Giustifica l’esercizio del potere equitativo di riduzione della penale, ai sensi dell’art. 1384 cod. civ., anche quando le parti l’abbiano escluso negozialmente, la sussistenza di elementi d’incertezza nei rapporti commerciali delle parti (nella specie, rapporti di agenzia reciproca), qualora gli aspetti d’ambiguità siano tali da incidere sull’equilibrio della regolazione negoziale. Cass. civ., sez. , lav. 10 aprile 2013, n. 8768
Ai fini dell’esercizio del potere di riduzione della penale, il giudice non deve valutare l’interesse del creditore con esclusivo riguardo al momento della stipulazione della clausola – come sembra indicare l’art. 1384 c.c., riferendosi all’interesse che il creditore “aveva” all’adempimento – ma tale interesse deve valutare anche con riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente eseguita o è rimasta definitivamente ineseguita, poiché anche nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui agli artt. 2 Cost. , 1175 e 1375 c.c., conformativi dell’istituto della riduzione equitativa, dovendosi intendere, quindi, che la lettera dell’art. 1384 c.c., impiegando il verbo “avere” all’imperfetto, si riferisca soltanto all’identificazione dell’interesse del creditore, senza impedire che la valutazione di manifesta eccessività della penale tenga conto delle circostanze manifestatesi durante lo svolgimento del rapporto. Cass. civ., sez. , I 6 dicembre 2012, n. 21994
In tema di clausola penale, il criterio che il giudice deve utilizzare per valutarne l’eccessività, a norma dell’art. 1384 c.c., ha natura oggettiva, dovendosi tener conto non della situazione economica del debitore e del riflesso che la penale possa avere sul suo patrimonio, ma solo dello squilibrio tra le posizioni delle parti, avendo il riferimento all’interesse del creditore la funzione di indicare lo strumento per mezzo del quale valutare se la penale sia, o meno, manifestamente eccessiva, e dovendo la difficoltà del debitore riguardare l’esecuzione stessa della prestazione risarcitoria (ove, ad esempio, venga a mancare una proporzione tra danno, costo ed utilità), senza che occorrano ragioni di pubblico interesse che ne giustifichino l’ammontare. Cass. civ., sez. , II 10 maggio 2012, n. 7180
Il potere di riduzione equitativa dell’importo fissato con la clausola penale stabilita dalle parti contraenti per il caso di ritardo nell’adempimento deve essere esercitato avendo riguardo all’interesse del creditore al puntuale ed esatto adempimento, essendo riservati al giudice del merito l’apprezzamento in ordine alla eccessività dell’importo della penale e la misura della riduzione di detto importo. Cass. civ. sez. III 18 marzo 2003, n. 3998
Il criterio normativo per l’esercizio del potere giudiziale di riduzione della penale è l’interesse esclusivamente patrimoniale del creditore all’integrale esecuzione del contratto (da valutarsi in termini oggettivi, commisurando la penale alla posizione reciproca delle parti quale risulta individuata nel momento in cui si è costituito il rapporto obbligatorio fondamentale ed escludendo qualsiasi apprezzamento che riguardi il pregiudizio realmente subito da chi la pretende) e non quello al risarcimento del danno dipendente dall’inadempimento, e non rilevando, al riguardo, gli scopi ulteriori che il creditore abbia avuto di mira, qualunque ne sia la natura. Cass. civ. sez. III 5 agosto 2002, n. 11710
In tema di riduzione della penale, la valutazione va riferita al momento in cui si è concluso il contratto cui accede, e non a quello in cui ne viene chiesto il pagamento, sicché, ove essa risulti adeguata all’interesse del creditore all’adempimento con riferimento al momento della stipulazione, rimane priva di rilevanza l’eventuale eccessività per la sopravvenienza di fatti che riducano l’interesse del creditore o l’entità del pregiudizio che il medesimo viene a subire per effetto dell’inadempimento. Cass. civ. sez. III 5 agosto 2002, n. 11710
Se le parti, secondo l’accertamento del giudice di merito, hanno convenuto un’indennità – che prescinde pertanto dall’inadempimento della parte all’obbligo assunto – nel caso il terzo non compia il fatto promesso da una di esse, non è applicabile l’art. 1384 c.c., norma eccezionale di deroga all’autonomia delle parti (art. 1322 c.c.), e perciò il giudice non può ridurre la somma predeterminata. Cass. civ. sez. II 30 dicembre 1997, n. 13120
Il criterio cui il giudice deve fare riferimento per esercitare il potere di riduzione della penale non è la valutazione della prestazione in sé astrattamente considerata, ma l’interesse che la parte secondo le circostanze ha all’adempimento della prestazione cui ha diritto, tenendosi conto delle ripercussioni dell’inadempimento sull’equilibrio delle prestazioni e dell’effettiva incidenza dell’inadempimento sulla situazione contrattuale concreta. Cass. civ. sez. II 26 marzo 1997, n. 2655
Il potere del giudice del merito di riduzione della penale ai sensi dell’art. 1384 c.c. in caso di adempimento parziale dell’obbligazione va esercitato tenendo presente l’interesse patrimoniale che il creditore avrebbe avuto all’esecuzione totale, senza che possano essere presi in considerazione gli ulteriori scopi, cui l’oggetto della prestazione avrebbe dovuto essere destinato, secondo gli intendimenti e gli interessi del creditore. Cass. civ. sez. II 21 ottobre 1991, n. 11115
