In presenza di un conto corrente formalmente affidato, l’accertamento del cosiddetto congelamento del conto è oggetto di un apprezzamento di fatto del giudice del merito e richiede la ricorrenza di specifiche circostanze, quali la chiusura anticipata del conto o il diniego della concessione dei blocchetti degli assegni, ovvero condotte negoziali sintomatiche, in modo univoco, della natura solutoria dei versamenti. Il congelamento del conto non può, invece, essere desunto dal semplice fatto che, a partire da una certa data, ai prelievi effettuati dal debitore corrispondano precedenti o contestuali versamenti per importi corrispondenti, perché da ciò non può trarsi la conclusione che la banca abbia posto in essere un meccanismo per ridurre l’esposizione senza chiudere formalmente l’apertura di credito, allorché le somme versate siano state contestualmente o quasi contestualmente riutilizzate. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 26042 del 20 novembre 2013
Nel contratto di apertura di credito bancario, la semplice annotazione in conto corrente della somma messa a disposizione del cliente non concretizza l’ipotesi della tradizione simbolica, idonea e sufficiente a realizzare l’estremo della consegna, e il vero rapporto obbligatorio, in ragione del quale l’accreditante può dirsi creditore dell’accreditato, sorge soltanto nel momento ed a causa del prelievo della somma messa a disposizione. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 18182 del 9 settembre 2004
Il fatto che una banca abbia talvolta consentito il superamento del limite del fido, in relazione ad importi accreditati ma non ancora effettivamente incassati ed acquisiti, di per sé non integra una manifestazione di volontà idonea a sostituire le clausole pattuite fra le parti, con difformi «clausole d’uso», ben potendo costituire espressione di tolleranza ed esplicazione di una facoltà discrezionale di volta in volta esercitata dalla banca secondo le circostanze del caso concreto. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 3487 del 4 aprile 1998
Nel caso in cui, tra i diversi rapporti intrecciati dal cliente con la banca, vi sia anche un negozio di apertura di credito, in forza del quale la banca si è obbligata a tenere a disposizione del correntista una somma di cui egli può disporre entro i limiti dell’affidamento concessogli, le eventuali successive rimesse che affluiscono sul medesimo conto, con corrispondente riduzione del saldo passivo, possono anche costituire null’altro che atti ripristinatori della provvista a disposizione dell’accreditato, in alternanza con gli atti di utilizzazione della provvista medesima, connatuti alla dinamica stessa dell’accreditamento. Nel caso in cui, invece, non vi sia una vera e propria apertura di credito (perché mai concessa o perché successivamente revocata), gli accreditamenti sul conto, da cui consegue la riduzione o l’elisione del saldo negativo per il cliente, hanno natura solutoria e, come tali, sono revocabili in ipotesi di fallimento dell’imprenditore. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 4473 del 20 maggio 1997
Nell’ipotesi in cui sussista e sia in corso un’apertura di credito regolata in conto corrente ed il relativo limite di fido non sia stato superato, non può individuarsi alcun obbligo restitutorio attuale da parte del correntista, il quale, secondo le facoltà consentite dal singolo contratto, ha la possibilità di reintegrare la provvista per poterne ulteriormente disporre. Invece, in tutti gli altri casi in cui o venga superato il limite di fido (e, quindi, si esca dall’operatività di quel contratto), ovvero non sussista un rapporto derivante da apertura di credito, per cui l’anticipazione eseguita dalla banca implichi un obbligo di restituzione, il versamento in conto ha funzione solutoria ed assume la veste di «pagamento» rilevante ai fini della revocatoria fallimentare. Una volta proposta tale ultima azione, l’attore può limitarsi a sostenere che tali versamenti, intesi come fatti solutori, avvennero per il rimborso di somme anticipate dalla banca in conto corrente, mentre costituisce onere della banca provare la sussistenza dell’apertura di credito ed il suo limite. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 10848 del 5 dicembre 1996
Nell’apertura di credito bancario, l’obbligo dell’accreditato di restituire le somme messegli a disposizione non sorge con la stipulazione del relativo contratto, ma bensì nel momento ed a causa del prelievo delle stesse. Pertanto, con riguardo ad una apertura di credito in conto-corrente in favore di una società, la responsabilità illimitata dell’unico azionista per le obbligazioni sociali, secondo la previsione dell’art. 2362 c.c., opera per le utilizzazioni della provvista che siano intervenute dalla data del verificarsi della concentrazione delle azioni nelle sue mani fino alla data della cessazione della concentrazione medesima. Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 6584 del 14 dicembre 1981