Nel contratto di lavoro a tempo indeterminato, la volontà delle parti di realizzare l’interesse alla cessazione dei suoi effetti può essere attuata soltanto mediante il negozio unilaterale di recesso (licenziamento e dimissioni), con la conseguenza che, sebbene si sia in presenza di un contratto a prestazioni corrispettive, non si applica la disciplina della rescissione, della risoluzione per inadempimento o per eccessiva onerosità, sicché, in difetto di una specifica autorizzazione legislativa ad incidere sulla materia dell’estinzione del rapporto di lavoro, all’autonomia delle parti (individuali o collettive) non è dato inserire clausole di durata del rapporto (fuori dei casi previsti dalla legge) e neppure condizioni risolutive ai sensi dell’art. 1353 c.c. o condizioni risolutive espresse ai sensi dell’art. 1456 c.c. Cass. civ. sez. lav. 3 dicembre 2013, n. 27058
Il recesso dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato può attuarsi unicamente nella duplice forma del licenziamento intimato dal datore di lavoro ovvero delle dimissioni rassegnate dal lavoratore; pertanto, mentre è possibile che le parti contraenti collettive od individuali, assegnino a determinati comportamenti di uno dei soggetti del rapporto il significato e l’efficacia dell’atto unilaterale di recesso ed, in particolare per il lavoratore, delle dimissioni, deve invece escludersi la possibilità di introdurre un terzo genere di recesso con la previsione di un comportamento, giudicato significativo dell’intenzione di recedere, che sia svincolato dall’effettiva volontà della parte e che non ammette la possibilità di prova contraria, giacché in tal caso il patto costituirebbe in realtà un’inammissibile ed invalida clausola risolutiva espressa del rapporto. (omissis). Cass. civ. sez. lav. 22 novembre 1999, n. 12942
Qualora il datore di lavoro sia soggetto munito di personalità giuridica di diritto privato, la volontà di recedere dal rapporto di lavoro, mediante il licenziamento (atto unilaterale recettizio), deve essere manifestata dalla persona o dall’organo abilitato a compiere atti dispositivi del relativo diritto, senza perchè il procedimento interno di formazione di tale volontà possa essere sindacato da terzi estranei, come il lavoratore dipendente, alla struttura deliberativa dell’ente; pertanto, il licenziamento intimato da soggetto privo del potere di rappresentanza dell’ente o che abbia agito con eccesso di potere non è inficiato da nullità assoluta, ma è annullabile unicamente a istanza della società datrice di lavoro, che può raticarlo a norma dell’art. 1399 c.c. Cass. civ. sez. lav. 11 giugno 1999, n. 5786
Dato che il rapporto di lavoro può risolversi, oltre che mediante gli atti unilaterali di recesso di cui agli artt. 2118 e 2119 c.c. per mezzo di negozi bilaterali riconducibili alla previsione di cui all’art. 1372, primo comma, c.c. (scioglimento del contratto per mutuo consenso), deve ritenersi valido l’accordo con cui le parti, a seguito della intimazione del licenziamento per il mancato superamento del periodo di prova, la cui validità sia in concreto incontestabile alla luce dei principi in materia, abbiano concordato, pochi giorni prima del giorno fissato per la operatività del licenziamento, di prolungare il rapporto in atto per un breve periodo, pressandone il termine finale attraverso la predisposizione di una lettera di dimissioni sottoscritta dal lavoratore (documento costituente solo una sorta di strumento attuativo o certificativo del regolamento negoziale bilaterale), e ciò allo scopo di avvantaggiare il lavoratore (e, in particolare, nella prospettiva di una eventuale assunzione del medesimo da parte di società collegata). Cass. civ. sez. lav. 20 novembre 1997, n. 11577
Lo stato di malattia del lavoratore preclude al datore di lavoro l’esercizio del potere di recesso solo quando si tratta di licenziamento per giustificato motivo; esso non impedisce, invece, l’intimazione del licenziamento per giusta causa, non avendo ragion d’essere la conservazione del posto di lavoro in periodo di malattia di fronte alla riscontrata esistenza di una causa che non consente la prosecuzione neppure in via temporanea del rapporto. Cass. civ. sez. lav. 4 gennaio 2017, n. 64
