In consonanza con il precetto generale inderogabile degli artt. 2109 c.c. e 36 Cost. (che impone di considerare festivo un solo giorno della settimana anche allorquando l’orario di lavoro sia distribuito su 5 giorni), le disposizioni speciali di cui alla legge 13 agosto 1969, n. 591, al D.P.R. 9 novembre 1971, n. 1372, alla legge 16 settembre 1977, n. 1188 ed al D.P.R. 23 giugno 1982, n. 374, evidenziano che ai lavoratori turnisti dev’essere attribuito un solo giorno di riposo settimanale e che da esso si devono distinguere i giorni di riposo compensativo, accordati a recupero delle maggiori prestazioni da essi settimanalmente rese per effetto, da un lato, della concentrazione in 5 giornate dell’orario settimanale (di 36 ore) e, dall’altro, del superamento del limite di durata della prestazione giornaliera (in dipendenza dell’organizzazione del servizio in turni di lavoro di 8 ore per un totale di 40 ore settimanali), sicché i giorni suddetti non possono considerarsi festivi od assimilarsi al giorno di riposo settimanale. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 10 marzo 2009, n. 571
La trattenuta da operare sulla retribuzione dei lavoratori scioperanti in giorno festivo deve essere limitata alla perdita della retribuzione stabilita per la giornata festiva lavorata e non già estendersi alla retribuzione del giorno di riposo compensativo fissato dal datore di lavoro in altro giorno non festivo della settimana. Cass. civ. sez. lav. 20 agosto 2003, n. 12250
L’esigenza del riposo settimanale del lavoratore, volta ad evitare a quest’ultimo il pregiudizio di un accumulo di fatica sica e psichica, viene rispettata allorché la contrattazione collettiva, introducendo nella regolamentazione dell’orario normale massimo di lavoro e dello straordinario una disciplina convenzionale per il lavoratore più favorevole di quella legale, faccia riferimento per il calcolo dello straordinario ad una media da rispettarsi entro un arco temporale più lungo di una settimana, senza però mai superare, con riferimento alla durata di sette giorni continuativi, i limiti di orario massimo e di straordinario legislativamente indicati al fine di tutelare la salute del lavoratore; pertanto, ove la prestazione lavorativa si svolga su turni di giorni lavorativi consecutivi seguiti da giorni di riposo all’interno di un ciclo di più settimane, il superamento dell’orario normale massimo indicato dalla contrattazione collettiva, ai fini del riconoscimento dello straordinario e delle relative maggiorazioni, deve essere accertato con riferimento alla media del lavoro nelle settimane di calendario comprese entro il più lungo arco temporale, corrispondente ai diversi cicli dei turni lavorativi avvicendati. Cass. civ. sez. lav. 5 gennaio 2001, n. 89
Il diritto del lavoratore subordinato al riposo settimanale ed alle ferie annuali costituisce un diritto indisponibile, non suscettibile di rinuncia da parte dello stesso lavoratore, dovendosi pertanto considerare nulla anche una rinuncia preventiva a tale diritto formulata tacitamente, mediante precostituzione di una maggiore retribuzione, che compensi, oltre all’ordinario lavoro, il danno determinato dalla ininterrotta protrazione della prestazione oltre il limite settimanale ed annuale. Cass. civ. sez. lav. 25 luglio 2000, n. 9760
Nel caso di adozione della cosiddetta settimana corta, con conseguente concentrazione dell’orario normale di lavoro in meno di sei giornate lavorative, rientra nella disponibilità dell’autonomia contrattuale, individuale o collettiva, la regolamentazione dei riposi aggiuntivi rispetto a quello settimanale, assicurato, come diritto costituzionalmente protetto, dall’art. 36, comma terzo, Cost. Cass. civ. sez. lav. 21 aprile 2000, n. 5202
