Art. 1665 – Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262 - Aggiornato alla legge 26 novembre 2021, n. 206)

Verifica e pagamento dell'opera

Articolo 1665 - codice civile

Il committente, prima di ricevere la consegna, ha diritto di verificare l’opera compiuta (1662, 1666).
La verifica deve essere fatta dal committente appena l’appaltatore lo mette in condizioni di poterla eseguire.
Se, nonostante l’invito fattogli dall’appaltatore, il committente tralascia di procedere alla verifica senza giusti motivi, ovvero non ne comunica il risultato entro un breve termine, l’opera si considera accettata (1667, 2226).
Se il committente riceve senza riserve la consegna dell’opera, questa si considera accettata ancorché non si sia proceduto alla verifica (2226).
Salvo diversa pattuizione o uso contrario, l’appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo quando l’opera è accettata dal committente.

Articolo 1665 - Codice Civile

Il committente, prima di ricevere la consegna, ha diritto di verificare l’opera compiuta (1662, 1666).
La verifica deve essere fatta dal committente appena l’appaltatore lo mette in condizioni di poterla eseguire.
Se, nonostante l’invito fattogli dall’appaltatore, il committente tralascia di procedere alla verifica senza giusti motivi, ovvero non ne comunica il risultato entro un breve termine, l’opera si considera accettata (1667, 2226).
Se il committente riceve senza riserve la consegna dell’opera, questa si considera accettata ancorché non si sia proceduto alla verifica (2226).
Salvo diversa pattuizione o uso contrario, l’appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo quando l’opera è accettata dal committente.

Massime

In tema di contratto di appalto, la consegna dell’opera e la sua accettazione (anche se presunta ai sensi dell’art. 1665, comma 3, c.c.) liberano l’appaltatore esclusivamente dalla responsabilità per vizi palesi e riconoscibili dal committente ex art. 1667 c.c., i quali devono necessariamente essere fatti valere in sede di verifica o collaudo. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 11 del 3 gennaio 2019

In tema di appalto, gli effetti recuperatori della risoluzione in ordine alle prestazioni già eseguite operano retroattivamente, in base alla regola generale prevista dall’art. 1458 c.c., verificandosi, per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempienza, una totale “restitutio in integrum”. Ne consegue che, nel caso di risoluzione del contratto per colpa dell’appaltatore, quest’ultimo ha diritto, in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, al riconoscimento del compenso per le opere effettuate e delle quali, comunque, il committente stesso si sia giovato. Cassazione civile, Sez. II, ordinanza n. 27640 del 30 ottobre 2018

In tema di appalto di opere pubbliche, la garanzia per l’esperimento dei rimedi di cui agli artt. 1667 e 1669 c.c., riguardo a vizi e difetti rivelatisi contemporaneamente al suo esperimento, spiega la propria efficacia solo dopo l’approvazione del collaudo secondo le forme sancite, in via imperativa, dal r.d. n. 350 del 1895, applicabile “ratione temporis”, sicché è solo dall’esito del collaudo che prendono corpo e significato sia la tematica dell’accettazione dell’opera, che quella di un’eventuale decadenza del committente dalla possibilità di far valere difformità e vizi, sia, infine, quella della prescrizione dell’azione volta ad invocare la garanzia per questi ultimi. Ciò, del resto, si spiega in ragione del fatto che la ricognizione dello stato delle opere pubbliche da parte della P.A. non è riducibile alla percezione che di esso possa avere un qualsiasi soggetto che rivesta una carica pubblica nell’amministrazione committente, ma solo all’acquisizione formale nell’ambito del procedimento amministrativo previsto dalla legge. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 26338 del 20 dicembre 2016

