Art. 1815 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Interessi

Articolo 1815 - codice civile

Salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante (1282, 1820). Per la determinazione degli interessi si osservano le disposizioni dell’art. 1284.
Se sono convenuti interessi usurari (644, 649 c.p.), la clausola è nulla e non sono dovuti interessi.

Articolo 1815 - Codice Civile

Salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante (1282, 1820). Per la determinazione degli interessi si osservano le disposizioni dell’art. 1284.
Se sono convenuti interessi usurari (644, 649 c.p.), la clausola è nulla e non sono dovuti interessi.

Massime

La disciplina antiusura, essendo volta a sanzionare la promessa di qualsivoglia somma usuraria dovuta in relazione al contratto, si applica anche agli interessi moratori, la cui mancata ricomprensione nell’ambito del Tasso effettivo globale medio (T.e.g.m.) non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali di cui all’art. 2, comma 1, della l. n. 108 del 1996, ove questi contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali; ne consegue che, in quest’ultimo caso, il tasso-soglia sarà dato dal T.e.g.m., incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l’aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dal quarto comma dell’art. 2 sopra citato, mentre invece, laddove i decreti ministeriali non rechino l’indicazione della suddetta maggiorazione media, la comparazione andrà effettuata tra il Tasso effettivo globale (T.e.g.) del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori, e il T.e.g.m. così come rilevato nei suddetti decreti. Dall’accertamento dell’usurarietà discende l’applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c., di modo che gli interessi moratori non sono dovuti nella misura (usuraria) pattuita, bensì in quella dei corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell’art. 1224, comma 1, c.c.; nei contratti conclusi con i consumatori è altresì applicabile la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del d.lgs. n. 206 del 2005 (codice del consumo), essendo rimessa all’interessato la scelta di far valere l’uno o l’altro rimedio. Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 19597 del 18 settembre 2020

Nei rapporti bancari, gli intererssi convenzionali di mora, al pari di quelli corrispettivi, sono soggetti all’applicazione della normativa antiusura, con la conseguenza che, laddove la loro misura oltrepassi il c.d. “tasso soglia” previsto dall’art. 2 della il n. 108 del 1996, si configura la cosiddetta usura “oggettiva” che determina la nullità della clausola ai sensi dell’art. 1815, comma 2 c.c. Non è a ciò di ostacolo la circostanza che le istruzioni della Banca d’Italia non prevedano l’inclusione degli interessi di mora nella rilevazione del T.E.G.M. (tasso effettivo globale medio)che costituisce la base sulla quale determinare il “tasso sogli”. Poiché la Banca d’Italia provvede comunque alla rilevazione della media dei tassi convenzionali di mora (solitamente costituiti da alcuni punti percentuali da aggiungere al tasso corrispettivo), è infatti possibile individuare il “tasso soglia di mora” del semestre di riferimento, applicando a tale valore la maggiorazione prevista dall’ art. 2, comma 4, della l. n. 108 del 1996. Resta tuttavia fermo che dovendosi procedere ad una valutazione unitaria del saggio d’interessi concretamente applicato – senza potere più distinguere, una volta che il cliente è costituito in mora, la parte corrispettiva da quella moratoria – al fine di stabilire la misura oltre la quale si configura l’usura oggettiva, “il tasso soglia di mora” deve essere sommato al “tasso soglia” ordinario (analogamente a quanto previsto dalla sentenza delle Sezioni unite n. 16303 del 2018, in tema di commissione massimo scoperto). Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 26286 del 178 ottobre 2019

In tema di contratti bancari, con riferimento ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all’entrata in vigore (il 1 gennaio 2010) delle disposizioni di cui all’art. 2 bis del d.l. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale (TEG) degli interessi praticati in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata, rispettivamente con il “tasso soglia” – ricavato dal tasso effettivo globale medio (TEGM) indicato nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della predetta l. n. 108 del 1996 – e con la “CMS soglia” – calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media pure registrata nei ridetti decreti ministeriali -, compensandosi, poi, l’importo dell’eccedenza della CMS applicata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con l’eventuale “margine” residuo degli interessi, risultante dalla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati.