L’ipotesi di totale assenza del riposo settimanale e quella dell’illegittimo (alla stregua della sentenza della Corte costituzionale n. 23 del 1982) frazionamento dello stesso non sono tra loro equiparabili perché nella seconda non si ha inadempimento ma inesatto adempimento della prestazione dovuta; la diversità, sul piano concettuale, delle due suddette situazioni giuridiche non può non riflettersi sulle conseguenze da essa prodotte in termini di lesione del diritto (al riposo) costituzionalmente protetto. Il frazionamento del riposo settimanale – a differenza della sua mancata fruizione senza recupero – non comporta, infatti, una prestazione aggiuntiva ed eccedente rispetto a quella già compensata con la retribuzione mensile e perciò non può determinare l’insorgenza per il lavoratore del diritto a un compenso di natura retributiva analogo a quello riconosciuto per il caso di mancata fruizione (salva l’eventuale maggiorazione per la penosità del lavoro domenicale, ove a causa del frazionamento del riposo la prestazione lavorativa debba essere eseguita in questa giornata), ma fa sorgere esclusivamente il diritto a un’attribuzione patrimoniale di natura risarcitoria – suscettibile di predeterminazione in sede negoziale – destinata non già a compensare una prestazione di lavoro eccedente rispetto agli obblighi contrattuali, ma a indennizzare il lavoratore medesimo per il titolo (autonomo e diverso) rappresentato dal godimento irregolare del riposo e dalla conseguente usura psicofisica. Cass. civ. sez. lav. 3 aprile 1999, n. 3233
In tema di compenso per le festività infrasettimanali, ai sensi dell’art. 5, comma terzo, ultima parte, legge 27 maggio 1949 n. 260, come modificato dalla legge 31 marzo 1954 n. 90, il compenso aggiuntivo previsto per il caso in cui le festività nazionali coincidano con la domenica, spetta al lavoratore retribuito in misura fissa che, in tali giorni, riposi; tale compenso trova giustificazione nel fatto che, ove le suddette festività non coincidessero con la domenica, il dipendente fruirebbe di un giorno in più di riposo e la misura fissa della sua retribuzione lo priverebbe, in mancanza di siffatta previsione normativa, di un corrispondente compenso. Cass. civ. sez. lav. 23 agosto 2011, n. 17543
In tema di compenso per le festività infrasettimanali, il compenso aggiuntivo, previsto dall’art. 5, terzo comma (ultima parte), della legge 27 maggio 1949, n. 260, come modificato dalla legge 31 marzo 1954, n. 90 (corrispondente all’aliquota giornaliera), spetta al lavoratore retribuito in misura fissa senza distinzione nell’ambito delle categorie previste dall’art. 2095 c.c. e si riferisce alle giornate di festività nazionali cadenti di domenica non lavorate e anche alle altre festività indicate dalla legge, in ragione del fatto che l’art. 3 della legge 31 marzo 1954, n. 90 prevede la suddetta estensione unicamente in favore dei lavoratori, dipendenti da privati, retribuiti in misura non fissa. Fine consegue che, per il trattamento retributivo riguardante le festività diverse da quelle nazionali, in assenza di una disciplina legale, occorre riferirsi a quella della contrattazione collettiva, la quale – per i dipendenti dell’AMA – prevede (artt. 12 e 30, quinto comma, del CCNL Federambiente del 1° ottobre 1991) una nozione (retribuzione globale), il cui significato viene nel medesimo contratto individuato nella somma della retribuzione individuale e delle indennità aventi carattere fisso e continuativo, che non comprende i ratei delle mensilità aggiuntive, gli EDR e la c.d. indennità di anzianità pregressa. Cass. civ. sez. lav. 3 gennaio 2011, n. 30
In tema di compenso per le festività infrasettimanali, l’art. 5, comma terzo, ultima parte, della legge 27 maggio 1949, n. 260, come modificato dalla legge 31 marzo 1954, n. 90, prevede che il compenso aggiuntivo (corrispondente all’aliquota giornaliera) ivi previsto per il caso in cui le festività coincidano con la domenica, spetta al lavoratore retribuito in misura fissa facendo specifico riferimento alle festività nazionali (25 aprile e 1 maggio), restando esclusa l’estensione di tale trattamento (non contemplata neppure dalla disciplina contrattuale) in relazione alle ricorrenze festive e semifestive ulteriori, istituite