Al personale non dirigente dell’ICE, già in servizio al 31 dicembre 1995, non è applicabile la disciplina di cui all’art. 13 della l. n. 70 del 1975 in materia di indennità di buonuscita, bensì il regime del trattamento di fine rapporto, il quale, riconosciuto a favore di detto personale in virtù dell’art. 5, comma 5, della l. n. 106 del 1989, è stato poi tenuto fermo dall’art. 46, comma 5, del c.c.n.l. per gli enti pubblici non economici 1998-2001. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 21519 del 20 maggio 2021 (Cass. civ. n. 13914/2021)
In tema di personale dell’amministrazione degli affari esteri assunto per le esigenze delle rappresentanze diplomatiche, degli uffici consolari e degli istituti di cultura all’estero, dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 103 del 2000, che ha riformulato l’art. 166 del d.P.R. n. 18 del 1967 abrogando il comma 6 relativo all’indennità di cessazione o di risoluzione del rapporto: a) per i nuovi assunti ex art. 152 e ss. del richiamato d.P.R. il trattamento di fine rapporto deve essere corrisposto solo se previsto dalla legge locale dello Stato di accreditamento, non trovando altrimenti applicazione l’art. 2120 c.c.; b) per gli impiegati a contratto, già in servizio alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 103 del 2000 con contratto a tempo indeterminato assoggettato alla legge locale, che abbiano esercitato l’opzione prevista dal comma 6 dell’art. 2 del predetto d.lgs., il diritto a percepire, alla cessazione o alla risoluzione del rapporto e senza soluzione di continuità, l’indennità di anzianità è conservato, in base al successivo comma 7, alle condizioni e nei limiti previsti dal contratto individuale in essere alla data di entrata in vigore della nuova normativa; c) per il personale in servizio con contratto a tempo indeterminato, alla data di entrata in vigore del d.lgs. in questione, assoggettato alla legge italiana è conservato il diritto a percepire, alla cessazione o alla risoluzione del rapporto e senza soluzione di continuità, l’indennità prevista dall’art. 166, comma 6, del d.P.R. n. 18 del 1987 nel testo antecedente alla riformulazione della norma operata dal richiamato decreto legislativo. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 7531 del 17 marzo 2021 (Cass. civ. n. 7531/2021)
L’art. 2 della l. n. 297 del 1982 e l’art. 2 del d.lgs. n. 80 del 1992 si riferiscono all’ipotesi in cui sia stato dichiarato insolvente ed ammesso alle procedure concorsuali il datore di lavoro che è tale al momento in cui il t.f.r. diviene esigibile e in cui la domanda di insinuazione al passivo viene proposta; inoltre, poiché il t.f.r. diventa esigibile solo al momento della cessazione del rapporto, il fatto che (erroneamente) il credito maturato per t.f.r. fino al momento della cessione d’azienda sia stato ammesso allo stato passivo nella procedura fallimentare del datore di lavoro cedente non può vincolare l’INPS, che è estraneo alla procedura e che perciò deve poter contestare il credito per t.f.r. sostenendo che esso non sia ancora esigibile, neppure in parte, e quindi non opera ancora la garanzia dell’art. 2 l. n. 297 del 1982. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto insindacabile, da parte dell’INPS, la spettanza del diritto alla prestazione del Fondo di cui all’art. 2 del d.lgs. 29 maggio 1982, n. 297, benché il fallimento del cedente e la domanda di insinuazione al passivo fossero intervenute successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro proseguito con il cessionario). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 4897 del 23 febbraio 2021 (Cass. civ. n. 4897/2021)
Condizione per il riconoscimento della quota del trattamento di fine rapporto spettante all’ex coniuge, è che quest’ultimo sia già titolare di assegno divorzile o abbia presentato la relativa domanda al momento in cui l’altro ex coniuge abbia maturato il diritto alla corresponsione del trattamento, essendo irrilevante che la domanda di attribuzione della quota sia stata presentata dopo che l’assegno divorzile sia stato revocato, poiché la revoca opera “ex nunc” e non può incidere, elidendoli, tanto sul pregresso positivo accertamento del diritto all’assegno – su cui è caduto il giudicato “rebus sic stantibus” -, quanto sul correlato diritto alla quota del trattamento di fine rapporto. Cassazione civile, Sez. Lavoro, ordinanza n. 4499 del 19 febbraio 2021 (Cass. civ. n. 4499/2021)
Le cd. carte di libera circolazione, previste dalla l. n. 1108 del 1955 e poi dalla contrattazione collettiva in favore dei dipendenti dell’Ente Ferrovie dello Stato e delle aziende che gli sono succedute, non hanno natura retributiva, traducendosi in agevolazioni del tutto svincolate dalla natura e dalle modalità di esecuzione della controprestazione lavorativa; ne consegue che il loro controvalore non può rientrare tra le componenti della retribuzione da prendere in considerazione ai fini del calcolo delle differenze retributive spettanti al lavoratore per effetto della costituzione “ab origine” di un rapporto di lavoro subordinato nel caso di accertata interposizione fittizia di manodopera. Cassazione civile, Sez. Lavoro, ordinanza n. 18685 del 9 settembre 2020 (Cass. civ. n. 18685/2020)
Il lavoratore può conseguire il pagamento del t.f.r. dal Fondo di garanzia costituito presso l’INPS, ai sensi dell’art. 2 della l. n. 297 del 1982, ove, accertata l’insolvenza del datore con sentenza dichiarativa di fallimento, dimostri di essere stato ammesso al passivo ovvero, in mancanza, che l’esame della domanda tardiva di insinuazione è stata impedita dalla previa chiusura del fallimento per insufficienza di attivo, sempre che, in tal caso, prima di agire per la condanna del Fondo, abbia esperito l’azione esecutiva contro il datore di lavoro tornato “in bonis” e il patrimonio di quest’ultimo sia risultato incapiente. Cassazione civile, Sez. Lavoro, ordinanza n. 1886 del 28 gennaio 2020 (Cass. civ. n. 1886/2020)
In caso di insolvenza del datore di lavoro, ai fini della nascita dell’obbligazione del Fondo di Garanzia gestito dall’INPS, di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 80 del 1992, non è sufficiente che il credito relativo alle ultime tre mensilità sia stato ammesso al passivo della procedura concorsuale, ma occorre accertare autonomamente la ricorrenza dei presupposti oggettivi e soggettivi dai quali discende l’obbligo di tutela assicurativa, né, a seguito di tale ammissione, dalla natura autonoma e dal carattere previdenziale della prestazione deriva l’impossibilità per l’INPS di contestare la ricorrenza degli elementi interni alla fattispecie previdenziale. Cassazione civile, Sez. VI Lavoro, ordinanza n. 1886 del 28 novembre 2019 (Cass. civ. n. 31128/2019)
Ai fini della determinazione della base di computo del trattamento di fine rapporto, ai sensi dell’art. 2120, comma 2, c.c. e in mancanza di una deroga espressa contenuta nella contrattazione collettiva, la natura di retribuzione di un emolumento aggiuntivo corrisposto al lavoratore per lo svolgimento di lavoro all’estero o in altra sede lavorativa è desumibile da indici sintomatici, inclusi quelli emergenti in sede di conclusione del contratto individuale, che denotino la non occasionalità dell’emolumento, dovendosi invece attribuire natura non retributiva alle voci che abbiano la finalità di tenere indenne il lavoratore da spese che non avrebbe incontrato se non fosse stato trasferito, sostenute nell’interesse dell’imprenditore. Cassazione civile, Sez. Lavoro, ordinanza n. 21519 del 31 agosto 2018 (Cass. civ. n. 21519/2018)