In tema di appalto, l’accettazione dell’opera che, ai sensi dell’art. 1665 c.c., si verifica quando il committente tralasci di procedere alla verifica senza giusti motivi o non ne comunichi il risultato entro breve termine (comma 3), oppure riceva la consegna dell’opera senza riserve (comma 4), si distingue sia dalla verifica che dal collaudo perché la prima si risolve nelle attività materiali di accertamento della qualità dell’opera e il secondo consiste nel successivo giudizio sull’opera stessa; l’accettazione, invece, è un atto negoziale che esige che il committente esprima, anche per “facta concludentia” il gradimento dell’opera stessa e che comporta l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza della corte di merito che aveva ritenuto vi fosse accettazione per le sole circostanze della mancata doglianza circa l’effettuazione dei lavori, del pagamento di acconti sul prezzo, e del rinvio del collaudo). Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 4051 del 1 marzo 2016

Il contratto di appalto di opera pubblica si considera ultimato solo a seguito del collaudo, che rappresenta l’unico atto attraverso il quale la P.A. può verificare se l’obbligazione dell’appaltatore sia stata regolarmente eseguita, e che è indispensabile ai fini dell’accettazione dell’opera da parte della stazione appaltante, mentre resta estraneo, e non rileva, il momento della consegna, come disciplinato, in generale, dagli artt. 1665 e 1667 c.c.. (Così statuendo, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva valorizzato, quale prova del completamento di un tale contratto, la mancanza di specifiche eccezioni della P.A. circa la sua regolare esecuzione – che evocava una sorta di accettazione tacita – e l’emissione della fattura, benchè il collaudo non fosse stato effettuato). Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 2307 del 5 febbraio 2016

In tema di appalto di opere pubbliche, il verbale di ultimazione dei lavori e la consegna delle chiavi trasferiscono al committente sia il possesso dell’opera sia il conseguente onere di custodia, senza che sia anche necessario il collaudo (o il rilascio del relativo certificato), che costituisce l’atto formale indispensabile ai soli fini dell’accettazione dell’opera da parte della pubblica amministrazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da responsabilità l’appaltatore con riferimento agli atti vandalici subiti dall’opera pubblica in epoca successiva alla redazione del verbale di ultimazione dei lavori, con liquidazione del saldo e consegna delle chiavi, nonché all’esecuzione del collaudo, ma prima che fosse emesso il certificato). Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 8874 del 16 aprile 2014

In tema di appalto, il committente può legittimamente rifiutare o subordinare il pagamento del corrispettivo all’eliminazione dei vizi dell’opera, invocando l’eccezione di inadempimento prevista dall’art. 1460 cod. civ., in quanto istituto di applicazione generale in materia di contratti a prestazioni corrispettive, purché il rifiuto di adempiere non sia contrario alla buona fede, spettando al giudice del merito accertare se la spesa occorrente per l’eliminazione delle difformità sia proporzionata a quella che il committente rifiuta di corrispondere all’appaltatore o che subordina a tale eliminazione. Cassazione civile, Sez. VI-2, sentenza n. 26365 del 26 novembre 2013

In tema di garanzia per difformità e vizi nell’appalto, l’accettazione dell’opera segna il discrimine ai fini della distribuzione dell’onere della prova, nel senso che, fino a quando l’opera non sia stata espressamente o tacitamente accettata, al committente è sufficiente la mera allegazione dell’esistenza dei vizi, gravando sull’appaltatore l’onere di provare di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte, mentre, una volta che l’opera sia stata positivamente verificata, anche “per facta concludentia”, spetta al committente, che l’ha accettata e che ne ha la disponibilità fisica e giuridica, dimostrare l’esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate, giacché l’art. 1667 c.c. indica nel medesimo committente la parte gravata dall’onere della prova di tempestiva denuncia dei vizi ed essendo questo risultato ermeneutico in sintonia col principio della vicinanza al fatto oggetto di prova. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 19146 del 9 agosto 2013

