Art. 2909 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Cosa giudicata

Articolo 2909 - codice civile

L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato (324 c.p.c.) fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa (1306, 1595).

Articolo 2909 - Codice Civile

L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato (324 c.p.c.) fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa (1306, 1595).

Massime

Il giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.) che, quale riflesso di quello formale (art. 324 c.p.c.), fa stato ad ogni effetto tra le parti per l’accertamento di merito positivo o negativo del diritto controverso, si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, compresi gli accertamenti di fatto che rappresentano le premesse necessarie ed il fondamento logico e giuridico della pronuncia, con effetto preclusivo dell’esame delle stesse circostanze in un successivo giudizio, che abbia gli identici elementi costitutivi della relativa azione e cioè i soggetti, la “causa petendi” ed il “petitum”.  Cass. civ., sez., II, , 21 febbraio 2019, n. 5138

Il giudicato si forma, oltre che sull’affermazione o negazione del bene della vita controverso, sugli accertamenti logicamente preliminari e indispensabili ai fini del deciso, quelli cioè che si presentano come la premessa indefettibile della pronunzia, mentre non comprende le enunciazioni puramente incidentali e in genere le considerazioni estranee alla controversia e prive di relazione causale col deciso. L’autorità del giudicato è circoscritta oggettivamente in conformità alla funzione della pronunzia giudiziale, diretta a dirimere la lite nei limiti delle domande proposte, sicché ogni affermazione eccedente la necessità logico giuridica della decisione deve considerarsi un “obiter dictum”, come tale non vincolante. (Nel caso di specie la S.C. ha ritenuto che non potesse avere autorità di cosa giudicata l’affermazione relativa all’acquisto della  proprietà di un immobile per occupazione espropriativa contenuta in una sentenza relativa ad una domanda di manutenzione nel possesso, fatta valere in un giudizio petitorio nel quale era stato richiesto l’accertamento della proprietà esclusiva del medesimo bene, stante la diversità di “petitum” e di “causa petendi” dei due giudizi).  Cass. civ., sez. , I, , 8 febbraio 2019, n. 3793

Il giudicato sostanziale ha ad oggetto il bene della vita fatto valere in giudizio e non anche l’interpretazione ed applicazione delle disposizioni normative, attività rispetto alle quali il giudice non è vincolato alle deduzioni delle parti.  Cass. civ., sez. , V, , 10 ottobre 2018, n. 24992,

Costituisce oggetto di giudicato la situazione di fatto che si pone come antecedente logico necessario della pronuncia resa sulla domanda dell’attore o sull’eccezione del convenuto; l’autorità del giudicato copre il fatto accertato anche in relazione ad ogni altro effetto giuridico che da esso ne derivi nell’ambito del rapporto obbligatorio tra le stesse parti.  Cass. civ., sez. , lav., , 28 novembre 2017, n. 28415

Il giudicato non si determina sul fatto ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicchè l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame.  Cass. civ., sez. , VI, , 16 maggio 2017, n. 12202

Qualora due giudizi tra le stesse parti si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo.  Cass. civ., sez. , lav., , 9 dicembre 2016, n. 25269

L’autorità del giudicato sostanziale opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità di parti, di “petitum” e di “causa petendi”.  Cass. civ., sez. , I, , 24 marzo 2014, n. 6830

I limiti oggettivi del giudicato possono estendersi oltre la “causa petendi” ed il “petitum” della domanda originaria sia quando la domanda riconvenzionale o l’eccezione del convenuto amplii l’oggetto del giudizio, sia quando una situazione giuridica sia comune a più cause tra le medesime parti, sicché la soluzione delle questioni di fatto o di diritto ad essa relative in una delle cause faccia stato nelle altre in cui quella rilevi. (Omissis).  Cass. civ., sez. , III, , 6 marzo 2014, n. 5245

Il giudicato si forma anche sulla qualificazione giuridica data dal giudice all’azione, quando detta qualificazione abbia condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito e la parte interessata abbia omesso di proporre specifica impugnazione sul punto.  Cass. civ., sez. , II, , 1 agosto 2013, n. 18427

Il giudicato, formatosi con la sentenza intervenuta tra le parti, copre il dedotto ed il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e cioè non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto fatte valere in giudizio, ma anche tutte le possibili questioni, proponibili sia in via di azione, sia in via di eccezione, le quali, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia.  Cass. civ., sez. , I, , 28 ottobre 2011, n. 22520

In considerazione dell’inscindibile rapporto di connessione che viene a crearsi tra oggetto del giudicato ed oggetto del processo nel quale questo si è formato, l’efficacia del giudicato si estende alle questioni che costituiscono presupposti logicamente e giuridicamente ineliminabili della statuizione finale, mentre è da escludere il giudicato sul punto di fatto, ossia sul puro e semplice accertamento dei fatti storici contenuto nella motivazione e compiuto dal giudice esclusivamente per pronunciare sulla situazione di vantaggio dedotta in giudizio.  Cass. civ., sez. , II, , 11 febbraio 2011, n. 3434

L’efficacia del giudicato esterno non può giungere fino al punto di far ritenere vincolante, nel giudizio avente ad oggetto le medesime questioni di fatto e di diritto, la sentenza definitiva di merito priva di una specifica “ratio decidendi”, che, cioè, accolga o rigetti la domanda, senza spiegare in alcun modo le ragioni della scelta, poiché, pur non essendo formalmente inesistente e nemmeno nulla (coprendo il passaggio in giudicato, quanto alle nullità, il dedotto e il deducibile), essa manca di un supporto argomentativo che possa spiegare effetti oltre i confini della specifica fattispecie. L’attribuzione di efficacia di giudicato esterno ad una siffatta decisione comporterebbe d’altronde, in riferimento al giudizio di legittimità, una rinuncia della Corte di cassazione alla propria funzione nomofilattica, dovendo essa subire l’imposizione da parte del giudice di merito di un principio di diritto che non risulta neppure formulato in maniera espressa.  Cass. civ., , sez. V, , 6 agosto 2009, n. 18041

