Art. 2119 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Recesso per giusta causa

Articolo 2119 - codice civile

Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato (2097), qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente (2244).
Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento (1 l. fall.) dell’imprenditore (2221) o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda (194 l. fall.) (1).

Articolo 2119 - Codice Civile

Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato (2097), qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente (2244).
Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento (1 l. fall.) dell’imprenditore (2221) o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda (194 l. fall.) (1).

Note

(1) A norma dell’art. 376, comma 1, del D.L.vo 12 gennaio 2019, n. 14, il secondo comma è stato così sostituito dal seguente:
«Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto la liquidazione coatta amministrativa dell’impresa. Gli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro sono regolati dal codice della crisi e dell’insolvenza.».
A norma dell’art. 389, comma 1, del medesimo provvedimento, tali disposizioni entreranno in vigore decorsi diciotto mesi dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del suddetto decreto (Suppl. ord. alla G.U. n. 38 del 14 febbraio 2019).

Massime

C.c. art. 2119 Recesso per giusta causa

Per stabilire se sussiste la giusta causa di licenziamento con specifico riferimento al requisito della proporzionalità della sanzione occorre accertare in concreto se – in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore d’opera e, quindi, alla qualità e al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava – la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, risulti obiettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo irreparabile la fiducia del datore di lavoro. Cass. civ. sez. L, 23 maggio 2018, n. 12798

Al fine di ritenere integrata la giusta causa di licenziamento, non è necessario che l’elemento soggettivo della condotta del lavoratore si presenti come intenzionale o doloso, nelle sue possibili e diverse articolazioni, posto che anche un comportamento di natura colposa, per le caratteristiche sue proprie e nel convergere degli altri indici della fattispecie, può risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario così grave ed irrimediabile da non consentire l’ulteriore prosecuzione del rapporto. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 1 luglio 2016, n. 13512

In tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza; spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo. Cass. civ. sez. lav. 13 febbraio 2012, n. 2013

Per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, e la cui prova incombe sul datore di lavoro, occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento internazionale, dall’altro la proporziofinalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare, definitivamente espulsiva. La valutazione della gravità dell’infrazione e della sua idoneità ad integrare giusta causa di licenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 3 dicembre 2011, n. 35

Nel giudicare se la violazione disciplinare addebitata al lavoratore abbia compromesso la fiducia necessaria ai fini della permanenza del rapporto di lavoro e, quindi, costituisca giusta causa di licenziamento va tenuto presente che è differenziata l’intensità della fiducia richiesta, a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell’oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che queste richiedono e che il fatto concreto va valutato nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante, ai fini in esame, alla potenzialità del medesimo di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento. Cass. civ. sez. lav. 8 agosto 2011, n. 17092

In tema di licenziamento disciplinare o per giusta causa, la valutazione della gravità del fatto in relazione al venir meno del rapporto fiduciario che deve sussistere tra le parti non va operata in astratto ma con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidabilità richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo. (Principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis, comma 1, c.p.c.). Cass. civ. sez. VI, 26 luglio 2011, n. 16283

Ai fini della valutazione dell’importanza dell’inadempimento del lavoratore, che può dar luogo a recesso del datore di lavoro per giusta causa (art. 2119 c.c.) o per giustificato motivo oggettivo (art. 3 legge 15 luglio 1966 n. 604), il giudice – in relazione al comportamento di un lavoratore che pronunci espressioni di contenuto oggettivamente offensivo – non può limitarsi a svalutarne la gravità con esclusivo riferimento ai livelli culturali e alle abitudini lessicali del lavoratore stesso e degli altri addetti all’azienda, dovendo tale circostanza essere considerata nell’ambito di un’accurata indagine del contesto nel quale le espressioni furono pronunciate, senza che possa assumere valore determinante l’assenza di atteggiamenti minacciosi. Cass. civ. sez. lav. 19 giugno 2000, n. 8313

In tema di licenziamento per giusta causa, quando vengano contestati al dipendente diversi e più sodi rilevanti sul piano disciplinare, pur dovendosi escludere che il giudice di merito possa esaminarli atomisticamente, attesa la necessaria considerazione della loro concatenazione ai fini della valutazione della gravità dei fatti, non occorre che l’esistenza della “causa” idonea a non consentire la prosecuzione del rapporto sia ravvisabile esclusivamente nel complesso dei fatti ascritti, ben potendo il giudice – nell’ambito degli addebiti posti a fondamento del licenziamento dal datore di lavoro – individuare anche solo in alcuni o in uno di essi il comportamento che giustifica la sanzione espulsiva, se lo stesso presenti il carattere di gravità richiesto dall’art. 2119 c.c. Cass. civ. sez. lav. 2 febbraio 2009, n. 2579

In tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, allorquando vengano contestati al dipendente diversi e più sodi rilevanti sul piano disciplinare, il giudice di merito deve esaminarli non partitamente, ma globalmente al fine di verificare se la loro rilevanza complessiva sia tale da minare la fiducia riposta dal datore di lavoro nel dipendente, atteso che la molteplicità degli e più sodi, oltre ad esprimere un’intensità complessiva maggiore dei singoli fatti, delinea una persistenza che costituisce ulteriore negazione degli obblighi del dipendente ed una potenzialità negativa sul futuro adempimento degli obblighi stessi. Inoltre, ai fini della valutazione della permanenza del rapporto fiduciario tra datore e dipendente va considerato che la fiducia richiesta è di differente intensità a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell’oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che queste richiedono. Cass. civ. sez. lav. 14 settembre 2007, n. 19232

La reiterazione di una condotta disciplinarmente rilevante puòlegittimamente essere considerata nella valutazione della gravità oggettiva e soggettiva del comportamento da ultimo messo in atto dal lavoratore, tanto piquando gli epiù sodi precedenti, pur non sanzionati sul piano disciplinare, siano stati oggetto di richiami da parte dei preposti. Cass. civ. sez. lav. 1 agosto 2000, n. 10082

In tema di licenziamento per giusta causa, la modesta entità del fatto addebitato non va riferita alla tenuità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro, dovendosi valutare la condotta del prestatore di lavoro sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti, nonché all’idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e ad incidere sull’elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro. (Nella specie, la S.C. confermando la sentenza impugnata, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un tecnico addetto alla manovra dei treni, il quale, durante il turno di lavoro, si era impossessato di circa venti litri di gasolio, prelevati dal carrello che conduceva). Cass. civ. sez. lav. 5 aprile 2017, n. 8816

In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione non già l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale, ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti. Cass. civ. sez. lav. 19 agosto 2004, n. 16260

Il giudizio di proporzionalità, l’adeguatezza, della sanzione disciplinare (demandato al giudice di merito e non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo del difetto di motivazione ), qualora abbia ad oggetto la sanzione massima del licenziamento, deve essere volto ad accertare se i fatti ascritti al dipendente sono di gravità tale, tenuto conto della natura dell’impresa, dell’attività all’interno di essa svolta e delle mansioni del dipendente, da compromettere irrimediabilmente il necessario rapporto di fiducia, laddove l’assenza di nocumento o di serio pericolo di nocumento alla sfera patrimoniale del datore di lavoro non è elemento decisivo per escludere il venir meno del rapporto di fiducia. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il licenziamento di un cassiere di banca il quale aveva rilasciato quietanze di pagamento di un prestito senza registrare il versamento delle somme e trattenendo indebitamente le stesse per un certo periodo di tempo, anche se gli importi trattenuti non erano tali, in sè, da poter danneggiare considerevolmente il datore di lavoro ). Cass. civ. sez. lav. 23 aprile 2004, n. 7724

Per stabilire se sussiste la giusta causa di licenziamento e se è stata rispettata la regola codicistica della proporzionalità della sanzione occorre accertare in concreto se in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore d’opera e, quindi, alla qualità e al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti e all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente, risulti obiettivamente e subiettivamente idonea a ledere in modo grave, così da farla venir meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente e tale, quindi, da esigere la sanzione non minore di quella massima, definitivamente espulsiva, senza che in tal caso possa rilevare l’assenza o la modesta entità di un danno patrimoniale a carico del datore di lavoro. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C. aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato ad un dipendente dell’Enel che, nello svolgimento delle mansioni di addetto all’incasso delle somme indicate dalle fatture per fornitura di energia elettrica, si era appropriato di notevoli importi di denaro e, in alcuni casi, aveva quietanzato fatture senza registrarne in contabilità l’avvenuto pagamento, non attribuendo alcun rilievo alla circostanza che il lavoratore, dopo le rimostranze degli utenti, avesse restituito tutti gli ammanchi ). Cass. civ. sez. lav. 23 aprile 2002, n. 5943

In tema di licenziamento per giusta causa, è irrilevante che i comportamenti addebitati al lavoratore abbiano o meno comportato un danno per il datore di lavoro, essendo invece rilevante solo l’idoneità dei suddetti comportamenti ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario, indipendentemente dal concreto verificarsi di un danno e dall’entità di esso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la legittimità del licenziamento irrogato ad una guardia giurata alla quale era stato, tra l’altro, contestato di avere organizzato nottetempo, senza alcuna autorizzazione, una riunione nei locali dell’ospedale dove prestava servizio, introducendo estranei nei suddetti locali e distogliendo personale dal servizio di guardia). Cass. civ. sez. lav. 23 giugno 2000, n. 8553

