Art. 2051 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Danno cagionato da cosa in custodia

Articolo 2051 - codice civile

Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito (1215, 1256, 1588, 1611, 2056).

Articolo 2051 - Codice Civile

Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito (1215, 1256, 1588, 1611, 2056).

Massime

In tema di danni causati a terzi da cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c., originati da un immobile condotto in locazione, sussiste la responsabilità del proprietario ove detti danni siano derivati da vizio strutturale del bene, che investa le mura od impianti ivi conglobati, dovendosi presumere che il conduttore sia stato immesso in queste condizioni nella disponibilità della “res locata”. Al contrario, la riconducibilità del menzionato vizio alle anomale iniziative dello stesso conduttore può assumere rilievo qualora essa sia dimostrata dal proprietario ai fini della rivalsa o quale caso fortuito, idoneo ad esonerare il locatore da responsabilità, ma solo nei limiti, tipici del “fatto del terzo” ex art. 2051 c.c., in cui tale riconducibilità, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento lesivo. Cass. civ. sez. III 26 niovembre 2019, n. 30729

In tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., perché le precipitazioni atmosferiche possano integrare l’ipotesi del caso fortuito, assumendo rilievo causale esclusivo, occorre che esse rivestano i caratteri dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità ed il conseguente accertamento, in particolare quello della ricorrenza di un “forte temporale”, di un “nubifragio” o di una “calamità naturale”, presuppone un giudizio da formulare – in relazione alla peculiarità del fenomeno – non sulla base di nozioni di comune esperienza, ma con un’indagine orientata essenzialmente da dati scientifici di tipo statistico (i cosiddetti dati pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della “res” oggetto di custodia. Cass. civ., sez. , III- 22 novembre 2019, n. 30521

La responsabilità ex art. 2051 c.c. dell’ente pubblico territoriale per il danno da esondazione di una tubazione di raccolta dell’acqua piovana situata in prossimità di un edificio, può essere esclusa ove sia accertata l’insanabile mancanza dello jus aedificandi della costruzione, potendo tale condotta avere un’efficacia causale esclusiva nella produzione del danno, qualora l’abuso risulti avere aggravato la posizione di garanzia assegnata alla pubblica amministrazione nella custodia dei propri beni. Cass. civ., sez. , III- 26 luglio 2019, n. 20312

Ove il proprietario di un impianto termico ne affidi, mediante contratto, la manutenzione ad un soggetto tecnicamente esperto, grava su quest’ultimo, quale “terzo responsabile” ai sensi dell’art. 31 della legge n. 10 del 1991, la responsabilità per il danno arrecato dall’impianto a terzi atteso che, ai sensi del secondo comma di tale disposizione e dell’art. 1, comma 1, lett. o), del d.p.r. n. 412 del 1993, l’affidamento della gestione e manutenzione e, quindi, della custodia dell’impianto comporta lo spostamento della responsabilità dal proprietario al delegato, ove il contratto di manutenzione risponda alle prescrizioni della citata legge n. 10 del 1991 e il delegato sia iscritto in apposito albo, possieda conoscenze tecniche adeguate alla complessità dell’impianto ed idonea capacità tecnica, economica e organizzativa, non coincida con il fornitore dell’energia e non deleghi a terzi l’attività di manutenzione. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza di appello che aveva ritenuto sussistente il diritto del condominio proprietario di un impianto termico di rivalersi sulla società incaricata della manutenzione delle somme versate a titolo di risarcimento del danno per l’inquinamento ambientale causato dal carburante fuoriuscito dall’impianto attraverso una griglia posta alla base della vasca di contenimento). Cass. civ., sez. , III 23 maggio 2019, n. 13966

In tema di responsabilità civile ex art. 2051 c.c., la custodia si concretizza non solo nel compimento sulla cosa degli interventi riparatori successivi, volti a neutralizzare, in un tempo ragionevole, gli elementi pericolosi non prevedibili, che si siano comunque verificati, ma anche in un’attività preventiva, che, sulla base di un giudizio di prevedibilità “ex ante”, predisponga quanto è necessario per prevenire danni eziologicamente attinenti alla cosa custodita; ne consegue che il caso fortuito idoneo ad escludere la responsabilità può rinvenirsi anche nella condotta del terzo, o dello stesso danneggiato, purché si traduca in un’alterazione imprevista ed imprevedibile, oltre che non tempestivamente eliminabile o segnalabile, dello stato della cosa. (Omissis). Cass. civ., sez. , VI 23 gennaio 2019, n. 1725

L’art. 2051 c.c., nell’affermare la responsabilità del custode della cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione che prescinde da qualunque connotato di colpa operando sul piano oggettivo dell’accertamento del rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso e della ricorrenza del caso fortuito, quale elemento idoneo ad elidere tale rapporto causale. (Omissis). Cass. civ., sez. , III 1 febbraio 2018, n. 2477

L’art. 2051 c.c. non prevede una responsabilità aquiliana, ovvero non richiede alcuna negligenza nella condotta che si pone in nesso eziologico con l’evento dannoso, bensì stabilisce una responsabilità oggettiva, che è circoscritta esclusivamente dal caso fortuito, e non, quindi, dall’ordinaria diligenza del custode. (Omissis). Cass. civ., sez. , VI 16 maggio 2017, n. 12027

In tema di danni da cose in custodia, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c. è sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, rapporto che postula l’effettivo potere sulla cosa, e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa, che comporti il potere dovere di intervento su di essa, e che compete al proprietario o anche al possessore o detentore. La disponibilità che della cosa ha l’utilizzatore non comporta, invece, necessariamente il trasferimento in capo a questi della custodia, da escludere in tutti i casi in cui, per specifico accordo delle parti, o per la natura del rapporto, ovvero per la situazione fattuale determinatasi, chi ha l’effettivo potere di ingerenza, gestione ed intervento sulla cosa, nel conferire all’utilizzatore il potere di utilizzazione della stessa, ne abbia conservato la custodia. (Omissis). Cass. civ., sez. , II 17 giugno 2013, n. 15096

La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia è oggettivamente configurabile qualora la cosa custodita sia di per sè idonea a sprigionare un’energia o una dinamica interna alla sua struttura, tale da provare il danno (scoppio di una caldaia, esalazioni venefiche da un manufatto, ecc.). Qualora per contro si tratti di cosa di per sè statica e inerte e richieda che l’agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione (buche, ostacoli imprevisti, mancanza di guard-rail, incroci non visibili e non segnalati, ecc.). (Nel caso di specie, il danneggiato non aveva dimostrato che la situazione dei luoghi era tale da giustificare l’invasione con l’autovettura della corsia di marcia opposta). Cass. civ., sez. , III 13 marzo 2013, n. 6306

