Art. 2552 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Diritti dell'associante e dell'associato

Articolo 2552 - codice civile

La gestione dell’impresa o dell’affare spetta all’associante (2554).
Il contratto può determinare quale controllo possa esercitare l’associato sull’impresa o sullo svolgimento dell’affare per cui l’associazione è stata contratta (2186).
In ogni caso l’associato ha diritto al rendiconto dell’affare compiuto, o a quello annuale della gestione sequesta si protrae per più di un anno (2261, 2320, 2489).

Articolo 2552 - Codice Civile

La gestione dell’impresa o dell’affare spetta all’associante (2554).
Il contratto può determinare quale controllo possa esercitare l’associato sull’impresa o sullo svolgimento dell’affare per cui l’associazione è stata contratta (2186).
In ogni caso l’associato ha diritto al rendiconto dell’affare compiuto, o a quello annuale della gestione sequesta si protrae per più di un anno (2261, 2320, 2489).

Massime

Nell’associazione in partecipazione, ancorché la disciplina dell’art. 2552 c.c. sia derogabile, l’associante non può restare esonerato da ogni perdita, ossia dal rischio di impresa, in contrasto con l’art. 2549 c.c. Cass. civ. sez. lav. 8 ottobre 2015, n. 20189

In tema di associazione in partecipazione, il rendimento del conto non è l’unico, né il principale adempimento dovuto dall’associante all’associato; sicché, il mancato rendimento del conto non comporta, necessariamente e qualunque sia concretamente la sua importanza, la risolvibilità del contratto, trovando applicazione il criterio dell’art. 1455 c.c. . Cass. civ. sez. I, 13 giugno 2000, n. 8027

La disposizione di cui al primo comma dell’art. 2552 c.c. che, in tema di associazione in partecipazione, prevede, di regola, che la gestione dell’impresa spetti all’associante, è derogabile, potendo il contratto affidare all’associato poteri di gestione sia interna che esterna, sempre che egli ripeta i propri poteri dall’associante. Cass. civ. sez. III, 7 febbraio 1997, n. 1191

Nel contratto di associazione di partecipazione l’autonomia che, di regola, si accompagna alla titolarità esclusiva dell’impresa e della gestione da parte dell’associazione trova limitazione sia nell’obbligo del rendiconto ad affare compiuto o del rendiconto annuale della gestione che si protragga per più di un anno (art. 2552, comma terzo, c.c.), sia, in corso di durata del rapporto, nel dovere generale di esecuzione del contratto secondo buona fede che si traduce nel dovere specifico di portare a compimento l’affare o l’operazione economica entro il termine ragionevolmente necessario a tale scopo. Fine consegue che, alla stregua dei principi generali sulla risoluzione dei contratti sinallagmatici per inadempimento – applicabili all’associazione in partecipazione – l’inerzia o il mancato perseguimento da parte dell’associante dei fini, cui l’attività d’impresa o di gestione dell’affare è preordinata determina inadempimento quando, secondo l’insindacabile apprezzamento del giudice di merito, si protragga oltre ogni ragionevole limite di tolleranza e può perciò dar luogo all’azione di risoluzione del contratto secondo le regole indicate negli artt. 1453 e 1454 c.c. Cass. civ. sez. II, 27 marzo 1996, n. 2715

Nell’associazione in partecipazione, inquadrabile nella categoria dei contratti di collaborazione, e che prevede il conseguimento di un risultato comune attraverso l’apporto dei partecipanti, il diritto agli utili spettanti all’associato ha carattere periodico, in mancanza di diversa pattuizione, dovendo essere riferito agli utili di esercizio, e sorge indipendentemente dalla presentazione del rendiconto, che rappresenta unicamente l’espressione numerica di parametri convenzionalmente stabiliti, per mezzo dei quali è possibile quantificare la misura degli utili suddetti; fine consegue che, qualora il rendiconto non venga offerto, o sia ritenuto inadeguato o insoddisfacente, ben può l’associato agire per ottenere giudizialmente, in base al contratto, l’accertamento della misura del proprio credito. Cass. civ. sez. lav. 3 febbraio 1996, n. 926

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