In tema di appalto, l’art. 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell’opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell’accettazione da parte del committente e, in particolare, al quarto comma prevede come presupposto dell’accettazione (da qualificare come tacita) la consegna dell’opera al committente (alla quale è parificabile l’immissione nel possesso) e come fatto concludente la “ricezione senza riserve” da parte di quest’ultimo anche se “non si sia proceduto alla verifica”. Bisogna, però, distinguere tra atto di “consegna” e atto di “accettazione” dell’opera: la consegna costituisce un atto puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente, mentre l’accettazione esige, al contrario, che il committente esprima (anche “per facta concludentia”) il gradimento dell’opera stessa, con conseguente manifestazione negoziale la quale comporta effetti ben determinati, quali l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità dell’opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 15711 del 21 giugno 2013

In tema di appalto, qualora il committente, rilevata l’esistenza di vizi nell’opera, non ne pretenda l’eliminazione diretta da parte dell’esecutore del lavoro, chiedendo, invece, il risarcimento del danno per l’inesatto adempimento, il credito dell’appaltatore per il corrispettivo permane invariato. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 6009 del 17 aprile 2012

All’appalto di opera pubblica rimane estraneo un momento della “consegna” dell’opera (cosa come conosciuto, in generale, dagli artt. 1665 e 1667 cod. civ.), inteso come atto sostanzialmente unitario e tendenzialmente, istantaneo, il quale, seguendo l’ultimazione dei lavori, implica, per il committente che voglia evitare di essere ritenuto “accettante”, il coevo insorgere dell’onere di una precisa formulazione di riserve. A tale riguardo, infatti, l’appalto di opera pubblica conosce, sul piano della “consegna” dell’opera, tutta una serie di atti i quali, partendo dal verbale di ultimazione dei lavori, sono destinati a confluire nel collaudo, solo a partire dall’esito del quale prendono corpo e significato sia la tematica dell’accettazione dell’opera, sia quella di un’eventuale decadenza del committente dalla possibilità di far valere difformità e vizi, sia, infine, quella della prescrizione dell’azione volta a far valere la garanzia per tali vizi. Né, alla consegna dell’opera pubblica prima del collaudo è applicabile la presunzione di cui all’art. 1665, quarto comma, cod. civ., giacché la consegna di un’opera siffatta non può che intendersi attuata con riserva di verifica essendo il solo collaudo l’atto formale indispensabile ai fini dell’accettazione dell’opera stessa da parte della pubblica amministrazione. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 15013 del 7 luglio 2011

In tema di appalto, la previsione in contratto del diritto dell’appaltatore al pagamento di acconti da parte del committente e della periodica esigibilità di essi sulla base della constatazione, misurazione e contabilizzazione dei lavori eseguita in contraddittorio delle parti o del direttore dei lavori, non è idonea ad integrare e sostituire la verifica dell’opera che, ai sensi dell’art. 1665 c.c., il committente ha il diritto di eseguire dopo l’ultimazione dei lavori medesimi, né costituisce prova legale del diritto al corrispettivo maturato sulla base dei conteggi eseguiti; tuttavia, gli stati di avanzamento approvati, anche mediatamente, dal committente possono essere considerati prova del diritto dell’appaltatore, se il committente non dimostri che nei fatti, per quantità dei lavori eseguiti e prezzi applicati, l’opera è difforme da quella che da tali atti complessivamente risulta. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 106 del 4 gennaio 2011

In tema di appalto, il diritto dell’appaltatore al corrispettivo sorge con l’accettazione dell’opera da parte del committente (art. 1665, ultimo comma, c.c.) e non già al momento stesso della stipulazione del contratto. Ne consegue che, ove l’appaltatore abbia ceduto il proprio credito (futuro) e successivamente fallisca nel corso dell’esecuzione dell’opera, il cessionario non ha diritto al credito per il corrispettivo maturato per l’opera già compiuta, nei limiti dell’utilità della stessa ed in proporzione all’intero prezzo pattuito, ove l’appaltante ceduto non l’abbia in precedenza accettata nei confronti dell’imprenditore “in bonis”, non potendo neppure invocarsi gli effetti dello scioglimento del contratto di cui all’art. 1672 c.c., operando essi in base ad un’impossibilità assoluta ed oggettiva della prestazione in sé, mentre nello scioglimento a seguito di fallimento dell’appaltatore (art. 81 legge fall.) rileva un evento di natura personale. Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 21599 del 21 ottobre 2010