La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode, posto che funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, intendendosi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta, salva la prova, che incombe a carico di tale soggetto, del caso fortuito, inteso nel senso più ampio di fattore idoneo ad interrompere il nesso causale e comprensivo del fatto del terzo o dello stesso danneggiato. (Omissis Il resto della massima è riportato infra, par. d-3). Cass. civ., sez. , III 19 maggio 2011, n. 11016

In tema di responsabilità civile per danni cagionati da cose in custodia, per aversi caso fortuito occorre che il fattore causale estraneo al soggetto danneggiante abbia un’efficacia di tale intensità da interrompere il nesso eziologico tra la cosa custodita e l’evento lesivo, ossia che possa essere considerato una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento. (Nella specie, la S.C. ha affermato che una pioggia di eccezionale intensità può costituire caso fortuito in relazione ai danni riportati dai proprietari di appartamenti inondati da acque tracimate a causa di tale evento, a condizione che l’ente preposto provi di aver provveduto alla manutenzione del sistema di smaltimento delle acque nella maniera più scrupolosa e che, nonostante ciò, l’evento dannoso si è ugualmente determinato). Cass. civ., sez. , III 9 marzo 2010, n. 5658

Il giudizio sulla pericolosità delle cose inerti deve essere condotto alla stregua di un modello relazionale, in base al quale la cosa venga considerata nel suo normale interagire con il contesto dato, sicché una cosa inerte in tanto può ritenersi pericolosa in quanto determini un alto rischio di pregiudizio nel contesto di normale interazione con la realtà circostante. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C. aveva escluso la responsabilità di un Comune in relazione al danno riportato da una persona che aveva urtato contro un ramo di un albero collocato sul ciglio di una strada, in condizioni di visibilità). Cass. civ. sez. III 4 novembre 2003, n. 16527

In tema di danni da cose in custodia, il profilo del comportamento del custode è estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui all’art. 2051 c.c. ed il fondamento della responsabilità è costituito dal rischio che grava sul custode per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano da fortuito. Allorché peraltro la cosa svolge solo il ruolo di occasione dell’evento ed è svilita a mero tramite del danno in effetti provocato da una causa ad essa estranea, che ben può essere integrata dallo stesso comportamento del danneggiato, si verifica il cosiddetto fortuito incidentale, idoneo ad interrompere il collegamento causale tra la cosa ed il danno. Il giudizio sull’autonoma idoneità causale del fattore esterno, estraneo alla cosa, va ovviamente adeguato alla natura della cosa ed alla sua pericolosità, nel senso che tanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo (costituente fattore esterno) nel dinamismo causale del danno, fino ad interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno e ad escludere dunque la responsabilità del custode ai sensi dell’art. 2051 c.c. Cass. civ. sez. III 17 gennaio 2001, n. 584

In tema di danni causati da cose in custodia, l’art. 2051 c.c. non richiede necessariamente che l’idoneità lesiva dipenda dalla natura stessa di tali cose in quanto anche allorché questi siano prive di un proprio dinamismo sussiste un dovere di custodia e controllo quando il fortuito o l’effetto dell’azione umana possa prevedibilmente intervenire come causa esclusiva o come concausa nel processo obiettivo di produzione dell’evento dannoso provocando lo sviluppo di un agente, di un elemento o di un carattere che conferiscano alla cosa la idoneità suddetta. (Omissis). Cass. civ. sez. III 22 maggio 2000, n. 6616

Per aversi imputazione degli effetti dannosi a norma dell’art. 2051 c.c. è necessario che il danno si sia verificato nello sviluppo di un agente insito nella cosa e che il soggetto convenuto abbia per il rapporto con la cosa l’obbligo di vigilare e di tenerla sotto controllo, in guisa da impedire che produca danni ai terzi. Pertanto, non è rilevante, al fine di escludere la responsabilità ex art. 2051 c.c., che il processo dannoso sia stato provocato da elementi esterni, quando la cosa sia obiettivamente suscettibile di produrre danni, indipendentemente dal comportamento volontario di colui che se ne serve. Cass. civ. sez. III 18 giugno 1999, n. 6121

In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro. Cass. civ., sez. , III 1 febbraio 2018, n. 2480

In tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la responsabilità del custode è esclusa solo dal fortuito, che può consistere anche nel fatto del terzo quando la condotta di quest’ultimo, estranea al custode, è di per sè idonea a provocare il danno a prescindere dall’uso della cosa in custodia; ne consegue che non ricorre caso fortuito quando il vizio costruttivo abbia provocato il danno durante l’utilizzo della cosa in custodia. (Omissis). Cass. civ., sez. , VI 9 novembre 2017, n. 26533

In tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., l’uso improprio od anomalo della cosa fonte di danno integra gli estremi del caso fortuito ed è quindi idoneo ad escludere la responsabilità del custode ma l’accertamento di tale modalità d’uso deve essere valutata in concreto ed “ex post”, non già in astratto ed “ex ante”. Ne consegue che il caso fortuito e la conseguente liberazione dalla responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. può essere esclusa quando l’uso anomalo, ancorché originato da un comportamento volontario sia stato posto in essere all’interno di un’attività utile, necessaria ed autorizzata per finalità professionali. (Omissis). Cass. civ., sez. , III 31 ottobre 2017, n. 25838

Ai sensi dell’art. 2051 c.c., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito. (Omissis). Cass. civ., sez. , III 22 giugno 2016, n. 12895

La responsabilità del custode di cui all’art. 2051 cod. civ,. è esclusa dal comportamento imprudente della vittima che, pur potendo prevedere con l’ordinaria diligenza una situazione di pericolo dipendente dalla cosa altrui, vi si esponga volontariamente. (Omissis). Cass. civ., sez. , III 13 dicembre 2012, n. 22898

La responsabilità del custode di cui all’art. 2051 c.c., di natura oggettiva, non può escludersi per il solo fatto che la vittima abbia usato la cosa fonte di danno volontariamente ed in modo abnorme (ferma restando, in tal caso, la valutazione della sua condotta come concausa del danno, ai sensi dell’art. 1227, comma primo, c.c.), quando tale uso, benchè non conforme a quello ordinario, è reso possibile dalla facile accessibilità alla cosa medesima. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva escluso la responsabilità ex art. 2051 c.c., dell’albergatore per i danni patiti da una minorenne in gita scolastica, che, scavalcando il balcone della sua stanza ed avventuratasi su un solaio di copertura a pari livello non calpestabile per assumere stupefacenti, era caduta nel vuoto). Cass. civ., sez. , III 8 febbraio 2012, n. 1769

In tema di danno causato da cose in custodia, costituisce circostanza idonea ad interrompere il nesso causale e, di conseguenza, ad escludere la responsabilità del custode di cui all’art. 2051 cod. proc. civ., il fatto della vittima la quale, non prestando attenzione al proprio incedere, in un luogo normalmente illuminato, inciampi in una pedana (oggettivamente percepibile) destinata all’esposizione della merce all’interno di un esercizio commerciale, con successiva sua caduta, riconducendosi in tal caso la determinazione dell’evento dannoso ad una sua esclusiva condotta colposa configurante un idoneo caso fortuito escludente la suddetta responsabilità del custode. Cass. civ. sez. III 16 gennaio 2009, n. 993