Il trattamento estero ha natura retributiva, tanto in presenza di una funzione compensativa della maggiore gravosità del disagio morale e ambientale, quanto nel caso in cui sia correlato alle qualità e condizioni personali concorrenti a formare la professionalità indispensabile per prestare lavoro fuori dai confini nazionali, mentre ha natura riparatoria il rimborso spese per la permanenza all’estero, che costituisce la reintegrazione di una diminuzione patrimoniale derivante da una spesa effettiva sopportata dal lavoratore nell’esclusivo interesse del datore, restando normalmente collegato ad una modalità della prestazione lavorativa richiesta per esigenze straordinarie, priva dei caratteri della continuità e determinatezza (o determinabilità) e fondata su una causa autonoma rispetto a quella retributiva. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 15217 del 22 luglio 2016 (Cass. civ. n. 15217/2016)
L’art. 2120, comma 2, c.c., nella formulazione attualmente vigente, nel definire la nozione di retribuzione ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, non richiede, a differenza del vecchio testo della norma, la ripetitività regolare e continua e la frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, disponendo che questi ultimi vanno esclusi dal suddetto calcolo solo in quanto sporadici ed occasionali, per tali dovendosi intendere solo quelli collegati a ragioni aziendali del tutto imprevedibili e fortuite, e dovendosi all’opposto computare gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto la computabilità, ai fini del suddetto calcolo, delle somme corrisposte a titolo di festività non fruite in quanto cadenti di domenica). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 4286 del 4 marzo 2016 (Cass. civ. n. 4286/2016)
Per il periodo anteriore alla riforma di cui al d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, i versamenti del datore di lavoro nei fondi di previdenza complementare – sia che il fondo abbia personalità giuridica autonoma, sia che consista in una gestione separata del datore stesso – hanno natura previdenziale, non retributiva, sicché non rientrano nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro. Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 4684 del 9 marzo 2015 (Cass. civ. n. 4684/2015)
Il diritto al trattamento di fine rapporto sorge alla cessazione del rapporto di lavoro e solo da questa data decorre il termine di prescrizione, mentre concorrono a determinarne l’ammontare anche gli accantonamenti relativi a retribuzioni per le quali il diritto sia ormai prescritto, poiché quelle retribuzioni rilevano solo come base di computo del t.f.r. e non come componenti del relativo diritto. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 11579 del 23 maggio 2014 (Cass. civ. n. 11579/2014)
Ai fini della computabilità o meno dell’indennità di trasferta nel calcolo dell’indennità di anzianità e del t.f.r., nella nozione di “trasferisti” rientrano i lavoratori subordinati destinati a svolgere sistematicamente e professionalmente la propria attività quasi interamente al di fuori della sede aziendale, sempre in luoghi diversi, senza alcuna sede lavorativa fissa e predeterminata, percependo la retribuzione indipendentemente dalla effettiva effettuazione della trasferta, secondo un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo in presenza di vizi logici e giuridici. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 27643 del 11 dicembre 2013 (Cass. civ. n. 27643/2013)
Nella nozione di retribuzione deve farsi rientrare qualsiasi utilità corrisposta al lavoratore dipendente che proviene dal datore di lavoro se causalmente collegata al rapporto di lavoro, anche ove si tratti di somme materialmente erogate da un soggetto diverso dal datore di lavoro, ed anche se l’attribuzione patrimoniale costituisca la prestazione di un contratto diverso da quello di lavoro, ove tale contratto costituisca lo strumento per conseguire il risultato pratico di arricchire il patrimonio del lavoratore in correlazione con lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato. (Nella specie, la corte territoriale aveva riscontrato un accordo tra le parti secondo cui il dipendente, nell’adempimento degli obblighi derivanti dal contratto di lavoro, doveva svolgere anche attività come amministratore o liquidatore delle società del gruppo, ricevendo per tali attività un compenso aggiuntivo corrisposto talora direttamente dal datore, talaltra per il tramite delle società del gruppo; la S.C. ha confermato la decisione, affermando il principio su esteso).
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Il concetto di retribuzione recepito dagli artt. 2118, comma secondo, c.c. (ai fini del calcolo dell’indennità di preavviso in caso di licenziamento) e 2120 c.c. (ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto) è ispirato al criterio dell’onnicomprensività, nel senso che in detti calcoli vanno compresi tutti gli emolumenti che trovano la loro causa tipica e normale nel rapporto di lavoro cui sono istituzionalmente connessi, anche se non strettamente correlati alla effettiva prestazione lavorativa, mentre ne vanno escluse solo quelle somme rispetto alle quali il rapporto di lavoro costituisce una mera occasione contingente per la relativa fruizione, quand’anche essa trovi la sua radice in un rapporto obbligatorio diverso ancorché collaterale e collegato al rapporto di lavoro. (In base al suddetto principio, la S.C. ha ritenuto di ricomprendere nel calcolo degli emolumenti citati il controvalore dell’uso dell’autovettura di proprietà del datore di lavoro utilizzata anche per motivi personali, le relative spese di assicurazione e accessorie nonché le polizze assicurative stipulate dal datore di lavoro a favore del lavoratore). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 16636 del 1 ottobre 2012 (Cass. civ. n. 16636/2012)
La contrattazione collettiva può derogare al principio della omnicomprensività della retribuzione agli effetti della determinazione del trattamento di fine rapporto, limitando la base di calcolo, anche con modalità indirette, purché con volontà chiara, ed è libera di stabilire il parametro retributivo per le mensilità aggiuntive, in ordine alle quali neppure sussiste un criterio legale tendenzialmente omnicomprensivo; pertanto, con riferimento al personale dipendente delle aziende grafiche ed editoriali (nella specie, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato), riferendosi l’art. 21 del c.c.n.l. del 1° novembre 1992 alla retribuzione per “orario normale”, il trattamento di fine rapporto e la tredicesima mensilità vanno determinati, per il periodo successivo alla decorrenza del medesimo c.c.n.l., con esclusione dei compensi per lavoro straordinario. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 4708 del 23 marzo 2012 (Cass. civ. n. 4708/2012)
In tema di trattamento di fine servizio per i pubblici dipendenti già assunti alla data del 31 dicembre 1995, è demandata alla contrattazione collettiva soltanto la definizione delle modalità applicative della disciplina in materia di trattamento di fine rapporto (art. 2, comma 7, della legge n. 335 del 1995) e la “nuova regolamentazione contrattuale della materia”, destinata a superare la previgente disciplina ex art. 72, comma 3, del d.l.vo n. 29 del 1993, ora trasfuso nell’art. 69, comma 2, del d.l.vo n. 165 del 2001, va riferita ad un intervento complessivo di modifica del quadro normativo e non a meri interventi specifici su taluni punti, quale l’inclusione di voci retributive nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita. Pertanto, attesa l’inderogabilità della normativa previdenziale, nel cui ambito rientra l’indennità di buonuscita, in difetto di specifiche disposizioni, all’autonomia collettiva è preclusa l’inclusione di ulteriori elementi retributivi nella relativa base di calcolo. (Nella specie, per un dipendente in servizio alla data del 31 dicembre 1995, è stata esclusa la computabilità della retribuzione di posizione di cui al c.c.n.l. 2002/2005 del comparto università). Cassazione civile, Sez. VI, sentenza n. 709 del 18 gennaio 2012 (Cass. civ. n. 709/2012)
