Art. 905 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Distanza per l'apertura di vedute dirette e balconi

Articolo 905 - codice civile

Non si possono aprire vedute dirette (900) verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo (907).
Non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere.
Il divieto cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica.

Articolo 905 - Codice Civile

Non si possono aprire vedute dirette (900) verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo (907).
Non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere.
Il divieto cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica.

Massime

In tema di rispetto delle distanze legali per l’apertura di luci e vedute, le prescrizioni contenute nell’art. 905 c.c. si applicano anche quando lo spazio su cui si apre la veduta sia comune, in quanto in comproprietà tra le parti in causa, poiché la qualità comune del bene su cui ricade la veduta non esclude il rispetto delle distanze predette. Cass. civ. sez. II, 4 luglio 2018, n. 17480

In tema di distanze per l’apertura di vedute e balconi, la semplice esistenza di un terreno sopraelevato, senza che vi sia un parapetto che consenta l’affaccio sul fondo del vicino, esclude l’obbligo di distanziarsi dal fondo predetto ai sensi dell’art. 905 c.c. Tuttavia, al fine di valutare l’idoneità del parapetto a consentire di guardare nell’altrui fondo, è rilevante la posizione reciproca delle due proprietà, atteso che, nell’ipotesi in cui il fondo dal quale si esercita la veduta sia in posizione sopraelevata, la “prospectio” ed a maggior ragione la “inspectio” possono risultare agevolate anche senza l’apporto determinante di un parapetto ad altezza normale, potendo non essere necessario che la parte si appoggi al manufatto al fine di esercitare la visione circolare intorno a sé. Cass. civ. sez. II, 9 maggio 2011, n. 10167

In tema di limitazioni legali alla proprietà, l’apertura di un ballatoio di collegamento tra la pubblica via e l’ingresso delle abitazioni situate al primo e al secondo piano può essere qualificata veduta ed assoggettata al regime giuridico del rispetto delle distanze fissato nell’art. 905 c.c. quando sia idonea, per ubicazione, consistenza e struttura, a consentire l’affaccio sul fondo vicino. Cass. civ. sez. II, 15 ottobre 2008, n. 25188

Tenuto conto della ratio dell’art. 905 c.c. consistente nell’esigenza di salvaguardia della riservatezza del fondo del vicino, qualsiasi intervento umano di modifica dello stato dei luoghi che comporti condizioni oggettive stabili per esercitare un comodo affaccio sulla proprietà confinante può dar luogo, in concorso con le altre condizioni di legge, alla creazione di una servitù di veduta, a nulla rilevando che il fondo su cui l’intervento é stato realizzato sia sopraelevato rispetto all’altro ovvero che le opere eseguite non siano destinate in via esclusiva all’esercizio della veduta, laddove comunque le stesse, per ubicazione, consistenza e struttura, in luogo di una vista precaria e fugace, consentano il comodo affaccio, permettendo ad una persona di media costituzione fisica la sosta e l’osservazione, in modo normale ed in condizioni di assoluta sicurezza, verso la proprietà sottostante. Cass. civ. sez. II, 28 luglio 2005, n. 15885

In materia di diritti reali, l’obbligo del rispetto delle distanze legali trova applicazione anche quando la veduta viene esercitata dal piano terreno di una costruzione (nella fattispecie, dal portico inserito nel fabbricato), non occorrendo che l’apertura sia in tal caso munita di parapetto, come richiesto dall’art. 905 c.c. soltanto con riferimento a «balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili», essendo disagevole e pericoloso, avvenendo dall’alto, l’affaccio dai medesimi in assenza di protezione. Cass. civ. sez. II, 29 marzo 2005, n. 6576

La norma dell’art. 905 c.c. la quale vieta l’apertura di vedute dirette sul fondo del vicino se non venga osservata la distanza di un metro e mezzo, è applicabile anche nel caso in cui la veduta sia limitata dal muro cieco del fabbricato del vicino. Cass. civ. sez. II, 29 aprile 1991, n. 4755