Il custode, per liberarsi dalla presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalla cosa deve provare che esso si è verificato per caso fortuito tale da impedirgli di prevenire l’evento dannoso o di ridurne le conseguenze, dovendo altrimenti rispondere almeno per la parte di danni che avrebbe potuto evitare. Ne consegue che il fato del terzo, essendo idoneo ad escludere la responsabilità ex art. 2051 c.c., solo se dotato di efficacia causale autonoma rispetto alla sfera di azione del custode, deve avere i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità, i quali non ricorrono nel fatto che il custode può prevenire esercitando i poteri di vigilanza che gli competono. Cass. civ., sez. , III 27 gennaio 2005, n. 1655

In riferimento alla responsabilità extracontrattuale da cose in custodia, quando sussiste un comportamento colposo del danneggiato che non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, esso può tuttavia integrare un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227, primo comma c.c., con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all’incidenza della colpa del danneggiato. Cass. civ. sez. III 18 giugno 2004, n. 11414

In tema di responsabilità per danno cagionato da cose in custodia, le misure di precauzione e salvaguardia imposte al custode del bene devono ritenersi correlate alla ordinaria avvedutezza di una persona e perciò non si estendono alla considerazione di condotte irrazionali, o comunque al di fuori di ogni logica osservanza del primario dovere di diligenza, con la conseguenza che non possono ritenersi prevedibili ed evitabili tutte le condotte dell’utente del bene in altrui custodia, ancorché colpose. (Omissis). Cass. civ. sez. III 27 settembre 1999, n. 10703

In tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato. (Omissis). Cass. civ., sez. , VI 11 maggio 2017, n. 11526

In materia di responsabilità da cose in custodia, la sussistenza del caso fortuito (nella specie, incendio di cassonetto dolosamente provocato dal terzo), idoneo ad interrompere il nesso causale, forma oggetto di un onere probatorio che grava sul custode, soggiacendo, pertanto, alle relative preclusioni istruttorie, ma non anche di un’eccezione in senso stretto, sicché la relativa deduzione non incorre nella preclusione fissata, per il primo grado, dall’art. 167, comma 2, c.p.c. Cass. civ., sez. , III 23 giugno 2016, n. 13005

La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia: una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l’onere di provare il caso fortuito, ossia l’esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale. Tuttavia, nei casi in cui il danno non sia l’effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (scoppio della caldaia, scarica elettrica, frana della strada o simili), ma richieda che l’agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno. (Omissis). Cass. civ., sez. , III 5 febbraio 2013, n. 2660

In tema di responsabilità extracontrattuale ex art. 2051 c.c., al fine di provare il rapporto causale tra la cosa in custodia e il danno, l’attore deve allegare un elemento intrinseco od estrinseco come fatto costitutivo idoneo a radicare il nesso eziologico senza, però, poter modificare nel corso del giudizio l’allegazione iniziale, indicando prima un fattore intrinseco e, successivamente, un fattore estrinseco, atteso che non è consentito mutare il tema d’indagine. Tuttavia, nell’ipotesi in cui nel corso dell’istruttoria del primo grado emergano altre condizioni, intrinseche o estrinseche alla cosa in custodia, che si pongano come mere specificazioni della domanda, esse potranno essere esaminate dal giudice, non integrando un fatto costitutivo nuovo. (Omissis). Cass. civ., sez. , III 23 marzo 2011, n. 6677

La norma dell’art. 2051 c.c., che stabilisce il principio della responsabilità per le cose in custodia, non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra queste ultime e il danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa. (Principio enunciato ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c.). Cass. civ., sez. , VI 11 marzo 2011, n. 5910

Ai fini dell’attribuzione della responsabilità prevista dall’art. 2051 cod. civ. sono necessarie e sufficienti una relazione tra la cosa in custodia e l’evento dannoso nonché l’esistenza dell’effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe l’obbligo di vigilarla e di mantenere il controllo onde evitare che produca danni a terzi. Ne consegue che il custode convenuto è onerato di offrire la prova contraria alla presunzione “iuris tantum” della sua responsabilità mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità. Nell’eventualità della persistenza dell’incertezza sull’individuazione della concreta causa del danno, rimane a carico del custode il fatto ignoto, in quanto non idoneo ad eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento eziologico dell’accadimento. Cass. civ. sez. III 10 marzo 2009, n. 5741

La responsabilità del custode disciplinata dall’art. 2051 c.c. costituisce una ipotesi di responsabilità oggettiva e non di colpa presunta. Il danneggiato, pertanto, per ottenere il risarcimento da parte del custode, deve dimostrare unicamente l’esistenza del danno e la sua derivazione causale dalla cosa. Al custode, per contro, per andare esente da responsabilità non sarà sufficiente provare la propria diligenza nella custodia, ma dovrà provare che il danno è derivato da caso fortuito. Cass. civ. sez. III 25 luglio 2008, n. 20427

La responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia ex art. 2051 c.c. si fonda non su un comportamento od un’attività del custode, ma su una relazione intercorrente tra questi e la cosa dannosa e, poiché il limite della responsabilità risiede nell’intervento di un fattore, il caso fortuito, che attiene non ad un comportamento del responsabile ma alle modalità di causazione del danno, si deve ritenere che, in tema di ripartizione dell’onere della prova, all’attore compete provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi, dovrà provare l’esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e, cioè, un fattore esterno (che può essere anche il fatto di un terzo o dello stesso danneggiato ) che presenti i caratteri del fortuito e, quindi, dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità. Peraltro, quando il comportamento colposo del danneggiato non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno, costituita dalla cosa in custodia, ed il danno, esso può, tuttavia, integrare un concorso colposo ai sensi dell’art. 1227, primo comma, c.c. con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante secondo l’incidenza della colpa del danneggiato. (Omissis ). Cass. civ. sez. III 8 maggio 2008, n. 11227

In tema di responsabilità da custodia, facendo eccezione alla regola generale di cui al combinato disposto degli artt. 2043 e 2697 c.c., l’art. 2051 c.c. determina un’ipotesi caratterizzata da un criterio di inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del custode la possibilità di liberarsi della presunzione di responsabilità a suo carico mediante la prova liberatoria del fortuito, risultando a tale stregua agevolata la posizione del danneggiato, rimanendo sul custode il rischio del fatto ignoto. Cass. civ. sez. III 29 settembre 2006, n. 21244

In tema di responsabilità della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 2051 c.c., l’obbligo dell’ente custode di una strada di apprestare misure adeguate a neutralizzarne la pericolosità sussiste anche con riferimento alle strade di servizio (c.d. “strade bianche”) non interdette al passaggio delle autovetture e collegate a strade a scorrimento ordinario di automezzi. (Omissis). Cass. civ., sez. , III 27 febbraio 2019, n. 5726