contestualmente, atteso che l’applicabilità del trattamento suddetto – in forza degli artt. 2, lettera e), e 3 della legge n. 90 del 1954 – ad ogni giorno festivo considerato tale dai contratti collettivi, compresa la celebrazione del Santo Patrono del luogo in cui si svolge il lavoro, è prevista limitatamente ai lavoratori dipendenti da privati datori di lavoro retribuiti non in misura fissa ma in relazione alle ore di lavoro compiute. Né è ravvisabile violazione degli artt. 3 e 36 Cost. in quanto la diversità di posizione dei lavoratori – a seconda che siano retribuiti o meno in misura fissa – giustifica il diverso trattamento. Cass. civ. sez. lav. 9 marzo 2004, n. 4772
Premesso che, di regola, al lavoratore è riconosciuto il diritto soggettivo di astenersi dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose, e che la giornata del 15 agosto, celebrativa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, è considerata festiva ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 792, allorquando la contrattazione collettiva applicabile preveda, come eccezione alla regola legale, che l’attività lavorativa possa essere svolta anche nei giorni festivi, subordinando la fruizione della festività alle esigenze aziendali, la sussistenza di tali esigenze costituisce il presupposto per l’applicazione del regime di eccezione (contrattuale) in luogo della regola (legale), sicchè il datore di lavoro, che invochi l’applicazione della norma contrattuale, deve provare la sussistenza del presupposto di fatto, e cioè delle esigenze aziendali. Cass. civ. sez. lav. 4 marzo 2004, n. 4435
Poiché la norma dell’art. 5 della legge n. 260 del 1949, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 90 del 1954, sul trattamento economico che deve essere corrisposto al lavoratore in occasione delle ricorrenze festive ivi previste, si riferisce ai soli lavoratori retribuiti «non in misura fissa», ai lavoratori invece retribuiti in misura fissa (che nella festività non abbiano prestato attività lavorativa) non spettano emolumenti suppletivi rispetto alla retribuzione corrisposta riguardante il periodo nel cui ambito cade la ricorrenza festiva, e quindi per gli stessi lavoratori non si pone neanche un problema di individuazione della base di computo del trattamento per le festività infrasettimanali, in difetto di specifiche disposizioni contrattuali di miglior favore rispetto alla disciplina legale. Cass. civ. sez. lav. 10 gennaio 2001, n. 258
Il riposo compensativo (sia esso conseguente all’introduzione della cosiddetta settimana corta, ovvero alla riduzione dell’orario settimanale normale) costituisce solo uno strumento per articolare su di un minor numero di giorni l’orario di lavoro settimanale o per bilanciare il superamento del limite di durata della prestazione giornaliera a causa dell’organizzazione del servizio in turni di lavoro di otto ore (nonostante la riduzione dell’orario normale settimanale); tale riposo, pertanto, essendo qualificabile come una giornata lavorativa a zero ore, non è assimilabile alla giornata di riposo settimanale e non dà quindi diritto, salvo diverse disposizioni di legge o contrattuali, ad alcuna erogazione retributiva aggiuntiva nell’ipotesi in cui esso venga a coincidere con una festività infrasettimanale, ferma restando la possibilità di un risarcimento nell’ipotesi in cui il suddetto riposo compensativo coincidente con la festività non sia stato trasferito ad altra data. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 20 ottobre 2000, n. 13899
Il criterio di onnicomprensività della retribuzione adottato in tema di festività infrasettimanali dall’art. 5 della legge 27 maggio 1949 n. 260, modificato dall’art. 1 della legge 31 marzo 1954 n. 90, si riferisce al compenso stabilito per il solo fatto della ricorrenza della festività (primo comma del citato art. 5) e non riguarda il compenso spettante (ai sensi del secondo comma dello stesso art. 5) «per le ore di lavoro effettivamente prestate», il quale, essendo istituto contrattuale rimesso all’autonomia delle parti, salvo il limite dell’art. 36 della Costituzione, va determinato alla stregua della disciplina collettiva, cui perciò occorre far riferimento anche per accertare se determinati emolumenti siano computabili ai fini della maggiorazione per il lavoro festivo. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 25 luglio 2000, n. 9764