Anche ai fini dell’applicazione della distanza legale stabilita dall’art. 905 comma secondo c.c. per le vedute ed i prospetti esercitati da balconi o da altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, è necessario fare riferimento alla destinazione permanente e normale dell’opera mediante la quale si esercita la veduta, desumendola dalla natura oggettiva dell’opera stessa ed accertare inoltre se lo stato dei luoghi sia idoneo ad assicurare una normale inspectio e prospectio nel fondo del vicino mediante un comodo e non pericoloso affaccio. Cass. civ. sez. II, 24 aprile 1991, n. 4453

Ai fini della distinzione tra vedute dirette, laterali ed oblique, assume rilievo decisivo la posizione di chi guarda, in particolare quando siano possibili più posizioni di affaccio. Con riferimento ai balconi, pertanto, rispetto ad ogni lato di questo si avranno una veduta diretta, ovvero frontale, e due laterali o oblique, a seconda dell’ampiezza dell’angolo; ne consegue che, pur essendo la tutela delle vedute limitata all’arco massimo di centottanta gradi, con conseguente esclusione di quelle c.d. retroverse, può verificarsi che una delle vedute oblique esercitabili da un balcone sia retroversa rispetto alla parete in cui il medesimo è collocato, ma non per questo sia illegittima. Cass. civ. sez. II, 5 gennaio 2011, n. 220

In tema di limitazioni legali della proprietà, costituisce veduta diretta sul fondo del vicino ogni apertura che consenta di affacciarsi e guardare frontalmente su di esso da uno qualsiasi dei lati, essendo riservato al giudice di merito verificare, con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se la stessa consenta lo sguardo frontale sul fondo del vicino. Cass. civ. sez. II, 7 luglio 2006, n. 15430

La veduta laterale, che ricorre quando il confine del fondo del vicino ed il muro dal quale si esercita la veduta formano un angolo di 180 gradi, può essere esercitata, oltre che di lato, anche in basso, verticalmente, assumendo, così, le caratteristiche della veduta in appiombo, che deve, perciò considerarsi espressamente ammessa dal codice civile che, proprio per specificare i limiti normali di tale veduta (e della veduta obliqua in basso), impone a colui che vuole appoggiare la nuova costruzione al muro da cui si esercita la veduta di arrestarsi almeno a tre metri sotto la soglia della medesima (art. 907 c.c.). Ricorre, conseguentemente, la servitù di veduta in appiombo tutte le volte in cui, per i maggiori contenuti della zona di rispetto prevista nel caso concreto, essa determini, per il fondo sul quale si esercita verticalmente, una restrizione dei poteri normalmente inerenti al diritto di proprietà delineati dalle norme sulle distanze, risolvendosi così in un peso imposto a tale fondo per il vantaggio (utilità) del fondo dal quale la veduta si esercita, come nel caso delle vedute esercitate anche verticalmente dai proprietari dei singoli piani di un edificio condominiale dalle rispettive aperture fino alla base dell’edificio. Cass. civ. sez. II, 11 febbraio 1997, n. 1261

Ai fini dell’osservanza delle distanze legali dal fondo vicino la qualificazione della veduta (diretta, obliqua o laterale) va fatta con riguardo alla possibilità che la conformazione obiettiva dell’opera offre di guardare frontalmente o meno sul fondo del vicino, non già in base alla posizione della persona che esercita la veduta rispetto alla parte in cui si apre la finestra o il balcone. Ne deriva che le vedute che si esercitano dal balcone sono diverse secondo le varie posizioni in cui è possibile guardare sul fondo del vicino, nel senso che è sufficiente per aversi veduta diretta che da uno dei lati del balcone sia possibile affacciarsi e guardare sul fondo altrui, onde la distanza da osservarsi dal confine da tale lato non può essere inferiore a m. 1,50 a norma dell’art. 905 c.c. Cass. civ. sez. II, 16 aprile 1993, n. 4523