Le dimissioni del lavoratore da un contratto a tempo determinato, facente parte di una sequenza di contratti similari succedutisi nel corso degli anni, esplica i propri effetti anche con riferimento al rapporto a tempo indeterminato accertato dal giudice con sentenza dichiarativa della nullità del primo dei contratti di lavoro a termine, salvo che il lavoratore non dimostri che le dimissioni sono viziate da errore, sotto forma di ignoranza della sopravvenuta conversione del rapporto, sicché da esse non derivano effetti limitati alla sola anticipazione della data di scadenza del rapporto a tempo determinato cui esse si riferiscono, ma anche sulla continuità del rapporto a tempo indeterminato, la cui esistenza sia accertata successivamente dal giudice. Cass. civ. sez. Lavoro, 22 giugno 2015, n. 12856
La dichiarazione di recesso del lavoratore, una volta comunicata al datore di lavoro, è idonea “ex se” a produrre l’effetto dell’estinzione del rapporto, che è nella disponibilità delle parti, a prescindere dai motivi delle dimissioni (purché non inciate da minaccia di licenziamento e perciò viziate come atto di volontà) ed anche in assenza di una giusta causa, atteso che l’effetto risolutorio si ricollega pur sempre, a differenza di quanto avviene per il licenziamento, all’atto negoziale del lavoratore, preclusivo di un’azione intesa alla conservazione del rapporto; fine consegue che il lavoratore a termine, receduto anticipatamente senza giusta causa, non ha diritto alla riammissione in servizio, né al pagamento delle retribuzioni no alla scadenza naturale del rapporto, neppure qualora abbia costituito in mora il datore di lavoro. Cass. civ. sez. lav. 23 aprile 2012, n. 6342
Le dimissioni presentate dal lavoratore sottoposto a procedura disciplinare non possono essere subordinate alla condizione risolutiva del futuro ed incerto accertamento della estraneità dello stesso lavoratore ai fatti contestati, posto che un tale atto, così condizionato, comporterebbe non solo una sospensione oltretutto a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, al di fuori delle ipotesi normative di sospensione riconducibili alla persona del lavoratore, ma altresì l’elusione della procedura legislativamente prevista per l’accertamento degli illeciti disciplinari contestati. Cass. civ. sez. lav. 30 ottobre 2001, n. 13523
Quando il rapporto di lavoro subordinato venga a cessare per dimissioni del prestatore d’opera, quest’ultimo non è legittimato a chiedere, in dipendenza della cessazione immediata del rapporto, l’indennità sostitutiva del preavviso. Cass. civ. sez. lav. 29 maggio 1999, n. 5284
La configurabilità delle dimissioni per giusta causa, pur potendo sussistere anche quando il recesso non segua immediatamente i fatti che lo giustificano e la giusta causa sia addotta solo successivamente al recesso, è tuttavia da escludere nel caso in cui il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia dichiarato al datore di lavoro di essere pronto a continuare l’attività per tutto o per parte del periodo di preavviso, atteso che, in tale ipotesi, è lo stesso lavoratore ad escludere, con il suo comportamento, la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione anche soltanto temporanea del rapporto. Cass. civ. sez. lav. 21 novembre 2011, n. 24477
Le dimissioni del lavoratore costituiscono un atto a forma libera, salvo che per esse non sia stata convenzionalmente pattuita, individualmente, ovvero ad opera delle fonti collettive, la forma scritta ad substantiam. Il principio opera anche con riguardo alla comunicazione delle dimissioni quando per queste sia prevista una forma particolare per evitare, nell’interesse del lavoratore, manifestazioni di volontà non adeguatamente ponderate. (Nella specie, lettera raccomandata). Cass. civ. sez. lav. 25 febbraio 1998, n. 2048
Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato può essere risolto dal lavoratore stesso con una dichiarazione di volontà, unilaterale e recettizia (cosiddette dimissioni), per la quale vige il principio della libertà di forma, a meno che le parti non abbiano espressamente previsto nel contratto collettivo od individuale di lavoro una particolare forma convenzionale, quale la forma scritta; in tal caso quest’ultima si presume che sia voluta per la validità dell’atto di dimissioni, a norma del disposto dell’art. 1352 c.c. (applicabile anche agli atti unilaterali), con la conseguenza che le dimissioni rassegnate oralmente, anzichè per iscritto come richiesto dalla contrattazione collettiva applicabile (art. 130 CCNL 8 luglio 1982 per i dipendenti di aziende del settore del turismo), non possono essere considerate valide per difetto della forma richiesta ad substantiam. Cass. civ. sez. lav. 22 dicembre 1987, n. 9587