In tema di trattamento di fine rapporto, gli accordi aziendali possono derogare al principio di onnicomprensività della retribuzione di cui all’art. 2120, secondo comma, c.c. (anche nel testo novellato dalla legge n. 297 del 1982) solo in modo chiaro ed univoco. Ne consegue l’inidoneità della clausola contrattuale di cui all’art. 4 dell’accordo aziendale del 24 maggio 1986 per il personale delle ferrovie ad escludere l’indennità di presenza ai fini del computo del TFR, limitandosi la disposizione a prevedere che l’erogazione degli importi di cui all’accordo “non possono comportare oneri riflessi sugli istituti contrattuali e di legge vigenti”. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 19917 del 29 settembre 2011 (Cass. civ. n. 19917/2011)
In tema di lavoro straordinario, il compenso forfettario della prestazione resa oltre l’orario normale di lavoro accordato al lavoratore per lungo tempo, ove non sia correlato all’entità presumibile della prestazione straordinaria resa, costituisce attribuzione patrimoniale che, con il tempo, assume funzione diversa da quella originaria, tipica del compenso dello straordinario, e diviene un superminimo che fa parte della retribuzione ordinaria e non è riducibile unilateralmente dal datore di lavoro. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 542 del 12 gennaio 2011 (Cass. civ. n. 542/2011)
L’accertamento della natura retributiva o risarcitoria del trattamento economico aggiuntivo riconosciuto al lavoratore che presti la propria opera all’estero è riservato al giudice di merito, gravando sul lavoratore – ove il contratto giustifichi l’erogazione delle somme in riferimento non al valore professionale della prestazione ma ai maggiori esborsi che il lavoratore deve sopportare per trasferirsi o per soggiornare all’estero insieme alla famiglia – l’onere di provare che esse non siano riconducibili alla funzione di rimborso spese, ed al giudice di merito, che ne riconosca la natura retributiva, di indicare le specifiche ragioni del suo convincimento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, con riguardo alle somme corrisposte per le spese di vitto, alloggio e trasporti durante il soggiorno lavorativo in Francia, aveva ritenuto – ai fini del computo del TFR – la loro natura risarcitoria e non retributiva con motivazione ritenuta congrua e logicamente plausibile pure in ordine alla mancata valutazione della determinazione del fisco francese, fatto da ritenere privo del requisito della decisività, in quanto le qualificazioni ai fini tributari sono ininfluenti fuori del settore specifico). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 23622 del 22 novembre 2010 (Cass. civ. n. 23622/2010)
Il diritto al trattamento di fine rapporto sorge, a norma dell’art. 2120 c.c., al momento della cessazione del rapporto ed in conseguenza di essa, essendo irrilevante, al fine di ipotizzare una diversa decorrenza, l’accantonamento annuale della quota del trattamento, che costituisce una mera modalità di calcolo dell’unico diritto che matura nel momento anzidetto, ovvero l’anticipazione sul trattamento medesimo, che è corresponsione di somme provvisoriamente quantificate e prive del requisito della certezza, atteso che il diritto all’integrale prestazione matura, per l’appunto, solo alla fine del rapporto lavorativo. Ne consegue che la prescrizione del diritto al t.f.r. decorre soltanto dalla cessazione del rapporto lavorativo. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 3894 del 18 febbraio 2010 (Cass. civ. n. 3684/2010)
Nell’indennità di trasferta prevista in favore del lavoratore che si trasferisce in un luogo di lavoro diverso da quello abituale possono ravvisarsi due componenti, quella risarcitoria e quella residuale retributiva, la cui rispettiva determinazione quantitativa (rilevante nella specie al fine di stabilirne la computabilità per il calcolo dell’indennità di anzianità e del trattamento di fine rapporto), discende dalla interpretazione delle specifiche pattuizioni contrattuali, essendo quindi devoluta al giudice di merito. (Nella specie, la S.C. ha cassato, con rinvio, la sentenza della corte territoriale che, nell’escludere l’indennità di trasferta dal computo dell’indennità di anzianità e del T.F.R. sul rilievo della sua natura risarcitoria, aveva omesso di accertare se in essa fosse presente, e in quale percentuale, anche una componente retributiva, tanto più che la stessa indennità risultava essere connessa all’impossibilità per i lavoratori operanti fuori dalla cinta daziaria del Comune di Roma di usufruire del servizio di mensa aziendale). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 3684 del 17 febbraio 2010 (Cass. civ. n. 3684/2010)
In tema di determinazione del trattamento di fine rapporto, il principio secondo il quale la base di calcolo va di regola determinata in relazione al principio della onnicomprensività della retribuzione di cui all’art. 2120 c.c., nel testo novellato dalla legge n. 297 del 1982, è derogabile dalla contrattazione collettiva, che può limitare la base di calcolo anche con modalità indirette purché la volontà risulti chiara pur senza l’utilizzazione di formule speciale od espressamente derogatorie. Ne consegue che, con riferimento al personale dipendente delle aziende grafiche e affini e delle aziende editoriali (nella specie, dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato), a partire dal c.c.n.l. del 1 novembre 1992, la quota annuale di cui all’art. 1 della legge n. 297 del 1982 per il calcolo del trattamento di fine rapporto concerne la retribuzione indicata, con definizione non onnicomprensiva, nell’art. 21 del c.c.n.l medesimo sulla nomenclatura, ossia quella “complessivamente percepita dal quadro, dall’impiegato e dall’operaio per la sua prestazione lavorativa, nell’orario normale”, con esclusione delle prestazioni di lavoro straordinario. (Interpretazione diretta per la prima volta, ex art. 360, n. 3 c.p.c., da parte della S.C. delle disposizioni contrattuali collettive relative al TFR per il personale dipendente delle aziende grafiche). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 365 del 13 gennaio 2010 (Cass. civ. n. 365/2010)
Il diritto al trattamento di fine rapporto (TFR) sorge con la cessazione del rapporto di lavoro e a quel momento può essere azionato, non essendo di ostacolo a tal fine la sussistenza, di una controversia tra le parti in ordine all’ammontare delle retribuzioni spettanti al lavoratore (la cui pendenza può, semmai, determinare soltanto la sospensione del giudizio diretto al conseguimento nel TFR). Ne consegue che il termine iniziale di decorso della prescrizione del diritto al TFR va individuato nel momento in cui il rapporto di lavoro subordinato è cessato, e non già in quello in cui sia stato accertato giudizialmente l’effettivo ammontare delle retribuzioni spettanti. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 9695 del 23 aprile 2009 (Cass. civ. n. 9695/2009)