Nei contratti di appalto, l’obbligazione del committente di pagare il corrispettivo sorge, a mente dell’art. 1665, ultimo comma c.c., soltanto all’esito dell’accettazione dell’opera (accettazione che, negli appalti di opere pubbliche, può ritenersi avvenuta soltanto all’esito del collaudo dell’opera stessa), a nulla rilevando che, prima di tale momento, l’appaltatore abbia messo a disposizione del committente il risultato della sua prestazione. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 13075 del 3 ottobre 2010

In tema di appalto, la presa in consegna dell’opera da parte del committente non va confusa con l’accettazione della stessa, e non implica di per sè la rinunzia a far valere la garanzia per i difetti conosciuti o conoscibili quando sia seguita dalla denunzia delle difformità e dei vizi dell’opera. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 5131 del 6 marzo 2007

In tema di appalto, mentre la somma liquidata a favore del committente per la eliminazione dei vizi e difformità dell’opera — a titolo di risarcimento del danno o anche di riduzione del prezzo di cui all’art. 1668 c.c. — ha ad oggetto un debito di valore dell’appaltatore, che, non essendo soggetto al principio nominalistico, deve essere rivalutato in considerazione del diminuito potere d’acquisto della moneta intervenuto fino al momento della decisione, il diritto dell’appaltatore al corrispettivo ha natura di debito di valuta, che non è suscettibile di automatica rivalutazione per effetto del processo inflattivo della moneta; pertanto, in caso di inadempimento o ritardato adempimento della relativa obbligazione la rivalutazione monetaria del credito può essere riconosciuta, sempreché il creditore alleghi e dimostri, ai sensi del secondo comma dell’art. 1224 c.c., l’esistenza del maggior danno derivato dalla mancata disponibilità della somma durante il periodo di mora e non compensato dalla corresponsione degli interessi legali previsti con funzione risarcitoria in misura forfettariamente predeterminata dal primo comma dell’art. 1224 c.c. Ne consegue che la rivalutazione monetaria del debito di valuta, sostituendosi al danno presunto costituito dagli interessi legali, è idonea a reintegrare totalmente il patrimonio del creditore, sicché non possono essere riconosciuti gli interessi sulla somma rivalutata, se non dal momento della sentenza con cui, a seguito e per effetto della liquidazione, il credito essendo divenuto liquido ed esigibile — produce interessi corrispettivi ai sensi dell’art. 1282 c.c. (La Corte, nel cassare la sentenza impugnata, ha ritenuto erronea la liquidazione dei rispettivi crediti-debiti fra le parti compiuta dai giudici di appello, rilevando che mentre la somma riconosciuta a favore del committente a titolo di esborsi necessari per l’eliminazione dei vizi dell’opera non era stata rivalutata con riferimento al momento della decisione, il credito dell’appaltatore, dal quale era stato defalcato il suddetto importo, era stato rivalutato con decorrenza dalla consegna dei lavori e sulla somma rivalutata erano stati riconosciuti gli interessi legali). Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 11594 del 22 giugno 2004

In tema di appalto, l’art. 1655 c.c. comma 4 secondo cui presupposti dell’accettazione tacita dell’opera sono soltanto la sua consegna al committente, ossia la sua materiale traditio e, come fatto concludente, la sua ricezione senza riserve da parte del committente stesso pur in assenza di verifica, configura un’ipotesi di presunzione legale che deve essere tenuta distinta dai casi di presunzione hominis in cui indipendentemente dalla «consegna senza riserva », l’accettazione dell’opera viene desunta da comportamenti concludenti, che presupponendo necessariamente la volontà di accettarla o siano incompatibili con la volontà di rifiutarla o di accettarla condizionatamente dimostrino in modo inequivocabile il suo gradimento da parte del committente. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 7057 del 14 aprile 2004