L’azione di accertamento non può avere ad oggetto una mera situazione di fatto (salvi i casi espressamente previsti dalla legge), ma deve tendere all’accertamento di un diritto che possa in astratto competere all’attore, sempre che sussista un pregiudizio attuale, e non meramente potenziale, che non possa essere eliminato senza una pronunzia giudiziale; pertanto, non sussiste l’interesse a veder accertata la retribuzione spettante per le prestazioni lavorative effettuate nelle festività infrasettimanali, ove il lavoratore non abbia dedotto né provato lo svolgimento di tali prestazioni e sussista invece una semplice contrapposizione con il datore di lavoro in ordine all’interpretazione di una clausola contrattuale circa le modalità di determinazione della detta retribuzione. Cass. civ. sez. lav. 13 luglio 2000, n. 9289
In materia di lavoro in giorno festivo, nel caso in cui il riposo settimanale debba essere fruito costantemente nella giornata di lunedì, il lavoratore ha diritto ad un compenso per la particolare penosità del lavoro domenicale che può essere soddisfatto, oltre che con un supplemento di retribuzione o mediante specifiche indennità, anche con vantaggi e benefici di diversa natura previsti dalla contrazione collettiva – alla quale è rimessa la realizzazione di un equilibrio tra esigenze di flessibilità della prestazione e rispetto del diritto del lavoratore -, quali un sistema di riposi settimanali che comunque garantisca il pieno recupero delle energie psicofisiche del lavoratore o una riduzione dell’orario di lavoro. Cass. civ. sez. L, 8 novembre 2013, n. 25196
Il lavoro prestato nella giornata di domenica, anche nell’ipotesi di differimento del riposo settimanale in un giorno diverso, deve essere in ogni caso compensato con un “quid pluris” che, ove non previsto dalla contrattazione collettiva, può essere determinato dal giudice e può consistere anche in benefici non necessariamente economici, salva restando l’applicabilità della disciplina contrattuale collettiva più favorevole. Cass. civ. sez. lav. 20 settembre 2013, n. 21626
La prestazione effettuata nel settimo giorno consecutivo di lavoro esige, per la sua particolare onerosità, uno specifico compenso, che, trovando causa nello stesso rapporto di lavoro, ha natura retributiva e non risarcitoria o di indennizzo; alla sua determinazione in mancanza di una espressa previsione del contratto collettivo – provvede il giudice sulla base di una motivata valutazione che tenga conto dell’onerosità della prestazione lavorativa. (Nella specie, relativa a personale ospedaliero impiegato in turni di sette giorni continuativi, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, alla stregua delle previsioni del c.c.n.l. 16 settembre 1995 applicabile, aveva escluso la previsione di ogni remunerazione per la gravosità dei turni, atteso che gli stessi giorni di riposo compensativo erano funzionali solo a riequilibrare, nell’arco del mese, il rapporto di lavoro rispetto alle pause e non ad attribuire riposi ulteriori, ed aveva, pertanto, riconosciuto una maggiorazione della retribuzione per l’attività svolta oltre il sesto giorno). Cass. civ. sez. lav. 7 giugno 2011, n. 12318