Il carattere della continuatività di un determinato compenso non può essere concepito in modo assoluto, ma deve essere valutato in relazione alla particolare natura di ciascun compenso, attraverso un’indagine volta ad accertare, oggettivamente e in concreto, i requisiti dell’obbligatorietà, della continuatività e della determinatezza (o determinabilità) del compenso stesso. Pertanto, anche l’emolumento il quale, astrattamente, presenti il carattere dell’eventualità, siccome collegato alle modalità di espletamento della prestazione lavorativa e alla relativa valutazione della parte datoriale, perde tale caratteristica laddove, attraverso un’indagine di fatto (come tale riservata al giudice del merito e insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata), risulti la sua avvenuta continuativa erogazione nel tempo ai dipendenti in misura pressoché totale, tanto che l’eventualità della mancata erogazione si configuri in termini di mera residualità e, sostanzialmente, di eccezionalità; ne consegue ulteriormente che detto emolumento spetta anche per i periodi di mancata prestazione del servizio. (Principio affermato in controversia concernente il premio annuale di rendimento ex art. 60 CCNL A.C.R.I. del 1980 per i dipendenti e funzionari delle Casse di Risparmio). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 6963 del 23 marzo 2009 (Cass. civ. n. 6963/2009)
Il principio secondo cui la determinazione del t.f.r. va fatta secondo i criteri previsti dall’art. 2120 c.c. è del tutto inderogabile dalle parti, con la conseguenza che vanno inclusi nella base di calcolo tutti gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro, e quindi tutte le voci erogate con l’imputazione “retribuzione” o equivalente, che abbiano carattere di controprestazione compensativa, anche se siano in sé disponibili. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto necessaria l’inclusione nella base di calcolo del t.f.r. dell’indennità estero corrisposta al dipendente, pur trattandosi di emolumento disponibile dal lavoratore per la parte eccedente il minimo previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 4069 del 19 febbraio 2009 (Cass. civ. n. 4069/2009)
Ove i contratti colletti non contengano diverse previsioni, la continuità di un compenso, ai fini della sua computabilità nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto, sussiste quando esso non abbia carattere occasionale, per essere reso in relazione a prestazioni di carattere continuativo e non si risolva in un rimborso spese. Ne consegue la non computabilità dell’indennità di trasferta prevista dagli accordi aziendali per sopperire al disagio di quei dipendenti che, a causa dell’attività prestata fuori sede, non potevano usufruire dei servizi di mensa aziendale, non avendo natura retributiva. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 27806 del 21 novembre 2008 (Cass. civ. n. 27806/2008)
Il secondo comma dell’art. 2120 c.c. vigente, nel definire la nozione di retribuzione, ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, non richiede, a differenza del vecchio testo della norma codicistica, la ripetitività regolare e continua e la frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, disponendo che questi ultimi vanno esclusi dal suddetto calcolo solo in quanto sporadici ed occasionali, per tali dovendosi intendere solo quelli collegati a ragioni aziendali del tutto imprevedibili e fortuite, e dovendosi all’opposto computare, ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto, gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 15080 del 6 giugno 2008 (Cass. civ. n. 15080/2008)
Ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto e della pensione aziendale – che il datore di lavoro ha equiparato al trattamento pensionistico dei dipendenti degli enti locali – vanno inclusi nella base di calcolo anche gli emolumenti istituiti dalla contrattazione aziendale (dovendosi ritenere che i contratti aziendali possano rientrare tra i contratti collettivi di lavoro cui fa riferimento l’art. 15 della legge n. 1077 del 1959), in quanto corrisposti in modo fisso e continuativo in relazione alla natura del compenso, benché essi non siano previsti dalla contrattazione nazionale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza che aveva ammesso la computabilità, nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto e della pensione aziendale prevista dal contratto aziendale per i dipendenti dell’ARIN – azienda risorse idriche di Napoli della retribuzione in natura corrisposta al lavoratore ragguagliata al valore locativo dei beni immobili concessigli in godimento). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 6743 del 13 marzo 2008 (Cass. civ. n. 6743/2008)
In tema di accantonamenti utili ai fini del trattamento di fine rapporto, occorre distinguere fra l’azione di mero accertamento dell’entità della quota da accantonare, da quella strumentale intesa ad ottenere concreta attuazione di un particolare diritto, quale quello al computo di una determinata voce ; per questa seconda fattispecie, non è configurabile la prescrizione dell’azione fino a quando perduri la situazione di incertezza, che legittima il lavoratore a richiedere l’accertamento giudiziale del diritto, e che non è esclusa dalle comunicazioni datoriali relative alla misura degli accantonamenti utili. (Nella specie la S.C. ha ritenuto corretta la decisione della corte territoriale che aveva rigettato l’eccezione di prescrizione del diritto al computo dello straordinario sulle competenze di fine rapporto ). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 21239 del 10 ottobre 2007 (Cass. civ. n. 21239/2007)
Con riferimento a controversia promossa da dipendente in quiescenza dell’Istituto Poligrafico dello Stato per ottenere il ricalcalo del trattamento di fine rapporto con inserimento del compenso per lavoro straordinario nella base di calcolo, la nozione legale di cui all’art. 2120 c.c., come sostituito dall’art. 1 legge 29 maggio 1982 n. 297, può trovare una deroga solo nei contratti collettivi successivi all’istituzione di tale trattamento, non mediante una generica conferma di precedenti disposizioni contrattuali, ma attraverso una chiara ed univoca volontà delle parti contraenti, non potendosi ravvisare tale intento in una clausola che abbia il mero scopo di esplicitare la nozione contrattuale di alcuni termini ricorrenti, fra i quali quello di T.F.R. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva escluso che gli artt. 34 e 21 del contratto collettivo per il settore grafico ed editoriale del novembre 1992, relativi alla disciplina rispettivamente del trattamento di fine rapporto della cosiddetta «nomenclatura», ossia la definizione di alcune nozioni, fra cui quella di retribuzione, avessero apportato una deroga al principio dell’onnicomprensività della «quota di retribuzione» quale parametro di calcolo del trattamento di fine rapporto, previsto dall’art. 2120 c.c.). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 18289 del 30 agosto 2007 (Cass. civ. n. 18289/2007)
In tema di determinazione del trattamento di fine rapporto, il principio, secondo il quale la baie di calcolo va di regola determinata in relazione al principio della onnicomprensività della retribuzione di cui all’art. 2120 c.c., nel testo novellato dalla legge n. 297 del 1982, è derogabile dalla contrattazione collettiva, che può limitare la base di calcolo, purché tale deroga sia espressa in modo chiaro ed univoco, secondo l’interpretazione del contratto collettivo sul punto riservata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione. (Nella specie, la S.C., cassando la sentenza di merito, ha ritenuto che il c.c.n.l., per i dipendenti pendenti dalle aziende grafiche 31 ottobre 1992, nella specie applicabile, — che richiama quanto percepito dal lavoratore in relazione all’orario normale ai fini della definizione della retribuzione — si riferisse a vari istituti contrattuali ma non prendesse espressa deroga al principio legale di onnicomprensività previsto ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto, con la conseguente computabilità nella base di calcolo di questo istituto dei compensi percepiti per lavoro straordinario obbligatorio e continuo). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 17614 del 10 agosto 2007 (Cass. civ. n. 17614/2007)