Il passaggio in cosa giudicata di una pronuncia del giudice ordinario, ovvero del giudice amministrativo, recante statuizioni sul merito di una pretesa attinente ad un determinato rapporto, estende i suoi effetti al presupposto della sussistenza della giurisdizione di detto giudice su tale rapporto, indipendentemente dal fatto che essa sia stata o meno oggetto di esplicita declaratoria e, quindi, osta a che la giurisdizione di quel giudice possa essere contestata in successive controversie fra le stesse parti aventi titolo nel medesimo rapporto davanti a un giudice diverso, avendo il giudicato esterno la medesima autorità di quello interno, in quanto corrispondono entrambi all’unica finalità dell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche e della stabilità delle decisioni. (Omissis ).  Cass. civ., , Sezioni Unite, , 18 dicembre 2008, n. 29531

In tema di limiti oggettivi del giudicato esterno, la res iudicata è costituita non dai fatti tutti dedotti nel giudizio, bensì soltanto da quelli che, oltre ad essere accertati nella sentenza, compongano, nel loro insieme, la base logica e giuridica del decisum restandone di conseguenza escluse le ulteriori pretese creditorie originariamente accantonate dall’attore perché espressamente riservate a separato giudizio e poste a base di una domanda nuova avanzata nel corso del giudizio di primo grado o con l’atto di appello, ma sulle quali il giudice abbia dichiarato di non pronunciare sussistendo una preclusione di carattere processuale, sicché dette pretese possono essere azionate in separato giudizio senza che sia configurabile una preclusione nascente dal primo giudicato.  Cass. civ., , sez. I, , 28 maggio 2008, n. 14057

Affinché una lite possa dirsi coperta dall’efficacia di giudicato di una precedente sentenza resa tra le stesse parti è necessario che il giudizio introdotto per secondo investa il medesimo rapporto giuridico che ha già formato oggetto del primo ; in difetto di tale presupposto, nulla rileva la circostanza che la seconda lite richieda accertamenti di fatto già compiuti nel corso della prima, in quanto l’efficacia oggettiva del giudicato non può mai investire singole questioni di fatto o di diritto (omissis ).  Cass. civ., , sez. V, , 18 giugno 2007, n. 14087

In tema di giudicato, il principio secondo il quale, qualora due giudizi abbiano riferimento ad uno stesso rapporto giuridico ed uno dei due sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento, così compiuto, in ordine alla situazione giuridica, ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, preclude il riesame dello stesso punto non trova applicazione allorché tra i due giudizi non vi sia identità di parti, essendo l’efficacia soggettiva del giudicato circoscritta, ai sensi dell’art. 2909 c.c., ai soggetti posti in condizione di intervenire nel processo.  Cass. civ., sez. , V, , 8 febbraio 2006, n. 2786

Tenuto conto che, ai sensi dell’art. 2909 c.c., l’accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, le relative statuizioni non estendono i loro effetti, e non sono vincolanti, per i soggetti estranei al giudizio, e ciò anche quando il terzo sia un litisconsorte necessario pretermesso; pertanto, seppure l’ordinamento predispone mezzi e strumenti per evitare il contrasto di giudicati nel caso in cui al giudizio non partecipino tutti i soggetti del rapporto che ne costituisce l’oggetto (chiamata in causa, integrazione del contraddittorio), può essere pronunciata una sentenza efficace solo per alcuni e non per tutti i soggetti titolari del detto rapporto, tant’è vero che l’art. 404 c.p.c. ha previsto anche un rimedio specifico, l’opposizione di terzo, per consentire a quest’ultimo, rimasto estraneo al giudizio, di non subire il pregiudizio che eventualmente si sia verificato in conseguenza della sentenza pronunziata senza la sua partecipazione (oltre al rimedio, generico, costituito dall’azione di nullità che il litisconsorte necessario può esperire contro la sentenza emessa a conclusione di un giudizio necessario al quale egli non ha partecipato).  Cass. civ., , sez. II, , 17 marzo 2005, n. 5796

A norma dell’art. 2909 c.c., il giudicato fa stato tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, nei limiti oggettivi costituiti dai suoi elementi costitutivi, ovvero il titolo della stessa azione (causa petendi), e il bene della vita che ne forma oggetto (petitum mediato), a prescindere dal tipo di sentenza adottato; entro tali limiti, il giudicato copre il dedotto e il deducibile, cioè non soltanto le questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione o di eccezione e, comunque, esplicitamente investite dalla decisione, ma anche le questioni che, non dedotte in giudizio, tuttavia, costituiscano presupposto logico e indefettibile della decisione stessa, restando salva ed impregiudicata soltanto l’eventuale sopravvenienza di fatti e situazioni nuove; costituendo regola del caso concreto, il giudicato partecipa della natura dei comandi giuridici e pertanto la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio in fatto, e pertanto l’interpretazione datane dal giudice di merito può essere denunciata in cassazione sotto il profilo della violazione di norme di diritto. (Omissis).  Cass. civ., , sez. lav., , 21 giugno 2004, n. 11493

Il giudicato sostanziale può estendersi anche alle questioni non controverse, ma è necessario che su queste ultime il giudice abbia compiuto un vero e proprio accertamento, così necessariamente e inscindibilmente collegato con il dictum finale, da non costituire la semplice affermazione, incidenter tantum, di uno dei presupposti logici della decisione, bensì l’oggetto, esso stesso, della statuizione finale. (Omissis ).  Cass. civ., , sez. I, , 13 marzo 2003, n. 3737

L’efficacia del giudicato – che preclude il riesame delle questioni già decise, anche nell’ipotesi in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle costituenti lo scopo ed il petitum del precedente – non è limitata alla statuizione finale della sentenza, ma concerne anche le affermazioni che di quella costituiscono un precedente logico essenziale e necessario.  Cass. civ., , sez. lav., , 5 giugno 1996, n. 5222

Il giudicato formatosi su alcune annualità fa stato con riferimento anche ad annualità diverse, in relazione a quei fatti che costituiscono elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente ma non con riferimento ad elementi variabili: ne deriva che, in tema di ICI, il giudicato sulle modalità di esercizio di una determinata attività, che sono suscettibili di modificarsi nel tempo, non spiega efficacia espansiva negli altri periodi di imposta.  Cass. civ., sez. , V, , 15 marzo 2019, n. 7417

In materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata, sicché è esclusa l’efficacia espansiva del giudicato per le fattispecie “tendenzialmente permanenti” in quanto suscettibili di variazione annuale.  Cass. civ., sez. , V, , 7 settembre 2018, n. 21824

In ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l’autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo (salvo mutamenti del rapporto conseguenti a sopravvenienze di fatto o di diritto), atteso che gli effetti del giudicato sostanziale si estendono, anche in caso di rigetto della domanda, a tutte quelle statuizioni inerenti all’esistenza e validità del rapporto dedotto in giudizio necessarie ed indispensabili per giungere a quella pronuncia.  Cass. civ., sez. , II, , 27 aprile 2018, n. 10174

In tema di contenzioso tributario, l’efficacia del giudicato, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, nell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente.  Cass. civ., sez. , V, , 1 luglio 2015, n. 13498

La sentenza del giudice tributario che definitivamente accerti il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato periodo d’imposta fa stato, quanto ai tributi dello stesso tipo da questi dovuti per gli anni successivi, solo per gli elementi che abbiano un valore “condizionante” inderogabile rispetto alla disciplina della fattispecie esaminata, sicchè, laddove risolva una situazione fattuale riferita ad uno specifico periodo d’imposta, essa non può estendere i suoi effetti automaticamente ad un’altra annualità, ancorchè, siano coinvolti tratti storici comuni.  Cass. civ., sez. , V, , 29 gennaio 2014, n. 1837

La sentenza del giudice tributario, con la quale si accerta il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta, può fare stato – in coerenza con il principio del divieto di abuso del diritto, che induce ad una impostazione restrittiva in tema di efficacia del giudicato oltre il periodo di imposta che ne costituisce lo specifico oggetto – anche con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene le qualificazioni giuridiche o altri elementi preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria, correlati ad un interesse protetto avente il carattere della durevolezza, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni d’imposta debba fondarsi su dati e ricostruzioni contabili diversi.  Cass. civ., sez. , V, , 16 settembre 2011, n. 18907

Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico di durata, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato, in ordine alla soluzione delle questioni di fatto e di diritto relative al punto fondamentale comune ad entrambe la cause, presuppone la compatibilità del giudicato con i principi fondamentali del diritto comunitario applicabili nel caso concreto. Ne consegue che il giudice successivamente adito per l’accertamento della medesima obbligazione di durata con riferimento ad un diverso periodo deve coordinare il principio del giudicato con il principio di effettività cui è improntato il diritto comunitario, evitando il conflitto tra l’efficacia del giudicato e l’esercizio dei diritti riconosciuti dall’ordinamento giuridico comunitario.  Cass. civ., , sez. lav., , 25 novembre 2009, n. 24784

In tema di formazione del giudicato in relazione ai rapporti di durata, se l’accertamento dell’esistenza, validità e natura giuridica di un contratto, fonte di un rapporto obbligatorio, costituisce il presupposto logico-giuridico di un diritto derivatone, il giudicato si estende al predetto accertamento e spiega effetto in ogni altro giudizio, tra le stesse parti, nel quale il medesimo contratto è posto a fondamento di ulteriori diritti, inerenti al medesimo rapporto. (omissis).  Cass. civ., , sez. lav., , 9 aprile 2009, n. 8723

L’accertamento contenuto nella sentenza, passata in giudicato, di un fatto idoneo a produrre determinati effetti destinati a durare nel tempo, pur non contenendo propriamente l’accertamento di un diritto stipite comprendente i singoli diritti nascenti dal perdurare di quegli effetti, si estende tuttavia all’esistenza di tutti gli elementi voluti dalla legge per la configurazione del rapporto, e la portata vincolante della decisione riguardo a tali elementi continua ad esplicare i suoi effetti sul relativo rapporto di durata a situazione normativa e fattuale immutata. Ne consegue che la situazione già accertata nel precedente giudizio non può formare oggetto di valutazione diversa, ove permangano immutati gli elementi di fatto e di diritto preesistenti. (Omissis).  Cass. civ. sez. lav. 15 maggio 2003, n. 7577

In caso di situazioni giuridiche di durata, oggetto del giudicato è l’unico rapporto giuridico continuato e non gli effetti verificatisi nei singoli periodi del suo svolgimento. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che, in una causa avente ad oggetto il riconoscimento a seguito di trasferimento di azienda degli scatti di anzianità maturati presso il cedente, aveva escluso l’efficacia del giudicato formatosi tra le stesse parti sulla domanda di analogo contenuto proposta per un differente periodo lavorativo). Cass. civ., , sez. lav., , 6 marzo 2001, n. 3230

In tema di rapporti di durata l’autorità della cosa giudicata ha come suo presupposto il principio rebus sic stantibus che comporta che la statuizione può essere modificata sulla base di fatti sopravvenuti alla sua formazione. Ne consegue che, passata in giudicato una sentenza di condanna generica pronunciata anche con riguardo al futuro, gli effetti relativi al tempo precedente la decisione non potranno più venire meno o essere modificati, mentre dei fatti in essa non considerati potrà tenersi conto in sede di successiva determinazione quantitativa del debito. (omissis).  Cass. civ., , sez. lav., , 14 dicembre 1998, n. 12554

La statuizione su una questione di rito dà luogo soltanto al giudicato formale ed ha effetto limitato al rapporto processuale nel cui ambito è emanata; essa, pertanto, non essendo idonea a produrre gli effetti del giudicato in senso sostanziale, non preclude la riproposizione della domanda in altro giudizio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto che la statuizione di improponibilità della domanda per il conseguimento della rivalutazione contributiva ex art. 13, comma 8, della l. n. 257 del 1992, resa nel precedente giudizio per assenza del presupposto processuale costituito dalla previa istanza amministrativa, precludesse la riproposizione dell’azione).  Cass. civ., sez. , VI, , 16 aprile 2019, n. 10641

La sentenza del giudice che statuisca unicamente sulla competenza non contiene alcuna pronuncia di merito, né esplicita né implicita, idonea a passare in giudicato, anche nell’ipotesi che abbia esaminato e deciso delle questioni preliminari di merito ai fini dell’accertamento della competenza, sicché dà luogo ad un giudicato solo formale e non preclude al giudice dichiarato competente l’esame e l’applicazione, per la decisione di merito, delle norme di diritto sostanziale, ancorché in contrasto con le premesse della sentenza sulla competenza.  Cass. civ., sez. , I, , 20 marzo 2018, n. 6970

