Art. 2099 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Retribuzione

Articolo 2099 - codice civile

La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo e deve essere corrisposta nella misura determinata dalle norme corporative (1), con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito (2103, 2955, 2956; 36, 37 Cost.).
In mancanza di norme corporative o (1) di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice, tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali (1).
Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili (2102) o ai prodotti (2121), con provvigione o con prestazioni in natura.

Articolo 2099 - Codice Civile

La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo e deve essere corrisposta nella misura determinata dalle norme corporative (1), con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito (2103, 2955, 2956; 36, 37 Cost.).
In mancanza di norme corporative o (1) di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice, tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali (1).
Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili (2102) o ai prodotti (2121), con provvigione o con prestazioni in natura.

Note

(1) Le espressioni «nella misura determinata dalle norme corporative», «di norme corporative o» e «tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali» sono da ritenersi abrogate dal R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e dal D.L.vo Lgt. 23 novembre 1944, n. 369.

Massime

Nel contratto di lavoro – ove le prestazioni sono corrispettive, in quanto all’obbligo di lavorare dell’una corrisponde l’obbligo di remunerazione dell’altra – ciascuna parte può valersi dell’eccezione di inadempimento prevista dall’art. 1460 c.c. dovendosi escludere che alla inadempienza del lavoratore il datore di lavoro possa reagire solo con sanzioni disciplinari o, al limite, con il licenziamento, oppure col rifiuto di ricevere la prestazione parziale a norma dell’art. 1181 c.c. e con la richiesta di risarcimento. Fine consegue che, nel caso di inadempimento della prestazione lavorativa il datore di lavoro non è tenuto al pagamento delle retribuzioni ove ricorrano le condizioni dell’art. 1460 c.c. Cass. civ. sez. lav. 11 ottobre 2012, n. 17353

Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro si trovi nell’impossibilità di ricevere la prestazione lavorativa per causa a lui non imputabile (nella specie, per l’adesione ad uno sciopero da parte della stragrande maggioranza del personale dipendente e la conseguente inutilizzabilità del personale residuo non scioperante), il diritto alla retribuzione non viene meno per quei lavoratori il cui rapporto di lavoro sia già sospeso per malattia ai sensi dell’art. 2110 c.c. atteso che la speciale disciplina dettata per ragioni di carattere sociale dall’art. 2110 c.c. investe in via esclusiva il rapporto tra datore di lavoro e singolo lavoratore, e su di essa non possono pertanto incidere le ragioni che, nel medesimo periodo di sospensione del rapporto, rendano impossibile la prestazione di altri dipendenti in servizio, senza che, peraltro, possa in tal modo configurarsi una violazione del principio di parità di trattamento, posto che detto principio non può essere validamente invocato al fine di eliminare un regime differenziale voluto a tutela di particolari condizioni già ritenute meritevoli di un trattamento privilegiato. Cass. civ. sez. lav. 31 maggio 2010, n. 13256

Il principio generale secondo cui la retribuzione non spetta in assenza della corrispondente prestazione o della formale relativa offerta si applica anche al rapporto fra livello della prestazione (o della qualifica, che la presuppone) ed adeguata corrispondente retribuzione, nel qual caso deve negarsi la maggiore adeguata retribuzione solo se non vi sia (o non sia stata formalmente offerta) la prestazione di corrispondente livello. Ove, invece, la prestazione con il più elevato livello della confessa qualifica sia stata effettuata, assume rilievo il diverso principio previsto dall’art. 2103 c.c. in presenza delle necessarie condizioni normative, salvo che, in presenza di specifiche condizioni, un più elevato livello di qualifica sia separato, per incontestata disposizione del datore di lavoro, dalla maggiore relativa retribuzione e dalla stessa materiale corrispondente prestazione, e sia retroattivamente attribuito, nel qual caso, con la separazione e la retroattiva attribuzione della qualifica, non sussiste il diritto alla contestuale retribuzione corrispondente alla qualifica. Cass. civ. sez. lav. 8 giugno 2009, n. 13162