La responsabilità ex art. 2051 c.c. dell’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito è configurabile, nel concorso degli altri presupposti, in presenza di un nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, il quale sussiste quando la cosa si inserisca, con qualificata capacità eziologica, nella sequenza che porta all’evento e non rappresenti mera circostanza esterna, o neutra, o elemento passivo di una serie causale che si esaurisce all’interno e nel collegamento di altri e diversi fattori. (Fattispecie in cui, con riferimento ad uno scontro tra pedone e ciclista all’interno di un’area pedonale, la S.C. ha escluso che potesse riconoscersi un siffatto ruolo causale per il solo fatto che l’incidente si era verificato nel perimetro di detta area, in mancanza dell’allegazione e della dimostrazione, da parte del danneggiato, della sussistenza di una colpevole inerzia dell’amministrazione per non aver preso alcuna iniziativa diretta a regolare e controllare il comportamento degli utenti, malgrado specifiche segnalazioni sull’anomalo e pericoloso utilizzo di quello spazio). Cass. civ., sez. , III 13 febbraio 2019, n. 4160

L’ente proprietario di una strada si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo immanente connesse alla struttura ed alla conformazione della stessa e delle sue pertinenze, fermo restando che su tale responsabilità può influire la condotta della vittima, la quale, però, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove sia qualificabile come abnorme, cioè estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, potendo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso causale ai sensi dell’art. 1227 c.c. Cass. civ., sez. , III 1 febbraio 2018, n. 2481

In tema di responsabilità civile della P.A. per la manutenzione di una strada, sotto il profilo dell’omessa predisposizione delle opere accessorie laterali alla sede stradale, la circostanza che l’adozione di specifiche misure di sicurezza non sia prevista da alcuna norma astrattamente riferibile ad una determinata strada non esime la P.A. medesima dal valutare comunque, in concreto, ai sensi dell’art. 14 del codice della strada, se quella strada possa costituire un rischio per l’incolumità degli utenti, atteso che la colpa della prima può consistere sia nell’inosservanza di specifiche norme prescrittive (colpa specifica), sia nella violazione delle regole generali di prudenza e di perizia (colpa generica). (Nella specie, in relazione ad un sinistro occorso in un tratto di strada ad elevato rischio di sbandamento dei veicoli e fiancheggiato da una scarpata, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto la responsabilità dell’ente locale per aver omesso di installare barriere laterali di contenimento, e ciò indipendentemente dalla sussistenza di una prescrizione in tal senso desumibile, per quel tipo di strada, dal D.M. LL.PP. n. 223 del 1992). Cass. civ., sez. , III 5 maggio 2017, n. 10916

La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., opera anche per la P.A. in relazione ai beni demaniali, con riguardo, tuttavia, alla causa concreta del danno, rimanendo l’amministrazione liberata dalla responsabilità suddetta ove dimostri che l’evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione (nella specie, una macchia d’olio, presente sulla pavimentazione stradale, che aveva provocato un sinistro stradale) la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l’intervento riparatore dell’ente custode. Cass. civ., sez. , VI 27 marzo 2017, n. 7805

In tema di responsabilità da negligente manutenzione delle strade, è in colpa la Pubblica Amministrazione che non provveda alla manutenzione o messa in sicurezza delle aree, anche di proprietà privata, latistanti le pubbliche vie, quando da esse possa derivare pericolo per gli utenti delle strade, né ad inibirne l’uso generalizzato; ne consegue che, nel caso di danni causati da difettosa manutenzione d’una strada, la natura privata di questa non è, di per sé, sufficiente ad escludere la responsabilità dell’amministrazione comunale ove, per la destinazione dell’area e per le sue condizioni oggettive, la stessa era tenuta alla sua manutenzione. Cass. civ., sez. , VI 7 febbraio 2017, n. 3216

L’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito ha l’obbligo di provvedere alla relativa manutenzione (artt. 16 e 28 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F; art. 14 del D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285; per i Comuni, art. 5 del R.D. 15 novembre 1923, n. 2506) nonché di prevenire e, se del caso, segnalare qualsiasi situazione di pericolo o di insidia inerente non solo alla sede stradale ma anche alla zona non asfaltata sussistente ai limiti della medesima, posta a livello tra i margini della carreggiata e i limiti della sede stradale (“banchina”), tenuto conto che essa fa parte della struttura della strada, e che la relativa utilizzabilità, anche per sole manovre saltuarie di breve durata, comporta esigenze di sicurezza e prevenzione analoghe a quelle che valgono per la carreggiata. (Nella specie la S.C. ha ritenuto responsabile l’ANAS di un incendio che si era propagato dall’erba secca falciata e accumulata su una banchina stradale e non asportata) Cass. civ., sez. , III 4 ottobre 2013, n. 22755

In materia di circolazione stradale, ai fini dell’accertamento della responsabilità del proprietario o dell’ente gestore della strada, a fronte di comportamenti anomali dell’utilizzatore, occorre che l’individuazione delle misure esigibili e la valutazione delle rispettive responsabilità sia condotta sulla base di vari parametri, quali il grado di prevedibilità dei comportamenti temerari o pericolosi, la loro frequenza e la maggiore o minore facilità di compierli, la natura e la praticabilità delle misure di prevenzione e l’entità degli oneri tecnici, economici e di ogni genere, inerenti alla loro adozione, circostanze queste da valutarsi comparativamente alla gravità dei danni che si possono verificare nel caso in cui tali misure non vengano adottate. Cass. civ., sez. , III 19 giugno 2013, n. 15302

La discrezionalità, e la conseguente insindacabilità da parte del giudice ordinario, dei criteri e dei mezzi con cui la P.A. realizzi e mantenga un’opera pubblica trova un limite nell’obbligo di osservare, a tutela della incolumità dei cittadini e dell’integrità del loro patrimonio, le specifiche disposizioni di legge e regolamenti disciplinanti detta attività, nonché le comuni norme di diligenza e prudenza, con la conseguenza che dall’inosservanza di queste disposizioni e di dette norme deriva la configurabilità della responsabilità della stessa P.A. per i danni arrecati a terzi. (Omissis). Cass. civ., sez. , III 11 novembre 2011, n. 23562

La disciplina di cui all’art. 2051 c.c. è applicabile agli enti pubblici proprietari o manutentori di strade aperte al pubblico transito in riferimento a situazioni di pericolo derivanti da una non prevedibile alterazione dello stato della cosa; detta norma non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode, offrire la prova contraria alla presunzione “iuris tantum” della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità. Cass. civ., sez. , III 13 luglio 2011, n. 15389