Le sentenze dei giudici ordinari di merito, o dei giudici amministrativi, che statuiscano sulla sola giurisdizione – diversamente da quelle delle sezioni unite della Suprema Corte, alla quale, per la funzione istituzionale di organo regolatore della giurisdizione, spetta il potere di adottare decisioni dotate di efficacia esterna -, non sono idonee ad acquistare autorità di cosa giudicata in senso sostanziale ed a spiegare, perciò, effetti al di fuori del processo nel quale siano state rese, salvo che la decisione, sia pur implicita, sulla giurisdizione si rapporti con una statuizione di merito.  Cass. civ., , Sezioni Unite, , 21 luglio 2015, n. 15208

La sentenza del giudice di merito dichiarativa della inammissibilità della domanda per genericità ha natura meramente processuale e, come tale, non è idonea alla formazione del giudicato sul diritto soggettivo sostanziale dedotto in giudizio, mentre il successivo riferimento, in essa contenuto, al difetto di prova del diritto non ha alcun valore decisorio, in quanto non può parlarsi di prova, sussistente o insussistente, con riguardo ad una pretesa indefinita.  Cass. civ., sez. , lav., , 13 gennaio 2015, n. 341

La declaratoria di assorbimento di una questione non dà luogo ad una decisione sul merito, ma di rito e, pertanto, non può formarsi alcun giudicato sulla questione assorbita. Cass. civ., sez. , I, , 27 maggio 2011, n. 11798

Il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono sia pure implicitamente il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, in mancanza di opposizione o quando quest’ultimo giudizio sia stato dichiarato estinto, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio.  Cass. civ. sez. , I, , 24 settembre 2018, n. 22465

Il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo copre non soltanto l’esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito e il rapporto stessi si fondano, ma anche l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l’opposizione.  Cass. civ., sez. , VI, , 18 luglio 2018, n. 19113

In forza dell’art. 2909 c.c., l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato anche nei confronti dei successivi aventi causa delle parti, senza che tale principio trovi deroga, in relazione al regime della trascrizione, per il caso di azioni a difesa della proprietà (quale, nella specie, quella volta ad ottenere l’osservanza del limite legale della stessa stabilito dall’art. 913 c.c.), atteso che, in tale ipotesi, non è operante né l’onere della trascrizione della sentenza ex art. 2643 n. 14 c.c., riguardante la diversa situazione delle pronunce che operino la costituzione, il trasferimento o la modificazione di diritti su immobili, né l’onere della trascrizione della domanda, ai sensi degli artt. 111, quarto comma, c.p.c. e 2653 c.c., previsto al diverso fine dell’opponibilità della sentenza nei confronti di chi succeda a titolo particolare nel diritto controverso nel corso del processo, e quindi prima della formazione del giudicato.  Cass. civ., sez. , III, , 14 febbraio 2013, n. 3643

La regola contenuta nell’art. 2909 c.c. esprime il principio della continuità soggettiva dell’accertamento contenuto nella sentenza passata in cosa giudicata, il quale non vincola soltanto le parti del giudizio nel quale la sentenza è stata pronunciata, ma anche i loro eredi ed aventi causa. Poiché questi ultimi, sul piano sostanziale, sono i continuatori del rapporto giuridico di cui era parte l’alienante, rispetto ad essi detto vincolo non subisce limitazioni, non essendo richiesto, in particolare, che essi siano a conoscenza del giudicato contenuto nella sentenza fatta valere nei loro confronti.  Cass. civ., , sez. III, , 12 giugno 2006, n. 13552

Il fondamento del giudicato sostanziale, regolato dall’art. 2909 c.c., che risponde al generale principio della certezza del diritto, è quello di rendere insensibili le situazioni di fatto dallo stesso considerate, per le quali è stata individuata ed applicata la corrispondente “regula iuris”, ai successivi mutamenti della normativa di riferimento, anche con riguardo allo “ius superveniens” che contenga norme retroattive, salva una diversa volontà espressa dal legislatore.  Cass. civ., sez. , I, , 10 dicembre 2018, n. 31904

L’autorità del giudicato copre sia il dedotto, sia il deducibile, cioè non soltanto le ragioni giuridiche fatte espressamente valere, in via di azione o in via di eccezione, nel medesimo giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre che, se pure non specificamente dedotte o enunciate, costituiscano, tuttavia, premesse necessarie della pretesa e dell’accertamento relativo, in quanto si pongono come precedenti logici essenziali e indefettibili della decisione (giudicato implicito). Pertanto, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano per oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto circa una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituenti indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono il riesame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il “petitum” del primo. (In applicazione del principio, la S. C. ha rigettato il ricorso avverso sentenza che aveva ritenuto il giudicato sulla domanda di risarcimento dei danni per inesatta esecuzione di un mandato, nella specie idoneo a violare il divieto di patto commissorio, come preclusivo dell’esame, in successivo giudizio instaurato tra le stesse parti, della domanda di risarcimento dei danni per l’illiceità della medesima condotta del mandatario).  Cass. civ., sez. , III, , 26 febbraio 2019, n. 5486

Il giudicato implicito non si forma, per omessa impugnazione, sulla questione afferente l’inammissibilità del ricorso, essendo limitato alle questioni ed agli accertamenti che costituiscono il presupposto logico indispensabile di una questione o di un accertamento sul quale si sia formato un giudicato esplicito, mentre non è configurabile in relazione alle questioni pregiudiziali all’esame del merito ovvero a quelle concernenti la proponibilità dell’azione giudiziaria.  Cass. civ., sez. , V, , 19 dicembre 2018, n. 32805

In materia di ricorso per cassazione, la sentenza di merito che pronunci la decadenza in base al principio della “ragione più liquida” non determina un giudicato implicito sulla sussistenza della pretesa, bensì un assorbimento cosiddetto improprio della domanda non esaminata, sicché la Suprema Corte può, annullando l’erronea statuizione di decadenza, decidere nel merito sull’inesistenza del diritto ove la questione abbia natura esclusivamente giuridica e non richieda nuovi accertamenti di fatto, sì da essere rilevabile, per la prima volta e anche d’ufficio, nel giudizio di legittimità.  Cass. civ., sez. , VI, , 20 marzo 2015, n. 5724

