L’accordo mediante il quale le parti stabiliscono la cessione di quote di piena o nuda proprietà di un bene immobile verso un corrispettivo, in parte rappresentato dalla prestazione mensile di una somma di danaro, ed in parte dalla prestazione di “assistenza morale” per la durata della vita del beneficiario, ha natura di contratto atipico, che si differenzia dalla rendita vitalizia in relazione agli autonomi obblighi di assistenza che lo connotano – in parte non fungibili e basati sull’”intuitus personae” – rispetto all’inadempimento dei quali, anche limitatamente ad un breve periodo, non è applicabile l’art. 1878 c.c., che esclude la risoluzione del contratto in ipotesi di mancato pagamento di rate di rendita scadute, ma la disciplina generale della risoluzione per inadempimento di cui all’art. 1453 c.c. Cass. civ., sez. , VI 25 maggio 2017, n. 13232
La contrarietà di una clausola contrattuale ad una norma di legge meramente dispositiva non importa, di per sé sola, la necessità di interpretare la clausola medesima in senso restrittivo, poiché, invece, il concreto intento negoziale deve essere liberamente individuato sulla base dell’esame complessivo di tutti gli elementi acquisiti al processo. Pertanto, la clausola con la quale le parti di un contratto di rendita vitalizia hanno previsto, in deroga alla norma dispositiva di cui all’art. 1878 c.c., la risoluzione del contratto nel caso di mancato pagamento delle rate mensili, non deve essere necessariamente interpretata nel senso che essa si riferisca alla sola ipotesi di omesso pagamento delle rate nel termine e non anche all’ipotesi del pagamento delle rate in misura inferiore a quella risultante dall’adeguamento della rendita al tasso di svalutazione specificamente previsto in altro patto del negozio. Cass. civ. sez. III 12 febbraio 1977, n. 630