L’installazione di misure a protezione degli automobilisti su un tratto di strada evidenzia una preventiva valutazione di pericolosità da parte dell’autorità amministrativa che le ha poste in essere. Ne consegue che la successiva omissione della dovuta manutenzione di tale opere (nella specie, una ringhiera su un ponte sovrastante un burrone), configura una condotta colposa, per escludere le conseguenze della quale non può essere invocato il principio della discrezionalità amministrativa nell’adozione delle misure di protezione degli utenti della strada, avendo, proprio nell’esercizio di tale discrezionalità già valutato preventivamente la pericolosità del contesto e disposto le predette misure. Cass. civ., sez. , III 4 ottobre 2010, n. 20602

In materia di responsabilità da cosa in custodia, sempre che questa non sia esclusa dall’oggettiva impossibilità per l’ente pubblico proprietario o gestore di esercitare sul bene quel potere di governo in cui si estrinseca la custodia, il giudice, ai fini dell’imputabilità delle conseguenze del fatto dannoso, non può arrestarsi di fronte alla natura giuridica del bene o al regime o alle modalità di uso dello stesso da parte del pubblico, ma è tenuto ad accertare, in base agli elementi acquisiti al processo, se la situazione di fatto che la cosa è venuta a presentare e nel cui ambito ha avuto origine l’evenienza che ha prodotto il danno, sia o meno riconducibile alla fattispecie della relativa custodia da parte dell’ente pubblico. Ove tale accertamento risulti compiuto con esito positivo, la domanda di risarcimento va giudicata in base all’applicazione della responsabilità da cosa in custodia, dovendo valutarsi anche l’eventuale concorso di colpa del danneggiato ai sensi dell’art. 1227c.c. (Omissis). Cass. civ. sez. III 8 agosto 2007, n. 17377 

Dalla proprietà pubblica del Comune sulle strade (e sulle relative pertinenze, come i marciapiedi) discende non solo l’obbligo dell’Ente alla manutenzione, ma anche quello della custodia con conseguente operatività nei confronti dell’Ente stesso della presunzione di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., ove sussista omissione di vigilanza al fine di impedire che i lavori su di essa effettuati costituiscano potenziale fonte di danno per gli utenti. (Omissis). Cass. civ. sez. III 21 luglio 2006, n. 16770

In tema di risarcimento del danno, con riferimento alla responsabilità per danno cagionato da cose in custodia dall’ente proprietario di strade demaniali, configurandosi il rapporto di custodia di cui al citato articolo 2051 c.c. come relazione di fatto tra un soggetto e la cosa, tale da consentirne «il potere di governo» (da intendersi come potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa), solo l’oggettiva impossibilità di esercitare tali poteri vale ad escludere quel rapporto per gli effetti di cui alla norma in questione, che configura la responsabilità del custode come oggettiva, salva la prova del fortuito, da intendersi come fatto idoneo ad interrompere il nesso causale fra la cosa e l’evento produttivo del danno e da provarsi dal custode. Figura sintomatica della sussistenza dell’effettivo potere di controllo su una strada del demanio stradale è rappresentato dall’essere la stessa ubicata all’interno della perimetrazione del centro abitato (art. 41 quinquies legge 17 agosto 1942 n. 1150, come modificato dall’art. 17 della legge 6 agosto 1967 n. 765; art. 4 D.L.vo 30 aprile 1992 n. 285; art. 9 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380); mentre l’eventuale comportamento colposo dello stesso soggetto danneggiato nell’uso del bene demaniale (sussistente quando egli ne abbia fatto uso senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) può valere ad escludere la responsabilità della P.A. se sia tale da interrompere il nesso causale tra la cosa e l’evento produttivo del danno, ovvero può atteggiarsi come concorso causale colposo – ai sensi dell’articolo 1227, primo comma, c.c. – con conseguente diminuzione della responsabilità del custode in proporzione all’incidenza causale del comportamento del danneggiato. (Omissis). Cass. civ. sez. III 12 luglio 2006, n. 15779

Gli enti pubblici che hanno la gestione e l’obbligo di manutenzione di strade ordinarie non sono tenuti a realizzare, in ogni caso, tutte le strutture accessorie ad esse (quali ad es. canali di scolo delle acque, reti di protezione per caduta massi, ecc.) né tutte le misure cautelari (muretti laterali, guard-rails, segnalazioni luminose ai bordi stradali ecc.) dipendendo l’esigenza di adottare tali misure dalle caratteristiche e dalla natura di ciascuna strada, secondo una valutazione discrezionale della pubblica amministrazione, la quale pertanto potrà dotare di dette protezioni solo alcune parti di una strada e non altre, purché la soluzione di continuità dell’opera protettiva sia visibile per l’utente e purché l’opera, per come in concreto realizzata, non costituisca essa stessa un’insidia e cioè una situazione di pericolo così non visibile e non prevedibile. Cass. civ., sez. , III 16 ottobre 1998, n. 10247

In tema di responsabilità della P.A. per danni subiti da utenti di beni demaniali, la presunzione sancita dall’art. 2051 c.c. non si applica le volte in cui non sussista la possibilità di esercitare sul bene la custodia (intesa come potere di fatto sulla cosa), possibilità da valutare non solo in base all’estensione dell’intero bene, ma anche alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, assumendo al riguardo determinante rilievo la natura, la posizione e l’estensione della specifica area in cui si è verificato l’evento dannoso, le dotazioni e i sistemi di sicurezza e di segnalazione di pericoli disponibili. In particolare, per i parchi naturali, l’oggettiva impossibilità della custodia non può affermarsi per i sentieri escursionistici segnati, in quanto destinati alla percorrenza da parte dei visitatori in condizioni di sicurezza, né per le zone immediatamente circostanti gli stessi che costituiscono la ragione di interesse (turistico, naturale, storico o di altro tipo) della visita. Cass. civ., sez. , III 19 gennaio 2018, n. 1257

L’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse in modo immanente alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l’evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione con cui il giudice di merito aveva statuito la responsabilità dell’ente per i danni derivati dal mancato intervento manutentivo diretto alla rimozione, dalla sede stradale, del fango e dei detriti trasportati da piogge torrenziali, la presenza dei quali, dopo tali precipitazioni, rappresentava fattore di rischio conosciuto o conoscibile). Cass. civ., sez. , III 18 ottobre 2011, n. 21508

In tema di responsabilità della P.A. ex art. 2051 c.c. per i beni demaniali, i criteri di imputazione della responsabilità devono tener conto della natura e della funzione dei detti beni, anche a prescindere dalla loro maggiore o minore estensione, considerato che, mentre il custode di beni privati risponde oggettivamente dei danni provocati dal modo di essere e di operare del bene, sia in virtù del principio cuius commoda eius incommoda sia perché può escludere i terzi dall’uso del bene e, quindi, circoscrivere i possibili rischi di danni provenienti dai comportamenti altrui, per contro, il custode dei beni demaniali destinati all’uso pubblico è esposto a fattori di rischio potenzialmente indeterminati, a causa dei comportamenti degli innumerevoli utilizzatori che non può escludere dall’uso del bene e di cui solo entro certi limiti può sorvegliare le azioni. Ne consegue che, per i beni da ultimo indicati, all’ente pubblico custode vanno addossati, in modo selettivo, solo i rischi di cui egli può essere tenuto a rispondere, in relazione ai doveri di sorveglianza e di manutenzione razionalmente esigibili, in base a criteri di corretta e diligente gestione, tenuto conto della natura del bene e della causa del danno. Cass. civ. sez. III 16 maggio 2008, n. 12449

