Deve qualificarsi lavoro straordinario ad ogni effetto legale e contrattuale, in forza dei principi desumibili dagli artt. 2107 e 2108 c.c. ogni prestazione eccedente l’orario ordinario fissato dalla legge, dal contratto collettivo o da un contratto individuale più favorevole al prestatore di lavoro; la retribuzione per tale prestazione non può essere inferiore a quella ordinaria onnicomprensiva maggiorata del 10 per cento, ai sensi dell’art. 5 R.D.L. n. 692/1923, che si applica non al lavoro eccedente la giornata normale di cui all’art. 1 R.D.L. cit. ma a quello eccedente la giornata di lavoro concordata dall’autonomia privata; pertanto, in tema di rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, costituendo lavoro straordinario, in forza del contratto integrativo aziendale, quello prestato oltre le 37 ore, è nulla la clausola del C.C.N.L. che, calcolando la retribuzione oraria ordinaria sulla base del divisore 39 anziché 37, porta a determinare la maggioranza della retribuzione oraria in misura inferiore al 10 per cento. Cass. civ. sez. lav. 15 aprile 2002, n. 5380
La prestazione lavorativa eccedente l’orario concordato fra le parti in una misura inferiore a quella massima stabilita dalla legge o dal contratto collettivo, e no al raggiungimento di questa, va qualificata come straordinario e retribuita a norma dell’art. 2108 c.c. a meno che non venga provata l’esistenza di un accordo fra le stesse parti avente per oggetto il prolungamento dell’orario normale contrattuale no al limite di quello normale legale o pattuito in sede collettiva. Cass. civ. sez. lav. 17 febbraio 2000, n. 1773
Al fine di stabilire se vi sia stato prolungamento dell’orario normale di lavoro, ai sensi dell’art. 2108 c.c. come fissato dalla legge o eventualmente dal contratto collettivo, non è consentito operare una media fra le prestazioni effettuate in periodi diversi (nella specie confrontando la durata delle prestazioni nel periodo «estivo» e in quello «invernale») ma deve aversi riguardo alla durata giornaliera o al più settimanale. Cass. civ. sez. lav. 5 giugno 1996, n. 5227
La pluralità di mansioni diverse non incide di norma sull’unicità del rapporto di lavoro sia che il dipendente le esegua nell’ambito dell’orario normale, sia che l’esecuzione di prestazioni di natura eterogenea rispetto a quelle fornite in detto ambito si verifichi solamente in coincidenza di lavoro straordinario, con la conseguenza che le mansioni di maggiore rilevanza determinano il trattamento economico e normativo, mentre la prestazione lavorativa eccedente l’orario contrattuale, ancorché diversa e disomogenea rispetto a quella resa nell’ambito del detto orario deve essere qualificata e retribuita come lavoro straordinario, non potendo peraltro escludersi che ricorrendo particolari circostanze qualora il lavoratore espleti in favore del medesimo datore di lavoro una pluralità di mansioni eterogenee in orari diversi ciascuna di esse sia riconducibile, secondo l’apprezzamento del giudice di merito, insindacabile se congruamente motivato, all’esecuzione di un distinto contratto di lavoro. Cass. civ. sez. lav. 9 novembre 1995, n. 11677
L’affermazione della continuità del lavoro straordinario reso per un certo tempo non pufondarsi sull’accertamento di una semplice reiterazione delle prestazioni eccedenti l’orario normale ma deve basarsi sul carattere costante e sistematico di queste ultime, da individuarsi nella duplice condizione di una verificata regolarità o frequenza o periodicità della prestazione e di una ragionata esclusione dei caratteri di occasiofinalità, transitorietà o saltuarietà, occorrendo misurare la riconoscibilità di regolarità, frequenza o anche mera periodicità di una prestazione eccedente l’orario ordinario con riguardo al suo ripetersi con costanza ed uniformità «per un apprezzabile periodo di tempo», così da divenire abituale nel quadro dell’organizzazione del lavoro. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 17 maggio 2006, n. 11536
In tema di lavoro straordinario, la circostanza che esso sia prestato in maniera fissa e continuativa non è sufficiente a trasformare la natura della prestazione lavorativa resa oltre l’orario normale in prestazione ordinaria, salvo che, alla stregua di una corretta indagine di fatto riservata al giudice di merito, non risulti una specifica volontà delle parti intesa ad ampliare l’orario normale di lavoro conglobandovi lo straordinario fisso e continuativo, nonchè a trasformare il relativo compenso in retribuzione ordinaria utile ai fini del calcolo delle spettanze la cui quantificazione debba essere effettuata con riferimento ad essa; fine consegue che, in mancanza della prova di una siffatta deroga pattizia, il compenso per il cosiddetto straordinario fisso non è computabile nel calcolo degli istituti indiretti, quali le spettanze per ferie, mensilità aggiuntive, festività e riposi settimanali, non esistendo nell’ordinamento un principio generale di onnicomprensività della retribuzione. (Fattispecie relativa a dipendenti dell’Iritecnica – società per l’impiantistica industriale e l’assetto del territorio). Cass. civ. sez. lav. 5 aprile 2004, n. 6661
