La cessione dei beni proposta con la istanza di concordato preventivo non si perfeziona già con il deposito di essa o – quantomeno – con il decreto di ammissione assecondato dalla pubblicità prevista dall’art. 166 della legge fallimentare, e neppure con la sentenza di omologazione del concordato, dovendosi invece l’istituto in questione ricondurre, sia pure con le caratteristiche proprie di un procedimento complesso ed articolato, alla figura generale della cessione dei beni ai creditori prevista dall’art. 1977 c.c., la quale si sostanzia in un mandato irrevocabile a gestire e liquidare i beni del debitore, senza alcuna efficacia traslativa alla proprietà, e con il quale si conferisce agli organi della procedura la legittimazione a disporre dei beni dell’imprenditore al fine di soddisfare il ceto creditorio. Cass. civ. sez. I 1 giugno 1999, n. 5306
Con il contratto di cessione dei beni ai creditori viene attribuito ai cessionari soltanto un potere di disposizione finalizzato alla liquidazione ed al riparto per cui il debitore cedente conserva la titolarità e l’esercizio diretto delle azioni relative alle attività cedute, che può espletare anche nei rapporti interni della cessione, senza che l’esercizio di tali azioni comporti la necessità del litisconsorzio dei creditori cessionari. Cass. civ. sez. III 2 giugno 1990, n. 5177
Colui che ha stipulato la cessione di propri beni ai creditori non può invocare, ai fini della risoluzione per eccessiva onerosità di una vendita compiuta dal liquidatore di quei beni, il proprio stato di bisogno come conseguenza automatica della situazione di difficoltà in cui versa, atteso che la cessione dei beni ai creditori non postula, di per sé, l’esistenza di uno stato di bisogno del cedente, potendo determinare il debitore alla cessione anche considerazioni opportunistiche o di calcolo, quale l’intento di ricavare dalla cessione dei beni un risultato più vantaggioso di quello correlato all’assoggettamento dello stesso a plurime azioni esecutive. Cass. civ. sez. II 29 gennaio 1990, n. 531
Il contratto previsto dall’art. 1977 c.c. – che, anche se non attua immediatamente una solutio, ha una funzione solutoria, attenendo la sua causa al soddisfacimento dei crediti – è caratterizzato dall’intento, comune al cedente ed ai cessionari, di liquidare, in tutto o in parte, il patrimonio del debitore, al fine di ripartirne il ricavato fra i creditori. Pertanto, ai fini della configurabilità di tale contratto, non è sufficiente che il debitore dichiari di mettere i suoi beni a disposizione dei creditori, ma occorre che il debitore medesimo – mediante una inequivoca manifestazione di volontà (l’accertamento della cui sussistenza costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice del merito) – conferisca ai creditori un mandato a liquidare i suoi beni e soddisfarsi con il ricavato di tale liquidazione. Cass. civ. sez. III 25 giugno 1981, n. 4135
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