Quando il muro nel quale vengono aperte le vedute forma un angolo acuto con la linea di confine o con il muro dell’edificio esistente sul suolo contiguo, può esercitarsi – quale che sia il grado dell’angolo stesso – sia la veduta diretta che quella obliqua, con la conseguenza che la distanza da osservare a salvaguardia del fondo vicino è quella prescritta per la veduta diretta dalla norma dell’art. 905 c.c. Cass. civ. sez. II, 25 ottobre 1986, n. 6269

L’art. 905 c.c. che salvaguarda il fondo finitimo dalle indiscrezioni attuabili mediante l’apertura di vedute negli edifici vicini al fine di proteggere interessi esclusivamente privati, non ha correlazione alcuna con l’art. 873 c.c. che, diretto a tutelare, evitando la formazione di intercapedini dannose, interessi generali di igiene, decoro e sicurezza negli abitati, consente agli enti locali di stabilire distanze maggiori secondo una valutazione particolare dei detti interessi collettivi. Ne consegue che non vi è spazio per una integrazione della previsione dell’art. 905 c.c. con quelle eventuali più restrittive in tema di distanze tra costruzioni contenute nei regolamenti locali, deponendo in tal senso anche l’assenza nel testo della norma di un rinvio – che è, invece, contemplato nell’art. 873 c.c. – ai regolamenti in questione. Cass. civ. sez. II, 11 giugno 2018, n. 15070

La disciplina delle distanze tra fabbricati, in quanto diretta a tutelare interessi generali di igiene, decoro e sicurezza degli abitati, pur dettata in via generale dall’art. 873 cod. civ. (che richiede una distanza non minore di tre metri), può essere resa più rigorosa dalle disposizioni dei regolamenti locali, mentre la disciplina della distanza delle vedute dal confine, in quanto finalizzata alla tutela del mero interesse privato alla salvaguardia del fondo vicino dalle indiscrezioni dipendenti dalla loro apertura, trova la sua fonte esclusivamente nell’art. 905 cod. civ. (che richiede una distanza di un metro e mezzo), salvo che la maggior distanza delle costruzioni, prevista dai regolamenti locali, sia riferita specificamente al confine, nel qual caso le norme regolamentari regolano anche la distanza delle vedute dal confine. Cass. civ. sez. II, 12 marzo 2015, n. 4967

A differenza dell’art. 873 c.c. che è inteso ad evitare la formazione di intercapedini dannose e a tutelare gli interessi generali dell’igiene, decoro e sicurezza degli abitanti, consentendo agli enti locali di stabilire distanze maggiori, secondo una valutazione particolare degli interessi collettivi, l’art. 905 c.c. che stabilisce le distanze per l’apertura di vedute dirette e balconi, è diretta a salvaguardare i fondi dalle indiscrezioni dipendenti dall’apertura di vedute degli edifici vicini e a tutelare interessi esclusivamente privati. Cass. civ. sez. II, 17 maggio 1997, n. 4401

La norma di cui all’art. 873 c.c. relativa alle distanze tra fabbricati, in quanto intesa a tutelare interessi generali di igiene, decoro e sicurezza degli abitati, tale da consentire una valutazione più rigorosa in sede locale, non si pone in correlazione con la norma di cui all’art. 905 c.c. sulla distanza delle vedute dal confine, volta solo a salvaguardare il fondo vicino dalle indiscrezioni che possono essere attuate mediante l’uso di un’«opera obiettivamente destinata a tale scopo», sicché, ove la maggior distanza delle costruzioni non sia dai regolamenti riferita specificamente al confine, bensì imposta in assoluto, indipendentemente dalla dislocazione delle costruzioni nei rispettivi fondi, la distanza delle vedute dal confine deve intendersi regolata esclusivamente dalla norma dell’art. 905 c.c. ossia in misura pari ad un metro e mezzo. Cass. civ. sez. II, 27 gennaio 1988, n. 741