In tema di appalto, l’art. 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell’opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell’accettazione da parte del committente e, in particolare, al quarto comma prevede come presupposto dell’accettazione (da qualificare come tacita ) la consegna dell’opera al committente (alla quale è parificabile l’immissione nel possesso ) e come fatto concludente la “ricezione senza riserve” da parte di quest’ultimo anche se “non si sia proceduto alla verifica”. Bisogna, però, distinguere tra atto di “consegna” e atto di “accettazione” dell’opera: la “consegna” costituisce un atto puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente, mentre l’”accettazione” esige, al contrario, che il committente esprima (anche per facta concludentia ) il gradimento dell’opera stessa, con conseguente manifestazione negoziale la quale comporta effetti ben determinati, quali l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità dell’opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 7260 del 12 maggio 2003

In tema di appalto, l’accettazione dell’opera da parte del committente è atto ontologicamente diverso da quelli della verifica e del collaudo, attesane la natura di vera e propria manifestazione di volontà negoziale, e da essa soltanto (che può risultare tanto espressa quanto tacita ) deriva la liberazione dell’appaltatore dalla garanzia per i vizi. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 12981 del 6 settembre 2002

In tema di appalto, l’accettazione dell’opera da parte del committente è atto ontologicamente diverso da quelli della verifica e del collaudo, attesane la natura di vera e propria manifestazione di volontà negoziale, e da essa soltanto (che può risultare tanto espressa quanto tacita) deriva la liberazione dell’appaltatore dalla garanzia per i vizi. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 12931 del 6 settembre 2002

Il direttore dei lavori assume la rappresentanza del committente limitatamente alla materia strettamente tecnica e le sue dichiarazioni sono, pertanto, vincolanti per il committente medesimo soltanto se siano contenute in detto ambito tecnico, come l’accettazione dell’opera perché conforme al progetto ed eseguita ad opera d’arte. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 7242 del 28 maggio 2001

In tema di appalto, l’accettazione dell’opera, pur non liberando l’appaltatore per le difformità ed i vizi occulti dell’opera stessa, lo libera per quelli riconosciuti o riconoscibili in sede di verifica. (Nella specie è stata confermata la sentenza di merito che aveva esonerato l’appaltatore dalla garanzia in ragione della riconoscibilità del vizio consistito nella maggiore altezza delle pedate della scala — apprezzabile a vista o mediante una semplice misurazione da parte di un soggetto di media capacità, usando l’ordinaria diligenza — e dell’accettazione senza riserve dell’opera da parte del committente). Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 7969 del 12 giugno 2000

Nei contratti d’appalto, il diritto dell’appaltatore al corrispettivo sorge non già al momento della stipulazione del contratto, ma solo dopo e a causa della esecuzione. Ne consegue che, ove l’appaltatore abbia ceduto il suo credito (futuro), e sia stato dichiarato fallito prima di detta esecuzione, poiché alla data del fallimento il credito per il prezzo dell’appalto non era ancora sorto e non si era verificato l’effetto traslativo della cessione — la quale aveva ancora mero effetto obbligatorio — il cessionario non può opporre efficacemente la cessione al fallimento. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 3782 del 29 marzo 2000