Al dipendente che sospenda volontariamente l’esecuzione della prestazione lavorativa, finché non provveda a mettere nuovamente a disposizione la stessa, anche se “per facta concludentia” e senza ricorrere a specifici requisiti formali, determinando una “mora accipiendi” del datore di lavoro, non è dovuta la retribuzione, atteso che, in applicazione della regola generale di effettività e corrispettività delle prestazioni, quest’ultima spetta soltanto se la prestazione di lavoro viene effettivamente eseguita, salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di “mora accipiendi” nei confronti del dipendente. Peraltro, anche a tali fini, l’atto di costituzione in mora – ancorché effettuabile da un terzo, da un “nuncius” o da un rappresentante – configura un atto giuridico in senso stretto a carattere recettizio, sicché deve essere rivolto al datore di lavoro affinché possa risultare formalizzato il rifiuto a ricevere la prestazione. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 23 luglio 2008, n. 20316

Il principio generale di effettività e corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro comporta che, al di fuori delle espresse deroghe legali o contrattuali, la retribuzione spetti soltanto se la prestazione di lavoro viene eseguita, salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di mora credendi nei confronti dei dipendenti. Fine consegue che sono validi, in linea di principio, i patti conclusi tra i lavoratori ed il datore di lavoro per la sospensione del rapporto di lavoro; tali fatti non hanno ad oggetto diritti di futura acquisizione e non concretano rinunzia alla retribuzione, invalida ex art. 2113 c.c. atteso che la perdita del corrispettivo discende dalla mancata esecuzione della prestazione. Cass. civ. sez. lav. 19 maggio 2003, n. 7843

In caso di sospensione dell’attività lavorativa per l’attualità di una crisi aziendale implicante la possibilità di intervento della cassa integrazione guadagni, la qualificazione giuridica delle somme corrisposte a titolo di anticipazione della prestazione previdenziale è consentita solo all’esito del procedimento per l’ammissione al trattamento di integrazione salariale, e in caso di mancato accoglimento della richiesta di intervento della C.I.G. tali importi costituiscono solo una parte della retribuzione, al cui pagamento il datore di lavoro continua ad essere interamente obbligato in base alla disciplina generale delle obbligazioni e dei contratti con prestazioni corrispettive, trovandosi in una situazione di “mora credendi” rispetto ad una sospensione unilateralmente da lui disposta, in difetto del relativo potere. Conseguentemente, la persistenza dell’obbligo retributivo in capo al datore di lavoro in caso di sospensione dell’attività lavorativa non seguita da intervento della c.i.g. comporta necessariamente l’assoggettamento a contribuzione previdenziale e assicurativa delle somme che risultano corrisposte a titolo di anticipazione dell’integrazione salariale, ma sono da imputare definitivamente alla retribuzione contrattualmente dovuta. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 23 giugno 2010, n. 15207

Poiché il provvedimento di ammissione alla cassa integrazione guadagni ha efficacia costitutiva del rapporto previdenziale e derogatoria della disciplina del rapporto di lavoro, in caso di successivo provvedimento che, respingendo la domanda di rinnovo e prosecuzione del beneficio, disponga la cessazione dello stesso a partire da una determinata data, il datore di lavoro è non di meno esonerato dagli obblighi retributivi per il periodo compreso tra la cessazione del beneficio ed il provvedimento di diniego ove vi sia stata una sospensione del rapporto di lavoro non addebitabile a colpa del datore di lavoro e sia mancata l’offerta da parte dei lavoratori di riprendere il proprio lavoro con la messa a disposizione delle proprie energie. Cass. civ. sez. lav. 13 marzo 2009, n. 6225

