Art. 2126 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Prestazione di fatto con violazione di legge

Articolo 2126 - codice civile

La nullità (1418) o l’annullamento (1425) del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione (1445, 2332), salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa (1343, 1345, 1346, 2035).
Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione (2098, 2099).

Articolo 2126 - Codice Civile

La nullità (1418) o l’annullamento (1425) del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione (1445, 2332), salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa (1343, 1345, 1346, 2035).
Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione (2098, 2099).

Massime

L’azione proposta ai sensi dell’art. 2126 c.c. avendo fonte in una specifica previsione di legge, è di natura contrattuale sicché è onere del lavoratore allegare e dimostrare l’esistenza dei fatti generatori, consistenti nell’attuazione della prestazione di lavoro e nella conseguente quantificazione delle retribuzioni secondo la contrattazione collettiva applicabile, mentre grava su chi riceva tali prestazioni di lavoro la prova di quanto, in ragione della medesima vicenda sostanziale, il lavoratore ha comunque percepito e va quindi detratto dal dovuto. Cass. civ. sez. L, 8 ottobre 2019, n. 25169

Qualora, per lo svolgimento di un’attività lavorativa, sia richiesta dalla legge un’abilitazione o un titolo di studio abilitante, in ragione del’incidenza di tale attività sulla salute pubblica, o sulla sicurezza pubblica, la prestazione lavorativa, svolta in carenza di detti presupposti è, anche ai fini di cui all’art. 2126 cod. civ. illecita, perché in violazione di norme imperative attinenti all’ordine pubblico e poste a tutela di diritti fondamentali della persona, e, di conseguenza, non è in alcun modo utile ai fini del riconoscimento della qualifica superiore né ai fini del conseguimento della maggiore retribuzione corrispondente al detto inquadramento. Cass. civ. sez. lav. 7 luglio 2014, n. 15450

In ipotesi di rapporto di lavoro subordinato avente ad oggetto l’insegnamento presso scuole private legalmente riconosciute, il possesso del titolo legale di abilitazione all’insegnamento da parte degli insegnanti rappresenta un requisito di validità dello stesso contratto di lavoro, il quale – ove l’insegnante risulti sprovvisto del titolo suddetto – deve considerarsi nullo per violazione delle citate norme di carattere imperativo, con conseguente impedimento alla prosecuzione ulteriore del rapporto e possibilità per il datore di lavoro di intimare il licenziamento per giusta causa, pur restando fermi, ai sensi dell’art. 2126 c.c. gli effetti del rapporto per il periodo in cui esso abbia avuto esecuzione. Cass. civ. Sezioni Unite, 26 maggio 2011, n. 11559

Il rapporto di lavoro subordinato concluso con chi sia privo di abilitazione necessaria per l’esercizio di una determinata professione (nella specie, quella di biologo presso un laboratorio di analisi cliniche) è nullo per violazione di norme imperative ma, conformemente al disposto dell’art. 2126 c.c. tale nullità non produce effetto per il periodo di esecuzione del rapporto stesso ed a maggior ragione ove, nel corso del rapporto, sia stata conseguita, da parte del lavoratore, la necessaria abilitazione. Cass. civ. sez. lav. 24 ottobre 2008, n. 25756

L’equiparazione del contratto di lavoro invalido a quello valido, disposta dall’art. 2126 c.c. è limitata agli effetti retributivi del lavoro già prestato e non è idonea a fondare pretese conservative del lavoratore, onde, finita l’esecuzione delle prestazioni lavorative, non trova applicazione la tutela contro i licenziamenti illegittimi (principio affermato in controversia in cui la corte territoriale, in sede di giudizio di rinvio, aveva affermato la nullità del contratto di lavoro per violazione dell’art. 9 D.L.vo n. 541 del 1992, che richiedeva il diploma di laurea per l’attività di informatore scientifico, con sopravvivenza degli effetti di cui all’art. 2126 c.c.). Cass. civ. sez. lav. 21 novembre 2007, n. 24247

Le disposizioni dell’art. 2126 c.c. non trovano applicazione ai rapporti di lavoro autonomo, sia pure aventi le caratteristiche della parasubordinazione, trattandosi di norme a carattere eccezionale attinenti al lavoro subordinato. (Fattispecie relativa ad attività didattiche svolte da soggetto quale cultore della materia nell’ambito di collaborazione professionale con istituto universitario). Cass. civ. sez. lav. 19 aprile 2001, n. 5738