Il giudicato per implicazione discendente, regolato dall’art. 2909 c.c., in base al quale l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato “a ogni effetto” tra le parti, riguarda le questioni dipendenti da quella pregiudiziale oggetto del giudicato stesso, e non quelle concernenti effetti ulteriori o diversi che non contraddicano il medesimo accertamento già compiuto: ne consegue che il giudicato formatosi sul preuso di un marchio, successivamente registrato, non preclude l’esame della questione della validità del marchio, in quanto l’accertamento del preuso implica la verifica in punto di fatto circa tale circostanza nonché una valutazione sull’esistenza del carattere distintivo e del possesso dei requisiti di novità e originalità, ma non anche l’accertamento dell’inesistenza di ragioni di nullità rilevabili solo su eccezione di parte (e salvo che nel giudizio sul preuso ne venga accertata pure la liceità ove può controparte abbia sollevato l’eccezione di nullità).  Cass. civ., sez. , I, , 19 settembre 2013, n. 21472

Il giudicato non si estende ad ogni proposizione contenuta in una sentenza con carattere di semplice affermazione incidentale, atteso che per aversi giudicato implicito è necessario che tra la questione decisa in modo espresso e quella che si vuole tacitamente risolta sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, e dunque che l’accertamento contenuto nella motivazione della sentenza attenga a questioni che ne costituiscono necessaria premessa ovvero presupposto logico indefettibile.  Cass. civ., sez. , I, , 5 luglio 2013, n. 16824

Il giudicato implicito su di una questione pregiudiziale rispetto ad altra, di carattere dipendente, su cui si sia formato il giudicato esplicito esterno, deve escludersi allorché la prima abbia ad oggetto un antecedente giuridico non necessitato in senso logico dalla decisione e potenzialmente idoneo a riprodursi fra le stesse parti in relazione ad ulteriori e distinte controversie. Pertanto, non presupponendo la “causa petendi” della domanda di impugnazione di una delibera condominiale un rapporto giuridico intersoggettivo tra il condominio e il condomino, esaurendosi essa, piuttosto, nel riscontro di legittimità dell’atto collettivo incidente sulla “res”, l’annullamento, con sentenza passata in giudicato, di una deliberazione dell’assemblea, impugnata da un condomino per violazione di una norma del regolamento di condominio (nella specie, concernente l’uso di un’area comune di distacco tra il fabbricato e la strada pubblica), non determina, al di fuori dei casi e dei modi previsti dall’art. 34 c.p.c., il giudicato sulla validità della stessa disposizione regolamentare, la cui conformità, o meno, a norme imperative di legge può essere oggetto di un successivo giudizio tra le medesime parti.  Cass. civ., sez. , II, , 11 maggio 2012, n. 7405

Il giudicato implicito su questione preliminare di merito non può ritenersi formato quando dalla motivazione della sentenza risulti che l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione ed abbia indotto il giudice a decidere “per saltum”, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni. Cass. civ., sez. , II, , 30 marzo 2012, n. 5148

Il giudicato implicito, formandosi sulle questioni e sugli accertamenti che costituiscono il presupposto logico indispensabile di una questione o di un accertamento sul quale si sia formato un giudicato esplicito, non è configurabile in relazione alle questioni pregiudiziali all’esame del merito ovvero a quelle concernenti la proponibilità dell’azione quando, intervenuta la decisione sul merito della domanda, la parte soccombente abbia proposto impugnazione relativamente alla sola (o a tutte le) statuizioni di merito in essa contenute, in quanto detta impugnazione impedisce la formazione del giudicato esplicito su almeno una questione o un accertamento di merito, che costituiscono l’indispensabile presupposto del giudicato implicito. Inoltre, quando il giudice decida esplicitamente su una questione, risolvendone implicitamente un’altra, rispetto alla quale la prima si ponga in rapporto di dipendenza e la decisione venga impugnata sulla questione risolta esplicitamente, non è configurabile un giudicato implicito sulla questione risolta implicitamente, essendo lo stesso precluso dall’impugnazione sulla questione dipendente, atteso che il giudicato implicito presuppone il passaggio in giudicato della decisione sulla questione dipendente decisa espressamente. (Omissis).  Cass. civ., sez. , V, , 29 aprile 2009, n. 10027

Ai fini dell’incidenza di un giudicato su di una controversia non inerente il medesimo rapporto fondamentale, non può riconoscersi alcun effetto preclusivo sia alle statuizioni incidentali relative a rapporti pregiudiziali sia alla soluzione di singole questioni di fatto o di diritto, contenuta nella motivazione ed effettuata dal giudice solo per pronunciare sulla specifica situazione dedotta in giudizio. (Omissis).  Cass. civ., , sez. V, , 20 giugno 2008, n. 16816

Il giudicato implicito può ritenersi formato solo allorché tra la questione risolta espressamente e quella che si assume risolta implicitamente sussista un nesso di dipendenza così intenso da non consentire che l’una sia stata decisa senza aver prima deciso l’altra. Ne consegue che non è configurabile un giudicato implicito quando la questione da decidere abbia una propria autonomia ed individualità per la diversità dei presupposti di fatto e di diritto rispetto a quella decisa. Ne consegue che va escluso che la statuizione di improponibilità della domanda di risoluzione del contratto agrario per l’inosservanza dell’onere di cui all’art. 5, comma terzo, legge n. 203 del 1982, implichi un qualsiasi accertamento sulla esistenza, alla data della domanda, di un contratto agrario, atteso che la verifica relativa all’improponibilità della domanda preclude al giudice ogni altro accertamento di fatto.  Cass. civ., , sez. III, , 5 maggio 2004, n. 8515

Per aversi giudicato implicito su una questione preliminare o pregiudiziale, come logica implicazione della decisione sul merito, è indispensabile che almeno un punto di merito sia coperto dal giudicato esplicito ; quando, invece, l’impugnazione abbia investito la decisione in modo tale da impedire la formazione di ogni giudicato esplicito sul merito, viene meno il presupposto perchè possa dirsi formato un giudicato implicito.  Cass. civ., , sez. I, , 29 aprile 2004, n. 8204

