In tema di amministrazione dei beni dei figli ex art. 320 c.c. al di fuori dei casi specificamente individuati ed inquadrati nella categoria degli atti di straordinaria amministrazione dal Legislatore, devono essere considerati di ordinaria amministrazione gli atti che presentino tutte e tre le seguenti caratteristiche: 1) siano oggettivamente utili alla conservazione del valore e dei caratteri oggettivi essenziali del patrimonio in questione; 2) abbiano un valore economico non particolarmente elevato in senso assoluto e soprattutto in relazione al valore totale del patrimonio medesimo; 3) comportino un margine di rischio modesto in relazione alle caratteristiche del patrimonio predetto. Vanno invece considerati di straordinaria amministrazione gli atti che non presentino tutte e tre queste caratteristiche. Cass. civ. sez. III, 27 marzo 2019 n. 8461
In tema di rappresentanza processuale del minore, l’autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 c.c. è necessaria per promuovere giudizi relativi ad atti di amministrazione straordinaria, che possono cioè arrecare pregiudizio o diminuzione del patrimonio e non anche per gli atti diretti al miglioramento e alla conservazione dei beni che fanno già parte del patrimonio del soggetto incapace. Ne consegue che si atteggiano ad atti di ordinaria amministrazione, per i quali non è necessaria la predetta autorizzazione, tanto l’azione di rivendica finalizzata ad accrescere o a tutelare in senso migliorativo il patrimonio dell’incapace, quanto l’assunzione di una posizione processuale assimilabile a quella di un convenuto, come l’intervento volontario in giudizio per contrastare la domanda dell’attore di riconoscimento di un diritto di proprietà, giacché il provvedimento del giudice tutelare è richiesto solo quando il minore assuma la veste di attore in primo grado, ma non per le difese e gli atti diretti a resistere all’azione avversaria. Cass. civ. sez. II, 19 gennaio 2012, n. 743
L’art. 320, primo comma, c.c. (come modificato dall’art. 143 della L. 19 maggio 1975, n. 143) – ove stabilisce la rappresentanza congiunta di entrambi i genitori per la stipulazione di atti con cui si concedono o si acquistano diritti personali di godimento – in quanto introduttivo di un’eccezione alla regola che gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti da ciascun genitore disgiuntamente, non può interpretarsi estensivamente, così da ritenerlo riferibile alla domanda di rilascio di un immobile del minore (nella specie: ex art. 4 della L. 23 maggio 1950, n. 253), la quale non integra concessione (a terzi) o acquisto (da terzi) di diritti personali di godimento; ci tenuto conto altresì del silenzio della norma citata in tema di legitimatio ad processum, a differenza dell’espressa previsione al riguardo contenuta nel successivo terzo comma, in relazione agli atti negoziali di amministrazione straordinaria. Cass. civ. sez. III, 30 gennaio 1982, n. 599
A differenza di quanto è previsto in ordine ai negozi e alle attività di contenuto patrimoniale, la rappresentanza per la tutela dei diritti di natura personale e personalissima – anche se ne derivi un indiretto riflesso economico – spetta al genitore o ai genitori che esercitano la potestà sul figlio minore, ai sensi del primo comma dell’art. 320 c.c. senza bisogno di alcuna autorizzazione del giudice tutelare, salvo che la legge riconosca specificamente nel minore la titolarità e la piena capacità per determinati atti, o che non vi siano altre particolari discipline (ad es.: artt. 120, 125, 153 c.p.), o che non si determinino situazioni di conflitto di interessi. Conseguentemente, il potere del genitore esercente la patria potestà di proseguire l’azione di disconoscimento della paternità, non avendo alcuna speciale disciplina, rientra in quello genericamente previsto dal primo comma dell’art. 320 c.c. e non richiede per il suo esercizio la previa autorizzazione del giudice tutelare. (Nella specie, il presunto padre era deceduto dopo la proposizione dell’azione di disconoscimento, la quale era stata proseguita da suo cognato, nella qualità di genitore esercente la patria potestà sul proprio figlio minore, erede universale del de cuius). Cass. civ. sez. I, 1° aprile 1977, n. 1233
E configurabile, e opponibile al minore rappresentato, la simulazione assoluta di un atto, eccedente i limiti dell’ordinaria amministrazione, compiuto dal legale rappresentante, preventivamente e regolarmente autorizzato dal giudice tutelare. Cass. civ. sez. II, 9 giugno 2014, n. 12953
La competenza ad autorizzare la vendita di immobili ereditati dal minore soggetto alla potestà dei genitori appartiene al giudice tutelare del luogo di residenza del primo, a norma dell’art. 320, terzo comma, c.c. unicamente per quei beni che, provenendo da una successione ereditaria, si possono considerare acquisiti al suo patrimonio. Ne consegue che, ai sensi del primo comma dell’art. 747 c.p.c. la competenza spetta, sentito il giudice tutelare, al tribunale del luogo di apertura della successione, ove il procedimento dell’acquisto “iure hereditario” non si sia ancora esaurito per essere pendente la procedura di accettazione con beneficio di inventario, in quanto, in tale ipotesi, l’indagine del giudice non è circoscritta soltanto alla tutela del minore, ai sensi dell’art. 320 c.c. ma si estende a quella degli altri soggetti interessati alla liquidazione dell’eredità, così evitandosi una disparità di trattamento fra minori “in potestate” e minori sotto tutela, con riguardo alla diversa competenza a provvedere per i primi (giudice tutelare ai sensi dell’art. 320 c.c.) e i secondi (tribunale quale giudice delle successioni, in base all’art. 747 c.p.c.). Cass. civ. sez. II, 27 luglio 2012, n. 13520
L’autorizzazione del giudice tutelare richiesta dall’art. 320 c.c. per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione riguardanti i minori di età, non è diretta a conferire efficacia ad un negozio giuridico già formato, ma rappresenta un elemento costitutivo dello stesso, e pertanto deve sussistere al momento della sua conclusione e non può essere supplito da un’autorizzazione successiva, ancorché il negozio sfornito di quel requisito di validità sia affetto da sola annullabilità, che può essere fatta valere solamente dal genitore o dal figlio o dai suoi eredi o aventi causa. Cass. civ. sez. III, 17 marzo 1990, n. 2235