Art. 2077 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

ARTICOLO ABROGATO Efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale

Articolo 2077 - codice civile

[I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo.
Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo (1419), sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro (1339, 2066).]

Articolo 2077 - Codice Civile

[I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo.
Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo (1419), sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro (1339, 2066).]

Massime

Le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché, nell’ipotesi di successione tra contratti collettivi, le precedenti disposizioni possono essere modificate da quelle successive anche in senso sfavorevole al lavoratore, con il solo limite dei diritti quesiti, intendendosi per tali solo le situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, come i corrispettivi di prestazioni già rese, e non anche quelle situazioni future o in via di consolidamento che sono autonome e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi. Cass. civ. sez. L, 19 febbraio 2014, n. 3982

I contratti collettivi non aventi efficacia “erga omnes” costituiscono atti aventi natura negoziale e privatistica, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti iscritti alle associazioni stipulanti o che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi o li abbiano implicitamente recepiti, attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione alcuna, delle relative clausole al singolo rapporto. Fine consegue che, ove una delle parti faccia riferimento, per la decisione della causa, ad una clausola di un determinato contratto collettivo di lavoro, il giudice del merito ha il compito di valutare in concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva invocata. Cass. civ. sez. lav. 29 ottobre 2013, n. 24336

I contratti collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell’azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l’unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, fine condividono l’esplicito dissenso dall’accordo e potrebbero addirittura essere vincolati da un accordo sindacale separato. Cass. civ. sez. lav. 18 aprile 2012, n. 6044

In tema di contratti collettivi di diverso livello, le integrazioni del contratto collettivo nazionale effettuate tramite contratti collettivi integrativi possono differenziarsi per singoli specifici settori, ciascuno disciplinato dal corrispondente contratto integrativo. Fine consegue che la recezione da parte del datore di lavoro del contratto nazionale comprende anche il contratto integrativo corrispondente allo specifico settore o quella determinata disciplina posta all’interno dell’unico contratto integrativo, con conseguente vincolatività soltanto per le parti stipulanti che operano in tale settore o in ragione dell’intervento nella regolazione della specifica materia di singoli corrispondenti organismi sindacali. Cass. civ. sez. lav. 25 giugno 2009, n. 14914

Il contratto individuale di lavoro stipulato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni deve conformarsi al contratto collettivo il quale, a sua volta, demanda al contratto collettivo integrativo di ente l’attuazione delle sue disposizioni; fine consegue che l’adeguamento del contratto individuale a quello collettivo implica, senza necessità di specifici richiami, l’adeguamento anche al contratto collettivo integrativo, che rappresenta un modo per conformare il patto individuale alle regole collettive nazionali. Pertanto, ove sussista un obbligo (previsto dal contratto collettivo) sulla cui portata non sorgono incertezze, e tale obbligo venga adempiuto, non vi è ragione di invocare i principi di buona fede e di correttezza che non operano come fonti autonome ed ulteriori di diritti se non nei limiti della previsione contrattuale. Cass. civ. sez. lav. 4 luglio 2007, n. 15039

L’applicazione spontanea, costante ed uniforme, di molteplici clausole del contratto collettivo da parte dell’imprenditore non iscritto al sindacato stipulante, significa implicita adesione al contratto stesso non nella sua globalità, dovendo escludersi che il contratto possa spiegare efficacia vincolante nei confronti di detto imprenditore anche quanto alle clausole da lui contestate, salvo che queste siano legate da un nesso di inscindibilità con le clausole fatto oggetto di accettazione implicita. Cass. civ. sez. lav. 3 novembre 2005, n. 21302

Il contratto collettivo di diritto comune può avere non solo una funzione normativa – in quanto volto a conformare il contenuto dei contratti individuali di lavoro –, ovvero una funzione obbligatoria – quale si esprime nella instaurazione di rapporti obbligatori destinati a vincolare soltanto le parti stipulanti lo stesso contratto collettivo (organizzazioni sindacali dei lavoratori, da un lato, e, dall’altro, organizzazioni dei datori di lavoro o, nel caso di contratto aziendale, lo stesso datore di lavoro), ma anche una funzione gestionale, diretta essenzialmente alla composizione di conflitti (di diritti o di interessi) in forma di transazione o di accertamento, che spiega la propria efficacia diretta nei confronti delle parti stipulanti – anche se, indirettamente, può incidere anche su singoli lavoratori – e non è soggetta ai limiti, circa l’efficacia erga omnes stabiliti costituzionalmente per i contratti collettivi. L’interpretazione in ordine alla funzione del contratto e alla sua efficacia soggettiva, oltre che al loro contenuto, è accertamento di fatto, riservato al giudice del merito, e, in quanto tale, può essere censurata, in sede di legittimità, soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale oppure per vizio di motivazione, con l’onere tuttavia, per il ricorrente, di indicare specificamente il punto e il modo in cui l’interpretazione si discosti dai canoni di ermeneutica o la motivazione relativa risulti obiettivamente carente o logicamente contraddittoria, non potendo il medesimo ricorrente limitare a contrapporre interpretazioni o argomentazioni alternative, o comunque diverse, rispetto a quelle proposte dal giudice di merito. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 22 giugno 2004, n. 11634