Perché in caso di omessa espressa pronuncia su di una domanda si possa formare, ove la sentenza passi in cosa giudicata per mancata impugnazione, un giudicato implicito sul punto del mancato accoglimento della domanda non espressamente decisa, tale da precludere che la domanda medesima possa essere riproposta in separata sede, è necessario che dalla sentenza si evinca che su quella domanda vi sia stata una decisione implicita di rigetto. A tal fine non è sufficiente che la domanda non espressamente decisa sia in qualche modo connessa con quella decisa, ma si richiede che essa sia legata all’altra da un rapporto di dipendenza indissolubile, sì da costituirne il presupposto di fatto e l’antecedente logico- giuridico.  Cass. civ., , sez. lav., , 21 novembre 2000, n. 14999

Il giudicato implicito sulla questione pregiudiziale della legittimazione ad agire non può formarsi qualora la questione non sia stata sollevata dalle parti ed il giudice (con implicita statuizione positiva sulla stessa) si sia limitato a decidere nel merito, restando in tal caso la formazione del giudicato sulla pregiudiziale impedita dall’impugnativa del capo della sentenza relativamente al merito, dal che consegue che, in tale ipotesi non è precluso al giudice del gravame di rilevare d’ufficio il difetto della legittimazione ad agire.  Cass. civ., , sez. I, , 25 luglio 1996, n. 6720

Il giudicato interno non si determina sul fatto, ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che aveva affermato l’inopponibilità all’erede di un testamento olografo fatto valere da un legatario in ragione della tardività dell’istanza di verificazione avanzata da quest’ultimo a seguito del disconoscimento operato dal primo, sul rilievo che il motivo di appello con cui il legatario aveva contestato la tempestività del disconoscimento medesimo aveva riaperto la cognizione pure sulla questione relativa alla procedura da seguire per accertare l’autenticità del testamento).  Cass. civ., sez. , II, , 17 aprile 2019, n. 10760

Il giudicato interno può formarsi solo su capi di sentenza autonomi, che cioè risolvano una questione controversa avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; sono privi del carattere dell’autonomia i meri passaggi motivazionali, ossia le premesse logico-giuridiche della statuizione adottata, come pure le valutazioni di meri presupposti di fatto che, unitamente ad altri, concorrono a formare un capo unico della decisione.  Cass. civ., sez. , lav., , 4 ottobre 2018, n. 24358

La formazione della cosa giudicata su un capo della sentenza per mancata impugnazione può verificarsi solo con riferimento ai capi che siano completamente autonomi perché fondati su distinti presupposti di fatto e di diritto, sicché l’acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata non si verifica quando queste si pongano in nesso conseguenziale con altra e trovino in essa il suo presupposto.  Cass. civ., sez. , L, , 23 settembre 2016, n. 18713

La formazione della cosa giudicata, per mancata impugnazione su un determinato capo della sentenza investita dall’impugnazione, può verificarsi soltanto con riferimento ai capi della stessa sentenza completamente autonomi, in quanto concernenti questioni affatto indipendenti da quelle investite dai motivi di gravame, perché fondate su autonomi presupposti di fatto e di diritto, tali da consentire che ciascun capo conservi efficacia precettiva anche se gli altri vengono meno, mentre, invece, non può verificarsi sulle affermazioni contenute nella mera premessa logica della statuizione adottata, ove quest’ultima sia oggetto del gravame. (Omissis).  Cass. civ., , sez. III, , 18 ottobre 2005, n. 20143

Nel caso in cui una sentenza contenga una pluralità di statuizioni, costituiscono capi autonomi di essa – sui quali può separatamente formarsi la cosa giudicata – quelli che provvedono su domanda di contenuto distinto, fondate su presupposti di fatto e di diritto diversi e indipendenti l’uno dall’altro, cioè quelli che sono idonei ad avere una propria individualità a sé stante indipendentemente dalle altre parti della sentenza; conseguentemente il giudicato parziale si forma allorquando l’impugnazione proposta non si estende a quei capi della sentenza che, fondati su diversi presupposti, indipendenti da quelli relativi alle statuizioni impugnate, abbiano, rispetto a queste ultime, carattere autonomo ed individualità a sé stante.  Cass. civ.  sez. I, , 9 aprile 1996, n. 3271

L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato non estende i suoi effetti, né è vincolante, nei confronti dei terzi, ma, quale affermazione obiettiva di verità, è idoneo a spiegare efficacia riflessa verso soggetti estranei al rapporto processuale, allorquando il terzo sia titolare di una situazione giuridica dipendente o comunque subordinata, sempreché il terzo non sia titolare di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile, in tale evenienza, che egli, salvo diversa ed espressa indicazione normativa, ne possa ricevere pregiudizio giuridico o possa avvalersene a fondamento della sua pretesa.  Cass. civ., sez. , III, , 11 giugno 2019, n. 15599

La sentenza passata in giudicato, anche quando non possa avere l’effetto vincolante di cui all’art. 2909 cod. civ., può avere comunque l’efficacia riflessa di prova o di elemento di prova documentale in ordine alla situazione giuridica che abbia formato oggetto dell’accertamento giudiziale e tale efficacia indiretta può essere invocata da chiunque vi abbia interesse, spettando al giudice di merito esaminare la sentenza prodotta a tale scopo e valutarne liberamente il contenuto, anche in relazione agli altri elementi di giudizio rinvenibili negli atti di causa.  Cass. civ., , sez. III, , 20 febbraio 2013, n. 4241

Dal principio stabilito dall’art. 2909 c.c. – secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa – si evince, “a contrario”, che l’accertamento contenuto nella sentenza non estende i suoi effetti e non è vincolante rispetto ai terzi. Il giudicato può, tuttavia, quale affermazione obiettiva di verità, spiegare efficacia riflessa anche nei confronti di soggetti estranei al rapporto processuale, ma tali effetti riflessi sono impediti quando il terzo sia titolare di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile né che egli ne possa ricevere pregiudizio giuridico, né che se ne possa avvalere a fondamento della sua pretesa, salvo che tale facoltà sia espressamente prevista dalla legge, come nel caso delle obbligazioni solidali, ai sensi dell’art. 1306 c.c. (Fattispecie in materia tributaria).  Cass. civ., sez. , V, , 13 gennaio 2011, n. 691