Mentre nel caso della distanza tra costruzioni è applicabile il principio della prevenzione – in base al quale il proprietario del fondo che costruisce per primo può ubicare la costruzione rispetto al confine nel modo ritenuto più opportuno – tale criterio non è utilizzabile nell’ipotesi prevista dall’art. 905 c.c. che disciplina la distanza fra l’apertura delle vedute, dovendo comunque il proprietario che costruisce per primo tenere le vedute dirette a distanza non minore di un metro e mezzo dal confine, anche del vicino fondo che sia inedificato. Cass. civ. sez. II, 4 agosto 1982, n. 4384

La disposizione dell’art. 905 c.c. secondo cui per l’apertura di vedute dirette verso il fondo del vicino occorre osservare la distanza di un metro e mezzo, va posta in relazione con l’art. 873 dello stesso codice, che prescrive una distanza non minore di tre metri o quella maggiore stabilita dai regolamenti edilizi locali, per le costruzioni su fondi finitimi. Pertanto, ove, nel compiere la costruzione, non sia stata rispettata la distanza dal fondo del vicino fissata dal codice civile o, eventualmente, dal regolamento edilizio locale, non può aprirsi in detta costruzione una veduta iure proprietatis, che, se creata, è illegittima e, in quanto tale, insuscettibile di protezione con riferimento alla distanza delle costruzioni da essa. Cass. civ. sez. II, 25 maggio 1981, n. 3421

In tema di condominio, ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, purché non alteri la destinazione della cosa comune e consenta un uso paritetico agli altri condomini. Ne consegue che l’installazione di una ringhiera (o parapetto) su di un lastrico solare che permetta di affacciarsi su spazi condominiali (nella specie, cortili comuni destinati a dare aria e luce agli appartamenti sottostanti che vi prospettano) costituisce esercizio del diritto di proprietà e non di quello di servitù  per cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondi altrui (art. 905 c.c.), bensì quelle che consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento della cosa, senz’altro limite che l’obbligo di rispettare la destinazione, di non alterare la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio e di non ledere i diritti degli altri condomini. Cass. civ. sez. II, 16 luglio 2004, n. 13261

L’apertura di vedute in violazione del disposto dell’art. 905 c.c. sul tetto di proprietà esclusiva di un condomino, non esclude il pregiudizio degli altri condomini i quali, pertanto, possono agire in negatoria servitù utis, in quanto i vincoli che derivano da una veduta non incidono soltanto sul proprietario del tetto, dal momento che come fondo servente deve essere considerato l’intero immobile condominiale, nel suo complesso e nella sua unità strutturale e funzionale. Cass. civ. sez. II, 18 gennaio 1982, n. 319

Nell’ipotesi in cui il fondo su cui insiste il fabbricato sul quale si vuole aprire una veduta e quello confinante, edificato o non, sul quale la stessa è destinata ad essere esercitata, siano siti a livelli o a piani diversi, la distanza minima di m. 1,50 che la veduta deve rispettare dal confine del fondo finitimo, ai sensi dell’art. 905, comma 1, c.c. deve essere misurata tra la soglia della veduta, o faccia esteriore del muro in cui la stessa si apre, ed il piano ideale elevato perpendicolarmente sulla linea di confine tra i due fondi. Cass. civ. sez. II, 31 gennaio 2017, n. 2533