Al fine di ritenere illegittimamente escluse dalla base di calcolo del compenso per lavoro straordinario, indennità, emolumenti ed altre voci non è rilevante la continuità della relativa corresponsione, quanto piuttosto la verifica se le stesse siano incluse nella retribuzione “normale”, secondo quanto stabilito dal c.c.n.l. dovendo rimanere escluse, dalla detta base di calcolo, quelle voci che, per la relativa funzione e caratteristiche, siano rivolte a compensare particolari prestazioni e disagi specifici, ovvero situazioni particolari, meritevoli di tutela, anche se di fatto corrisposte con continuità. Cass. civ. sez. VI-L, 11 luglio 2016, n. 14120
È del tutto legittima perché non si pone in contrasto né con l’art. 36 Cost. né con l’art. 2108 c.c. la condotta del datore di lavoro che – in presenza della contrattazione che predetermini, nell’esercizio dell’autonomia delle organizzazioni sindacali, un orario normale inferiore rispetto a quello massimo fissato per legge (ora individuato dall’art. 2 del D.L.vo n. 66 del 2003) – corrisponda ai propri dipendenti, che abbiano superato il limite convenzionale senza superare quello (massimo) legale, un corrispettivo per il suddetto lavoro inferiore a quello prescritto dall’art. 2108 c.c. per l’orario straordinario (disciplinato attualmente dagli artt. 1, comma secondo, lett. c), e 5 del citato D.L.vo n. 66 del 2003), atteso che il dettato costituzionale deve essere letto non in relazione ai singoli elementi retributivi, ma al complessivo trattamento economico riconosciuto al lavoratore subordinato ed, inoltre, perché l’inderogabilità del menzionato art. 2108 c.c. opera soltanto in presenza di violazioni dei tetti massimi di «orario normale» previsti da norme legislative. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 16 luglio 2007, n. 15781
In ossequio alla norma dell’art. 2108 c.c. per la quale il lavoro straordinario deve essere compensato con un aumento di retribuzione rispetto al lavoro ordinario, nel determinare i criteri di calcolo di tale compenso, il giudice, in assenza di un principio generale di onnicomprensività della retribuzione, pur in presenza di emolumenti aventi carattere di continuità e natura retributiva, deve prendere a riferimento la norma collettiva che fissa i criteri di compenso del lavoro straordinario, verificandone la coerenza con la norma di legge in relazione alle modalità di fissazione della base di computo. Cass. civ. sez. lav. 7 febbraio 2007, n. 2645
In tema di compenso per lavoro straordinario, la regola di cui all’art. 5 R.D.L. n. 692 del 1923 secondo cui la maggiorazione per il lavoro straordinario non può essere inferiore al dieci per cento della retribuzione ordinaria, si riferisce esclusivamente alle ore di straordinario eccedenti la giornata normale di lavoro prevista dall’art. 1 dello stesso R.D.L. in otto ore giornaliere e quarantotto ore settimanali. Fine consegue che nell’ipotesi in cui la contrattazione collettiva, in base all’art. 2108 c.c. fissi un orario massimo di lavoro normale inferiore alle otto ore giornaliere e alle quarantotto ore settimanali, il compenso deve essere sempre corrisposto, ma eventualmente anche in misura inferiore al dieci per cento della paga ordinaria. Inoltre, la disciplina collettiva in materia di compenso per lavoro straordinario (nella specie, la maggiorazione del 30 per cento per straordinario diurno e del 50 per cento per lo straordinario notturno, calcolato sulla paga base, scatti di anzianità, indennità di contingenza e indennità contrattuali, previste dal Ccnl dei lavoratori delle aziende municipalizzate di igiene urbana ) non risulta in contrasto con la Carta Sociale Europea che all’art. 4, primo comma, prevede che «le Parti si impegnano a riconoscere il diritto dei lavoratori ad un tasso retributivo maggiorato per le ore di lavoro straordinario, ad eccezione di alcuni casi particolari ». Cass. civ. sez. lav. 1 febbraio 2006, n. 2245