La presunzione di responsabilità per danni da cosa in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., non si applica agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni demaniali ogni qual volta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche, non risulti possibile – all’esito di un accertamento da svolgersi da parte del giudice di merito in relazione al caso concreto – esercitare la custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa. L’estensione del bene demaniale e l’utilizzazione generale e diretta delle stesso da parte di terzi, sotto tale profilo assumono, soltanto la funzione di circostanze sintomatiche dell’impossibilità della custodia. Alla stregua di tale principio, con particolare riguardo al demanio stradale, la ricorrenza della custodia dev’essere esaminata non soltanto con riguardo all’estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche assumono rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti. Ne deriva che, alla stregua di tale criterio, mentre in relazione alle autostrade (di cui già all’art. 2 del D.P.R. n. 393 del 1959, ed ora all’art. 2 del D.L.vo n. 285 del 1992), attesa la loro natura destinata alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, si deve concludere per la configurabilità del rapporto custodiale, in relazione alle strade riconducibili al demanio comunale non è possibile una simile, generalizzata, conclusione, in quanto l’applicazione dei detti criteri non la consente, ma comporta valutazioni ulteriormente specifiche. In quest’ottica, per le strade comunali – salvo il vaglio in concreto del giudice di merito – circostanza eventualmente sintomatica della possibilità della custodia è che la strada, dal cui difetto di manutenzione è stato causato il danno, si trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stesso comune. Cass. civ. sez. III 6 luglio 2006, n. 15383

La presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. non opera nei confronti della P.A. per danni cagionati a terzi da beni demaniali sui quali è esercitato un uso ordinario, generale e diretto da parte dei cittadini, quando l’estensione del bene demaniale renda impossibile l’esercizio di un continuo ed efficace controllo che valga ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi. Tali principi sono applicabili nell’ambito del demanio stradale nel quale debbono intendersi comprese le scarpate, sia che costituiscano sostegno di una strada sovrastante, sia che a loro volta sovrastino un’altra strada, dovendo le scarpate considerarsi parti delle strade medesime. Cass. civ. sez. III 28 ottobre 1998, n. 10759

Per le autostrade, destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, l’apprezzamento relativo all’effettiva possibilità del controllo induce a ravvisare la configurabilità, in genere, di un rapporto di custodia per gli effetti di cui all’art. 2051 c.c.; ove non sia applicabile la responsabilità di cui alla norma citata, per l’impossibilità in concreto dell’effettiva custodia del bene, l’ente proprietario risponde dei danni subiti dall’utente ai sensi dell’art. 2043 c.c., essendo in questo caso a carico del danneggiato l’onere di provare l’anomalia del bene, mentre spetta al gestore provare i fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità, in cui l’utente si sia trovato, di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la predetta anomalia. (Nella specie, applicando il riportato principio, in relazione ad un sinistro occorso a seguito della manovra necessitata dall’attraversamento di un animale in autostrada, la S.C. ha affermato che, dimostrata la presenza di un animale idoneo all’intralcio alla circolazione, non spetta all’attore in responsabilità, tanto nella tutela offerta dall’art. 2051 c.c. che in quella di cui all’art. 2043 c.c., provarne anche la specie, che semmai andrà dedotta e dimostrata dal convenuto, nel caso la società di gestione dell’autostrada, quale indice di ricorrenza di un caso fortuito). Cass. civ., sez. , III 19 maggio 2011, n. 11016

In tema di danni cagionati dalla presenza di ostacoli sulla sede autostradale, l’obbligo del concessionario di garantire la buona manutenzione della rete viaria e di prevenire situazioni di pericolo, predisponendo le opportune protezioni e segnalazioni, non può estendersi al controllo preventivo di tutti gli automezzi che chiedano di accedere all’autostrada, con conseguente obbligo di precluderne l’utilizzazione a quelli che non offrano sufficienti garanzie di stabilità e sicurezza del carico, altrimenti compromettendosi l’obiettivo della speditezza della circolazione, consustanziale alla realizzazione ed all’uso della via, salvo che l’anomalia del mezzo o del suo carico non sia stata segnalata o sia visibile “ictu oculi”, nel qual caso l’inerzia del gestore rileva in termini di “culpa in omittendo”. Cass. civ., sez. , III 3 ottobre 2016, n. 19648

A carico dei proprietari o concessionari delle autostrade, per loro natura destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, è configurabile la responsabilità per cosa in custodia, disciplinata dall’art. 2051 c.c., essendo possibile ravvisare un’effettiva possibilità di controllo sulla situazione della circolazione e delle carreggiate, riconducibile ad un rapporto di custodia. Ne consegue, ai fini della prova liberatoria, che il custode è tenuto a fornire, per sottrarsi alla responsabilità civile, la necessità di distinguere tra le situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze dell’autostrada da quelle provocate dagli utenti o da una repentina ed imprevedibile alterazione dello stato della cosa in quanto, solo nella ricorrenza di queste ultime, potrà configurarsi il caso fortuito tutte le volte che l’evento dannoso si sia verificato prima che l’ente proprietario o gestore abbia potuto rimuovere, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata al fine di garantire la tempestività dell’intervento, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi. (Nella fattispecie la S.C. ha cassato la sentenza di secondo grado che, in applicazione dell’art. 2043 c.c. piuttosto che dell’art. 2051 c.c., aveva ritenuto il fondo stradale ghiacciato un evento imprevedibile ed infrequente in una giornata invernale soleggiata). Cass. civ., sez. , III 24 febbraio 2011, n. 4495

La disciplina di cui all’art. 2051 c.c. si applica anche in tema di danni sofferti dagli utenti per la cattiva ed omessa manutenzione delle autostrade da parte dei concessionari, in ragione del particolare rapporto con la cosa che ad essi deriva dai poteri effettivi di disponibilità e controllo sulle medesime, salvo che dalla responsabilità presunta a loro carico i concessionari si liberino fornendo la prova del fortuito, consistente non già nella dimostrazione dell’interruzione del nesso di causalità determinato da elementi esterni o dal fatto estraneo alla sfera di custodia (ivi compreso il fatto del danneggiato o del terzo), bensì anche dalla dimostrazione – in applicazione del principio di c.d. vicinanza alla prova – di aver espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa, in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, di vigilanza e manutenzione su di essi gravanti in base a specifiche disposizioni normative e già del principio generale del neminem laedere di modo che il sinistro appaia verificatosi per fatto non ascrivibile a sua colpa. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha rigettato il ricorso proposto e confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto configurabile la responsabilità da omessa custodia a carico del concessionario gestore di autostrada con riferimento ad incidente verificatosi per la presenza sulla sede autostradale di un cane che aveva tagliato la strada al veicolo del controricorrente sopraggiungente, con conseguente sbandamento e ribaltamento dello stesso in virtù della collisione con i cordoli laterali e la produzione di lesioni personali, senza che la ricorrente, sulla quale incombeva il relativo onere, fosse riuscita a dimostrare che l’immissione dell’animale era riconducibile ad ipotesi di caso fortuito, quale l’abbandono del cane in una piazzola dell’autostrada ovvero il taglio vandalico della rete di recinzione od, ancora, il suo abbattimento in conseguenza di precedente incidente, per il quale non era stato possibile intervenire tempestivamente adottando le necessarie cautele). Cass. civ. sez. III 2 febbraio 2007, n. 2308 

La presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. non è applicabile nei confronti della P.A. per quelle categorie di beni demaniali, quali le strade pubbliche, che sono oggetto di utilizzo generale e diretto da parte di terzi, poiché in questi casi non è possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza da parte della P.A. tale da impedire l’insorgere di cause di pericolo per i cittadini. Tuttavia, quanto alle autostrade, per loro natura destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, cui si è ammessi dietro pagamento di un «corrispettivo », la possibilità del controllo consente di configurare un rapporto di custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c., distinguendo però le situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze dell’autostrada da quelle provocate dagli stessi utenti ovvero da una repentina e non prevedibile alterazione dello stato della cosa, potendosi in questa seconda tipologia di casi ravvisare il caso fortuito tutte le volte che l’evento dannoso presenti i caratteri della imprevedibilità e della inevitabilità, in quanto l’insidia nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere. (Fattispecie relativa a sinistro causato in autostrada da un cartello di segnalazione, apposto in occasione di un incidente tra veicoli, rovesciatosi sulla sede stradale. In applicazione dei principi di cui sopra la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda del danneggiato ). Cass. civ., sez. , III 13 luglio 2005, n. 14749

In tema di sinistro stradale, il danneggiato che agisca per il risarcimento dei danni subìti in conseguenza di una caduta avvenuta, mentre circolava sulla pubblica via alla guida del proprio ciclomotore, a causa di una grata o caditoia d’acqua, è tenuto alla dimostrazione dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, non anche dell’imprevedibilità e non evitabilità dell’insidia o del trabocchetto, né della condotta omissiva o commissiva del custode, gravando su quest’ultimo, in ragione dell’inversione dell’onere probatorio che caratterizza la responsabilità ex art. 2051 c.c., la prova di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale presentasse, per l’utente, una situazione di pericolo occulto, nel cui ambito rientra anche la prevedibilità e visibilità della grata o caditoia. Cass. civ., sez. , III 9 giugno 2016, n. 11802

In materia di circolazione stradale, la conformità delle strade o delle autostrade alle leggi ed alla tecnica costruttiva non vale ad escludere ogni responsabilità del proprietario o dell’ente gestore qualora, nonostante una tale conformità, l’opera presenti insidie o pericoli per l’utilizzatore, responsabilità che può sussistere anche a fronte di modalità di utilizzazione improprie o colpose. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato con rinvio la decisione della corte territoriale che aveva escluso la responsabilità dell’ente gestore di un’autostrada per un sinistro occorso ad un pedone che, nell’attraversare in orario notturno le due carreggiate dell’autostrada, era precipitato nel vuoto, non essendosi accorto che si trattava di viadotto). Cass. civ., sez. , III 19 giugno 2013, n. 15302

In tema di danno da insidia stradale, la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo occulto vale ad escludere la configurabilità dell’insidia e della conseguente responsabilità della P.A. per difetto di manutenzione della strada pubblica, dato che quanto più la situazione di pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso. Cass. civ., sez. , III 16 maggio 2013, n. 11946

In tema di danno da insidia stradale, il solo fatto che sia dimostrata l’esistenza di una anomalia sulla sede stradale è di per sé sufficiente a far presumere sussistente la colpa dell’ente proprietario il quale potrà superare tale presunzione solo dimostrando che il danno è avvenuto per negligenza, distrazione od uso anomalo della cosa da parte della stessa vittima. A tal fine, il giudice di merito dovrà considerare che quanto più la situazione di pericolo era prevedibile e superabile con le normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi sul piano causale il comportamento di quest’ultimo. (Omissis). Cass. civ., sez. , III 13 luglio 2011, n. 15375

L’insidia stradale non è un concetto giuridico, ma un mero stato di fatto, che, per la sua oggettiva invisibilità e per la sua conseguente imprevedibilità, integra una situazione di pericolo occulto. Tale situazione, pur assumendo grande importanza probatoria, in quanto può essere considerata dal giudice idonea a integrare una presunzione di sussistenza del nesso eziologico con il sinistro e della colpa del soggetto tenuto a vigilare sulla sicurezza del luogo, non esime il giudice dall’accertare in concreto la sussistenza di tutti gli elementi previsti dall’art. 2043 c.c.. Pertanto, la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza l’anomalia, vale altresì ad escludere la configurabilità dell’insidia e della conseguente responsabilità della P.A. per difetto di manutenzione della strada pubblica. Cass. civ., sez. , III 13 luglio 2011, n. 15375

In tema di responsabilità extracontrattuale, con riferimento al cosiddetto caso di insidia o trabocchetto del manto stradale, in esso ricomprendendosi i pertinenti marciapiedi, la parte danneggiata, in presenza di un fatto storico qualificabile come illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c., ha l’onere della prova degli elementi costitutivi di tale fatto, del nesso di causalità, del danno ingiusto e della imputabilità soggettiva, mentre l’ente pubblico, preposto alla sicurezza dei pedoni e detentore del dovere di vigilanza tra l’altro sulla sicurezza dei tombini che possono aprirsi sui marciapiedi, ha l’onere di dimostrare o il concorso di colpa del pedone o la presenza di un caso fortuito che interrompe la relazione di causalità tra l’evento ed il comportamento colposamente omissivo dell’ente stesso. Cass. civ., sez. , III 11 gennaio 2008, n. 390

Allorquando sia accertato il carattere insidioso del pericolo stradale, non segnalato dall’Amministrazione proprietaria, in violazione delle norme del codice della strada (nella specie l’omessa segnalazione dell’altezza di un viadotto inferiore ai 4 metri, cui l’amministrazione pubblica è tenuta in virtù dell’articolo 61, primo comma, lettera b, del codice della strada e dell’articolo 118 del relativo regolamento di esecuzione ), il giudice, nell’accertare la responsabilità nella verificazione dell’evento dannoso, non può limitarsi a valutare la condotta del conducente sotto il profilo della prevedibilità del pericolo, ma deve al contempo valutare l’eventuale efficacia causale, anche concorrente, che abbia assunto la condotta omissiva colposa dell’Amministrazione nella produzione del sinistro. Cass. civ., sez. , III 13 aprile 2007, n. 8847

