la piena e completa visione del fondo servente in ogni direzione, sia in orizzontale, che in verticale, che, eventualmente, in maniera obliqua, ed impone, pertanto, che la distanza della nuova costruzione dalla preesistente veduta sia misurata in maniera radiale, non rilevando in senso contrario che la conformazione fisica dei luoghi impedisca la veduta cd. “in appiombo”. Cass. civ. sez. II, 20 giugno 2017, n. 15244

Il divieto di fabbricare a distanza minore di tre metri dalle vedute, sancito dall’art. 907 c.c. intende assicurare al titolare del diritto di veduta aria e luce sufficienti all’esercizio della “inspectio” e della “prospectio”, sicché il giudice di merito, pur in presenza dell’accertata violazione della distanza, è tenuto a valutare specificamente se l’opera edificata (nella specie, un’inferriata di recinzione) ostacoli l’esercizio della veduta. Cass. civ. sez. II, 22 agosto 2013, n. 19429

Per effetto delle limitazioni previste dall’art. 907 c.c. a carico del fondo su cui si esercita una veduta (sia che questa sia stata aperta “jure servitù utis”, sia che venga esercitata “jure proprietatis”), deve osservarsi un distacco di tre metri in linea orizzontale dalla veduta diretta, da rispettare eventualmente anche dai lati della finestra da cui si esercita la veduta obliqua, dovendosi osservare analogo distacco anche in senso verticale per una profondità di tre metri al di sotto della soglia della veduta. Nel caso di veduta diretta e obliqua, la distanza minima di tre metri “sotto soglia”, prescritta dal terzo comma dell’art. 907 cit. non va, peraltro, considerata solo in linea perpendicolare rispetto al davanzale della finestra, ma si estende in basso anche obliquamente rispetto ai punti estremi di tale davanzale. Cass. civ. sez. II, 22 novembre 2012, n. 20699

Al proprietario del fondo gravato da una servitù di veduta è vietato costruire a meno di tre metri dal lato inferiore dell’apertura dalla quale si esercita la veduta, distanza che va rispettata sia nella sua proiezione orizzontale, sia in quella verticale. La violazione di tale distanza minima di rispetto, tuttavia, comporterà per il proprietario del fondo servente non già l’obbligo di demolire la nuova costruzione, ma solo di arretrarla sino a quando sia ripristinata la suddetta distanza minima. Cass. civ. sez. II, 11 luglio 2012, n. 11729

La distanza minima di tre metri che, ai sensi dell’art. 907 c.c. deve separare il fondo del titolare d’una servitù di veduta dalla costruzione realizzata dal proprietario del fondo servente, deve sussistere non solo tra la veduta e la parte di costruzione che le sta di fronte, ma anche tra la prima e la parte di costruzione che si trova lateralmente o al di sotto di essa. Cass. civ. sez. II, 22 marzo 2012, n. 4608

L’obbligo di rispettare le distanze per l’apertura di vedute sul fondo vicino non viene meno se la presenza di muri divisori o altre barriere impediscono in concreto l’affaccio sul medesimo. Cass. civ. sez. II, 30 marzo 2001, n. 4712

In ipotesi di nuova costruzione, l’obbligo della distanza in verticale di 3 metri dalla soglia delle vedute esistenti nel fabbricato del vicino va osservato in ogni caso, senza alcuna distinzione tra costruzioni in appoggio e costruzioni in aderenza. Cass. civ. sez. II, 18 aprile 2000, n. 4976

In tema di distanze legali il limite di tre metri stabilito dall’art. 907 c.c. è inapplicabile allorquando le vedute esistenti sull’immobile vicino siano state aperte a distanza minore, cioè a titolo di servitù  In tal caso, colui che esegue le nuove opere, è obbligato a non ledere tale diritto, mentre può legittimamente eseguire sulla sua proprietà tutte le innovazioni che con esso non contrastino. Cass. civ. sez. II, 3 luglio 1999, n. 6897