Il giudicato può spiegare efficacia riflessa anche nei confronti di soggetti estranei al rapporto processuale, quando contenga (come nel caso) un’affermazione obiettiva di verità (decadenza del chiamato con testamento dal diritto ad accettare l’eredità, pronunciata su domanda di alcuni eredi legittimi) che non ammette la possibilità di un diverso accertamento, qualora (come nella specie) siffatta efficacia non si risolve in un pregiudizio giuridico, ma addirittura in un beneficio per il terzo estraneo al giudizio (qui, l’altro erede legittimo), non essendo sufficiente l’autonomia del soggetto titolare di una pretesa analoga a quella dei partecipanti al giudizio ad escludere una estensione oggettiva del giudicato.  Cass. civ., , sez. V, , 16 maggio 2007, n. 11213

Il principio del giudicato riflesso, ovvero il principio per cui un coobligato può avvalersi del giudicato favorevole emesso in un giudizio promosso da altro coobligato anche se non vi ha partecipato, può essere invocato solamente da un soggetto che non sia diretto destinatario di un diverso e contrario giudicato formatosi nel frattempo.  Cass. civ., , sez. lav., , 6 aprile 2004, n. 669

Il giudicato interno eventualmente formatosi a seguito della sentenza di primo grado può essere rilevato anche d’ufficio in sede di legittimità, a meno che il giudice di secondo grado non abbia deciso, pur se implicitamente, sulla portata dell’atto di appello e, quindi, sull’esistenza o meno del suddetto giudicato, poiché, in tal caso, la pronuncia non può essere rimossa se non per effetto di espressa impugnazione, restando altrimenti preclusa ogni questione al riguardo.  Cass. civ., sez. , II, , 21 febbraio 2019, n. 5133

Il giudicato esterno, al pari di quello interno, risponde alla finalità d’interesse pubblico di eliminare l’incertezza delle situazioni giuridiche e di rendere stabili le decisioni, sicché il suo accertamento non costituisce patrimonio esclusivo delle parti e non è subordinato ai limiti fissati dall’art. 345 c.p.c. per le prove nuove in appello, di tal che il giudice, al quale ne risulti l’esistenza, non è vincolato dalla posizione assunta dalle parti in giudizio, dovendo procedere al suo rilievo e valutazione anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo.  Cass. civ., sez. , II, , 25 ottobre 2018, n. 27161

In tema di giudizio di cassazione, il principio secondo cui l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quello interno, rilevabile d’ufficio, non solo quando emerga da atti prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto ex art. 372 c.p.c., non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza, o meno, dei fatti, poiché, in tal caso, il giudicato ha valenza non già di regola di diritto cui conformarsi bensì solo in relazione a valutazioni di stretto merito. (omissis).  Cass. civ. Sezioni Unite, 2 febbraio 2017, n. 2735

Nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno intervenuto nelle more del giudizio di merito, senza tempestiva deduzione in quella sede, non è rilevabile d’ufficio.  Cass. civ., sez. , V, , 19 ottobre 2016, n. 21170

L’esistenza di un giudicato, interno o esterno, è rilevabile d’ufficio ove emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio, rispondendo al principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost..  Cass. civ., sez. , I, , 27 luglio 2016, n. 15627

Nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno deve essere coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso, per cui la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa.  Cass. civ., sez. , V, , 11 febbraio 2015, n. 2617

L’esistenza di un giudicato, anche esterno, non costituisce oggetto di eccezione in senso tecnico, ma è rilevabile in ogni stato e grado anche d’ufficio, senza che in ciò sia riscontrabile alcuna violazione dei principi del giusto processo. (Principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis, primo comma, c.p.c.).  Cass. civ., sez. , VI, , 6 giugno 2011, n. 12159

In sede di legittimità il giudicato, sia pure «esterno », non solo è rilevabile di ufficio, ma va individuato nella sua portata indipendentemente dall’intepretazione data al riguardo dal giudice di merito, in quanto il divieto di bis in idem ha carattere pubblicistico e le relative questioni sono assimilabili a quelle «di diritto » anziché «di fatto », sicché in materia il sindacato della Corte di cassazione non è limitato alla verifica della congruità della motivazione, sul punto, della sentenza impugnata, ma si estende, con pienezza di cognizione, all’accertamento sia dell’esistenza sia del contenuto del giudicato.  Cass. civ., sez. , II, , 27 gennaio 2003, n. 1153

Poiché nel nostro ordinamento vige il principio della rilevabilità di ufficio delle eccezioni, derivando invece la necessità dell’istanza di parte solo dall’esistenza di una eventuale specifica previsione normativa, l’esistenza di un giudicato esterno, è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, ed il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito. Del resto, il giudicato interno e quello esterno, non solo hanno la medesima autorità che è quella prevista dall’art. 2909 c.c., ma corrispondono entrambi all’unica finalità rappresentata dall’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche e dalla stabilità delle decisioni, i quali non interessano soltanto le parti in causa, risultando l’autorità del giudicato, riconosciuta non nell’interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell’interesse pubblico, essendo essa destinata a esprimersi nei limiti in cui sia concretamente possibile per l’intera comunità. Più in particolare, il rilievo dell’esistenza di un giudicato esterno non è subordinato ad una tempestiva allegazione dei fatti costitutivi dello stesso ,i quali non subiscono i limiti di utilizzabilità rappresentati dalle eventualmente intervenute decadenze istruttorie, e la stessa loro allegazione può essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito. Da ciò consegue che, in mancanza di pronuncia o nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia affermato la tardività dell’allegazione e la relativa pronuncia sia stata impugnata il giudice di legittimità accerta l’esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice del merito.  Cass. civ., , Sezioni Unite, , 25 maggio 2001, n. 226

Il giudicato esterno, in quanto provvisto di “vis imperativa” e indisponibilità per le parti, va assimilato agli “elementi normativi”, sicché la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici), in base agli artt. 12 ss. disp. prel. c.c., con conseguente sindacabilità degli eventuali errori interpretativi sotto il profilo della violazione di legge.  Cass. civ., sez. , III, , 29 novembre 2018, n. 30838