In tema di compenso per la prestazione di lavoro straordinario, la normativa vigente non comporta il diritto alla maggiorazione retributiva in mancanza di superamento del limite massimo settimanale. Infatti la disposizione dell’art. 1 del R.D. 15 marzo 1923 n. 692, a norma del quale la durata massima della giornata lavorativa non può eccedere le otto ore al giorno o le 48 ore settimanali di lavoro effettivo?, va interpretata nel senso che eventuali superamenti dell’orario giornaliero contenuti nell’ambito del massimo settimanale non sono sufficienti per far emergere la nozione legale di lavoro straordinario, rimanendo la prestazione nei limiti di flessibilità previsti dalla legge (fattispecie in tema di lavoratori del settore trasporti ). Cass. civ. sez. lav. 16 luglio 2002, n. 10312
A differenza della pattuizione per cui un determinato numero minimo di ore di lavoro straordinario sia comunque retribuito, indipendentemente dalla prova dell’avvenuta effettiva prestazione da parte del lavoratore subordinato, è illecita (e quindi nulla) la clausola che stabilisca che il lavoro straordinario sia retribuito in una determinata entità massima, indipendentemente dall’eventuale prestazione in misura maggiore, atteso che ciò implicherebbe una rinuncia preventiva al compenso per il lavoro eventualmente prestato oltre tale limite prestabilito; pertanto, il giudice, ove accerti che il lavoratore ha effettuato un numero di ore di lavoro straordinario superiore alla pattuita forfettizzazione, deve riconoscergli per l’eccedenza il compenso maggiorato per lavoro straordinario. Cass. civ. sez. lav. 26 maggio 2000, n. 6902
In tema di determinazione del compenso per il lavoro straordinario – che per legge (art. 2108 c.c. e art. 5 legge n. 692 del 1923) non può essere inferiore al dieci per cento della retribuzione dovuta per il lavoro ordinario – il limite dell’autonomia collettiva è costituito dal rispetto del risultato minimo (dieci per cento in più della retribuzione ordinaria onnicomprensiva) che la legge intende garantire con l’imposizione di detto meccanismo di calcolo, sicché è ammessa l’utilizzabilità di altri meccanismi di calcolo dai quali in concreto consegua (per i lavoratori) un trattamento migliorativo o comunque non peggiorativo di quello legale. In ordine a tale ultimo profilo il giudice è in condizione di operare il relativo controllo soltanto quando venga investito della questione attraverso l’esplicito richiamo della norma pattizia di riferimento. Cass. civ. sez. lav. 17 gennaio 2000, n. 453
Ai fini della validità del patto di conglobamento del compenso per il lavoro straordinario nella retribuzione ordinaria, occorre risultino riconosciuti i diritti inderogabili dei lavoratori e che sia determinato quale sia il compenso per il lavoro ordinario e quale l’ammontare del compenso per lavoro straordinario, in modo da consentire al giudice il controllo circa l’effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettantigli per legge o in virtù della contrattazione collettiva. Cass. civ. sez. lav. 12 novembre 2008, n. 27027
In presenza di una prassi aziendale che prevede la liquidazione in favore dei dipendenti di uno straordinario forfettizzato, nel caso di specie denominato «superminimo », (attribuzione legittima in quanto attributiva di un trattamento più favorevole rispetto a quanto previsto dalla contrattazione collettiva ), il lavoratore che abbia effettuato un numero di ore di straordinario superiore a quello corrispondente alla prestabilita forfetizzazione ha diritto, per l’eccedenza, a che gli sia riconosciuto il compenso maggiorato per il lavoro straordinario. L’onere probatorio relativo alla prestazione di un numero di ore di lavoro straordinario superiore a quelle rientranti nel forfait incombe sul lavoratore. Cass. civ. sez. lav. 18 agosto 2004, n. 16157
Nel giudizio avente ad oggetto il diritto del lavoratore al compenso per lavoro straordinario qualora questi, assolvendo l’onere probatorio posto a suo carico, abbia dimostrato di aver lavorato oltre l’orario normale di lavoro è consentito al giudice di procedere alla valutazione equitativa del relativo compenso purché nell’esercizio del relativo potere da intendere come discrezionale e non arbitrario dia congrua ragione del processo logico attraverso il quale perviene alla liquidazione del quantum debeatur indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo. Cass. civ. sez. lav. 17 giugno 2000, n. 8271