Qualora sia stata aperta una veduta a distanza minore di un metro e mezzo dal confine del fondo vicino, il proprietario di quest’ultimo, ove intenda costruire, non è esonerato dall’obbligo (ex art. 907 c.c.) di mantenere il fabbricato a distanza non minore di tre metri, misurata a norma dell’art. 905 c.c. potendo soltanto agire – quale titolare di un diritto soggettivo al rispetto della distanza legale – per l’eliminazione della veduta. In quest’ultimo caso il proprietario che abbia aperto la veduta può opporre il diritto di arretrare la stessa fino al limite della distanza, anche mediante mezzi tecnici correttivi, idonei a rendere l’arretramento effettivo, permanente e controllabile dall’esterno, con la conseguenza che solo ove non si verifichi tale ultima situazione, il proprietario del fondo vicino potrà osservare – rispetto al fabbricato nel quale era stata aperta la veduta – la distanza prevista dall’art. 873 c.c. da misurare cioè tra i muri perimetrali, salvo le ulteriori soluzioni in base al principio della prevenzione. Cass. civ. sez. II, 4 agosto 1982, n. 4384

In tema di distanze tra costruzioni, il disposto di cui all’art. 907, comma secondo, c.c. postula, per la sua applicazione, l’esistenza di una veduta diretta, ovvero di una veduta diretta che formi anche una veduta obliqua, non anche solo obliqua (e, tanto meno, soltanto laterale). Cass. civ. sez. II, 26 agosto 2002, n. 12479

L’obbligo, posto dall’art. 907, secondo comma, c.c. a carico del proprietario del fondo vicino, di non fabbricare a distanza inferiore a tre metri dai lati della finestra dalla quale si esercita la veduta obliqua, concerne la sola ipotesi in cui la veduta obliqua coesista con la veduta diretta sullo stesso fondo e non anche il caso in cui la veduta obliqua incida su di un fondo diverso da quello sul quale si esercita la veduta diretta. In quest’ultima ipotesi trova applicazione la diversa norma di cui all’art. 906 c.c. e la distanza da osservarsi è solo quella di settantacinque centimetri dal più vicino lato della finestra obliqua. Cass. civ. sez. II, 22 ottobre 1976, n. 3763

In tema di distanze legali, l’obbligo di tenere la nuova costruzione a distanza di tre metri dalla soglia della veduta obliqua esistente nel fabbricato del vicino trova applicazione, a norma dell’art. 907, terzo comma, c.c. non solo in caso di costruzione in appoggio, ma anche nell’ipotesi (di specie) di costruzione in aderenza al muro sul quale si apre detta veduta. Cass. civ. sez. II, 4 novembre 2011, n. 22954

Il proprietario o condomino il quale realizzi un manufatto in appoggio o in aderenza al muro in cui si apre una veduta diretta o obliqua esercitata da un sovrastante balcone, e lo elevi sino alla soglia del balcone stesso, non è soggetto, rispetto a questo, alle distanze prescritte dall’art. 907, comma terzo, c.c. nel caso in cui il manufatto sia contenuto nello spazio volumetrico delimitato dalla proiezione verticale verso il basso della soglia predetta, in modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario del piano di sopra. Infatti, tra le normali facoltà attribuite al titolare della veduta diretta od obliqua esercitata da un balcone è compresa quella di «inspicere» e «prospicere» in avanti e a piombo, ma non di sogguardare verso l’interno della sottostante proprietà coperta dalla soglia del balcone, non potendo trovare tutela la pretesa di esercitare la veduta con modalità abnormi e puramente intrusive, ossia sporgendosi oltre misura dalla ringhiera o dal parapetto. Cass. civ. sez. II, 2 ottobre 2000, n. 13012

A norma dell’art. 907 c.c. la veduta diretta gode di una zona di rispetto di tre metri, sia in linea orizzontale che verticale, con la conseguenza che, nel caso di costruzioni in appoggio o in aderenza al muro nel quale la veduta si apre, detta costruzione deve arrestarsi in altezza a tre metri della soglia della soprastante veduta e tale distanza deve essere rispettata anche in linea orizzontale, con riferimento al punto di arresto della costruzione in altezza. Cass. civ. sez. II, 5 dicembre 1990, n. 11705