Il lavoratore che sia decaduto dal beneficio dell’integrazione salariale non può invocare l’art. 2126 c.c. per trattenere l’indennità di cassa integrazione indebitamente erogata in relazione alla propria partecipazione ai previsti corsi di formazione, non essendo la partecipazione ai predetti corsi parificabile alla prestazione di attività lavorativa ed essendo l’art. 2126 c.c. applicabile solo nell’ipotesi di prestazione di fatto di attività lavorativa. Cass. civ. sez. lav. 4 agosto 2000, n. 10299

In tema di pubblico impiego privatizzato, qualora si accerti che la prestazione lavorativa resa in favore di un ente pubblico non economico, in forza di un contratto formalmente qualificato di collaborazione autonoma ex art. 7 del d.l.vo n. 165 del 2001, ha di fatto assunto i caratteri della subordinazione, sulla base di indici sintomatici quali la continuità della prestazione lavorativa, l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione datoriale e l’assenza dei presupposti di legittimità richiesti dallo stesso art. 7, sussiste a carico dell’ente l’obbligo di versamento della contribuzione previdenziale e assistenziale, che trova fondamento nell’art. 2126 c.c. Cass. civ. sez. lav. 5 febbraio 2019, n. 3314

In tema di impiego pubblico contrattualizzato, lo svolgimento di fatto di mansioni superiori nell’ambito di professioni sanitarie, in carenza del titolo abilitativo specifico e della relativa iscrizione all’albo, non fa sorgere il diritto alla corrispondente maggiore retribuzione ai sensi dell’art. 2126 c.c. poichè l’assenza di titolo non integra – a differenza che per altre professioni a rilevanza pubblicistica – una forma di illegalità derivante dalla carenza di un requisito estrinseco, ma produce la totale illiceità dell’oggetto e della causa dell’obbligazione, risultando l’attività del personale infermieristico regolata da specifiche norme di legge attinenti a profili di ordine pubblico, attesa l’incidenza dell’attività sanitaria sulla salute e sicurezza pubblica, nonché sulla tutela dei diritti fondamentali della persona. Cass. civ. sez. lav. 9 aprile 2018, n. 8690

In materia di pubblico impiego contrattualizzato, nel settore della scuola, la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato intervenuta tardivamente, a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimo operato della P.A. può essere disposta dal giudice con retrodatazione giuridica dell’assunzione, ma non con retrodatazione economica, in quanto non si determina un diritto alle retribuzioni per il periodo antecedente all’assunzione in cui la prestazione lavorativa non è stata svolta, ma un diritto al risarcimento del danno; quest’ultimo non si identifica, infatti, nella mancata erogazione della retribuzione, essendo necessaria l’allegazione e la prova dell’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non che trovino causa nella condotta del datore di lavoro, qualificata come illecita. Cass. civ. sez. L, 14 giugno 2017, n. 14772

In materia di impiego pubblico contrattualizzato, in caso di tardiva assunzione con retrodatazione giuridica dovuta a provvedimento illegittimo della P.A. non sussiste il diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni relative al periodo di mancato impiego, né, a tal fine, assume rilevanza l’eventuale messa in mora volta ad ottenere la costituzione del rapporto, in quanto tali voci presuppongono l’avvenuto perfezionamento del rapporto di lavoro e la relativa azione ha natura contrattuale; il lavoratore può invece, agire o a titolo di responsabilità extracontrattuale, allegando quale danno ingiusto tutti i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali conseguenti alla violazione del diritto all’assunzione tempestiva (quali le spese sostenute in vista del futuro lavoro, le conseguenze psicologiche dipese dall’ingiusta condizione transitoria di assenza di occupazione e gli esborsi effettuati per intraprendere altre attività lavorative), oppure ex art. 2126 c.c. in presenza delle relative condizioni. Cass. civ. sez. L, 5 giugno 2017, n. 13940

In caso di stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con una P.A. al di fuori dei presupposti di legge, il lavoratore non può mai conseguire la conversione del rapporto in uno di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma solo una tutela risarcitoria, nei limiti di cui all’art. 2126 c.c. qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza di rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto anche alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale. Cass. civ. sez. lav. 8 febbraio 2017, n. 3384

In materia di pubblico impiego contrattualizzato, all’annullamento dell’atto di conferimento di mansioni superiori, equiparabile all’annullamento del contratto di cui all’art. 2126 c.c. consegue l’intangibilità sia della retribuzione percepita per l’attività effettivamente svolta sia della pensione maturata alla stregua di essa, se calcolata in base a contributi indebitamente versati ma “consolidati”, ex art. 8 del d.p.r. n. 818 del 1957, per il decorso del quinquennio dalla data del versamento. Cass. civ. sez. lav. 11 gennaio 2017, n. 482