In tema di contratti bancari, l’art. 2 bis del d.l. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, in forza del quale, a partire dal 1 gennaio 2010, la commissione di massimo scoperto (CMS) entra nel calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM) rilevato dai decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della l. n. 108 del 1996, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, non è norma di interpretazione autentica dell’art. 644, comma 4, c.p., ma disposizione con portata innovativa dell’ordinamento, intervenuta a modificare – per il futuro – la complessa normativa, anche regolamentare, tesa a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono presuntivamente sempre usurari, come si evince sia dall’espressa previsione, al comma 2 del detto art. 2 bis, di una disciplina transitoria da emanarsi in sede amministrativa (in attesa della quale i criteri di determinazione del tasso soglia restano regolati dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della ridetta disposizione), sia dalla norma contenuta nel comma 3 del ridetto art. 2 bis (poi abrogato dall’art. 27 del d.l. n. 1 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 27 del 2012), a tenore della quale “i contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data”. Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 16303 del 20 giugno 2018

Nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto. Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 24675 del 19 ottobre 2017

La disciplina di cui all’art. 1, comma 2, d.l. n. 394 del 2000, conv. con modif. in l. n. 24 del 2001, poiché non reca alcuna distinzione al riguardo, si applica a tutti i mutui a tasso fisso anche se non assistiti da garanzia reale. Cassazione civile, Sez. I, ordinanza n. 21461 del 15 settembre 2017

Qualora l’usurarietà del tasso d’interessi di un mutuo, originariamente pattuito in misura legittima, sia sopravvenuta nel corso dell’esecuzione del contratto e sia stata tempestivamente contestatarisultando applicabile, “ratione temporis”, la norma d’interpretazione autentica di cui all’art. 1 del d.l. n. 394 del 2000 (conv., con modif., dalla l. n. 24 del 2001)il giudice del merito è comunque tenuto ad accertare l’usurarietà e, per la frazione temporale nella quale il superamento del tasso soglia sia effettivamente intervenuto, deve applicare il tasso previsto in via normativa, secondo la rilevazione trimestrale eseguita ai sensi dell’ art. 2 della l. n. 108 del 1996; non devono, però, applicarsi le sanzioni civili e penali stabilite dagli art. 644 c.p. e 1815, comma 2, c.c Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 9405 del 12 aprile 2017

Ai fini della valutazione dell’eventuale natura usuraria di un contratto di mutuo, devono essere conteggiate anche le spese di assicurazione sostenute dal debitore per ottenere il credito, in conformità con quanto previsto dall’art. 644, comma 4, c.p., essendo, all’uopo, sufficiente che le stesse risultino collegate alla concessione del credito. La sussistenza del collegamento può essere dimostrata con qualunque mezzo di prova ed è presunta nel caso di contestualità tra la spesa di assicurazione e l’erogazione del mutuo. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 8806 del 5 aprile 2017

In tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della l. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in sede di opposizione allo stato al passivo e con riferimento al credito insinuato da una banca, aveva escluso la possibilità di ritenere usurari gli interessi relativi a due contratti di mutuo in ragione della non cumulabilità degli interessi corrispettivi e di quelli moratori). Cassazione civile, Sez. VI-I, ordinanza n. 5598 del 6 marzo 2017

In tema di contratti bancari, l’art. 2 bis, comma 2, del d.l. n. 185 del 2008 (convertito dalla l. n. 2 del 2009), che attribuisce rilevanza, ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p. e degli artt. 2 e 3 della l. n. 108 del 1996, agli interessi, alle commissioni e alle provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’uso dei fondi da parte del cliente, non ha carattere interpretativo ma innovativo, e non trova pertanto applicazione ai rapporti esauritisi in data anteriore all’entrata in vigore della legge di conversione, con la conseguenza che, in riferimento a tali rapporti, la determinazione del tasso effettivo globale, ai fini della valutazione del carattere usurario degli interessi applicati, deve aver luogo senza tener conto della commissione di massimo scoperto. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 22270 del 3 novembre 2016

Il divieto di pattuire interessi usurari, previsto per il mutuo dall’art. 1815, comma 2, c.c., è applicabile a tutti i contratti che prevedono la messa a disposizione di denaro dietro remunerazione, compresa l’apertura di credito in conto corrente, sicché è nulla per contrarietà a norme imperative la clausola, ivi contenuta, che preveda l’applicazione di un tasso sugli interessi con fluttuazione tendenzialmente aperta con la correzione dell’automatica riduzione in caso di superamento del cd. tasso soglia usurario, ossia mediante la sola astratta affermazione del diritto alla restituzione del supero in capo al correntista Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 12965 del 22 giugno 2016

I criteri fissati dalla legge n. 108 del 1996, per la determinazione del carattere usurario degli interessi, non si applicano alle pattuizioni di questi ultimi anteriori all’entrata in vigore di quella legge, siano esse contenute in mutui a tasso fisso o variabile, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 394 del 2000 (conv., con modif., dalla l. n. 24 del 2001), che non reca una tale distinzione. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 801 del 19 gennaio 2016

In tema di contratto di mutuo, affinché una clausola di determinazione degli interessi corrispettivi sulle rate di ammortamento scadute sia validamente stipulata ai sensi dell’art. 1346 cod. civ., è sufficiente che la stessa – nel regime anteriore all’entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 154 – contenga un richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse. A tal fine occorre che quest’ultimo sia desumibile dal contratto con l’ordinaria diligenza, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all’istituto mutuante, non rilevando la difficoltà del calcolo necessario per pervenire al risultato finale, né la perizia richiesta per la sua esecuzione. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 25205 del 27 novembre 2014