Il divieto di fabbricare a distanza inferiore a tre metri dalla veduta diretta del vicino (art. 907 c.c.) riguarda le costruzioni – non in appoggio o in aderenza – che raggiungono o superano in altezza il livello della veduta, mentre non opera per le costruzione che non eccedono detto livello, le quali, solo se appoggiate al muro in cui è aperta la veduta diretta, devono arrestarsi almeno tre metri sotto la sua soglia ai sensi del terzo comma del citato art. 907, restando in diversa ipotesi soggette solo alla disciplina dell’art. 873 c.c. in tema di distanze tra le costruzioni. Cass. civ. sez. II, 13 marzo 1989, n. 1268

A norma dell’ultimo comma dell’art. 907 c.c. secondo cui se si vuole appoggiare una nuova costruzione al muro, in cui vi sono vedute dirette ed oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia, quando la veduta è esercitata da un balcone anzi che da una finestra, per soglia deve intendersi il piano di calpestio del balcone stesso, sicché da questo e non dal margine superiore della ringhiera del balcone stesso operano i limiti di distanza previsti dalla citata norma). Cass. civ. sez. II, 6 maggio 1987, n. 4209

Il regime legale delle distanze delle costruzioni dalle vedute, prescritto dall’art. 907 c.c. non è applicabile, stante il disposto dell’art. 879, comma 2, c.c. – per il quale “alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze o le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze” – non solo quando la strada o la piazza pubblica si frappongano tra gli edifici interessati, ma anche nel caso in cui le stesse delimitino ad angolo retto, da un lato, il fondo dal quale si gode la veduta, e, dall’altro, il fondo sul quale si esegue la costruzione. Cass. civ. sez. VI-II, 3 ottobre 2019, n. 24759

Il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino che, direttamente o indirettamente, pregiudichi tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l’art. 907 c.c. il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, poiché luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita. Cass. civ. sez. II, 27 febbraio 2019, n. 5732

Il condomino che abbia trasformato il proprio balcone in veranda, elevandola sino alla soglia del balcone sovrastante, non è soggetto, rispetto a questa, all’osservanza delle distanze prescritte dall’art. 907 c.c. nel caso in cui la veranda insista esattamente nell’area del balcone, senza debordare dal suo perimetro, in modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario del balcone sovrastante, giacché l’art. 907 citato non attribuisce a quest’ultimo la possibilità di esercitare dalla soletta o dal parapetto del suo balcone una inspectio o prospectio obliqua verso il basso e contemporaneamente verso l’interno della sottostante proprietà. Cass. civ. sez. II, 16 marzo 1993, n. 3109

Il principio secondo cui in materia di condominio trovano applicazione le norme sulle distanze legali (nella specie con riferimento al diritto di veduta) non ha carattere assoluto, non derogando l’art. 1102 c.c. al disposto dell’art. 907 c.c. giacchè, dovendosi tenere conto in concreto della struttura dell’edificio, delle caratteristiche dello stato dei luoghi e del particolare contenuto dei diritti e delle facoltà spettanti ai singoli condomini, il giudice di merito deve verificare, nel singolo caso, se esse siano o meno compatibili con i diritti dei condomini. Cass. civ. sez. II, 11 novembre 2005, n. 22838

Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l’applicazione delle norme particolari relative all’uso delle cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè nel caso in cui l’applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime e delle une e delle altre sia possibile un’applicazione complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme relative all’uso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime (nella specie, si trattava della installazione, in appoggio al muro condominiale ed in prossimità della finestra di un condomino, della canna fumaria di un locale di altro condomino adibito ad esercizio di pizzeria). Cass. civ. sez. II, 1 dicembre 2000, n. 15394

L’art. 907 c.c. in tema di distanze delle costruzioni dalle vedute è applicabile anche nei rapporti tra condomini di un edificio non derogando l’art. 1102 c.c. al disposto del citato art. 907 c.c. Cass. civ. sez. II, 2 ottobre 2000, n. 13012

