L’inosservanza da parte della P.A. nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario non solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della P.A. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove sia volta a conseguire la condanna della stessa ad un “facere”, giacché la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell’amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del “neminem laedere”. Né è di ostacolo il disposto dell’art. 34 del d.l.vo n. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7 della l. n. 205 del 2000 – che devolve al giudice amministrativo le controversie in materia di urbanistica ed edilizia – giacché, a seguito della sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, tale giurisdizione esclusiva non è estensibile alle controversie nelle quali la P.A. non eserciti alcun potere autoritativo finalizzato al perseguimento di interessi pubblici alla cui tutela sia preposta. (Omissis) , Cass. civ. sez. III, 4 aprile 2019, n. 9318
Il risarcimento del danno in forma specifica, secondo il principio generale fissato dall’art. 2058 cod. civ. é applicabile anche alle obbligazioni contrattuali, in quanto rimedio alternativo al risarcimento per equivalente pecuniario, sicché il danneggiato può chiedere ed ottenere la reintegrazione in forma specifica anche quando il suo diritto di condomino sia leso per effetto di violazione del regolamento pattizio. Cass. civ. sez. II, 17 giugno 2015, n. 12582
In tema di responsabilità civile, il diritto del danneggiato ad ottenere il risarcimento in forma specifica in quanto più pienamente satisfattivo non può risolversi in un aggravio a suo carico, fermo restando, peraltro, che il persistente rifiuto, da parte sua, dell’offerta del danneggiante intesa a ripristinare direttamente i luoghi è suscettibile di valutazione ai fini della parziale compensazione delle spese di lite. (Omissis). Cass. civ. sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22347
Nel caso di responsabilità aquiliana, il risarcimento del danno in forma specifica non può mai cumularsi col risarcimento per equivalente, salvo il ristoro di eventuali ulteriori pregiudizi subiti dal danneggiato, pena la violazione del generale principio in virtù del quale il risarcimento non può mai trasformarsi in una fonte di arricchimento per la vittima; pertanto il proprietario di un immobile condominiale danneggiato da infilitrazioni, ove il condominio abbia provveduto a rifondergli le spese necessarie per il restauro, non può pretendere anche il risarcimento del danno da deprezzamento dell’immobile, a meno che non dimostri che, a restauro avvenuto, l’immobile abbia comunque perduto parte del suo valore. Cass. civ. sez. II, 8 maggio 2009, n. 10663
Il risarcimento del danno per equivalente costituisce una reintegrazione del patrimonio del creditore che si realizza mediante l’attribuzione, al creditore, di una somma di danaro pari al valore della cosa o del servizio oggetto della prestazione non adempiuta, e quindi si atteggia come la forma, per così dire, tipica di ristoro del pregiudizio subito dal creditore per effetto dell’inadempimento dell’obbligazione da parte del debitore, mentre il risarcimento in forma specifica, essendo diretto al conseguimento dell’eadem res dovuta, tende a realizzare una forma più ampia e, di regola, più onerosa per il debitore, di ristoro del pregiudizio dallo stesso arrecato, dato che l’oggetto della pretesa azionata non è costituito da una somma di danaro, ma dal conseguimento, da parte del creditore danneggiato, di una prestazione del tutto analoga, nella sua specificità’ ed integrità’, a quella cui il debitore era tenuto in base al vincolo contrattuale. (Omissis). Cass. civ. sez. III, 16 giugno 2005, n. 12964
La domanda di risarcimento del danno in forma specifica – esperibile pure in materia contrattuale – postula per il suo accoglimento (al pari di quella di risarcimento per equivalente) l’esistenza di un danno come conseguenza di un determinato fatto, sicchè, in ipotesi d’inadempimento o inesatto adempimento di obbligazione contrattuale, pur presumendosi la colpa del debitore (art. 1218 c.c.), un danno deve sempre essere dedotto e provato; la concessione del risarcimento in forma specifica, peraltro, pur risolvendosi in un giudizio di fatto e rimanendo pertanto rimessa alla discrezionalità del giudice di merito richiede di essere specificamente motivata, attesa l’inapplicabilità di tale forma di risarcimento laddove eccessivamente onerosa per il debitore. Cass. civ. sez. II, 30 luglio 2004, n. 14599
