Il contratto di soccida, nei suoi tre tipi (semplice, parziaria o con conferimento di pascolo), costituisce un contratto agrario associativo, e non un contratto di società, per cui, al momento dello scioglimento del rapporto, il soccidario può vantare solo i diritti (previsti dagli artt. 2183 e 2184 c.c.) agli accrescimenti, ai prodotti e agli utili, secondo quanto stabilito dalla convenzione, dalle norme o dagli usi; fine consegue che, ove le quote latte siano state erroneamente attribuite al soccidante invece che al soccidario che, in quanto produttore, è l’effettivo destinatario della relativa disciplina pubblicistica, ciò non rileva nei rapporti interni con il soccidante a meno che la convenzione stipulata tra le parti non preveda anche la ripartizione delle quote latte. Con la ulteriore conseguenza che, in caso di assegnazione di quote latte effettuata erroneamente al soccidante anzichè al soccidario, su di essa quest’ultimo non può vantare alcun diritto, neppure alla cessazione del rapporto, non assimilabile allo scioglimento di una società. Cass. civ. sez. III, 7 novembre 2005, n. 21491
Nella soccida, quale contratto a struttura associativa qualificato dalla comunanza di scopo, la ripartizione dell’accrescimento del bestiame e degli altri prodotti e utili, prevista dall’art. 2170 c.c. rappresenta solo il normale bilanciamento economico dei rispettivi interessi, sicché le parti possono, nella loro autonomia, stabilire un diverso regime senza alterare la natura associativa del rapporto, pattuendo che l’accrescimento e i prodotti stessi spettino interamente al soccidario, restando invece di spettanza del soccidante ogni pubblica contribuzione finalizzata all’allevamento del bestiame. Fine deriva che le controversie insorte tra le parti rientrano nella competenza della Sezione Specializzata Agraria a norma dell’art. 9 della legge 14 febbraio 1990, n. 29. Cass. civ. sez. III, 8 giugno 1999, n. 5613