La prescrizione del diritto ad ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro e tale diritto non va confuso col diritto, maturante anche nel corso del rapporto, all’accertamento della quota temporaneamente maturata: l’uno ha per oggetto una condanna mentre l’altro ha per oggetto un mero accertamento. La diversità di contenuto e maturazione temporale dei due diritti soggettivi comporta il diverso regime della prescrizione, senza che la diversità stessa possa essere esclusa dalla loro connessione, data dalla parziale comunanza di elementi costitutivi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato l’eccezione di prescrizione relativa al diritto dei lavoratori ad ottenere la riliquidazione del t.f.r., includendo nella base di calcolo di esso alcune voci straordinario e indennità di guida non previste dal datore di lavoro ). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 8191 del 7 aprile 2006 (Cass. civ. n. 8191/2006)
Ai fini della configurazione della trasferta del lavoratore (da cui consegue il suo diritto a percepire la relativa indennità) che si distingue dal trasferimento (il quale comporta l’assegnazione definitiva del lavoratore ad altra sede diversa dalla precedente), è necessaria la sussistenza del permanente legame del prestatore con l’originario luogo di lavoro, mentre restano irrilevanti, a tal fine, la protrazione dello spostamento per un lungo periodo di tempo e la coincidenza del luogo della trasferta con quello di un successivo trasferimento, anche se disposto senza soluzione di continuità al termine della trasferta medesima. L’accertamento degli inerenti presupposti è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. (Omissis ). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 6240 del 21 marzo 2006 (Cass. civ. n. 6240/2006)
Ai fini della configurazione della trasferta del lavoratore (da cui consegue il suo diritto a percepire la relativa indennità ) che si distingue dal trasferimento (il quale comporta l’assegnazione definitiva del lavoratore ad altra sede diversa dalla precedente ), è necessaria la sussistenza del permanente legame del prestatore con l’originario luogo di lavoro, mentre restano irrilevanti, a tal fine, la protrazione dello spostamento per un lungo periodo di tempo e la coincidenza del luogo della trasferta con quello di un successivo trasferimento, anche se disposto senza soluzione di continuità al termine della trasferta medesima. L’accertamento degli inerenti presupposti è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. (Omissis ). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 2640 del 21 marzo 2006 (Cass. civ. n. 2640/2006)
Affinché un compenso sia incluso nella base di calcolo della indennità di anzianità (ex art. 2121 c.c.) o del trattamento di fine rapporto (ex art. 1 legge n. 297 del 1982), non è necessario il carattere di definitività del compenso stesso, ma è sufficiente che di esso (nella specie indennità di servizio estero) il dipendente abbia goduto in modo normale nel corso ed a causa del rapporto di lavoro, non avendo rilievo l’elemento temporale di percezione del compenso stesso, ove questo sia da considerare come corrispettivo della prestazione normale perché inerente al valore professionale delle mansioni espletate. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 24875 del 25 novembre 2005 (Cass. civ. n. 24875/2005)
Per l’art. 2120 c.c., ove i contratti collettivi non contengano diversa previsione, la retribuzione annua comprende tutte le somme corrisposte a titolo non occasionale e non di rimborso spese. L’esclusione di una o più voci dalla base retributiva, costituendo deroga all’indicato principio, presuppone in primo luogo una volontà della norma collettiva che neghi espressamente l’inclusione, ed esige, poi, una specifica prova di questa negazione da parte di colui che l’invochi. (Nella specie, la S.C., con riferimento al contratto per i dipendenti ACEA, ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto rientranti, nella base retributiva annua, l’assegno ad personam e l’indennità di presenza del 9 per cento, respingendo la tesi dell’ACEA che si era limitata a menzionare un accordo siglato il 10 marzo 1983, ove erano indicate le voci retributive da prendere in considerazione ai fini della determinazione del T.F.R., senza includere le indennità controverse, senza neppure produrre tale accordo). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 15889 del 14 agosto 2004 (Cass. civ. n. 15889/2004)
Ai fini della configurabilità del carattere costante e sistematico del lavoro straordinario, computabile nella indennità di anzianità ai sensi degli artt. 2120 e 2121 c.c. (nel testo originario), devono concorrere due condizioni, dovendosi verificare, da un lato, la regolarità o frequenza o periodicità della prestazione, da valutarsi con riguardo al suo ripetersi con costanza e uniformità per un apprezzabile periodo di tempo, così da divenire abituale nel quadro dell’organizzazione del lavoro perché funzionale al normale fabbisogno dell’impresa, e, dall’altro, la ragionata insussistenza dei caratteri di occasionalità, transitorietà o saltuarietà della prestazione stessa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato, per vizio di motivazione, la sentenza impugnata che aveva desunto il carattere di continuità del lavoro straordinario dal rapporto di consequenzialità tra funzionalità del servizio pubblico di erogazione dell’energia elettrica e le esigenze aziendali che avrebbero reso strutturalmente e stabilmente necessario lo straordinario, senza peraltro accertare quali fossero le mansioni del lavoratore e il rapporto esistente tra queste e la concreta organizzazione dell’attività del datore di lavoro). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 10172 del 26 maggio 2004 (Cass. civ. n. 10172/2004)
Ai fini della qualificazione di un compenso come occasionale, e quindi escluso, ai sensi dell’art. 2120 c.c., dalla base di calcolo del trattamento di fine rapporto, rileva la riconducibilità dell’evento, al quale è collegato il compenso, alla astratta previsione normativa, mentre è irrilevante la frequenza con la quale la prestazione venga svolta e il compenso venga corrisposto. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che il compenso corrisposto per le prestazioni lavorative svolte da un lavoratore turnista in occasione della festività infrasettimanale non potesse ritenersi occasionale, giacché corrisposto per una prestazione normale in quanto resa in attuazione del turno). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 1124 del 22 gennaio 2004 (Cass. civ. n. 1124/2004)
La cosiddetta indennità estero alla quale va riconosciuta natura retributiva tanto nel caso in cui abbia una funzione compensativa della maggiore gravosità e del disagio morale ed ambientale dell’attività lavorativa prestata all’estero, quanto nel caso in cui essa sia correlata all’insieme delle qualità e condizioni personali che concorrono a formare la professionalità eventualmente indispensabile per prestare lavoro in territorio straniero la cui corresponsione sia continuativa e non occasionale, è computabile sia ai fini dell’indennità di anzianità sia ai fini del trattamento di fine rapporto.