È valido l’accordo col quale l’imprenditore e le organizzazioni sindacali pattuiscano, ai fini del ricorso alla Cassa integrazione guadagni, una sospensione del rapporto di lavoro con esonero del datore di lavoro dall’obbligazione retributiva indipendentemente dall’esito della richiesta di concessione dell’integrazione salariale; per l’efficacia di tale accordo è tuttavia indispensabile che i lavoratori interessati abbiano conferito specificamente ai rappresentanti sindacali l’incarico di stipularlo, oppure che provvedano a ratificarne l’operato, trattandosi di accordo che incide immediatamente sulla disciplina dei contratti individuali di lavoro e sui diritti di cui i singoli sono già titolari. Tanto l’incarico che la successiva ratifica possono essere espressi anche mediante comportamenti concludenti, purché si tratti di condotte significative della volontà degli interessati, in quanto l’iscrizione all’associazione sindacale non è atto idoneo a conferirle anche il potere di disporre di diritti acquisiti al patrimonio del lavoratore. Cass. civ. sez. lav. 22 ottobre 1999, n. 11916,

Gli effetti della sospensione cautelare dal servizio permangono no all’esito del procedimento penale o disciplinare, il cui esito favorevole condiziona il diritto del lavoratore alla percezione delle retribuzioni non corrisposte. Fine consegue che, qualora il rapporto di lavoro sia risolto per dimissioni del lavoratore, intervenute prima della conclusione in senso a lui favorevole del procedimento penale e senza che sia mai stato instaurato il procedimento disciplinare, al lavoratore competono tutte le retribuzioni per il periodo di sospensione cautelare, dovendosi ritenere la misura, avente carattere provvisorio, caducata e non potendo, per contro, un atto volontario del prestatore di lavoro, di carattere non disciplinare, assumere valenza retroattiva ai fini dell’interruzione del rapporto. Cass. civ. sez. lav. 7 luglio 2014, n. 15444

Ove il procedimento disciplinare si concluda in senso sfavorevole al dipendente con l’adozione della sanzione del licenziamento, la precedente sospensione dal servizio – pur strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al provvedimento risolutivo del rapporto, giacchè adottata in via meramente cautelare in attesa del secondo – si salda con il licenziamento, tramutandosi in definitiva interruzione del rapporto e che legittimando il recesso del datore di lavoro retroattivamente, con perdita “ex tunc” del diritto alle retribuzioni a far data dal momento della sospensione medesima. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 9 settembre 2008, n. 22863

In mancanza di una diversa previsione della contrattazione collettiva, l’adozione della misura della sospensione cautelare non priva il lavoratore del diritto alla retribuzione, né determina, ove il procedimento disciplinare si sia concluso in senso sfavorevole al dipendente, l’efficacia retroattiva del recesso del datore di lavoro, con conseguente perdita ex tunc della retribuzione dalla data dalla sospensione. Cass. civ. sez. lav. 6 giugno 2008, n. 15070

Ogni attività oggettivamente configurabile come di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso, salva la prova da fornirsi da colui che contesti l’onerosità che la stessa sia caratterizzata da gratuità; una tale prova, peraltro, non può essere desunta soltanto dalle formali pattuizioni intercorse tra le parti, ma deve consistere nell’accertamento, specie attraverso le modalità di svolgimento del rapporto, di particolari circostanze, oggettive o soggettive (modalità, quantità del lavoro, condizioni economico-sociali delle parti, relazioni tra esse intercorrenti), che giustifichino la causa gratuita e consentano di negare, con certezza, la sussistenza di un accordo elusivo dell’irrinunciabilità della retribuzione, senza che sia sufficiente la semplice dimostrazione che il lavoratore si riprometta di ricavare dalla prestazione gratuita un vantaggio futuro e non pecuniario (nella specie, l’acquisizione del punteggio derivante dallo svolgimento di attività d’insegnamento, utile ai fini dell’assunzione presso istituzioni pubbliche). Cass. civ. sez. L, 28 marzo 2017, n. 7925

Nel rapporto di lavoro subordinato, l’onere di provare la durata della prestazione, nonché, al suo interno, la misura dell’effettivo impegno lavorativo in termini di giorni e ore, grava sul lavoratore che agisca per il riconoscimento del diritto al pagamento delle retribuzioni o di differenze di retribuzione, salvo che, in presenza di una misura predeterminata e normale delle prestazioni, sia il datore di lavoro ad eccepire il mancato adempimento dei corrispondenti obblighi. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 7 novembre 2000, n. 14468