Nel pubblico impiego privatizzato vige il principio di onnicomprensività della retribuzione dirigenziale, in virtù del quale il trattamento economico remunera tutte le funzioni e i compiti attribuiti secondo il contratto individuale o collettivo nonché qualsiasi incarico conferito dall’amministrazione di appartenenza o su designazione della stessa o che sia riconducibile a funzioni e poteri connessi all’ufficio ricoperto; fine consegue che per il lavoro straordinario – inteso quale prestazione eccedente gli orari stabiliti dalla contrattazione collettiva – non compete alcun compenso ulteriore, che è dovuto, invece, solo per particolari prestazioni aggiuntive specificamente previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva e come tali remunerate sulla base di appositi presupposti, tra cui rientrano, per la dirigenza sanitaria, gli incarichi libero-professionali “intramoenia” ex art. 15-quinquies, comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992. Cass. civ. sez. L, 10 dicembre 2019, n. 32264
I funzionari direttivi, esclusi dalla disciplina legale delle limitazioni dell’orario di lavoro, hanno diritto al compenso per lavoro straordinario se la disciplina collettiva delimiti anche per essi l’orario normale e tale orario venga in concreto superato oppure se la durata della loro prestazione valichi il limite di ragionevolezza in rapporto alla necessaria tutela della salute e dell’integrità siopsichica garantita dalla Costituzione a tutti i lavoratori. Per questa seconda ipotesi deve essere valutato non tanto l’elemento quantitativo del numero delle ore lavorate, quanto l’elemento qualitativo relativo all’impegno fisico ed intellettuale richiesto al lavoratore. Cass. civ. sez. lav. 10 luglio 2018, n. 18161
La mancata fruizione del riposo giornaliero e settimanale, in assenza di previsioni legittimanti la scelta datoriale, è fonte di danno non patrimoniale che deve essere presunto, perché l’interesse del lavoratore leso dall’inadempimento del datore ha una diretta copertura costituzionale nell’art. 36 Cost. sicché la lesione del predetto interesse espone direttamente il datore medesimo al risarcimento del danno. Cass. civ. sez. lav. 15 luglio 2019, n. 18884
Il personale ferroviario – ancorché inserito nei turni di servizio – non ha diritto soggettivo, né interesse legittimo di diritto privato, alla prestazione di lavoro notturno, prefestivo e festivo (come in genere di lavoro prestato in deroga legittima oppure in violazione di norme poste a tutela dei lavoratori) – in quanto non risultano contrattualmente e legalmente previsti, né possono essere introdotti dalle clausole generali di correttezza e buona fede, mentre l’interesse dello stesso personale al trattamento economico (retributivo nonché indennitario o risarcitorio) – che spetta in dipendenza della prestazione effettiva di tale lavoro, per compensarne la maggiore penosità – risulta privo – se non addirittura immeritevole – di qualsiasi tutela giuridica – in difetto della prestazione effettiva dello stesso lavoro – e, come tale, è riconducibile ad un mero interesse di fatto, il cui mancato soddisfacimento non può costituire fonte di danno risarcibile, né fondamento giuridico di qualsiasi pretesa. Cass. civ. sez. lav. 25 settembre 2006, n. 20801
Ai fini del riconoscimento del diritto dei lavoratori subordinati al computo nella base di calcolo della retribuzione per il periodo feriale della maggiorazione per lavoro notturno, non è sufficiente l’accertamento della «normalità» della prestazione notturna in turni periodici e della erogazione della relativa indennità (reintroducendosi altrimenti il criterio della omnicomprensività della retribuzione, non legittimato in generale dal legislatore), ma, trattandosi di compenso erogato in ragione delle particolari modalità della prestazione lavorativa e a compensazione dei relativi disagi, e in quanto tale non assistito dalla garanzia della irriducibilità della retribuzione di cui all’art. 2103 c.c. occorre anche che la contrattazione collettiva faccia riferimento al concetto di retribuzione «ordinaria» o «normale». (Nella specie, relativa al lavoro notturno prestato dai dipendenti postali secondo turnazioni periodiche, la S.C. ha annullato la sentenza di merito che aveva riconosciuto il diritto dei lavoratori all’inclusione della relativa indennità nel trattamento retributivo del periodo feriale, sulla sola base della constatazione che la contrattazione collettiva, negli spazi consentiti dalla Convenzione OIL n. 132 del 1970, ratificata e resa esecutiva con la legge 10 aprile 1981, n. 157, non determinava la misura della retribuzione spettante per il periodo feriale, senza accertare se la contrattazione collettiva facesse riferimento – per la determinazione della retribuzione feriale – alla retribuzione «normale» o, invece, a quella «fissa giornaliera»). Cass. civ. sez. lav. 19 agosto 2004, n. 16261