Non è ravvisabile un comportamento concludente di accettazione senza riserve dell’opera appaltata, con conseguente rinunzia alla verifica di essa, nella non rimozione da parte del committente di un impedimento nella specie segatura sparsa su un pavimento di marmo per proteggerlo dai lavori in corso per la ristrutturazione dell’edificio frapposto dall’appaltatore, pur se con il suo consenso, e idoneo a coprire i vizi del bene avvallamento, sbeccature, difetti di lucidatura e stuccatura, affioramento del salso sì che il termine per denunciarli decorre, ai fini della decadenza, dall’eliminazione dell’impedimento. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 10476 del 22 ottobre 1998

In tema di contratto di appalto, il diritto dell’appaltatore al corrispettivo non sorge al momento della stipulazione del contratto, ma solo dopo e a causa dell’esecuzione (totale o parziale, secondo le specifiche previsioni) dei lavori; ne consegue che, in ipotesi di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, il diritto di credito vantato dall’appaltatore quale corrispettivo del contratto d’appalto non può comprendersi tra i beni esistenti nel patrimonio del debitore «alla data della proposta di concordato» ove a quella data risulti soltanto stipulato il contratto di appalto, atteso che la stipula di detto contratto non è di per sé sufficiente per l’insorgenza del diritto di credito dell’appaltatore, occorrendo il verificarsi dell’ulteriore presupposto dell’esecuzione dei lavori successivamente alla stipula di detto contratto. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 10141 del 14 ottobre 1998

La disciplina stabilita dall’art. 1665 c.c. per il diritto dell’appaltatore al pagamento del corrispettivo, non si sottrae alla regola generale secondo la quale il principio inadimplenti non est adimplendum va applicato secondo buona fede e pertanto il giudice del merito deve accertare se la spesa occorrente per eliminare i vizi dell’opera è proporzionata a quella che il committente rifiuta perciò di corrispondere all’appaltatore, ovvero subordina a tale eliminazione. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 5231 del 26 maggio 1998

In tema di appalto, la presa in consegna dell’opera da parte del committente non equivale, ipso facto, ad accettazione della medesima senza riserve, con conseguente rinunzia all’azione per i difetti conosciuti o conoscibili della stessa, atteso che, integrando la ricezione senza riserve della res una ipotesi di accettazione tacita, occorre in concreto stabilire se, nel comportamento delle parti, siano o meno ravvisabili elementi contrastanti con la presunta volontà di accettare l’opera. (Principio affermato in relazione ad una vicenda di appalto nella quale il giudice di merito aveva – con decisione confermata dalla S.C. – ritenuto irricevibile la traditio di un fabbricato eseguita dall’appaltatore, nonostante la temporanea presa in consegna da parte del committente, per essere l’opera incompleta ed irregolare sia sotto il profilo tecnico-fattuale, sia per la mancanza della licenza di abitabilità). Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 5121 del 22 maggio 1998

Il principio che, salva inequivoca volontà contraria del committente, ricollega alla ricezione, senza riserve, della consegna dell’opera eseguita dall’appaltatore la presunzione di tacita accettazione, la quale, implicando rinuncia del committente al diritto di verifica, libera, ai sensi dell’art. 1667 c.c., l’appaltatore della garanzia per le difformità o i vizi riconoscibili o conosciuti, è applicabile anche ai rapporti di appalto nei quali sia previsto il collaudo, che, in senso proprio, si concreta nella dichiarazione del committente, coevo o successivo alla verifica, della conformità dell’opera ai patti contrattuali ed alle regole dell’arte, ma non si estende ai casi in cui il collaudo debba essere effettuato da un terzo ed ancora meno quando il collaudatore debba essere designato dalla P.A., perché la previsione di un siffatto collaudo si colloca in una prospettiva di garanzia degli interessi coinvolti dalla esecuzione dell’opera che è del tutto inconciliabile con la presunzione di unilaterale rinuncia al collaudo, sancita dall’art. 1665 c.c. con esclusivo riferimento ad un rapporto nel quale la verifica costituisce solo una facoltà (rinunciabile) del committente. (Nella specie si trattava di collaudo dovuto ad una clausola di rinvio alla disciplina degli appalti delle opere pubbliche, inserita in contratto di appalto per l’esecuzione di una costruzione, con contributo erariale, di alloggi di edilizia economica e popolare da assegnare ai soci di una cooperativa). Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 169 del 10 gennaio 1996