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In relazione alla cosiddetta «indennità estero» che concorre a determinare l’ammontare della indennità di anzianità e del trattamento di fine rapporto qualora sia ritenuta dal giudice di merito con motivazione esente da censure avente natura retributiva il requisito della continuità, necessario secondo il vecchio testo degli artt. 2120 e 2121 c.c. ai fini della determinazione della indennità di anzianità, va inteso in senso relativo e non equivale a definitività, ma all’attitudine a continuare per un periodo di durata indeterminata e corrispondente a periodicità ed ordinarietà della prestazione, in contrapposto alla saltuarietà ed occasionalità della stessa. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 15841 del 22 ottobre 2003 (Cass. civ. n. 15841/2003)
La nozione legale di retribuzione — da porre a base nel calcolo del trattamento di fine rapporto (ai sensi dell’art. 2120 c.c., come novellato dall’art. 1 della legge n. 297 del 1982) — comprende tutti gli emolumenti corrisposti in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale, e con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese — fatta salva la diversa previsione eventualmente contenuta nei contratti collettivi successivi alla legge istitutiva di detto trattamento, che possono derogare anche in pejus, la nozione legale di retribuzione. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 13010 del 5 settembre 2003 (Cass. civ. n. 12851/2003)
Nella retribuzione sulla quale va computato l’accantonamento delle quote annuali ai lini del trattamento di fine rapporto ai sensi dell’ari. 2120, comma primo c.c. (nel testo sostituito dall’art. 1 della legge 20 maggio 1982 n. 297) vanno incluse, secondo la formulazione del comma secondo dello stesso art. 2120, tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale e con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese. In tale nozione di retribuzione rientrano pertanto, prescindendo dalle ripetitività e dalla frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, anche gli emolumenti per lavoro straordinario che non siano corrisposti occasionalmente, ossia per ragioni del tutto eventuali, imprevedibili e fortuite. Ne consegue che qualora il contratto attribuisca al datore di lavoro il potere di pretendere la protrazione dell’orario di lavoro normale, il relativo compenso non può essere reputato occasionalmente e concorre al computo del t.f.r. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 12851 del 3 settembre 2003 (Cass. civ. n. 12851/2003)
L’individuazione della retribuzione annua utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto deve operarsi, ai sensi dell’art. 2120 c.c., facendo riferimento alla normativa legale o contrattuale in vigore al momento dei singoli accantonamenti e non a quella in vigore al momento della cessazione del rapporto. Infatti il TFR costituisce un istituto di retribuzione differita che matura anno per anno attraverso il meccanismo dell’accantonamento e della rivalutazione. (Nella specie la S.C. ha ritenuto congruamente e correttamente motivata la sentenza di merito secondo cui l’esclusione del compenso per il lavoro straordinario dal calcolo del TFR contenuta nel contratto collettivo dei metalmeccanici del 1994 era relativa ai soli accantonamenti successivi al 1994 e non a quelli precedenti). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 96 del 8 gennaio 2003 (Cass. civ. n. 96/2003)
In tema di indennità di fine rapporto, il confronto tra la disciplina legale e quella convenzionale, agli effetti previsti dall’art. 1419 c.c., impone la considerazione unitaria, nell’unico istituto dell’indennità stessa, di tutte le disposizioni che incidono sia sulla determinazione della base di calcolo sia sulla previsione delle varie maggiorazioni aggiuntive, dato che anche queste, sebbene collegate a specifiche previsioni di attribuzione, concorrono ugualmente a comporre quell’unica liquidazione alla quale deve contrapporsi la valutazione, parimenti unitaria, derivante dalla integrale applicazione della norma di legge. Tale principio è tuttavia applicabile solo se, all’esito dell’operazione di ermeneutica contrattuale, che deve compiere il giudice del merito, si giunga a qualificare la maggiorazione aggiuntiva come componente del trattamento di fine rapporto, mentre l’individuazione di un titolo diverso e autonomo conduce alla conseguenza che il datore di lavoro deve corrispondere sia il trattamento di fine rapporto (calcolato ai sensi di legge), che l’erogazione aggiuntiva, senza decurtazioni di sorta. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, con riferimento all’istituto delle quattro mensilità aggiuntive previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro dei dipendenti elettrici dell’Enel, aveva, con motivazione sufficientemente e logicamente argomentata, ritenuto che l’erogazione aggiuntiva corrisposta ai sensi dell’art. 43 del citato CCNL fosse istituto non ricollegato in via generale alla risoluzione del rapporto, ma collegato a casi particolari individuati dal medesimo art. 43, ed aveva in tali casi rinvenuto i. titolo autonomo necessario per ricondurre l’erogazione stessa nell’ambito delle previsioni dell’art. 4, comma quinto, della legge n. 297 del 1982, che fa salve le indennità corrisposte alla cessazione del rapporto di lavoro aventi natura e funzioni diverse da quelle dell’indennità di anzianità, di fine lavoro, di buonuscita, comunque denominate). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 17418 del 6 dicembre 2002 (Cass. civ. n. 17418/2002)
Gli interessi e la rivalutazione sul t.f.r. spettante al lavoratore decorrono dalla data di cessazione del rapporto lavorativo, con la quale — secondo la disciplina risultante dagli artt. 2120 c.c. e 429 c.p.c. (non derogabile neanche dalla contrattazione collettiva) — coincide il momento di maturazione del credito, a prescindere dalla sua liquidità; né rileva che, a tale data, il datore di lavoro abbia eseguito pagamenti parziali in base alle componenti del t.f.r immediatamente quantificabili, posto che, anche in tali ipotesi, in sede di determinazione complessiva e definitiva delle spettanze del lavoratore devono comunque computarsi gli interessi e la rivalutazione sull’integrale ammontare del t.f.r. dalla medesima data di cessazione del rapporto (fattispecie relativa alla decorrenza del t.f.r. corrisposto ai dipendenti della Fiat Auto ex art. 23 C.C.N.L. del 5 luglio 1994). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 4222 del 25 marzo 2002 (Cass. civ. n. 4222/2002)
Il principio dell’onnicomprensività della retribuzione, adottato dal secondo comma dell’art. 2120 c.c., nel testo novellato dalla legge n. 297 del 1982, benché derogabile, comporta che se la prestazione di lavoro non è occasionale, la relativa retribuzione debba essere compresa nel trattamento di fine rapporto, salvo che la contrattazione collettiva — la cui interpretazione compete al giudice del merito e non è censurabile in cassazione se rispettosa delle regole di ermeneutica contrattuale e immune da vizi logici — apporti una eccezione a tale regola in modo chiaro e univoco. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto che l’art. 58 del C.C.N.L. 16 luglio 1987 peri dipendenti degli istituti di vigilanza aveva chiaramente escluso la computabilità dei compensi per il lavoro straordinario non occasionale ai fini del calcolo del TFR). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 4251 del 23 marzo 2001 (Cass. civ. n. 4251/2001)
La computabilità del compenso per lavoro straordinario ai fini della determinazione della indennità di anzianità, ai sensi dell’art. 2121 (testo originario) c.c., presuppone la continuità di tale prestazione, ravvisabile quando la stessa, pur variandone l’entità nel tempo, risponda ad un criterio di regolarità e di frequenza, e anche di mera periodicità, restando esclusa dal calcolo solo quella effettuata in via occasionale, transitoria e saltuaria. La non occasionalità e saltuarietà della prestazione di lavoro straordinario risultano sufficientemente dimostrate dalle buste paga dei lavoratori, senza che assuma rilevanza in contrario la fissazione, concordata in sede di contrattazione tra le parti, del numero di unità di personale, che non implica di per sé l’esclusione della necessità di ricorrere allo straordinario in virtù di una programmata predeterminazione delle esigenze aziendali. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 1211 del 29 gennaio 2001 (Cass. civ. n. 1211/2001)
