Ai fini della sussistenza dell’incapacità di intendere e di volere, costituente causa di annullamento del negozio ex art. 428 c.c. non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente che esse siano menomate, sì da impedire comunque la formazione di una volontà cosciente; la prova di tale condizione non richiede la dimostrazione che il soggetto, al momento di compiere l’atto, versava in uno stato patologico tale da far venir meno, in modo totale e assoluto, le facoltà psichiche, essendo sufficiente accertare che queste erano perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio e, quindi, il formarsi di una volontà cosciente, e può essere data con ogni mezzo o in base ad indizi e presunzioni, che anche da soli, se del caso, possono essere decisivi per la sua configurabilità, essendo il giudice di merito libero di utilizzare, ai fini del proprio convincimento, anche le prove raccolte in un giudizio intercorso tra le stesse parti o tra altre, secondo una valutazione incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da congrue argomentazioni, scevre da vizi logici ed errori di diritto. Cass. civ. sez. II, 30 maggio 2017, n. 13659
L’incapacità di intendere e di volere prevista dall’art. 428 c.c. ai fini dell’annullamento del contratto consiste in un turbamento dei normali processi di formazione ed estrinsecazione della volontà, che può essere causato anche da grave malattia e tale comunque da impedire la capacità di cosciente e libera autodeterminazione del soggetto (nella specie, in base all’enunciato principio la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva escluso l’incapacità per carenza di prova di tale incidenza del turbamento psichico, causato da una grave malattia, sulla sfera intellettiva e volitiva del soggetto). Cass. civ. sez. II, 10 febbraio 1995, n. 1484
A differenza dell’infermità mentale che viene in considerazione per la dichiarazione d’inabilitazione, consistente in un’alterazione delle facoltà mentali in un grado tale da determinare l’incapacità parziale di curare i propri interessi, per cui si richiede, a tal fine la cooperazione di un altro soggetto, la incapacità naturale idonea a determinare, nel concorso di altri elementi, l’annullabilità degli atti giuridici compiuti dalla persona che ne è affetta richiede che, sia pure in via provvisoria, questa abbia le facoltà intellettive gravemente menomate, sì da essere totalmente incapace di valutare l’opportunità degli stessi atti ed anche di determinare, in relazione ad essi, una cosciente volontà. Ne deriva che il grado e l’intensità della malattia mentale necessaria e sufficiente per la pronuncia d’inabilitazione sono inferiori a quelli richiesti per l’accertamento dell’incapacità naturale, tal ché l’avvenuta declaratoria d’inabilitazione non equivale alla dimostrazione dell’incapacità naturale dell’abilitato. Cass. civ. sez. II, 11 febbraio 1994, n. 1388
L’incapacità di intendere e di volere, prevista nell’art. 428 c.c. quale causa d’annullamento del negozio giuridico (artt. 1425, secondo comma e 1324 c.c.) e detta anche incapacità naturale, consiste nella transitoria impossibilità di rendersi conto del contenuto e degli effetti dell’atto giuridico che si compie e non può essere data da dispiaceri anche gravi, quale ad esempio la consapevolezza di una malattia propria, o di un prossimo familiare, salvo che essa abbia cagionato una patologica alterazione mentale. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza impugnata che, con motivazione adeguata e priva di vizi logici giuridici, in un caso di dimissioni della lavoratrice, aveva escluso la sussistenza della detta situazione patologica, osservando che, prima di scrivere la lettera di dimissioni, la medesima lavoratrice si era consultata con un rappresentante sindacale e che, comunque, un’alterazione mentale non poteva essere determinata dal proposito, manifestato dalla datrice di lavoro, di denunciare alla polizia la sottrazione di merce, non essendo ragionevole impedire a chi ha subito, o ha ritenuto di subire, un furto di esprimere la volontà di rivolgersi alla polizia, a causa del pericolo di turbare la psiche del presunto reo). Cass. civ. sez. lav. 8 marzo 2005, n. 4967
