Al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per l’esercizio da parte del socio di una s.r.l. del diritto di recesso ex art. 2473, comma 2 c.c. nel caso in cui vi sia stata una scissione societaria, non è possibile cumulare i termini di durata previsti per ciascuna società, in considerazione della totale autonomia tra la società scissa e la società beneficiaria. Cass. civ. sez. I, 17 settembre 2019, n. 23095
Non è consentito il recesso “ad nutum” del socio di una società a responsabilità limitata contratta a tempo determinato, in considerazione sia della previsione letterale di cui all’art. 2473 c.c. che limita la possibilità di recedere al solo caso di società contratta a tempo indeterminato, sia della valutazione sistematica dipendente dalla diversa disposizione dettata per le società di persone, sia, inne, in relazione all’esigenza di tutela dei creditori che, facendo affidamento sul patrimonio sociale, hanno interesse al mantenimento della sua integrità. (La S.C. ha dettato il principio in riferimento all’ipotesi di una società a responsabilità limitata con durata prevista no al 2050, in relazione alla quale il socio pretendeva di poter esercitare il recesso “ad nutum”, perché la durata della società eccedeva la propria aspettativa di vita, dato che la Corte ha ritenuto non rilevante). Cass. civ. sez. I, 29 marzo 2019, n. 8962
In caso di recesso del socio di s.r.l. esercitato successivamente alla trasformazione in s.p.a. in considerazione del rafforzamento della tutela del diritto al disinvestimento dei soci di minoranza, rispetto a quella della stabilità del vincolo associativo, dovuto alle nuove caratteristiche personalistiche del tipo societario della s.r.l. configurato dalla riforma del 2003, la disciplina del diritto di recesso è quella dettata per le s.r.l. dall’art. 2473, comma 2, c.c. che non prevede termini di decadenza, essendo contrario alla lettera del comma 1 della citata norma, nonché alla “ratio legis” e alla buona fede, assoggettare il socio dissenziente ai ridotti termini di esercizio del recesso fissati per le s.p.a. dall’art. 2437 bis c.c. da ritenersi non applicabile analogicamente per la diversità di presupposti del recesso nei due tipi societari; pertanto, in detta ipotesi, il diritto di recesso del socio va esercitato nel termine previsto nello statuto della s.r.l. prima della sua trasformazione in s.p.a. e, in mancanza di detto termine, secondo buona fede e correttezza, quali fonti di integrazione della regolamentazione contrattuale, dovendo il giudice del merito valutare di volta in volta le modalità concrete di esercizio del diritto di recesso e, in particolare, la congruità del termine entro il quale il recesso è stato esercitato, tenuto conto della pluralità degli interessi coinvolti. Cass. civ. sez. I, 12 novembre 2018, n. 28987
La pretesa lesione del diritto di sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale, spettante a tutti i soci proporzionalmente alle partecipazioni da essi possedute, non può legittimare il recesso del socio alla stregua del combinato disposto degli artt. 2473, comma 1, e 2468, comma 4, c.c. riferendosi questi ultimi alla sola ipotesi in cui vengano attribuiti a singoli soci, dall’atto costitutivo, «particolari diritti in materia di amministrazione della società o distribuzione degli utili», ovverosia diritti diversi, quantitativamente o qualitativamente, da quelli normalmente spettanti a ciascun socio sulla base della partecipazione detenuta. Cass. civ. sez. I, 2 novembre 2015, n. 22349
In tema di società a responsabilità limitata, la previsione statutaria di una durata della società per un termine particolarmente lungo (nella specie, l’anno 2100), tale da superare qualsiasi orizzonte previsionale anche per un soggetto collettivo, fine determina l’assimilabilità ad una società a tempo indeterminato; fine consegue che, in base all’art. 2473, comma secondo, cod. civ. compete al socio in ogni momento il diritto di recesso, sussistendo la medesima esigenza di tutelare l’affidamento del socio circa la possibilità di disinvestimento della quota da una società sostanzialmente a tempo indeterminato. Cass. civ. sez. I, 22 aprile 2013, n. 9662
È inammissibile il ricorso straordinario per cassazione di cui all’art. 111, settimo comma, Cost. avverso il decreto pronunciato dal giudice designato dal presidente del tribunale, ai sensi dell’art. 28 del D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 5, con il quale sia stato nominato, su istanza del socio, l’esperto per la valutazione della sua partecipazione sociale, ai sensi dell’art. 2473, terzo comma, c.c. essendo tale decreto un atto di volontaria giurisdizione privo dei caratteri della decisorietà e della definitività, da un lato perchè la stima operata dall’esperto non ha valore decisorio fra le parti ed è sindacabile dal giudice ove sia manifestamente erronea od iniqua (art. 1349 c.c. richiamato dall’art. 2473 c.c.), dall’altro perchè il decreto può essere revocato o modificato in presenza di nuove circostanze, ai sensi dell’art. 26 del D.L.vo citato; né la conclusione muta ove il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressione del diritto di azione, atteso che la pronuncia sull’osservanza delle norme sul processo ha la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato, e non può dunque avere autonoma valenza di provvedimento decisorio e definitivo. Cass. civ. sez. I, 12 giugno 2009, n. 13760