In tema di risarcimento del danno, il principio secondo cui la scelta del tipo di risarcimento (se in forma specifica o per equivalente) spetta al danneggiato non osta a che il danneggiante, secondo i principi generali in tema di obbligazione e no a quando non intervenga la sentenza esecutiva, risarcisca spontaneamente il danno anche in forma diversa da quella scelta dal creditore, salva la possibilità per quest’ultimo di rifiuto, che, ove ingiustificato e determinante un aggravamento del danno, comporta tuttavia la riduzione del risarcimento dovuto, ai sensi dell’art. 1227, secondo comma, c.c. Cass. civ. sez. III, 21 maggio 2004, n. 9709
Poiché il risarcimento del danno da responsabilità aquiliana ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato se l’illecito non si fosse verificato, è da escludere la legittimità del ricorso alla reintegrazione in forma specifica qualora, per le circostanze del caso concreto, le spese necessarie ad essa sarebbero superiori rispetto alla somma alla quale avrebbe diritto il danneggiato ex art. 2056 c.c. in quanto in tal caso il danneggiato riceverebbe dalla reintegrazione una ingiustificata locupletazione. Cass. civ. sez. III, 22 maggio 2003, n. 8052
Il risarcimento in forma specifica, secondo il principio generale fissato dall’art. 2058 c.c. applicabile anche anche alle obbligazioni contrattuali, costituisce rimedio alternativo al risarcimento per equivalente pecuniario, sicché il creditore di un’obbligazione da contratto inadempiuta non può chiedere, a titolo di risarcimento del danno derivato al suo patrimonio dall’inadempimento o dall’inesatto adempimento di essa, congiuntamente sia l’attribuzione della somma in denaro idonea a reintegrare tale patrimonio della diminuzione economica derivatagli dall’inadempimento della prestazione dovuta – nel che consiste il danno –, che l’adempimento diretto della prestazione dovutagli da parte dell’obbligato, volto a rimuovere la causa – e cioè l’inadempimento – della lesione del suo patrimonio, ma deve optare per l’una o l’altra forma di risarcimento. Cass. civ. sez. III, 15 maggio 2003, n. 7529
Si ha eccessiva onerosità del risarcimento in forma specifica, ai sensi dell’art. 2058 c.c. quando il sacrificio economico necessario superi in misura eccessiva il valore da corrispondere in base al risarcimento per equivalente. Cass. civ. sez. III, 25 giugno 2013, n. 15875
In tema di danni, rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito (il cui mancato esercizio non è sindacabile in sede di legittimità) attribuire al danneggiato il risarcimento per equivalente, anziché in forma specifica come domandato dall’attore (sulla base di valutazione che si risolve in giudizio di fatto, ai sensi dell’art. 2058, secondo comma, c.c. del pari insindacabile in cassazione), costituendo il risarcimento per equivalente un “minus” rispetto al risarcimento in forma specifica e intendendosi, perciò la relativa richiesta implicita nella domanda di reintegrazione, con la conseguenza che non incorre nella violazione dell’art. 112 c.p.c. il giudice che pronunci d’ufficio una condanna al risarcimento per equivalente. Cass. civ. sez. II, 8 gennaio 2013, n. 259
La domanda di risarcimento del danno subito da un veicolo a seguito di incidente stradale, quando abbia ad oggetto la somma necessaria per effettuare la riparazione dei danni, deve considerarsi come richiesta di risarcimento in forma specifica, con conseguente potere del giudice, ai sensi dell’art. 2058, secondo comma, c.c. di non accoglierla e di condannare il danneggiante al risarcimento per equivalente, ossia alla corresponsione di un somma pari alla differenza di valore del bene prima e dopo la lesione, allorquando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del veicolo. Cass. civ. sez. III, 12 ottobre 2010, n. 21012