Il diritto dei lavoratori turnisti ad essere compensati per lo svolgimento dell’attività lavorativa nella giornata di domenica (ancorché con differimento del riposo settimanale in un giorno diverso) può essere soddisfatto, oltre che con supplementi di paga o con specifiche indennità, con l’attribuzione di vantaggi e benefici economici contrattuali di diversa natura (quale la concessione di un maggior numero di riposi), atteso che, da un lato, la penosità del lavoro domenicale – a seconda delle circostanze di fatto e delle particolari esigenze del lavoratore, da valutare peraltro nell’attuale contesto socio economico – può anche essere eliminata o comunque ridotta mediante un sistema di riposi settimanali che, permettendone il recupero in forma continua e concentrata nel tempo, risulti suscettibile di reintegrare compiutamente le energie psicofisiche del lavoratore e che, dall’altro, l’attribuzione alla contrattazione collettiva di margini di flessibilità nella regolamentazione dei regimi dell’orario e dei riposi lavorativi discende da ripetuti riconoscimenti legislativi intesi, nel rispetto delle direttive comunitarie, alla modernizzazione della materia. Cass. civ. sez. lav. 29 luglio 2010, n. 17725
Il lavoratore turnista che presti la propria opera per sette o più giorni consecutivi, pur godendo complessivamente di riposi in ragione di uno per settimana, ha diritto, oltre che ad un compenso per la penosità del lavoro domenicale, ad un distinto compenso per l’ulteriore penosità confessa al fatto di lavorare per più di sei giorni consecutivi, compenso che non può essere determinato con riferimento alle maggiorazioni previste per il lavoro straordinario, in quanto, essendo mediamente rispettata la cadenza di un giorno di riposo per ogni settimana di lavoro, il lavoro prestato nel settimo giorno consecutivo non è lavoro prestato in più rispetto a quello contrattualmente dovuto e non può pertanto essere qualificato come lavoro straordinario ; i suddetti compensi possono cumularsi alla stregua di previsioni pattizie che fissino globalmente un trattamento economico-normativo differenziato in considerazione delle caratteristiche della prestazione, trattamento rispetto al quale il giudice del merito deve accertare la congruità o meno dei compensi previsti in contratto e l’idoneità degli stessi a compensare anche la penosità del lavoro nel settimo giorno consecutivo. Cass. civ. sez. lav. 19 maggio 2004, n. 9521
La maggiore remunerazione del lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, spettante in misura proporzionalmente ridotta anche nel caso in cui la penosità risulti compensata dalla fruizione di riposi in giorni successivi, consegue all’applicazione dei principi stabiliti dall’art. 36 Cost. che tutelano, specificamente, inderogabili e indisponibili diritti dei lavoratori subordinati, derivanti dal contratto di lavoro ed aventi natura economica, pur se posti a tutela anche di interessi non strettamente patrimoniali; pertanto, ove il lavoratore richieda, in relazione alle indicate modalità della prestazione, in aggiunta a tale maggiorazione economica, anche il risarcimento del danno non patrimoniale, per la lesione del diritto alla salute o del diritto alla libera esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana, è tenuto ad allegare e provare il pregiudizio del suo diritto fondamentale, nei suoi caratteri naturalistici e nella sua dipendenza causale dalla violazione dei diritti patrimoniali di cui all’art. 36 Cost. potendo anche assumere adeguata rilevanza, nell’ambito specifico di detta prova, il consenso dello stesso lavoratore a rendere la prestazione nel giorno di riposo. Cass. civ. sez. lav. 3 luglio 2001, n. 9009
In relazione a prestazioni lavorative comportanti turni di lavoro di sette o – entro limiti di ragionevolezza – più giorni consecutivi con riposo compensativo, ove il lavoratore chieda maggiori compensi di quelli già corrisposti in conformità al contratto collettivo, il giudice deve accertare se i compensi, in forma di indennità o di altro tipo di emolumento, previsti dal detto contratto in ragione di una siffatta distribuzione temporale abbiano anche la funzione di compensare tutti gli aspetti per cui la prestazione del turnista, ancorché non sia «ontologicamente» straordinaria e non comporti propriamente un pregiudizio indennizzabile di diritti personali, si manifesti comunque maggiormente gravosa rispetto a quella degli altri, per essere