Nel contratto di mutuo, quando non risulta superato il cosiddetto tasso soglia, la nullità ex art. 1815, secondo comma, cod. civ. della clausola di previsione degli interessi, richiede la prova del loro carattere usurario ai sensi dell’art. 644, terzo comma, secondo periodo, cod. pen., ossia la dimostrazione della sproporzione degli interessi convenuti (con uno squilibrio contrattuale, per i vantaggi conseguiti da una sola delle parti, che alteri il sinallagma negoziale e per il cui apprezzamento il parametro di riferimento è dato dal superamento del tasso medio praticato per operazioni similari), nonché della condizione di difficoltà economica di colui che promette gli interessi (desumibile non dai soli debiti pregressi, ma dalla impossibilità di ottenere, pur fuori dallo stato di bisogno, condizioni migliori per la prestazione di denaro che richiede). La prova di entrambi i presupposti grava su colui che afferma la natura usuraria degli interessi, senza che, accertato lo stato di difficoltà economica, la sproporzione possa ritenersi “in re ipsa”, dovendo comunque dimostrarsi il vantaggio unilaterale conseguito dalla banca. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 19282 del 12 settembre 2014

Nel regime anteriore alla legge n. 108 del 1996 il negozio di mutuo era da considerarsi illecito per pattuizione di interessi a tasso elevato solo nel caso di sussistenza degli estremi del delitto di usura ai sensi dell’art. 644 cod. pen. (nella previgente formulazione). In particolare, lo stato di bisogno preso in considerazione dal detto precetto penale poteva essere indifferentemente determinato da cause incolpevoli oppure da vizi, prodigalità o altre cause inescusabili, poiché la norma perseguiva la finalità di colpire l’usurario quale persona socialmente nociva, che non cessava di essere tale, quale che fosse la natura o la causa del bisogno del debitore, e sussisteva quand’anche l’offeso avesse inteso insistere negli affari al di fuori di ogni razionale criterio imprenditoriale. Ne consegue che lo stato di bisogno nel reato di usura ricorreva tutte le volte in cui la persona offesa non era in grado di ottenere altrove e a condizioni migliori la prestazione di denaro o altra cosa occorrente anche ai fini della sua attività d’impresa e doveva, invece, sottostare alle esose condizioni imposte per il prestito; deve, pertanto, escludersi che quella privazione o grave limitazione della libertà di scelta del mutuatario, che qualifica l’usura, fosse incompatibile con il carattere commerciale dell’attività lucrativa in cui l’usura venga ad inserirsi. (In applicazione del riportato principio la S.C. ha cassato la sentenza dei giudici di merito secondo cui – offrendone un’interpretazione riduttiva – lo stato di bisogno doveva essere escluso nel caso in cui il mutuatario si fosse ripromesso dal prestito uno scopo di lucro, sotto il profilo dell’investimento del denaro ricevuto, soltanto o anche per intraprendere o incrementare affari commerciali). Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 19698 del 17 luglio 2008

In tema di contratti di mutuo, perché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell’art. 1284, terzo comma, c.c., che è norma imperativa, la stessa deve avere un contenuto assolutamente univoco e contenere la puntuale specificazione del tasso di interesse; ove il tasso convenuto sia variabile, è idoneo ai fini della sua precisa individuazione il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti generici riferimenti, dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione. (Nella specie, relativa ad un contratto concluso nel 1981, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato la nullità della pattuizione degli interessi convenzionali, perché essa non consentiva di individuare univocamente la banca o il gruppo bancario cui fare riferimento e neppure se quello preso in considerazione dagli stipulanti fosse il tasso applicato per i mutui, il tasso di sconto o il tasso praticato per i conti correnti bancari, ed in questo caso se dovesse farsi riferimento ai tassi praticati ai clienti ordinari o invece al «prime rate»). Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 2317 del 2 febbraio 2007

In tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che gli interessi moratori, ma non si applica ai contratti contenenti tassi usurari stipulati prima della sua entrata in vigore se relativi a rapporti completamente esauriti al momento della entrata in vigore della legge. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 5324 del 4 aprile 2003

In tema di contratto di mutuo, la pattuizione di interessi moratori a tasso divenuto usurario a seguito della L. n. 108 del 1996 è illegittima anche se convenuta in epoca antecedente all’entrata in vigore di detta legge e comporta la sostituzione di un tasso diverso a quello divenuto ormai usurario, limitatamente alla parte di rapporto a quella data non ancora esaurito. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 14899 del 17 novembre 2000

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