La computabilità o meno del compenso per lavoro notturno prestato con continuità ai fini degli istituti indiretti (mensilità aggiuntive, ferie, malattia e infortunio) deve essere verificata alla stregua della disciplina collettiva, nel rispetto dei canoni interpretativi di cui agli artt. 1362 e ss. c. c. tenendo presente che il principio di omnicomprensività della retribuzione, valido solo per determinati istituti di origine legale, non opera neppure come criterio sussidiario, ed altresì che la disciplina prevista dall’accordo interconfederale del 27 ottobre 1946, reso efficace erga omnes dal D.P.R. n. 1070 del 1960, è derogabile dalla contrattazione collettiva, ove quest’ultima preveda una più favorevole disciplina complessiva del singolo istituto. (Fattispecie relativa alla contrattazione collettiva per i dipendenti degli aeroporti). Cass. civ. sez. lav. 8 luglio 2002, n. 9871
La circostanza che il lavoro notturno sia prestato con regolarità secondo turni periodici – e cioè con modalità che, a norma dell’art. 2108, secondo comma, c.c. escluderebbero la necessità di una maggiorazione retributiva – non comporta la necessaria incidenza della maggiorazione retributiva spettante per il lavoro notturno, nonostante tale regolarità, a norma di disposizione di maggiore favore del contratto collettivo, nel computo di quei trattamenti economici – quale le mensilità supplementari – per i quali la legge non impone il riferimento ad una nozione omnicomprensiva di retribuzione, se per questi trattamenti il contratto collettivo fa riferimento ad una nozione di retribuzione comportante la non rilevanza di detta maggiorazione. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 17 ottobre 2001, n. 12683
Ai fini della corresponsione al dipendente della maggiore retribuzione per lavoro notturno, la prestazione di attività in turni non avvicendati, cui la contrattazione collettiva ricolleghi una percentuale di maggiorazione più elevata rispetto a quella disposta in caso di turni avvicendati, correttamente va intesa nel senso di aver riguardo alle ipotesi in cui la mancanza di alternanza intercorra fra i turni diurni e notturni fondandosi tale interpretazione su di una ragione di maggiore onerosità complessiva della prestazione. Cass. civ. sez. lav. 13 agosto 2001, n. 11071
Ai fini dell’attribuzione delle maggiorazioni retributive per il lavoro notturno – che l’art. 2108, secondo comma, c.c. riconosce soltanto nel caso in cui il suddetto lavoro non sia compreso in regolari turni periodici, ma che i contratti collettivi, di solito, prevedono (sia pure con percentuali diverse) anche per il lavoro notturno compreso i turni periodici, in considerazione dell’indubbia penosità di tale lavoro – è essenziale in ogni caso stabilire se il lavoro notturno sia o meno compreso in regolari turni periodici. Al riguardo si deve tener presente, in primo luogo, che l’avvicendamento nel turno di lavoro si realizza quando il periodo assegnato a ciascun lavoratore per l’esecuzione della prestazione venga predisposto in regolare alternanza con i turni di lavoro altrui e, in secondo luogo, che in mancanza di turni avvicendati, ai fini della citata disposizione codicistica, è sufficiente che il lavoro sia comunque prestato in ore notturne, senza che sia necessario che esso abbia carattere di anormalità (competendo la relativa maggiorazione anche nell’ipotesi di orario di lavoro esclusivamente notturno) e senza che rilevi – ai fini dell’eventuale esclusione della penosità della situazione – la circostanza della volontarietà della prestazione nel turno notturno non avvicendato. Cass. civ. sez. lav. 1 giugno 2001, n. 7434
Il lavoro notturno prestato con caratteri di periodicità regolare costituisce una modalità temporale propria delle mansioni svolte nelle ore notturne, piuttosto che un prolungamento di durata delle medesime, e, pertanto, esso, non essendo rispondente ad esigenze aziendali imprevedibili, non è assimilabile al lavoro straordinario, con la conseguenza che ad esso non si estende la negazione del diritto a compenso per quello stabilita dall’art. 1 R.D.L. n. 692 del 1923, in relazione allo svolgimento di funzioni direttive per le quali non risulti previsto l’orario normale di lavoro comunque la durata massima dello stesso. Cass. civ. sez. lav. 7 marzo 2001, n. 3302
La maggiorazione corrisposta a titolo di compenso per lavoro notturno prestato secondo turni ricorrenti e con cadenza programmata va computata nella base di calcolo degli istituti per i quali la legge o il contratto preveda come base la retribuzione globale di fatto, salva la facoltà della contrattazione collettiva di garantire lo stesso risultato retributivo con altri meccanismi di calcolo. (Fattispecie relativa alla previsione del contratto collettivo dei lavoratori aeroportuali per il calcolo delle mensilità supplementari). Cass. civ. sez. lav. 9 ottobre 2000, n. 13443