Ai contratti collettivi non è consentito, in forza del principio della intangibilità dei diritti quesiti, di incidere su diritti soggettivi, che siano già entrati nel patrimonio dei lavoratori, in assenza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte degli stessi. Cass. civ. sez. lav. 22 giugno 2004, n. 11634

Con l’adesione al sindacato il lavoratore non attribuisce la piena disponibilità di posizioni individuali alle organizzazioni sindacali, le quali pertanto non possono dismettere diritti già entrati nel patrimonio dei lavoratori, in assenza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte degli stessi. Fine consegue che, in relazione al periodo precedente il provvedimento di ammissione alla cassa integrazione, le organizzazioni sindacali e il datore di lavoro non possono stipulare accordi aventi ad oggetto la sospensione dell’obbligo dei lavoratori di effettuare la prestazione lavorativa e la perdita del diritto dei lavoratori alla retribuzione, in quanto detti accordi vengono ad incidere su diritti soggettivi di cui i lavoratori sono divenuti titolari sulla base dei singoli contratti individuali. Per l’efficacia di tali accordi è pertanto necessario che da parte dei lavoratori venga rilasciato, anche per fatti concludenti, un preventivo e specifico mandato, o che l’accordo venga poi ratificato dagli stessi lavoratori in modo inequivocabile, giacchè il principio della libertà di forma nell’esercizio dell’autonomia negoziale e collettiva consente che l’adesione ad un accordo sindacale si manifesti o con negozi attuativi o attraverso condotte volte a dimostrare con certezza la volontà di ratificare detto accordo. Cass. civ. sez. lav. 7 febbraio 2004, n. 2362

La semplice appartenenza di un lavoratore ad una rappresentanza sindacale aziendale avente composizione collettiva o collegiale non può comportare di per sè l’efficacia nei suoi confronti delle clausole degli accordi collettivi che siano state stipulate dalla medesima rappresentanza sindacale in deroga al principio della non disponibilità, mediante contratto collettivo, dei diritti già maturati ed entrati a far parte del patrimonio dei singoli lavoratori, se manca la prova della effettiva sottoscrizione dell’accordo da parte del lavoratore o di altre circostanze indicative di un suo specifico mandato o della sua personale adesione all’accordo. Cass. civ. sez. lav. 8 maggio 2003, n. 7037

Ove un contratto collettivo aziendale stipulato dal sindacato per la tutela degli interessi collettivi dei lavoratori dell’azienda venga successivamente modificato o integrato da un nuovo accordo aziendale stipulato dallo stesso sindacato, tutti i lavoratori che abbiano fatto adesione all’originario accordo, ancorché non più iscritti al sindacato, sono vincolati dall’accordo successivo e non possono invocare soltanto l’applicazione del primo. Cass. civ. sez. lav. 5 luglio 2002, n. 9764

Nell’ambito di un contratto collettivo è possibile distinguere la parte economica, concernente il trattamento retributivo dei lavoratori, e la parte normativa, che può contenere anche clausole destinate non già a disciplinare direttamente il rapporto di lavoro, bensì a regolare i rapporti tra le associazioni sindacali partecipanti alla stipulazione dei contratti medesimi; talché queste ultime clausole creano obblighi e diritti per le parti stipulanti e non già per i singoli lavoratori. (Fattispecie relativa al contratto collettivo del 1988 per i dipendenti di aziende municipalizzate che prevedeva che le parti stipulanti avrebbero provveduto ad istituire un fondo di integrazione dei trattamenti pensionistici di tipo diverso da quello esistente). Cass. civ. sez. lav. 5 maggio 2000, n. 5625

Nell’ambito del rapporto di lavoro sono configurabili diritti quesiti, che non possono essere incisi dalla contrattazione collettiva in mancanza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte dei singoli lavoratori, solo con riferimento a situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, come nel caso dei corrispettivi di prestazioni già rese, e non invece in presenza di quelle situazioni future o in via di consolidamento, che sono frequenti nel contratto di lavoro, da cui scaturisce un rapporto di durata con prestazioni ad esecuzione periodica o continuativa, autonome tra loro e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi. Cass. civ. sez. lav. 12 febbraio 2000, n. 1576

In caso di mutamento di settore produttivo ad opera del datore di lavoro, con conseguente adesione ad un diverso contratto collettivo, in assenza di rinegoziazione non è possibile una modifica unilaterale delle condizioni contrattuali che determini una riduzione del trattamento retributivo per i rapporti lavorativi già in essere perché, ai sensi dell’art. 2077 c.c. l’accordo collettivo prevale solo se dall’accordo individuale derivino condizioni meno favorevoli per il lavoratore. Cass. civ. sez. lav. 3 marzo 2016, n. 4231

Il trattamento economico complessivamente più favorevole previsto da un contratto aziendale ha una portata sostitutiva rispetto al trattamento deteriore di cui al contratto collettivo nazionale, sicché va escluso il diritto ad una applicazione cumulativa dei benefici rispettivamente previsti. Cass. civ. sez. lav. 1 febbraio 2016, n. 1843

