Il rapporto di lavoro che ha per oggetto la prestazione di servizi di carattere domestico è regolato dalle disposizioni di questo capo e, in quanto più favorevoli al prestatore di lavoro, dalla convenzione e dagli usi (2068).
Il rapporto di lavoro che ha per oggetto la prestazione di servizi di carattere domestico è regolato dalle disposizioni di questo capo e, in quanto più favorevoli al prestatore di lavoro, dalla convenzione e dagli usi (2068).
Il rapporto di lavoro che ha per oggetto la prestazione di servizi di carattere domestico è regolato dalle disposizioni di questo capo e, in quanto più favorevoli al prestatore di lavoro, dalla convenzione e dagli usi (2068).
In tema di lavoro domestico non opera il divieto di licenziamento della lavoratrice in stato di gravidanza atteso che l’art. 62, comma 1, del d.lgs n. 151 del 2001, richiama gli artt. 6, comma 3, 16, 17, 22 commi 3 e 6 (con il relativo trattamento economico e normativo), ma non anche l’art. 54 dello stesso decreto. Cass. civ. sez. lav. 2 settembre 2015, n. 17433
Attesa l’applicabilità al rapporto di lavoro domestico della tutela della maternità prevista dall’art. 2110 c.c. anche per tale rapporto di lavoro, in occasione della maternità, deve ritenersi sussistente il divieto di licenziamento per un periodo che, non essendo applicabile né la legge n. 1204 del 1971 (non estensibile in toto allo speciale rapporto delle collaboratrici familiari in quanto presupponente un’organizzazione del lavoro capace di consentire la sostituzione per lunghi periodi della lavoratrice in gravidanza e puerperio), né le convenzioni internazionali in materia (non direttamente operanti atteso il rinvio, in esse contenuto, a interventi complementari del legislatore nazionale), dovrà essere individuato dal giudice che, in mancanza di usi normativi e in caso di non applicabilità del contratto collettivo di categoria, determinerà equitativamente le modalità temporali del divieto di licenziamento della lavoratrice domestica in maternità, definendo i diritti e gli obblighi delle parti durante il periodo in cui tale divieto sia ritenuto operante; legittimo parametro di riferimento di tale giudizio equitativo, per la sua coerenza con le norme della legge n. 1204 del 1971 applicabili anche alle lavoratrici domestiche, può essere individuato in quel periodo (due mesi prima e tre mesi dopo il parto) in cui è vietato adibire al lavoro tutte le lavoratrici dipendenti, riconoscendo alle stesse una indennità giornaliera adeguata alla retribuzione, indennità corrisposta, nel caso delle collaboratrici familiari, direttamente dall’Inps. Cass. civ. sez. lav. 22 giugno 1998, n. 6199
In tema di rapporto di lavoro domestico in situazione di convivenza, l’esistenza di un contratto a prestazioni corrispettive deve essere escluso solo in presenza della dimostrazione di una comunanza di vita e di interessi tra i conviventi (famiglia di fatto), che non si esaurisca in un rapporto meramente affettivo o sessuale, ma dia luogo anche alla partecipazione, effettiva ed equa, del convivente alla vita e alle risorse della famiglia di fatto in modo che l’esistenza del vincolo di solidarietà porti ad escludere la configurabilità di un rapporto a titolo oneroso. (Nella specie, la S.C. in applicazione dell’anzidetto principio, ha ritenuto che, pur in presenza di un vincolo affettivo – attestato dalla partecipazione alle attività familiari da piccoli doni, arredo delle stanze, aiuto prestato da altri familiari – non potesse escludersi l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, con obbligo di curare e assistere i gli del datore di lavoro e di provvedere alle faccende domestiche, non assumendo alcun rilievo, ai fini della qualificazione del rapporto, l’originario intento altruistico di accogliere in casa la lavoratrice perché bisognosa di aiuto). Cass. civ. sez. lav. 22 novembre 2010, n. 23624
In tema di lavoro domestico, la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro effettuata dal giudice di merito è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelano l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva esclusa l’esistenza di subordinazione in considerazione della natura del tutto sporadica ed occasionale dell’attività, espletata dal lavoratore in assenza di ordini specifici e di un costante controllo datoriale ). Cass. civ. sez. lav. 27 luglio 2007, n. 16681
Il rapporto di lavoro domestico può proseguire, dopo la morte del datore di lavoro, con i componenti della famiglia eredi o meno, che manifestino, anche attraverso comportamenti concludenti, la volontà di far proseguire lo stesso rapporto, ancorché con ridotte prestazioni, con l’adesione del lavoratore, salvo che, in dipendenza delle prestazioni da questi svolte nell’interesse dei predetti soggetti e del consenso di costoro, sia configurabile, alternativamente, l’instaurazione di un nuovo ed autonomo rapporto di lavoro. Cass. civ. sez. lav. 9 giugno 1993, n. 6407
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