L’interpretazione del giudicato, sia esso interno od esterno, va effettuata alla stregua non soltanto del dispositivo della sentenza, ma anche della sua motivazione.  Cass. civ., sez. , VI, , 19 luglio 2018, n. 19252

Il giudicato esterno è assimilabile agli “elementi normativi”, sicché la sua interpretazione deve effettuarsi alla stregua dell’esegesi delle norme, non già degli atti e dei negozi giuridici, e la sua portata va definita dal giudice sulla base di quanto stabilito nel dispositivo della sentenza e nella motivazione che la sorregge, potendosi far riferimento, in funzione interpretativa, alla domanda della parte solo in via residuale qualora, all’esito dell’esame degli elementi dispositivi ed argomentativi di diretta emanazione giudiziale, persista un’obiettiva incertezza sul contenuto della statuizione. (omissis).  Cass. civ., sez. , I, , 13 ottobre 2017, n. 24162

Posto che il giudicato va assimilato agli «elementi normativi» cosicché la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, essendo sindacabili sotto il profilo della violazione di legge gli eventuali errori interpretativi, ne consegue che il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito. * Cass. civ., Sezioni Unite, 28 novembre 2007, n. 24664

L’interpretazione del titolo esecutivo, consistente in una sentenza passata in giudicato, compiuta dal giudice dell’opposizione a precetto o all’esecuzione, si risolve nell’apprezzamento di un fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità se esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimità, atteso che, in sede di esecuzione, la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi come «giudicato esterno » (in quanto assunta fuori dal processo esecutivo ), non opera come decisione della lite pendente davanti a quel giudice e che lo stesso avrebbe il dovere di decidere (se non fosse stata già decisa ), bensì come titolo esecutivo e, pertanto, non va intesa come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, bensì come presupposto dell’esecuzione, senza che vi sia possibilità di contrasto tra giudicati, né violazione del principio del ne bis in idem. (omissis ).  Cass. civ., sez. , III, , 9 agosto 2007, n. 17482

Il giudicato, essendo destinato a fissare la «regola» del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridici e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma deve essere assimilata, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, all’interpretazione delle norme giuridiche; pertanto, l’erronea presupposizione dell’esistenza del giudicato, equivalendo ad ignoranza della regula iuris, rileva non quale errore di fatto, ma quale errore di diritto, risultando sostanzialmente assimilabile al vizio del giudizio sussuntivo, consistente nel ricondurre la fattispecie ad una norma diversa da quella che reca invece la sua diretta disciplina, e, quindi, ad una falsa applicazione di norma di diritto. Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2006, n. 11356

Mentre l’interpretazione del giudicato esterno rientra tra i poteri esclusivi del giudice di merito, e sfugge, pertanto, al sindacato di legittimità se congruamente motivato, nel caso di giudicato interno la Corte di cassazione deve interpretare la relativa pronuncia, dalla quale ritiene conseguire il connesso effetto preclusivo, al pari di ogni altro patto processuale, onde rilevare, se del caso, l’eventuale error in procedendo.  Cass. civ., sez. , III, , 19 dicembre 2000, n. 15950

Il giudice del merito, nell’indagine volta ad accertare l’oggetto ed i limiti del giudicato esterno eccepito da una delle parti, non può limitarsi a tener conto della formula conclusiva in cui si riassume il contenuto precettivo della sentenza previamente pronunziata ed ormai divenuta immodificabile, ma deve individuarne l’essenza e l’effettiva portata, la quale va ricavata non soltanto dal dispositivo, ma anche dai motivi che la sorreggono, costituendo, anzi, utili elementi di interpretazione le stesse domande delle parti, il cui rilievo a fini ermeneutici, se non può essere proficuamente utilizzato per contrastare i risultati argomentabili alla stregua di altri elementi univoci che inducono ad escludere un’obiettiva incertezza sul contenuto della pronuncia in base alle chiare espressioni usate ed agli stessi motivi logici e giuridici sui quali la decisione è fondata, può tuttavia avere una funzione integratrice nella ricerca degli esatti confini del giudicato ove sorga un ragionevole dubbio al riguardo.  Cass. civ., sez. , lav., , 27 aprile 1996, n. 3916

L’interpretazione del giudicato (cosiddetto esterno) formatosi fra le stesse parti in un giudizio diverso da quello nel quale esso è invocato, istituzionalmente riservata al giudice del merito, è incensurabile in sede di legittimità, salvo che per violazione dell’art. 2909 c.c. ovvero delle norme e dei principi di diritto in tema di res judicata, ovvero ancora per vizi attinenti alla motivazione, i quali vanno specificamente dedotti non essendo sufficiente il mero richiamo all’art. 2909 c.c. o all’art. 324 c.p.c. e restando comunque escluso che possa censurarsi direttamente l’accertamento coperto dal giudicato, sollecitando nuove e difformi decisioni sulle questioni già decise. (omissis) * Cass. civ., sez. lav., 13 maggio 1995, n. 5243 

Il principio secondo cui la portata precettiva della sentenza va individuata tenendo conto non solo delle statuizioni formali contenute nel dispositivo ma anche delle enunciazioni della motivazione dirette in modo univoco all’attribuzione di un diritto ad una delle parti ed il principio secondo cui la sentenza di appello assorbe e sostituisce quella di primo grado, sicché la portata della pronuncia confermativa va desunta dai limiti fissati dalla nuova motivazione, trovano applicazione solo quando il dispositivo della decisione di merito contenga comunque una pronuncia di accertamento o di condanna e non sono invece estensibili al caso in cui esso non abbia contenuto precettivo ma si limiti al rigetto della domanda o del gravame. * Cass. civ., Sezioni Unite, 16 giugno 1993, n. 6706

Ove sulla medesima questione si siano formati due giudicati contrastanti, al fine di stabilire quale dei due debba prevalere occorre fare riferimento al criterio temporale, nel senso che il secondo giudicato prevale in ogni caso sul primo, purché la seconda sentenza contraria ad altra precedente non sia stata sottoposta a revocazione, impugnazione peraltro ammessa esclusivamente ove la decisione oggetto della stessa non abbia pronunciato sulla relativa eccezione di giudicato.  Cass. civ., sez. , VI, , 31 maggio 2018, n. 13804

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