svolta di domenica, dopo sei giorni lavorati e con il conseguente superamento – pur entro il limite delle otto ore giornaliere e delle quarantotto ore settimanali di cui all’art. 1 R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692 – dell’orario settimanale considerato normale per la generalità dei lavoratori; nell’ambito di tale verifica, l’interpretazione delle clausole contrattuali operata dal giudice di merito non è suscettibile di censura in sede di legittimità, se condotta nel rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e se sorretta da congrua motivazione. (Fattispecie relativa al lavoro prestato dagli operai turnisti per l’edizione a stampa dei giornali quotidiani). Cass. civ. sez. lav. 28 giugno 2001, n. 8820
Se di norma il riposo settimanale deve essere goduto dal lavoratore dopo sei giorni di espletamento dell’attività lavorativa, tale regola – come precisato dalla giurisprudenza costituzionale – non assume un valore assolutamente cogente, e non solo la legge ma anche i contratti collettivi o individuali possono prevedere una disciplina difforme, alla condizione che sussistano situazioni che la rendono necessaria a tutela di interessi apprezzabili, ed inoltre che non venga snaturato o eluso il rapporto – nel complesso – di un giorno di riposo e sei di lavoro, e che non vengano superati i limiti di ragionevolezza, sia rispetto alle esigenze particolari della specialità del lavoro, sia rispetto agli interessi del lavoratore, con particolare riguardo alla tutela della salute. Cass. civ. sez. lav. 30 agosto 2000, n. 11419
Al fine di liquidare al lavoratore il danno presunto da usura per il mancato recupero delle energie psico-siche mediante riposo usufruito dopo sei giorni consecutivi di lavoro, il giudice di merito – mediante una valutazione incensurabile in Cassazione se eseguita in ottemperanza ai criteri ermeneutici previsti dagli artt. 1362 e seguenti c.c. e con congrua motivazione – può trarre criteri di quantificazione del danno da clausole del contratto collettivo che, se pure da considerare nulle (attesa la natura risarcitoria e non retributiva del credito), possono tuttavia costituire un’adeguata misura di valutazione ai fini della quantificazione. Cass. civ. sez. lav. 29 luglio 2000, n. 9992
Nell’ipotesi in cui il lavoro si protrae per più di sei giorni consecutivi con godimento del giorno di riposo compensativo con periodicità differente rispetto a quella ordinaria, va corrisposto, in aggiunta al compenso destinato a retribuire la qualità del lavoro prestato nella giornata della domenica, un compenso ulteriore come indennizzo per danno da usura. I suddetti compensi possono cumularsi alla stregua delle previsioni pattizie che fissino globalmente un trattamento economico-normativo differenziato in considerazione delle caratteristiche della prestazione, trattamento rispetto al quale il giudice di merito deve accertare quanta parte di esso sia da imputare alla maggiore gravosità del lavoro domenicale in sè e quanta parte sia, invece, destinata ad indennizzare in tutto o in parte l’usura psico-sica per il mancato riposo dopo sei giorni di lavoro, tenendo conto che, ai fini del suddetto accertamento, il giudice, in mancanza in concreto di diverse e specifiche ragioni di particolari attribuzioni patrimoniali, deve ritenere che esse siano dirette a compensare la prestazione così come imposta dal turno di lavoro. (Fattispecie relativa ad un dipendente dell’azienda editrice del quotidiano Il Tempo). Cass. civ. sez. lav. 26 maggio 2000, n. 6904