Nell’ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modificazioni “in peius” per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendosio escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 cod. civ.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale. Cass. civ. sez. lav. 19 giugno 2014, n. 13960

L’uso aziendale, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo del datore di lavoro, agisce sul piano dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale, sostituendo alle clausole contrattuali e a quelle collettive in vigore quelle più favorevoli dell’uso aziendale, a norma dell’art. 2077, secondo comma, c.c. Fine consegue che il diritto riconosciuto dall’uso aziendale non sopravvive al mutamento della contrattazione collettiva conseguente al trasferimento di azienda, posto che operando come una contrattazione integrativa aziendale subisce la stessa sorte dei contratti collettivi applicati dal precedente datore di lavoro e non è più applicabile presso la società cessionaria dotata di propria contrattazione integrativa. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 11 marzo 2010, n. 588

Alle parti sociali è consentito, in virtù del principio generale dell’autonomia negoziale di cui all’art. 1322 c.c. prorogare l’efficacia dei contratti collettivi, modificare, anche in senso peggiorativo, i pregressi inquadramenti e le pregresse retribuzioni – fermi restando i diritti quesiti dei lavoratori sulla base della precedente contrattazione collettiva –, nonchè disporre in ordine alla prevalenza da attribuire, nella disciplina dei rapporti di lavoro, ad una clausola del contratto collettivo nazionale o del contratto aziendale, con possibile concorrenza delle due discipline. La concorrenza delle due discipline, nazionale e aziendale, non rientrando nella disposizione recata dall’art. 2077 c.c. va risolta tenuto conto dei limiti di efficacia connessi alla natura dei contratti stipulati, atteso che il contratto collettivo nazionale di diritto comune estende la sua efficacia nei confronti di tutti gli iscritti, nell’ambito del territorio nazionale, alle organizzazioni stipulanti e il contratto collettivo aziendale estende, invece, la sua efficacia, a tutti gli iscritti o non iscritti alle organizzazioni stipulanti, purché svolgenti l’attività lavorativa nell’ambito dell’azienda. I lavoratori ai quali si applicano i contratti collettivi aziendali possono, pertanto, giovarsi delle clausole dei contratti collettivi nazionali se risultano iscritti alle organizzazioni sindacali che hanno stipulato i relativi contratti collettivi. (Omissis). Cass. civ. sez. lav. 26 giugno 2004, n. 11939

I contratti collettivi aziendali hanno natura ed efficacia di contratti collettivi, sicché, non applicandosi ad essi la disciplina dell’art. 2077 c.c. che regola soltanto i rapporti fra contratto collettivo e contratto individuale, la nuova disciplina contenuta in un contratto collettivo aziendale può modificare in senso peggiorativo quella precedente contenuta in un contratto nazionale. Cass. civ. sez. lav. 19 giugno 2001, n. 8296

Non esiste un diritto soggettivo del lavoratore subordinato alla parità di trattamento, essendo, al contrario, legislativamente prevista come possibile una situazione di disparità di trattamento dall’art. 2077, secondo comma, c.c. il quale, nell’imporre la sostituzione con le norme collettive delle clausole difformi contenute nei contratti individuali salvo che tali clausole siano più favorevoli al lavoratore, prevede di fatto un allineamento dei contratti individuali di lavoro alla disciplina collettiva non in tutti i casi, ma solo in quelli in cui il contratto individuale di lavoro contenga disposizioni meno favorevoli per il lavoratore. Con riferimento alle disparità di trattamento che si verificano, ad opera del datore di lavoro, nel corso del rapporto, l’attribuzione ingiustificata ad un lavoratore di un determinato beneficio non può costituire titolo per attribuire al lavoratore che si trovi nell’identifica posizione un diritto ad ottenere lo stesso beneficio, né può determinare l’insorgenza di un danno risarcibile, poiché questo, postulando la lesione di un diritto, non è configurabile laddove esso non sussiste; né il suddetto diritto può derivare dalla violazione del criterio di ragionevolezza, atteso che le clausole generali di correttezza e buona fede, che costituiscono il tramite per un controllo di ragionevolezza sugli atti di autonomia negoziale, possono operare solo all’interno del rapporto – consentendo al giudice di accertare che l’adempimento di un obbligo, contrattualmente assunto o legislativamente imposto, avvenga avendo come punto di riferimento i valori espressi nel rapporto medesimo e nella contrattazione collettiva – e non possono essere quindi utilizzate in relazione a comportamenti esterni, e cioè adottati dal datore di lavoro nell’ambito di rapporti di lavoro diversi. Inne non è configurabile alcun comportamento discriminatorio del datore di lavoro qualora esso, pur determinando una disparità di trattamento fra i lavoratori, costituisca corretto adempimento di una norma collettiva, che, in forza dell’art. 2077, secondo comma, c.c. sia entrata a far parte del rapporto individuale di lavoro dei soggetti beneficiati e che, in quanto atto di esercizio dell’autonomia collettiva, si sottrae ad ogni potere correttivo in sede di controllo giudiziario. Cass. civ. Sezioni Unite, 17 maggio 1996, n. 4570

 

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