Nel caso in cui non sia prevista alcuna forma convenzionale per il recesso del lavoratore, un determinato comportamento da lui tenuto può essere tale da esternare esplicitamente, o da lasciar presumere (secondo i principi dell’affidamento), una sua volontà di recedere dal rapporto di lavoro, e siffatto comportamento può anche essere meramente omissivo, quale quello che si concreta in inadempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto, in quanto suscettibile di essere interpretato anche come espressione, per fatti concludenti, della volontà di recedere, restando incensurabile in sede di legittimità l’accertamento del giudice di merito congruamente motivato. Cass. civ. sez. lav. 20 maggio 2000, n. 6604
In ragione del carattere rigoroso della prova delle dimissioni del lavoratore, il comportamento di quest’ultimo consistente nell’abbandono del posto di lavoro non può di per sè solo, avere il significato di una dichiarazione tacita di recesso, anche ove viga la libertà di forma delle dimissioni del lavoratore, ma devono risultare anche ulteriori circostanze di fatto confermative dell’intento del prestatore di recedere dal rapporto. (Nella specie la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice del merito che aveva esteso la propria indagine anche al successivo comportamento del lavoratore per qualificare come dimissioni la dichiarazione dello stesso di non voler più svolgere la prestazione lavorativa alla quale era assegnato). Cass. civ. sez. lav. 25 febbraio 2000, n. 2170
In caso di accertata nullità della cessione del ramo di azienda, le vicende risolutive del rapporto di lavoro con il cessionario (nella specie, licenziamento dichiarato illegittimo ed esercizio del diritto di opzione per l’indennità sostitutiva della reintegra ex art. 18 della l. 300 del 1970), in quanto instaurato in via di mero fatto, non sono idonee ad incidere sul rapporto con il cedente ancora in essere, sebbene quiescente no alla declaratoria di nullità della cessione. Cass. civ. sez. lav. 28 febbraio 2019, n. 5998
L’annullamento delle dimissioni del lavoratore, perché presentate in stato di incapacità naturale, presuppone non solo la sussistenza di un quadro psichico connotato da aspetti patologici ma anche l’incidenza causale tra l’alterazione mentale e le ragioni soggettive che hanno spinto il lavoratore al recesso. Cass. civ. sez. lav. 21 gennaio 2016, n. 1070
Nell’ipotesi di annullamento delle dimissioni presentate da un lavoratore subordinato (nella specie, perché in stato di incapacità naturale) le retribuzioni spettano dalla data della sentenza che dichiara l’illegittimità delle dimissioni, in quanto il principio secondo cui l’annullamento di un negozio giuridico ha efficacia retroattiva non comporta anche il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate dalla data delle dimissioni a quella della riammissione al lavoro, che, salvo espressa previsione di legge, non sono dovute in mancanza della prestazione lavorativa. Cass. civ. sez. L, 17 ottobre 2014, n. 22063
Le dimissioni del lavoratore subordinato costituiscono atto unilaterale recettizio (avente contenuto patrimoniale ) a cui sono applicabili, ai sensi dell’art. 1324 c.c. le norme sui contratti, salvo diverse disposizioni di legge. Fine consegue che l’atto delle dimissioni è annullabile, secondo la disposizione generale di cui all’art. 428, comma primo, c.c. ove il dichiarante provi di trovarsi, al momento in cui è stato compiuto, in uno stato di privazione delle facoltà intellettive e volitive anche parziale purché tale da impedire la formazione d’una volontà cosciente dovuto a qualsiasi causa, pure transitoria, e di aver subito un grave pregiudizio a causa dell’atto medesimo, senza che sia richiesta a differenza che per i contratti, per i quali vige la specifica disposizione di cui al secondo comma dell’art. 428 c.c. la malafede del destinatario. Cass. civ. sez. lav. 18 marzo 2008, n. 7292
In tema di dimissioni del lavoratore, il fatto che questi le abbia presentate in adesione ad un accordo intervenuto fra le organizzazioni sindacali ed il datore di lavoro, per garantirsi la riassunzione presso altro datore di lavoro, non esclude che l’atto corrisponda alla sua effettiva volontà negoziale ; pertanto, in quanto atto unilaterale recettizio, che ai sensi dell’art. 1324 c.c. soggiace alle norme in tema di annullabilità per vizi della volontà dei contratti, le dimissioni possono essere annullate soltanto se sussistono i presupposti di cui agli artt. 1427 e segg. c.c. Cass. civ. sez. lav. 5 ottobre 2007, n. 20887