Nell’ipotesi in cui una veduta sia aperta nella faccia interna di un muro perimetrale e cioè nel fondo dell’incasso parziale di un muro, la distanza di m. 1,50 prevista dall’art. 905 c.c. per l’apertura di vedute verso il fondo del vicino deve misurarsi dalla faccia esterna del muro e non da quella interna. Viceversa, nell’ipotesi di arretramento del muro perimetrale e cioè nel caso che l’incasso nel muro anziché essere parziale si estenda a tutta l’altezza del muro dal piano di calpestio sino all’estremità superiore, avendosi una vera e propria rientranza nell’originaria costruzione, la distanza di m. 1,50 deve essere misurata dalla faccia esterna del muro arretrato nel quale siano aperte le vedute. Cass. civ. sez. II, 25 giugno 1994, n. 6120

Nel caso in cui il confine tra due fondi sia rappresentato da un muro comune, il punto d’arrivo nella misurazione della distanza di cui all’art. 905 c.c. per l’apertura di vedute verso lo stesso, è costituito dalla faccia del muro prospiciente l’immobile da cui la veduta è esercitata e non da quella opposta, dalla parte del fondo di proprietà esclusiva dell’altro comproprietario del muro, né dalla sua linea mediana. Cass. civ. sez. II, 6 luglio 1990, n. 7146

La misurazione della distanza di una veduta dal fondo del vicino si effettua dalla faccia esteriore del muro in cui si aprono le finestre ovvero dalla linea estrema del balcone, o, in genere, del manufatto dal quale si esercita la veduta stessa. Cass. civ. sez. I, 25 maggio 1981, n. 3428

L’art. 905 c.c. nel prevedere la distanza minima di una veduta diretta, assume come base della misurazione la posizione più avanzata del piano verticale sul quale l’apertura è posta ed è disposizione inderogabile. (Nella specie, la corte del merito aveva invece assunto come base non già la faccia esterna del muro, ma la ringhiera apposta all’interno dell’apertura, nel vano retrostante). Cass. civ. sez. II, 9 novembre 1977, n. 4797

La qualificazione di una strada come pubblica, ai fini dell’esonero dal rispetto delle distanze nell’apertura di vedute dirette e balconi, ex art. 905, terzo comma, c.c. esige che la sua destinazione all’uso pubblico risulti da un titolo legale, che può essere costituito non solo da un provvedimento dell’autorità o da una convenzione con il privato, ma anche dall’usucapione, ove risulti dimostrato l’uso protratto del bene privato da parte della collettività per il tempo necessario all’acquisto del relativo diritto, restando peraltro escluso che, a tal fine, rilevi un uso limitato ad un gruppo ristretto di persone che utilizzino il bene “uti singuli”, essendo necessario un uso riferibile agli appartenenti alla comunità in modo da potersi configurare un diritto collettivo all’uso della strada e non un diritto meramente privatistico a favore solo di alcuni determinati soggetti. Cass. civ. sez. VI, 26 giugno 2013, n. 16200

L’esonero dall’obbligo delle distanze per l’apertura di vedute tra fondi separati da una via pubblica, di cui all’art. 905, terzo comma, cod. civ. non opera nel caso di vedute laterali od oblique aperte sul fondo del vicino, restando tale ipotesi soggetta al rispetto delle distanze stabilite dall’art. 906 cod. civ. ancorché si tratti di edifici costruiti in adesione sullo stesso lato della strada pubblica e l’apertura dia luogo altresì ad una veduta diretta su tale via, avendo, del resto, una strada pubblica una larghezza di regola non inferiore a settantacinque centimetri e rivelandosi inopportuno che l’eventuale persiana, di cui sia munita la finestra, si apra troppo a ridosso della proprietà limitrofa. Cass. civ. sez. II, 24 maggio 2013, n. 13000

La cessazione del divieto di aprire vedute dirette e balconi verso il fondo del vicino a distanza inferiore a un metro e mezzo, agli effetti dell’art. 905, terzo comma, cod. civ. opera sia quando una via pubblica separi i due fondi vicini rendendoli fronteggianti, sia quando essa si ponga, rispetto alle vedute, ad angolo retto, ma non anche quando i fondi siano allineati lungo la medesima via pubblica, dovendosi ravvisare la “ratio” del venir meno del divieto in oggetto nella circostanza che la presenza della strada pubblica impedisce la contiguità dei fondi, la quale costituisce il presupposto della tutela della riservatezza delle proprietà limitrofe. Cass. civ. sez. II, 24 maggio 2013, n. 13000