In tema di rapporto di lavoro subordinato, le obbligazioni delle parti si inseriscono all’interno di un rapporto contrattuale sinallagmatico di carattere continuativo che rende inapplicabile il principio, valido per le obbligazioni unilaterali, secondo cui le obbligazioni non possono avere carattere perpetuo, dovendosi ritenere che le erogazioni da parte del datore di lavoro trovano la loro causa nelle prestazioni lavorative dei dipendenti, intesi sia come singoli che come collettività, mentre queste ultime traggono, a loro volta, la giustificazione nelle erogazioni a carico del datore, tra le quali rientrano tutte le somme di denaro, a qualsiasi titolo, anche diverso dallo stipendio di base e dalle voci previste dalla contrattazione collettiva, corrisposte ai dipendenti in maniera stabile e continuativa. Fine consegue che il datore di lavoro non purecedere unilateralmente, senza accordo preventivo, dall’obbligo a suo carico di corrisponderle, integrando l’eventuale loro cessazione, in assenza di specifica giustificazione di carattere giuridico (e non semplicemente di natura economica), una forma di inadempimento contrattuale che può essere, secondo i casi, totale o parziale. Cass. civ. sez. lav. 22 novembre 2010, n. 23614

Anche nel contratto di lavoro subordinato – fermo restando il divieto di unilaterale riduzione della retribuzione di cui all’art. 2099 c.c. – è possibile concordare la modifica delle originarie condizioni contrattuali relative agli aspetti retributivi per facta concludentia e cianche se il contratto sia stato stipulato per iscritto. Cass. civ. sez. lav. 14 marzo 2006, n. 5496

L’arbitrario mutamento di denominazione di un emolumento ad iniziativa di uno dei soggetti del rapporto di lavoro non vale di per sé ad attribuirgli natura e finalità diversa da quelle desumibili dalla sua natura e destinazione, giacché in caso contrario si consentirebbe un’inammissibile frode di una delle parti. Cass. civ. sez. lav. 28 giugno 1995, n. 7326

L’art. 36, comma 1, Cost. garantisce sia il diritto ad una retribuzione proporzionata, che assicura ai lavoratori una ragionevole commisurazione della propria ricompensa alla quantità e qualità dell’attività prestata, sia quello ad una retribuzione sufficiente, ossia che non ricada sotto il livello minimo, ritenuto, in un determinato momento storico e nelle condizioni concrete di vita esistenti, necessario ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera dignitosa, sicché il mancato adeguamento della retribuzione all’aumentato costo della vita, per un lungo periodo lavorativo, comporta che quanto percepito non sia più proporzionato al valore del lavoro secondo la valutazione fatta inizialmente dalle stesse parti. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 30 novembre 2016, n. 24449

Il potere di emettere una decisione secondo equità ai sensi dell’art. 114 c.p.c. si differenzia dal potere di determinare, nel processo del lavoro, la retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost. atteso che, nel primo caso, la decisione viene adottata a prescindere dallo stretto diritto e presuppone l’istanza delle parti, mentre, nel secondo, non è necessaria alcuna richiesta delle parti e la decisione viene adottata secondo le norme di diritto alla stregua della normativa vigente, con applicazione, in via parametrica, del contratto collettivo di settore di cui non sia possibile l’applicazione diretta e sul presupposto che la retribuzione di fatto corrisposta si appalesa rispondente ai criteri di adeguatezza e proporzionalità posti dalla norma costituzionale. Fine consegue che la sentenza con la quale è stata determinata la giusta retribuzione è appellabile ai sensi dell’art. 339, primo comma, c.p.c. Cass. civ. sez. lav. 22 dicembre 2009, n. 26985

Il principio della retribuzione sufficiente di cui all’articolo 36 della Costituzione riguarda esclusivamente il lavoro subordinato e non può essere invocato in tema di compenso per prestazioni lavorative, autonome, ancorché rese, con carattere di continuità e coordinazione, nell’ambito di un rapporto di collaborazione, assimilabili a quelle svolte in regime di subordinazione. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 21 ottobre 2000, n. 13941

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