Le dimissioni del lavoratore che costituiscono un negozio unilaterale recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto indipendentemente dalla volontà del datore di lavoro soggiacciono, ai sensi dell’art. 1324 c.c. in quanto atto tra vivi avente contenuto patrimoniale, alle norme che regolano i contratti, comprese quelle in tema di annullabilità per vizi della volontà ed in particolare, ai sensi degli artt. 1428, 1429 n. 4 e 1431 c.c. per errore di diritto che si verifica quando l’errore riguarda l’esistenza (o la permanenza in vigore) o il contenuto e la portata di una norma giuridica ovvero il modo in cui la stessa deve essere interpretata o applicata fermo restando che, in quest’ultima ipotesi, l’errore deve essere riconoscibile dal destinatario delle dimissioni. Cass. civ. sez. lav. 19 agosto 1996, n. 7629
In tema di dimissioni del lavoratore, deve escludersi la rilevanza dell’errore nel quale il lavoratore stesso sia incorso in ordine, non già alla natura o agli effetti dell’atto di dimissioni, ma alla normativa previdenziale applicabile e alla conseguente possibilità di conseguire, alla cessazione del rapporto di lavoro, il trattamento pensionistico, giacché trattasi di errore sul motivo che può condurre all’annullamento del negozio solo nei casi in cui la legge ad esso attribuisca rilievo. Cass. civ. sez. lav. 11 giugno 2004, n. 11153
Perché l’incapacità naturale del dipendente possa rilevare come causa di annullamento delle sue dimissioni, non è necessario che si abbia la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, ma è sufficiente che tali facoltà risultino diminuite in modo tale da impedire od ostacolare una seria valutazione dell’atto e la formazione di una volontà cosciente, facendo quindi venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all’atto che sta per compiere ; la valutazione in ordine alla gravità della diminuzione di tali capacità è riservata al giudice di merito e non è censurabile in cassazione se adeguatamente motivata. Cass. civ. sez. lav. 14 maggio 2003, n. 7485
Qualora il lavoratore deduca di essere stato licenziato oralmente e faccia valere in giudizio la inefficacia o invalidità di tale licenziamento, chiedendo la condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni no alla riammissione in servizio, mentre il datore di lavoro deduca la sussistenza invece di dimissioni del lavoratore, l’indagine del giudice di merito deve essere rigorosa, data la rilevanza dell’accertamento rimessogli, incidente su beni giuridici formanti oggetto di tutela privilegiata da parte dell’ordinamento, e tenere adeguato conto del complesso delle risultanze istruttorie significative ai fini in esame, in relazione anche all’esigenza di rispettare non solo il primo comma dell’art. 2697 c.c. relativo alla prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere dall’attore, ma anche il secondo comma, che pone a carico dell’eccipiente la prova dei fatti modificativi o estintivi del diritto fatto valere dalla controparte, regola che deve ritenersi violata nel caso di un rigetto della domanda basato in sostanza sulla valorizzazione dell’ipotesi delle dimissioni del lavoratore, privilegiata solo per la ritenuta insufficienza della prova del licenziamento. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 8 giugno 2000, n. 7839
Le dimissioni del lavoratore costituiscono un atto unilaterale recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto nel momento in cui pervengono a conoscenza del datore di lavoro, indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo, con la conseguenza che la successiva revoca delle stesse è inidonea ad eliminare l’effetto risolutivo che si è già prodotto, restando limitata la prosecuzione del rapporto al solo periodo di preavviso. Tuttavia, in applicazione del principio generale di libertà negoziale, le parti possono consensualmente stabilire di porre nel nulla le dimissioni con conseguente prosecuzione a tempo indeterminato del rapporto stesso e, in tal caso, l’onere di fornire la dimostrazione del raggiungimento del contrario accordo, che, come le dimissioni, non richiede la forma scritta, salva una diversa espressa previsione contrattuale, è a carico del lavoratore. (Omissis ). Cass. civ. sez. lav. 26 febbraio 2007, n. 4391
Le dimissioni del lavoratore costituiscono un atto unilaterale recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro nel momento in cui pervengono a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà del medesimo; pertanto, la loro successiva revoca è inidonea, senza il consenso della detta controparte, ad eliminare l’effetto risolutivo già prodotto dalle dimissioni stesse. Cass. civ. sez. lav. 20 novembre 1990, n. 11179