In materia di risarcimento del danno, secondo un principio che trova applicazione anche in materia contrattuale, rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito (il cui mancato esercizio non è sindacabile in sede di legittimità) attribuire al danneggiato il risarcimento per equivalente anzichè in forma specifica come domandato dall’attore (la valutazione di cui all’art. 2058, secondo comma, c.c. del pari essendo insindacabile in sede di legittimità risolvendosi in un giudizio di fatto). Tale facoltà si tramuta in dovere solamente quando la demolizione della cosa sia di pregiudizio all’economia nazionale, ai sensi della previsione di cui all’art. 2933, secondo comma, c.c. che limita l’eseguibilità in forma specifica degli obblighi di non fare riferendosi esclusivamente alle cose insostituibili ovvero di eccezionale importanza per l’economia nazionale la cui perdita risulti pregiudizievole per l’intera collettività là dove viene ad incidere sulle fonti di produzione o di distribuzione della ricchezza, a tale stregua pertanto non invocabile (nemmeno in tempi di crisi edilizia) al fine di evitare la demolizione totale o parziale di un edificio ad uso di abitazione. Cass. civ. sez. II, 17 febbraio 2004, n. 3004
In tema di risarcimento del danno, la tutela riservata ai diritti reali non consente l’applicabilità dell’art. 2058 c.c. nel caso di azioni volte a far valere uno di tali diritti, atteso il loro carattere assoluto, salvo che la demolizione della cosa sia di pregiudizio all’economia nazionale, dovendo il giudice, in tale evenienza, provvedere soltanto per equivalente ex art. 2933, comma 2, c.c. La verifica della sussistenza o meno di quest’ultima ipotesi non richiede, per che la parte obbligata assuma l’iniziativa ovvero manifesti la sua volontà in tal senso, trattandosi, piuttosto, dell’oggetto di un’eccezione in senso lato e, come tale, rilevabile d’ufficio da parte del giudice. Cass. civ. sez. II, 20 giugno 2019, n. 16611
Atteso il carattere assoluto dei diritti reali, la tutela degli stessi mediante reintegrazione in forma specifica non è soggetta al limite ex art. 2058, comma 2, c.c. salvo che lo stesso titolare danneggiato chieda il risarcimento per equivalente. Cass. civ. Sezioni Unite, 20 maggio 2016, n. 10499
In tema di risarcimento del danno per lesione dei diritti reali, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito (il cui mancato esercizio non è censurabile in sede di legittimità) attribuire d’ufficio al danneggiato il risarcimento per equivalente, anziché in forma specifica. Cass. civ. sez. III, 25 giugno 2013, n. 15875
L’art. 2058, secondo comma, c.c. il quale prevede la possibilità di ordinare il risarcimento del danno per equivalente anziché la reintegrazione in forma specifica, in caso di eccessiva onerosità di quest’ultima, non trova applicazione alle azioni intese a far valere un diritto reale, la cui tutela esige la rimozione del fatto lesivo, come nel caso della domanda di riduzione in pristino per violazione delle norme sulle distanze, atteso il carattere assoluto del diritto leso. Cass. civ. sez. II, 17 febbraio 2012, n. 2359
Ai sensi del comma 2 dell’art. 2058 c.c. in virtù del quale, anche se il danneggiato abbia chiesto, quando possibile, la reintegrazione in forma specifica, il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente ove la reintegrazione in forma specifica risulti eccessivamente onerosa per il debitore, la differenza fra risarcimento in forma specifica e risarcimento per equivalente consiste nel fatto che, nel primo, la somma dovuta è calcolata sui costi occorrenti per la riparazione, mentre, nel secondo, è riferita alla differenza fra il bene integro (e cioè nel suo stato originario) ed il bene leso o danneggiato. Cass. civ. sez. III, 21 novembre 2017, n. 27546
In tema di risarcimento danni per equivalente, la stima e la determinazione del pregiudizio da ristorare vanno operate alla stregua dei criteri praticati al momento della liquidazione, in qualsivoglia maniera compiuta, cioè secondo i parametri vigenti alla data della pattuizione convenzionale stipulata tra le parti, ovvero del pagamento spontaneamente effettuato dal soggetto obbligato, o della pronuncia (anche non definitiva) resa sulla domanda risarcitoria formulata in sede giurisdizionale o arbitrale, restando preclusa, una volta quantificato il danno con una di tali modalità, l’applicazione di criteri di liquidazione elaborati in epoca successiva. Cass. civ. sez. III, 28 febbraio 2017, n. 5013