La valutazione della ricorrenza della giusta causa del licenziamento del lavoratore subordinato rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, il quale, nel valutare un comportamento concretatosi nella sottrazione di beni aziendali, può anche d’ufficio prendere in esame la modesta o – al contrario – rilevante entità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro. Cass. civ. sez. lav. 4 aprile 2000, n. 4122

Nel licenziamento disciplinare, la gravità del fatto va valutata, al fine di verificare il rispetto della regola codicistica della proporziofinalità della sanzione, sulla base di una serie di elementi che non possono esaurirsi nelle dirette conseguenze meramente economiche prodotte al datore di lavoro dalla condotta contestata, ma possono riguardare sia il grado di responsabilità collegato alle mansioni affidate al lavoratore, sia le modalità della condotta, specie se rivelatrice di una particolare propensione alla trasgressione, sia l’incidenza dei fatti sulla permanenza del vincolo fiduciario che caratterizza lo specifico rapporto di lavoro (Fattispecie relative ad appropriazione indebita compiuta da addetto alla riscossione di pedaggi autostradali, mediante particolari artici). Cass. civ. sez. lav. 11 febbraio 2000, n. 1558

Il vantaggio patrimoniale del lavoratore e il danno per il datore di lavoro non costituiscono elementi necessari perché possa ritenersi integrata la fattispecie della giusta causa di licenziamento, dovendo a tal fine valutarsi il comportamento del lavoratore in base alla diligenza richiesta, ex art. 2104 c.c. dalla natura della prestazione dovuta, la cui inosservanza, nel particolare settore del lavoro bancario specialmente se reiterata e concretantesi in numerose operazioni irregolari, senza rispettare le precise istruzioni del datore di lavoro, può essere lesiva e dell’immagine della banca e dell’essenziale affidamento che quest’ultima ripone nella lealtà e correttezza dei propri dipendenti. Cass. civ. sez. lav. 27 maggio 1998, n. 5258

Il merito alla rilevanza, ai fini del suo licenziamento, del comportamento del lavoratore che si impossessi abusivamente di beni dell’azienda, la modesta entità del fatto può ritenersi non tanto con riferimento alla tenuità del danno patrimoniale, quanto in relazione all’eventuale tenuità del fatto oggettivo, sotto il profilo del valore sintomatico che lo stesso può assumere rispetto ai futuri comportamenti del lavoratore e quindi alla fiducia che nello stesso può nutrire l’azienda. (Nella specie, il lavoratore addetto ad un grande magazzino era stato licenziato in tronco perché, nell’eseguire degli acquisti dopo il termine del servizio, aveva occultato due musicassette; la S.C. ha confermato la sentenza con cui il giudice di merito aveva rigettato l’impugnativa proposta contro tale licenziamento sulla base del principio sopra indicato, della possibile rilevanza sul piano della fiducia anche di comportamenti posti in essere al di fuori dell’azienda, e della non incidenza nel caso concreto del compimento del fatto al di fuori dell’orario di lavoro). Cass. civ. sez. lav. 25 novembre 1997, n. 11806

In considerazione della necessaria proporzionalità tra infrazione compiuta dal lavoratore e conseguente sanzione disciplinare e della gravità degli effetti del licenziamento per il lavoratore e la sua famiglia, risponde ai principi che disciplinano la materia la sentenza di merito che con congrua motivazione esclude la lesione irreparabile del rapporto fiduciario e quindi la legittimità dell’intimato licenziamento in caso di indebita sottrazione da parte di un dipendente di un bene di valore particolarmente tenue, in assenza di precedenti specifici (fattispecie relativa ad addetto di magazzino che si era appropriato di una confezione di pepe del valore commerciale di L. 1800). Cass. civ. sez. lav. 23 giugno 1997, n. 5601

La mera tolleranza manifestata dal datore di lavoro in occasione di precedenti mancanze del lavoratore non vale a rendere legittimi i relativi comportamenti lesivi e non preclude al datore di lavoro di mutare atteggiamento in occasione di successive mancanze, né esclude che le mancanze precedenti possano essere comprese in una valutazione globale del comportamento del dipendente, quale indice rivelatore della idoneità del fatto per ultimo contestato a costituire giusta causa o giustificato motivo soggettivo di recesso. Cass. civ. sez. lav. 15 gennaio 1997, n. 360

 

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