In materia di pubblico impiego privatizzato, le dimissioni del lavoratore – a cui equivale la rinuncia alla concessa proroga a rimanere in servizio no al sessantacinquesimo anno di età a seguito di superamento della massima anzianità contributiva – costituiscono un atto unilaterale recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto nel momento in cui pervengono a conoscenza del datore di lavoro, indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo di accettarle, con la conseguenza che la successiva revoca è inidonea ad eliminare l’effetto risolutivo già prodottosi, restando peraltro salva la possibilità, per le parti, in applicazione del principio generale di libertà negoziale,di porre nel nulla le dimissioni con la conseguente prosecuzione a tempo indeterminato del rapporto stesso, e con l’onere, in tal caso, di fornire la dimostrazione del raggiungimento del contrario accordo, a carico del lavoratore. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 10 febbraio 2009, n. 3267
Nel regime del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. successivo all’entrata in vigore del D.L.vo n. 29 del 1993, regolato dalle norme del codice civile e dalle leggi civili sul lavoro nonché dalle norme sul pubblico impiego solo in quanto non espressamente abrogate e non incompatibili, le dimissioni del lavoratore costituiscono un negozio unilaterale recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui venga a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo di accettarle. Fine consegue che, una volta risolto il rapporto, per la sua ricostituzione è necessario che le parti stipulino un nuovo contratto di lavoro, non essendo sufficiente ad eliminare l’effetto risolutivo che si è prodotto la revoca delle dimissioni da parte del lavoratore, neppure se la revoca sia manifestata in costanza di preavviso. (Omissis ). Cass. civ. sez. lav. 4 ottobre 2007, n. 20787
In tema di cd. patto di stabilità nel contratto di lavoro subordinato, fuori dalle ipotesi di giusta causa ex art. 2119 c.c. il lavoratore può liberamente disporre della facoltà di recesso, pattuendo una garanzia di durata minima del rapporto nell’interesse del datore di lavoro, purché la stessa sia limitata nel tempo e sia previsto un corrispettivo, a tutela del “minimo costituzionale” di cui all’art. 36 Cost.; la corrispettività, tuttavia, non va valutata atomisticamente, come contropartita dell’assunzione dell’obbligazione, bensì alla luce del complesso delle reciproche pattuizioni contrattuali, potendo consistere nella reciprocità dell’impegno di stabilità ovvero in una diversa prestazione a carico del datore di lavoro, quale una maggiorazione della retribuzione o una obbligazione non monetaria, purché non simbolica e proporzionata al sacrificio assunto dal lavoratore. Cass. civ. sez. L, 9 giugno 2017, n. 14457
Il lavoratore subordinato può liberamente disporre della propria facoltà di recesso dal rapporto, come nell’ipotesi di pattuizione di una garanzia di durata minima dello stesso, che comporti, fuori dell’ipotesi di giusta causa di recesso di cui all’art. 2119 cod. civ. il risarcimento del danno a favore della parte non recedente, conseguente al mancato rispetto del periodo minimo di durata del rapporto; né può prospettarsi, in relazione alle clausole pattizie che regolano l’esercizio della facoltà di recesso dal rapporto di lavoro subordinato, una limitazione della libertà contrattuale del lavoratore, in violazione della tutela assicurata dai principi dell’ordinamento. Cass. civ. sez. L, 25 luglio 2014, n. 17010
Ove un rapporto di lavoro (nella specie, di un dirigente), relativamente al quale sia stata stipulata una clausola di stabilità relativa, cessi, “ante tempus”, a seguito di risoluzione consensuale – che rimane pienamente ammissibile anche in presenza di siffatta clausola in quanto da essa scaturiscono diritti pur sempre disponibili -, resta travolta la pattuizione di stabilità relativa e viene meno il diritto alla retribuzione garantita per il periodo convenuto; non sussiste inoltre, in tale ipotesi, il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, la quale presuppone l’esercizio di un vero e proprio diritto di recesso unilaterale da parte del datore di lavoro ed ha la finalità di compensare il lavoratore per il disagio conseguente alla necessità della ricerca di un nuovo posto di lavoro.* Cass. civ. sez. lav. 3 novembre 1994 n. 9045
Alla stregua di una interpretazione letterale e logico-sistematica dell’art. 2118 c.c. nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale – che comporta, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni no alla scadenza del termine – ma obbligatoria. Fine consegue che, ove una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso. Cass. civ. sez. L, 6 giugno 2017, n. 13988