Lo stato emotivo conseguente alla consapevolezza di essere affetto da grave malattia (nella specie, un linfogranuloma maligno) non comporta, di per sé, una situazione di incapacità naturale ed, in via generale, non rileva ai fini dell’annullabilità del contratto ai sensi dell’art. 1425 c.c. ove non risulti provato che esso abbia inciso sulla sfera psico-intellettiva del soggetto, producendo un vero e proprio squilibrio mentale. Il relativo accertamento non è censurabile in sede di legittimità ove sorretto da congrua motivazione, esente da vizi logici e giuridici. Cass. civ. sez. II, 25 febbraio 1989, n. 1036
In tema di incapacità naturale conseguente ad infermità psichica (nella specie, demenza senile grave), accertata la totale incapacità di un soggetto in due periodi prossimi nel tempo, la sussistenza di tale condizione è presunta, “iuris tantum”, anche nel periodo intermedio, sicché la parte che sostiene la validità dell’atto compiuto è tenuta a provare che il soggetto ha agito in una fase di lucido intervallo o di remissione della patologia. Cass. civ. sez. II, 4 marzo 2016, n. 4316
Ai fini dell’annullamento di un contratto, perché concluso in stato d’incapacità naturale, il gravissimo pregiudizio a carico dell’incapace costituisce elemento indiziario dell’ulteriore requisito della malafede dell’altro contraente, ma, di per sé, non è idoneo a costituirne la prova. Cass. civ. sez. lav. 30 settembre 2015, n. 19458
Ai fini dell’annullamento del contratto per incapacità di intendere e di volere, ai sensi dell’art. 428, secondo comma, cod. civ. non è richiesta, a differenza dell’ipotesi del primo comma, la sussistenza di un grave pregiudizio, che, invece, costituisce indizio rivelatore dell’essenziale requisito della mala fede dell’altro contraente; quest’ ultima risulta o dal pregiudizio anche solo potenziale, derivato all’incapace, o dalla natura e qualità del contratto, e consiste nella consapevolezza che l’altro contraente abbia avuto della menomazione della sfera intellettiva o volitiva del contraente. Peraltro, la prova dell’incapacità deve essere rigorosa e precisa ed il suo apprezzamento, riservato al giudice del merito, non è censurabile in sede di legittimità tranne che per vizi logici o errori di diritto. Cass. civ. sez. II, 26 febbraio 2009, n. 4677
Qualora sia proposta domanda di annullamento di un contratto per incapacità naturale, l’indagine relativa alla sussistenza dello stato di incapacità del soggetto che abbia stipulato il contratto ed alla malafede di colui che contrae con l’incapace di intendere e di volere si risolve in un accertamento in fatto demandato al giudice di merito, sottratto al sindacato del giudice di legittimità ove congruamente e logicamente motivato. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da vizi la sentenza di merito, che aveva ritenuto irrilevante la circostanza che l’atto di alienazione avesse coinvolto tutti i beni immobili di proprietà dell’alienante, in quanto – essendo questa in età avanzata – la vendita poteva essere giustificata dall’esigenza di procurarsi i mezzi economici per provvedere alle spese necessarie per essere assistita e curata, ed aveva ritenuto non provata la malafede dei terzi acquirenti, in assenza di elementi probatori relativi ad un loro rapporto interpersonale con l’anziana venditrice). Cass. civ. sez. II, 5 febbraio 2004, n. 2210
Ai fini dell’annullamento del contratto concluso da un soggetto in stato d’incapacità naturale è sufficiente la malafede dell’altro contraente senza che sia richiesto un grave pregiudizio per il soggetto incapace. Cass. civ. sez. II, 11 settembre 1998, n. 9007
Il pregiudizio patrimoniale di una parte di un contratto non costituisce indizio sufficiente a provare la malafede della controparte – requisito essenziale per annullarlo – non essendo inequivocabilmente e indistintamente induttivo del turbamento e della menomazione della sfera volitiva o intellettiva dell’una e dell’intento dell’altra di giovarsene, potendo esser molteplici le ragioni che inducono un soggetto a disporre del suo patrimonio in modo svantaggioso, e pertanto la prova per presunzioni della consapevolezza di una parte, secondo l’ordinaria diligenza, dell’incapacità naturale dell’altra, se basata su presunzioni, necessita di una pluralità di elementi indiziari, gravi, precisi e concordanti. Cass. civ. sez. II, 2 giugno 1998, n. 5402