La nozione di retribuzione accolta dal secondo comma dell’art. 2120 c.c. vigente è più rigorosa, in favore del lavoratore, di quella precedente, in quanto prescinde dalla ripetitività regolare e continua e dalla frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, i quali vanno esclusi dal calcolo del trattamento di fine rapporto solo in quanto sporadici ed occasionali; prestazione occasionale, infatti, è solo quella collegata a ragioni aziendali del tutto eventuali, imprevedibili e fortuite, mentre, all’opposto, la prestazione espletata con frequenza, ma non necessariamente con periodicità assoluta, e che sia connessa alla particolare organizzazione del lavoro, rileva ai fini del calcolo suddetto. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 7488 del 5 giugno 2000 (Cass. civ. n. 7488/2000)
I compensi per il lavoro straordinario prestato in maniera non occasionale rientrano nella base retributiva utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto, a meno chela disciplina collettiva ne abbia escluso, ai sensi dell’art. 2120, secondo comma, c.c. (nel testo sostituito dall’art. 1 della L. n. 297 del 1982) la computabilità, derogando — come le è consentito — al principio dell’onnicomprensività della retribuzione. Qualora ciò si verifichi resta salva la questione dell’eventuale contrasto delle clausole contrattuali con l’art. 36 della Costituzione e/o con il principio di equità. A tale riguardo va, tuttavia, precisato che da un lato esiste una presunzione di rispetto dei due citati parametri in presenza di una norma di un contratto collettivo che è il risultato di un accordo delle parti sociali in ordine alla regolamentazione da adottare circa un determinato istituto nel reciproco interesse dei soggetti stipulanti e di quelli che da essi sono rappresentati, dall’altro lato l’art. 36 cit. regola l’assetto complessivo della retribuzione e non può considerarsi violato — in linea di principio — dalla negazione di una singola componente della retribuzione a determinati fini, tanto più ove essa sia dalla legge consentita. (Nella specie l’impugnata sentenza — confermata dalla S.C. — aveva ritenuto che l’art. 58 del C.C.N.L. 16 luglio 1987 per i dipendenti degli istituiti di vigilanza, escludendo la computabilità dei compensi per il lavoro straordinario non occasionale ai fini del calcolo per il Tfr, non si ponesse in contrasto né con l’art. 2120 c.c. né con l’art. 36 Cost.). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 11815 del 21 novembre 1998 (Cass. civ. n. 11815/1998)
Per quanto concerne il trattamento di fine rapporto, la L. 29 maggio 1982, da una parte, ha stabilito (art. 1 trasfuso nel secondo comma dell’art. 2120) che, salva diversa previsione dei contratti collettivi, la retribuzione annua comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese; dall’altra, ha sancito la nullità, con conseguente sostituzione di diritto, di tutte le clausole dei contratti collettivi regolanti la materia del trattamento di fine rapporto. Le due disposizioni vanno intese nel senso che, mentre è libera l’autonomia collettiva sia nel determinare l’ammontare della retribuzione, sia nell’individuarne le componenti, resta invece riservato alla legge, in coerenza con le finalità perequative e livellatrici del trattamento di fine rapporto, l’individuazione dell’indennità di fine servizio, con l’esclusione di ogni forma di integrazione ulteriore che non costituendo l’effetto contabile diretto dell’incremento della base retributiva, si pone quale elemento aggiuntivo al trattamento di fine rapporto, già predeterminato per legge, con funzione sostanzialmente uguale. Consegue l’impossibilità per l’autonomia collettiva di introdurre o conservare trattamenti di fine rapporto aventi, sia pure con diversa struttura, una funzione di integrazione o di mera duplicazione del trattamento legale (nel caso di specie la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza del tribunale che aveva ritenuto l’invalidità degli artt. 38 del Ceni 31 maggio 1989 e 42 del Ceni 12 novembre 1983 degli spedizionieri che contenevano la previsione di una forma di indennità in contrasto con la nuova disciplina del tfr). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 11002 del 3 novembre 1998 (Cass. civ. n. 11002/1998)
La nuova disciplina dei trattamento di fine rapporto, introdotta dalla legge n. 297 del 1982, non soltanto si applica a tutte le indennità di fine rapporto comunque denominate e da «qualunque fonte disciplinate» (e quindi anche agli accordi individuali), ma è dotata di efficacia assolutamente inderogabile, sia in melius sia in peius. Ciò vale non soltanto nell’ambito dell’autonomia collettiva — alla quale è lasciata ampia discrezionalità solo nella determinazione della retribuzione utile ai fini del calcolo del tfr — ma anche in quello dell’autonomia individuale. Conseguentemente tutti i patti o le condizioni che prevedono indennità delle quali non risulta un’autonoma causa che possa consentire il riconoscimento di una funzione diversa dal tfr restano comunque travolti dalla nullità disposta in via generale dall’art. 4 della legge n. 297 cit. (Fattispecie relativa ad una indennità, priva di autonoma causa, corrisposta in un primo momento come incentivo all’esodo, in adempimento di accordi sindacali, e successivamente in spontanea osservanza di una prassi aziendale). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 1546 del 1 agosto 1998 (Cass. civ. n. 1546/1998)
Per il computo dell’indennità di anzianità, prevista dall’art. 2120 c.c. nel testo previgente, e del Tfr, previsto dall’art. 2120 c.c. nel testo vigente, il legislatore ha assunto come parametro di riferimento una nozione di retribuzione onnicomprensiva. Perciò nella predetta base di calcolo va incluso il compenso per lavoro straordinario anche se di ammontare variabile; infatti il carattere continuativo di cui all’art. 2121 primo comma c.c., o quello non occasionale introdotto nel nuovo testo dell’art. 2120 secondo comma c.c., si riferisce all’esistenza della prestazione straordinaria e non alla sua cadenza temporale, che può essere anche periodica (e non in senso assoluto), perché espletata per organizzazione del lavoro e quindi non imprescindibile o fortuita. Per il computo del suddetto compenso, in assenza di norme collettive, il giudice è svincolato da rigidi criteri di calcolo (come quello dell’importo minimo costantemente percepito dal lavoratore o quello dell’ultimo compenso prima della cessazione del rapporto o quello della media dei compensi dell’ultimo triennio, applicando analogicamente il criterio previsto dall’art. 2121 secondo comma c.c.) e può procedere ad una valutazione equitativa ai sensi dell’art. 432 c.p.c. scegliendo eventualmente medie aritmetiche riferite non necessariamente ad un arco di tempo triennale se non rilevante per il riconoscimento del requisito della continuità della prestazione. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 7177 del 5 agosto 1996 (Cass. civ. n. 7177/1996)
La clausola di un contratto collettivo stipulato anteriormente all’entrata in vigore della L. 29 maggio 1982, n. 297, la quale, escludendo dal computo dell’indennità di anzianità il compenso per il lavoro straordinario sia affetta da nullità per contrasto con l’art. 2120 c.c. nel testo allora vigente, non rivive a seguito della eliminazione di tale contrasto disposta dalla stessa L. n. 297, essendo una tale reviviscenza incompatibile con la radicale inidoneità. del negozio nullo a produrre effetti (dal che consegue, altresì, l’inapplicabilità del principio di conservazione del negozio) e richiedendosi, al fine di rimuovere la suddetta nullità, una nuova dichiarazione di volontà resa nel vigore della nuova legge e produttiva di effetti solo dal momento della sua manifestazione. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 9737 del 15 settembre 1995 (Cass. civ. n. 9737/1995)
L’art. 2120 c.c. nel testo modificato dall’art. 1, L. 29 maggio 1982, n. 297, ha sostituito per la determinazione del trattamento di fine rapporto, alla nozione di retribuzione onnicomprensiva della normativa precedente, fondata sulla continuità, quella diversa e più ampia della non occasionalità, che, attenendo non alla frequenza dell’erogazione ma all’omogeneità del relativo titolo rispetto al normale svolgimento del rapporto di lavoro consente di comprendere anche indennità non continuative, purché non occasionali. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 9627 del 12 settembre 1995 (Cass. civ. n. 9627/1995)