L’ultimo comma dell’art 905 cod. civ. il quale esclude l’obbligo di osservare una distanza minima per l’apertura di vedute dirette verso il fondo del vicino quando tra i due fondi contigui vi sia una via pubblica, non presuppone necessariamente che questa separi i fondi medesimi e che questi si fronteggino, ma richiede soltanto che essi siano confinanti con la strada pubblica, indipendentemente dalla loro reciproca collocazione, sicché i fondi possono anche essere contigui o trovarsi ad angolo retto; ciò in quanto l’esonero dal divieto è giustificato dall’identificazione della strada pubblica come uno spazio dal quale chiunque puspingere liberamente lo sguardo sui fondi adiacenti. Cass. civ. sez. II, 20 febbraio 2009, n. 4222

L’esenzione dall’obbligo del rispetto della distanza stabilita dall’ultimo comma dell’art. 905 c.c. per l’apertura di vedute dirette verso il fondo del vicino non è limitata al solo caso dell’inserimento tra i due fondi di una via pubblica, ma va estesa anche al caso in cui tra le due proprietà fronteggiantisi esista una strada privata soggetta a servitù pubblica di passaggio, al caso cioè in cui il pubblico transito si eserciti su una porzione di terreno appartenente ad uno dei frontisti. Quindi ciò che rileva ai fini della esenzione, non è l’appartenenza del suolo, su cui il passaggio si esercita, ad un ente pubblico o ad un privato, ma la pubblicità dell’uso al quale quel passaggio è destinato. Cass. civ. sez. II, 10 ottobre 2000, n. 13485

Ai fini dell’obbligo delle distanze per l’apertura di vedute dirette e balconi, è del tutto ininfluente l’esistenza tra i due fondi vicini di una strada privata, non essendo questa in alcun modo equiparabile alla via pubblica (o soggetta a servitù di uso pubblico) cui fa riferimento l’ultimo comma dell’art. 905 c.c. Cass. civ. sez. II, 7 aprile 1987, n. 3356

c.c. per il caso in cui tra i due fondi intercorra una strada pubblica, si riferisce alle distanze stabilite dai precedenti commi della norma medesima per l’apertura di vedute dirette e di balconi, e non può quindi interferire, nei rapporti fra proprietari di fondi contigui o frontistanti rispetto alla pubblica strada, sulle pretese che all’uno derivino, ai sensi degli artt. 871 e 872 c.c. dall’inosservanza da parte dell’altro delle disposizioni dei regolamenti edilizi che disciplinano e limitano lo jus aedificandi (sia pure mediante il divieto di creare sporti su detta strada). Cass. civ. Sezioni Unite, 9 marzo 1982, n. 1508

Ai sensi dell’art. 905 terzo comma c.c. il venir meno dell’obbligo di rispettare le distanze legali, per l’apertura di vedute e balconi, non si verifica in ogni caso in cui fra proprietà contigue vi sia uno spazio pubblico, ma postula che tale spazio abbia caratteristiche e destinazione di «via». Cass. civ. sez. II, 7 novembre 1977, n. 4748

La regola dettata dall’ultimo comma dell’art. 905, c.c. – secondo la quale la distanza per l’apertura di vedute dirette e balconi non si applica quando tra i due fondi vicini ci sia una via pubblica – è applicabile anche alle vie private gravate da servitù di uso pubblico, cioè alle cosiddette vicinali, ma non pure alle vere e proprie strade private, gravate da servitù di passaggio in favore di terzi uti singuli. Cass. civ. Sezioni Unite, 30 ottobre 1973, n. 2827

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