L’art. 2126 c.c. ha applicazione generale e riguarda tutte le ipotesi di prestazione di lavoro alle dipendenze di una P.A. compresa tra quelle di cui all’art. 2 del d.l.vo n. 165 del 2001, salvo il caso in cui l’attività svolta risulti illecita perché in contrasto con norme imperative e poste a tutela di diritti fondamentali della persona. Cass. civ. sez. lav. 20 gennaio 2016, n. 991

Il rapporto di lavoro subordinato instaurato da un ente pubblico non economico per i suoi fini istituzionali, affetto da nullità perché non assistito da regolare atto di nomina o addirittura vietato da norma imperativa, rientra nella sfera di applicazione dell’art. 2126 c.c. con conseguente diritto del lavoratore al trattamento retributivo e alla contribuzione previdenziale per il tempo in cui il rapporto stesso ha avuto materiale esecuzione. Cass. civ. sez. lav. 3 febbraio 2012, n. 1639

In caso di inefficacia del contratto ad evidenza pubblica di conferimento dell’incarico di direttore generale di una ASL per mancanza del provvedimento amministrativo di individuazione del contraente, alle prestazioni di fatto svolte dal direttore generale prima della risoluzione del rapporto non si applica l’art. 2126 c.c. che non si riferisce alle prestazioni svolte in situazione di autonomia, sia pure aventi le caratteristiche della parasubordinazione, potendo il lavoratore autonomo avvalersi unicamente dell’azione per indebito arricchimento. Cass. civ. sez. lav. 24 marzo 2004, n. 5941

La prestazione di lavoro subordinato svolta alle dipendenze di un ente pubblico non economico in violazione di norme imperative deve essere qualificata come pubblico impiego, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2126 c.c. con il conseguente diritto del dipendente non solo ai compensi previsti per quel tipo di rapporto, ma anche alla regolarizzazione della posizione contributiva previdenziale secondo le regole previste per gli impiegati pubblici; tale principio si applica anche ai dipendenti delle Università, per le quali, anche a seguito dell’autonomia loro riconosciuta dalle leggi n. 168 del 1989 e n. 537 del 1993, non è stata introdotta alcuna norma in modifica del regime pensionistico dei loro dipendenti, che rimane omogeneo a quello dei dipendenti delle altre amministrazioni statali, con la conseguenza che i medici che hanno lavorato in regime di subordinazione presso i policlinici universitari hanno diritto ad essere iscritti presso la gestione separata dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato presso l’Inpdap. Cass. civ. sez. lav. 3 luglio 2003, n. 10551

In conformità con i principi costituzionali di tutela del lavoro in tutte le sue forme (art. 35 Cost.) e di garanzia di una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità della prestazione, il contratto di lavoro instaurato in assenza di prova pubblica selettiva con un ente presso il quale, ancorchè di natura privata, l’assunzione sia consentita solo mediante procedura concorsuale (nella specie, una “casa di ospitalità”) soggiace alla disciplina dettata dall’art. 2126 c.c. che fa salvi gli effetti del rapporto, ai fini retributivi, per il periodo in cui la prestazione lavorativa risulta di fatto effettuata. Cass. civ. sez. lav. 12 novembre 2002, n. 15880

Il difetto della forma scritta, necessaria ad substantiam per tutti i contratti della pubblica amministrazione, determina la nullità del contratto di lavoro autonomo stipulato da un ente pubblico, senza che, pur in presenza degli elementi della parasubordinazione a norma dell’art. 409 n. 3 c.p.c. possa trovare applicazione la regola della salvezza del diritto alla retribuzione dettata dall’art. 2126 c.c. con riferimento al lavoro subordinato. Cass. civ. sez. lav. 21 giugno 2000, n. 8471

In tema di prestazioni lavorative rese dal lavoratore extracomunitario privo del permesso di soggiorno, l’illegittimità del contratto per la violazione di norme imperative (art. 22 del T.U. immigrazione) poste a tutela del prestatore di lavoro (art. 2126 c.c.), sempre che la prestazione lavorativa sia lecita, non esclude l’obbligazione retributiva e contributiva a carico del datore di lavoro, in coerenza con la razionalità complessiva del sistema che vedrebbe altrimenti alterate le regole del mercato e della concorrenza ove si consentisse a chi viola la legge sull’immigrazione di fruire di condizioni più vantaggiose rispetto a quelle cui è soggetto il datore di lavoro che rispetti la disciplina in tema di immigrazione. Cass. civ. sez. lav. 21 settembre 2015, n. 18540

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