In tema di responsabilità per danni da beni demaniali, qualora non sia applicabile la disciplina dell’art. 2051 c.c., in quanto sia accertata in concreto l’impossibilità dell’effettiva custodia sul bene demaniale, l’ente pubblico risponde dei danni subiti dall’utente, secondo la regola generale dell’art. 2043 c.c., che non prevede alcuna limitazione della responsabilità della P.A. per comportamento colposo alle sole ipotesi di esistenza di un’insidia o di un trabocchetto. In tal caso graverà sul danneggiato l’onere della prova dell’anomalia del bene demaniale (come, ad esempio, della strada ), che va considerata fatto di per sé idoneo in linea di principio a configurare il comportamento colposo della P.A., sulla quale ricade conseguentemente l’onere della prova di fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia. Cass. civ., sez. , III 6 luglio 2006, n. 15383

In materia di responsabilità civile, per aversi insidia (o trabocchetto ) idonea a configurare la responsabilità della P.A. ai sensi dell’art. 2043 c.c. in caso di verificazione di un incidente, occorre non solo l’oggettiva invisibilità, ma anche l’imprevedibilità del pericolo, restando esclusa la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. nei confronti della P.A. per quelle categorie di beni demaniali, quali le strade pubbliche, che sono oggetto di utilizzo generale e diretto da parte di terzi, poichè in questi casi non è possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza da parte della P.A. tale da impedire l’insorgere di cause di pericolo per i cittadini. (Nella specie, relativa ad incidente automobilistico avvenuto su strada comunale, in applicazione dei principi di cui sopra la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la corresponsabilità dell’ente locale assumendo che lo stesso poteva sapere della possibilità di dilavamenti di ghiaia da una strada privata alla sede della strada pubblica, a seguito di violenti temporali. ) Cass. civ., sez. , III 29 aprile 2006, n. 10040

In materia di responsabilità civile da manutenzione di strade pubbliche statali, l’insidia o trabocchetto determinante pericolo occulto non è elemento costitutivo dell’illecito aquiliano ex art. 2043 c.c. sicché della prova della relativa sussistenza non può onerarsi il danneggiato, risultandone altrimenti, a fronte di un correlativo ingiustificato privilegio per la P.A., la posizione inammissibilmente aggravata, in contrasto con il principio cui risulta ispirato l’ordinamento di generale favore per colui che ha subito la lesione di una propria posizione giuridica soggettiva giuridicamente rilevante e tutelata a cagione della condotta dolosa o colposa altrui, che impone a chi questa mantenga di rimuovere o ristorare, laddove non riesca a prevenirlo, il danno inferto. A tale stregua l’insidia o trabocchetto può ritenersi assumere semmai rilievo nell’ambito della prova da parte della P.A. di avere, con lo sforzo diligente adeguato alla natura della cosa e alle circostanze del caso concreto, adottato tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto ed arrechi danno, al fine di far valere la propria mancanza di colpa o, se del caso, il concorso di colpa del danneggiato. Cass. civ., sez. , III 14 marzo 2006, n. 5445

Costituisce insidia o trabocchetto per gli utenti della strada, tale da rendere la P.A. cui ne spetta la gestione e la manutenzione responsabile dei fatti lesivi, quella costituita da segnali erronei o contraddittori nel caso ponga gli utenti nella impossibilità di discernere tempestivamente il segnale valido, e di regolare, di conseguenza, la propria condotta di guida. Il funzionamento di un impianto semaforico può pertanto dare luogo a responsabilità dell’amministrazione tutte le volte che tale funzionamento sia difettoso per erroneità o contraddittorietà dei segnali, e così viene a realizzarsi una situazione di insidia nel caso in cui il semaforo segni verde per i veicoli provenienti da una direzione di marcia, e proietti luce intermittente o non proietti alcuna luce perché spenta per i veicoli provenienti da altra direzione di marcia. Cass. civ., sez. , III 7 ottobre 1998, n. 9915

Sussiste l’insidia, fondamento della responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c. della P.A. per i danni riportati da un utente di una strada in cui sono in corso dei lavori, anche se il pericolo è segnalato, ma non è visibile, sì che permane l’imprevedibilità di esso, con riferimento alla sua ubicazione. (Nella specie il cantiere era transennato con nastro catarifrangente, ma i circostanti ammassi di pietre e la buca, luogo dell’infortunio, non erano illuminati con apposite lampade). Cass. civ., sez. , III 20 agosto 1997, n. 7742

In tema di danno da insidia stradale, quanto più la situazione di pericolo connessa alla struttura o alle pertinenze della strada pubblica è suscettibile di essere prevista e superata dall’utente-danneggiato con l’adozione di normali cautele, tanto più rilevante deve considerarsi l’efficienza del comportamento imprudente del medesimo nella produzione del danno, fino a rendere possibile che il suo contegno interrompa il nesso eziologico tra la condotta omissiva dell’ente proprietario della strada e l’evento dannoso. (Omissis). Cass. civ., sez. , III 13 gennaio 2015, n. 287

Il principio secondo cui, ricorrendo la fattispecie della responsabilità da cosa in custodia, il comportamento colposo del danneggiato può – in base ad un ordine crescente di gravità – o atteggiarsi a concorso causale colposo (valutabile ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ.), ovvero escludere il nesso causale tra cosa e danno e, con esso, la responsabilità del custode (integrando gli estremi del caso fortuito rilevante a norma dell’art. 2051 cod. civ.), deve a maggiore ragione valere ove si inquadri la fattispecie del danno da insidia stradale nella previsione di cui all’art. 2043 cod. civ. (Omissis). Cass. civ., sez. , III 20 gennaio 2014, n. 999

Il concorso del fatto colposo del danneggiato è astrattamente compatibile con la responsabilità della P.A. in caso di insidia o trabocchetto stradale, ma si riflette non già sulla esistenza della causalità giuridica e, quindi, sulla configurabilità dell’insidia bensì solo sulla entità del risarcimento, in quanto non è configurabile, in astratto, un’interruzione del nesso causale in virtù della mera circostanza che l’utente abbia tenuto, a sua volta, un comportamento irregolare, dovendo l’esclusione del rapporto di causalità essere, per converso, valutata in concreto, nell’esclusiva sede del giudizio di merito. Cass. civ., sez. , III 7 dicembre 2005, n. 26997

L’assenza di una intellegibile segnaletica stradale, laddove la circolazione possa comunque avvenire senza inconvenienti anche in mancanza di essa, rivelandosi sufficienti a regolarla le norme del codice della strada, non può ritenersi causa degli eventuali incidenti occorsi, e, quindi, non determina alcuna responsabilità dell’ente custode della strada quanto al loro verificarsi. Cass. civ., sez. , III 28 aprile 2017, n. 10520

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