In relazione al lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, va tenuto distinto il danno da «usura psico-sica», conseguente alla mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro, dall’ulteriore danno alla salute o danno biologico, che si concretizza, invece, in una «infermità» del lavoratore determinata dall’attività lavorativa usurante svolta in conseguenza di una continua attività lavorativa non seguita dai riposi settimanali. Nella prima ipotesi, il danno sull’an deve ritenersi presunto e il risarcimento può essere determinato spontaneamente, in via transattiva, dal datore di lavoro con il consenso del lavoratore, mediante ricorso a maggiorazioni o compensi previsti dal contratto collettivo o individuale per altre voci retributive; nella seconda ipotesi, invece, il danno alla salute o biologico, concretizzandosi in una infermità del lavoratore, non può essere ritenuto presuntivamente sussistente ma deve essere dimostrato sia nella sua sussistenza e sia nel suo nesso eziologico, a prescindere dalla presunzione di colpa insita nella responsabilità nascente dall’illecito contrattuale. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 4 marzo 2000, n. 2455
Anche nel caso in cui il mancato godimento del riposo settimanale dopo sei giorni consecutivi di lavoro dipenda da una legittima deroga alla regola generale e sia seguito – come in ogni caso è imposto dai principi costituzionali in materia – dal successivo godimento del riposo, con il mantenimento quindi del rapporto di sei giorni di lavoro ed uno di riposo (o di un rapporto più favorevole), deve escludersi che tale recupero elimini completamente la maggiore onerosità della prosecuzione della prestazione dell’attività lavorativa oltre il sesto giorno e quindi lo stesso, se vale a diminuire l’onere indennitario a carico del datore di lavoro per la mancata fruizione da parte del lavoratore del riposo nel settimo giorno, non elimina completamente il corrispondente diritto, che peraltro è distinto dall’eventuale ulteriore diritto al compenso per la prestazione di attività nel giorno domenicale. Cass. civ. sez. lav. 17 febbraio 2000, n. 1769
Dal complesso degli orientamenti giurisprudenziali sui temi del trattamento economico dovuto per il lavoro prestato nel giorno destinato al riposo settimanale e del sindacato del giudice di merito in materia di interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune si desume che all’autonomia collettiva va riconosciuta la possibilità di introdurre deroghe al limite di sei giorni consecutivi di lavoro, per– dovendo attribuirsi natura di diritto soggettivo di carattere costituzionale al diritto del lavoratore alla tutela della propria persona ed essendo tale diritto inviolabile, bene unitario e indivisibile dell’«uomo» che si afferma anche nelle formazioni sociali (art. 2 Cost.) – qualsiasi atto violativo di esso deve considerarsi illegittimo e quindi invalido. Anche l’autonomia collettiva, infatti, deve rispettare il suddetto diritto del lavoratore e sottostare al relativo sindacato del giudice di merito, la cui ammissibilità deriva mutatis mutandis dalle sentenze della Corte costituzionale n. 105 del 1972, n. 103 del 1989 e n. 268 del 1994. Fine consegue che, nell’ipotesi in cui il lavoro si protrae per più di sei giorni consecutivi con godimento del giorno di riposo compensativo con una periodicità differente rispetto a quella ordinaria, il giudice di merito, cui compete l’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune, se accerta che nel contratto considerato non è stato indicato un apposito compenso in relazione alla penosità del lavoro prestato nei giorni successivi al sesto consecutivo – il quale, qualora sia comunque rispettata la cadenza di un giorno di riposo ogni sei di lavoro, non può ontologicamente, essere qualificato come lavoro straordinario perché non si aggiunge a quello contrattualmente previsto – può determinare l’ammontare del suddetto compenso (che va considerato come indennizzo per danno da usura e che è ulteriore ed aggiuntivo rispetto al compenso destinato a retribuire la «qualità» del lavoro prestato nella giornata della domenica) applicando, per la relativa liquidazione, un metodo analogo a quello proprio del lavoro domenicale, «con il quale è evidente l’affinità». (Fattispecie relativa agli operai chiamati impegnati di domenica per le edizioni del lunedì dei quotidiani e all’interpretazione dell’art. 4 del Ccnl). Cass. civ. sez. lav. 6 ottobre 1998, n. 9895