Le clausole della contrattazione collettiva nulle per contrasto con gli artt. 2120 e 2121 c.c. (testo previgente) devono ritenersi inefficaci anche a seguito dell’entrata in vigore della legge 29 maggio 1982, n. 297, benché questa espressamente abiliti l’autonomia collettiva a derogare alla nozione legale di retribuzione da prendersi a base per il calcolo del trattamento di fine rapporto (T.F.R.), sia in base al dato letterale della statuizione, da parte della nuova legge, della nullità delle pattuizioni collettive in materia e della sostituzione di diritto delle stesse con la nuova disciplina legale, sia in base alla considerazione che la legge, nel consentire alle parti sociali di derogare alla nuova normativa, muove dal presupposto che esse, nel convenire la disciplina difforme da quella legale, abbiano presente proprio tale sua funzione derogatoria. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 4872 del 5 maggio 1995 (Cass. civ. n. 4872/1995)
Con riguardo ad un rapporto di lavoro proseguito nella vigenza della L. 29 maggio 1982, n. 297 — relativamente al quale la determinazione dell’indennità di anzianità per il periodo sino al 31 maggio 1982 deve essere effettuata in base al principio dell’onnicomprensività, confluendo poi il risultato di tale calcolo nel trattamento di fine rapporto previsto dalla legge citata —, ove occorra stabilire se tale trattamento, determinato convenzionalmente, sia più favorevole di quello legale, devono considerarsi comprese nel primo anche quelle erogazioni collegate, ai sensi della contrattazione collettiva, a condizioni venute ad esistenza non già alla data sopra indicata, bensì ad un momento successivo, e cioè nel vigore della nuova normativa, in quanto anche esse concorrono a comporre, in via integrativa, il trattamento convenzionale di fine rapporto rientrando nella previsione di cui all’art. 4, comma 5, della L. n. 297 del 1982. (Nella specie l’impugnata sentenza aveva ritenuto fondata la pretesa del lavoratore concernente la determinazione legale dell’indennità di anzianità con il computo delle indennità di trasferta forfettaria, e auto-moto nonché del compenso per lavoro straordinario; la Suprema Corte ha cassato la decisione osservando che nel confronto fra trattamento legale e trattamento convenzionale doveva considerarsi in quest’ultimo l’erogazione di quattro mensilità di retribuzione collegata alle dimissioni del lavoratore intervenute nel vigore della L. n. 297 del 1982). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 5399 del 3 giugno 1994 (Cass. civ. n. 5399/1994)
Il servizio mensa — il quale (sia nel regime anteriore all’entrata in vigore dell’art. 6 del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito in L. 8 agosto 1992, n. 359, che in quello da tale norma espresso, che assume, pertanto, il valore di disposizione «confermativa», senza porsi in contrasto con gli artt. 3, 24, 36, 39, 101, 102 e 104 Cost.) ancorché obbligatoriamente apprestato dal datore di lavoro, in adempimento di quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, non ha natura di retribuzione in natura, difettando del requisito della corrispettività, in quanto la sua fruizione non è causalmente correlata al solo fatto della prestazione lavorativa, ma presuppone un ulteriore atto volontario del lavoratore — può nondimeno assumere siffatta natura allorché le clausole di previsione stabiliscano altresì l’erogazione di una indennità sostitutiva (rispetto alla quale si configura una obbligazione facoltativa del datore di lavoro, con scelta della prestazione rimessa al creditore) a quanti non fruiscano del servizio stesso, ma tale assunzione non può che avvenire nei limiti risultanti dalle dette clausole e perciò con riguardo al solo valore convenzionale dell’indennità e non anche al valore reale, con la conseguenza che, ai fini del computo del relativo emolumento in istituti retributivi indiretti o differiti, deve farsi riferimento esclusivamente al detto valore convenzionale, venendo in rilievo, per la differenza rispetto al valore reale, la natura «ontologicamente» non retributiva del servizio e, quindi, la non computabilità a tali fini.
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Le maggiorazioni retributive e le indennità erogate in corrispettivo di prestazioni di lavoro notturno, non occasionali, ma continuative ed organizzate secondo regolari turni periodici, costituiscono parte integrante della ordinaria retribuzione globale di fatto giornaliera e, come tali concorrono alla composizione della base di computo non solo dell’indennità di anzianità o del trattamento di fine rapporto – ai sensi della nozione omnicomprensiva di retribuzione, recepita dagli artt. 2120 e 2121 c.c., sia nel testo anteriore che in quello successivo all’entrata in vigore della L. 29 maggio 1982, n. 297 – ma anche di quegli istituti retributivi per la cui liquidazione la legge (come, l’art. 5 della L. 27 maggio 1949, n. 260, per il compenso del lavoro prestato durante le festività) o la contrattazione collettiva (come, con riguardo alla gratifica natalizia, l’art. 17 dell’Accordo interconfederale 27 ottobre 1946, per i dipendenti da imprese industriali private, reso efficace erga omnes con D.P.R. n. 1070 del 1960 ed efficace anche oltre la sua scadenza, fino alla sostituzione, o alla deroga in melius, con altro contratto collettivo) facciano riferimento a siffatta nozione di retribuzione globale di fatto. Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 3888 del 1 aprile 1993 (Cass. civ. n. 3888/1993)
La computabilità del compenso per lavoro straordinario ai fini della determinazione dell’indennità di anzianità presuppone la continuità di tale lavoro, che deve essere provata dal lavoratore, ma non ne implica una preventiva pattuizione né la predeterminazione o predeterminabilità secondo parametri prefissati; restando esclusi dalla detta computabilità i compensi per quelle prestazioni a carattere saltuario o non continuativo, i quali, pertanto, nell’ipotesi in cui il compenso globale per il lavoro straordinario riguardi sia prestazioni continuative che prestazioni non continuative (nella specie, cosiddetti picchi anomali), debbono essere scorporati dal compenso per straordinario computabile al fine della determinazione dell’indennità di anzianità. La computabilità, a tale scopo, del compenso per lavoro straordinario continuativo riguarda detto compenso nella sua interezza, e non già la sola percentuale di maggiorazione per lo stesso straordinario, essendo nulle eventuali clausole derogatrici del principio di onnicomprensività adottato dagli artt. 2120, comma terzo, e 2121, comma primo, c.c. (nel testo anteriore alla L. n. 297 del 1982). Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 1341 del 18 dicembre 1992 (Cass. civ. n. 1341/1992)
Gli elementi integrativi della retribuzione, per essere computabili nell’indennità di anzianità e in quella sostitutiva del preavviso, debbono rappresentare per il datore di lavoro una controprestazione obbligatoria, che costituisca il corrispettivo, determinato o determinabile nel suo ammontare, di una prestazione di lavoro ed avere carattere continuativo; pertanto il compenso per il lavoro domenicale non costituisce ai fini predetti, elemento integrante della retribuzione quando — come di frequente avviene — tale prestazione lavorativa sia soltanto eventuale, occasionale ed episodica; quando, invece, nell’ambito del rapporto di lavoro — ed, in ispecie, in quello intercorrente tra l’editore di un quotidiano e un giornalista, che è caratterizzato da speciali esigenze di continuità del servizio — si sia pattuita tra le parti, sia pure tacitamente, l’abituale prestazione del lavoro domenicale quale parte integrante della normale attività costitutiva dell’obbligazione di lavoro, il compenso per tale specifica prestazione — sia stato esso convenuto o meno a forfait — deve essere, anche esso, compreso nel calcolo delle suddette indennità ai sensi dell’art. 2121 c.c. Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 1778 del 18 maggio 1976 (Cass. Civ. 1778/1976)