In materia di appalto, l’accettazione dell’opera non si identifica con la presa in consegna, ma rappresenta un atto di volontà, diretto ad accogliere la prestazione eseguita, che comporta l’esonero dell’appaltatore per vizi e le difformità riconoscibili ed il diritto al pagamento del prezzo (artt. 1665, 1667 c.c.). Ne consegue che incombe sull’appaltatore stesso, trattandosi di effetti a lui favorevoli, l’onere di provare che il committente ha accettato l’opera, dopo essere stato invitato e messo in condizione di verificarla, e che, una volta provata tale accettazione, è onere del committente di fornire la prova che essa è avvenuta con riserva (e che, quindi, anche per i vizi riconoscibili è dovuta la garanzia). Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 1317 del 3 febbraio 1993

In tema di appalto l’art. 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell’opera, indica i fatti ed i comportamenti dai quali desumere la sussistenza dell’accettazione da parte del committente. Al riguardo, a differenza dall’ipotesi contemplata al secondo e terzo comma del detto articolo, per cui l’accettazione è presunta nel caso in cui il committente, cui sia pervenuto, con qualsiasi modalità, l’invito a procedere alla verifica dell’opera, tralasci di procedervi o, avendovi proceduto, non ne comunichi i risultati all’appaltatore entro breve termine, il quarto comma prevede come presupposto dell’accettazione tacita la consegna dell’opera al committente (alla quale è parificabile l’immissione nel possesso per esclusiva iniziativa del committente e senza alcun concorso dell’appaltatore) e come fatto concludente la ricezione senza riserve da parte del committente anche se non si sia proceduto alla verifica: l’accertamento della sussistenza in concreto di detto presupposto e del relativo fatto concludente è compito del giudice del merito. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 1509 del 12 febbraio 1988

In tema di appalto privato la distinzione fra verifica e collaudo — estranea alla terminologia del codice che parla solo di verifica (artt. 1665 e 1666 c.c.) — indica due diversi momenti di una complessa operazione che, con l’accettazione e la consegna, pone fine al rapporto di appalto: il momento della verifica — intesa come ispezione materiale dell’opera, consistente in un’operazione eminentemente tecnica — ed il momento del collaudo, costituito dalla coeva o successiva dichiarazione, da parte del committente, che l’opera è stata o meno eseguita a regola d’arte e nel rispetto dei patti contrattuali. Spetta al giudice del merito accertare, nell’interpretazione dei patti contrattuali, se le parti abbiano convenuto un collaudo propriamente detto o una mera ispezione materiale dell’opera allo scopo di porre fine al rapporto di appalto. Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 283 del 13 gennaio 1984

Ha natura ricettizia la dichiarazione del committente di accettare senza riserve l’opera appaltata. Pertanto essa non produce effetti se non venga comunicata all’appaltatore od a persona da lui incaricata a riceverla. Ai fini dell’accertamento dell’avvenuta accettazione dell’opera appaltata nel caso in cui il committente abbia chiesto la consegna (o, senza opposizione dell’appaltatore, si sia immesso nel possesso) dell’opera stessa omettendo di eseguirne la verifica, il giudice del merito deve interpretare prudentemente la volontà del committente, o nel senso di una effettiva rinuncia alla verifica, nella convinzione che le obbligazioni dell’appaltatore sono state esattamente adempiute o nel senso di ottenere la disponibilità materiale dell’opera con riserva di eseguire ugualmente la verifica (il che particolarmente ricorre quando la presa di consegna sia seguita entro ragionevole lasso di tempo dalla denuncia delle difformità o dei vizi dell’opera). Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 3959 del 28 ottobre 1976

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