Anche nell’ambito di un condominio si rendono configurabili e tutelabili l’esistenza e l’esercizio di una servitù di veduta a favore della singola porzione di proprietà esclusiva ed a carico di un’altra. Cass. civ. sez. II, 26 novembre 1999, n. 13196

Le disposizioni sulle distanze delle costruzioni dalle vedute si osservano anche nei rapporti fra condomini di un edificio, non derogando l’art. 1102 c.c. al disposto dell’art. 907 stesso codice. Tuttavia non può considerarsi «costruzione» vietata da quest’ultima disposizione una tenda di tela scorrevole con comando a manovella, pure se situata a distanza inferiore a tre metri dal balcone o dalla finestra del piano sovrastante, ancorché siano necessari per farla funzionare dei sostegni fissi, atteso che tale tenda, non pregiudica permanentemente la prospectio né diminuisce l’aria e la luce al condomino del piano sovrastante. Cass. civ. sez. II, 18 marzo 1991, n. 2873

Il principio per cui l’eliminazione delle vedute abusive può essere realizzata non solo con la demolizione delle porzioni immobiliari con le quali si verifica la violazione di legge lamentata, ma anche attraverso idonei accorgimenti che impediscano di esercitare la veduta sul fondo altrui, come l’arretramento del parapetto o l’apposizione di idonei pannelli che rendano impossibili il “prospicere” e l’”inspicere in alienum”, opera esclusivamente nei casi di violazione delle distanze delle vedute e non pure di quelle tra costruzioni, per le quali la presenza delle vedute è mero presupposto fattuale per l’applicazione della disciplina pirestrittiva prevista dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968. Cass. civ. sez. II, 19 febbraio 2019, n. 4834

La disciplina sulle distanze delle costruzioni dalle vedute, di cui all’art. 907 c.c. ha natura giuridica, presupposti di fatto e contenuto precettivo diversi da quella delle distanze tra costruzioni, di cui all’art. 873 c.c. poiché la prima mira a tutelare il proprietario del bene dall’indiscrezione del vicino, mentre la seconda è volta ad evitare la formazione di intercapedini dannose, sicché incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che, a fronte di una domanda che denuncia la violazione delle distanze tra le costruzioni, condanni il convenuto per la violazione dell’art. 873 c.c. Cass. civ. sez. II, 9 agosto 2016, n. 16808

La titolarità del diritto reale di veduta costituisce una condizione dell’azione volta ad ottenere l’osservanza da parte del vicino delle distanze di cui all’art. 907 c.c. e, come tale, va accertata anche d’ufficio dal giudice, salvo che da parte del convenuto vi sia stata ammissione, esplicita o implicita, purché inequivoca, della sussistenza di tale diritto. * Cass. civ. sez. II, 10 maggio 2018, n. 11287

In materia di luci e di vedute, il diritto di proprietà di un immobile fronteggiante il fondo altrui non può attribuire, in assenza di titoli specifici (negoziali o originari, come l’usucapione), anche l’acquisto della servitù di veduta; ne consegue che una situazione di mero fatto – che si sia concretizzata nell’esistenza, a distanza inferiore di quella prescritta dall’art. 905 c.c. di aperture che consentano la “inspectio” e la “prospectio” nel fondo confinante – non è di per sé suscettibile di tutela in via petitoria, al fine di pretendere, da parte del vicino che edifichi sul proprio fondo, l’osservanza delle distanze previste dall’art. 907 c.c. * Cass. civ. sez. II, 22 maggio 2009, n. 11956

La lesione del diritto di proprietà, conseguente all’esercizio abusivo di una servitù di veduta, è di per sé produttiva di un danno, il cui accertamento non richiede, pertanto, una specifica attività probatoria e per il risarcimento del quale il giudice deve procedere ai sensi dell’art. 1226 c.c. adottando eventualmente, quale parametro di liquidazione equitativa, una percentuale del valore reddituale dell’immobile, la cui fruibilità sia stata temporaneamente ridotta. Cass. civ. sez. VI, 13 maggio 2019, n. 12630

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