In tema di danni da inadempimento contrattuale, la penale concordata dalle parti – che, oltre ad assolvere la funzione di liquidare preventivamente la prestazione risarcitoria cui è tenuto il contraente inadempiente, vale anche a rafforzare il vincolo contrattuale, e che è dovuta indipendentemente dalla prova del danno (art. 1382, secondo comma, c.c.) – può essere diminuita equamente dal giudice nelle ipotesi previste dall’art. 1384 c.c. (e cioè, se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento), ma non del tutto eliminata. Cass. civ. sez. II 5 agosto 1989, n. 3600
La norma dell’art. 1384 c.c., sul potere del giudice di ridurre equamente la penale, ha carattere eccezionale e, pertanto, non è applicabile analogamente oltre l’ambito della clausola penale, cui testualmente si riferisce, né, in particolare, in tema di caparra confirmatoria. Cass. civ. sez. II 24 febbraio 1982, n. 1143
La norma dell’art. 1384 c.c. – che attribuisce al giudice il potere di diminuire equamente la penale – non ha la funzione di proteggere il contraente economicamente più debole dallo strapotere del più forte, bensì mira alla tutela e ricostruzione dell’equilibrio contrattuale, evitando che da un inadempimento parziale o, comunque, di importanza non enorme, possano derivare conseguenze troppo gravi per l’inadempiente. Pertanto, non osta alla sua applicazione il fatto che la clausola penale sia stata stipulata a favore e contro entrambi i contraenti o che non ricorra un’ipotesi di usura. La riduzione della penale rientra nei poteri equitativi discrezionali del giudice di merito, ma l’uso di questi poteri deve essere adeguatamente giustificato nella motivazione della sentenza. Cass. civ. sez. II 6 aprile 1978, n. 1574
In tema di “leasing” traslativo, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, la clausola penale pattizia che escluda l’applicabilità dell’art. 1526 c.c. può essere valutata dal giudice ex art. 1384 c.c. ai fini di un’equa riduzione, anche d’ufficio, della prestazione assunta, ove risulti manifestamente eccessiva ovvero tenuto conto dell’entità dell’adempimento dell’obbligazione principale. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di appello, che aveva apoditticamente desunto dalla mera sussistenza di una clausola pattizia derogatoria l’inapplicabilità della disciplina della vendita con riserva della proprietà ed illogicamente ritenuto di non potere valutare in concreto la sussistenza di una manifesta eccessività della penale tale da giustificare una riduzione in via equitativa della stessa). Cass. civ., sez. , III- 8 ottobre 2019, n. 25031
In tema di leasing immobiliare, ove nel contratto sia stabilito che, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, al concedente spetti, oltre alla proprietà e al possesso del bene, anche un’indennità pari all’intero ammontare del finanziamento, il giudice può ridurre in via equitativa tale importo, operando una valutazione comparativa tra il vantaggio che detta pattuizione assicura al contraente adempiente e il margine di guadagno che il medesimo avrebbe conseguito attraverso la regolare esecuzione del contratto. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile per carenza di interesse ad agire la domanda dell’utilizzatore intesa a far valere gli effetti restitutori di cui all’art. 1526 c.c. a fronte della domanda risarcitoria avanzata dal concedente con esclusivo riferimento alle rate di canone scadute e all’indennizzo di occupazione calcolati sino alla data dell’intimata risoluzione, senza coinvolgere le rate a scadere e altre forme di risarcimento). Cass. civ., sez. , III- 19 settembre 2019, n. 23336
In tema di “leasing” traslativo, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, la clausola penale che attribuisca al concedente, oltre all’intero importo del finanziamento, anche la proprietà e il possesso del bene è manifestamente eccessiva in quanto attribuisce vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, dovendo il giudice effettuare, ai fini della sua riducibilità ex art. 1384 c.c., una valutazione comparativa tra il vantaggio che detta clausola assicura al contraente adempiente e il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto. Cass. civ., sez. , III 21 agosto 2018, n. 20840
In tema di “leasing” immobiliare, al fine di accertare se sia manifestamente eccessiva, agli effetti dell’art. 1384 cod. civ., la clausola penale che attribuisca al concedente, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, l’intero importo del finanziamento ed in più la proprietà del bene, occorre considerare se detta pattuizione attribuisca allo stesso concedente vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, tenuto conto che, anche alla stregua della Convenzione di Ottawa sul leasing internazionale 28 maggio 1988, recepita con legge 14 luglio 1993, n. 259, il risarcimento del danno spettante al concedente deve essere tale da porlo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l’utilizzatore avesse esattamente adempiuto. Cass. civ., sez. , III 17 gennaio 2014, n. 888
L’apprezzamento sull’eccessività dell’importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, nonché sulla misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, e non è censurabile in sede di legittimità, ove correttamente fondato, a norma dell’art. 1384 c.c., sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento, con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l’entità del danno subito. Cass. civ. sez. II 9 giugno 1990, n. 5625
La decisione di rigetto della domanda di riduzione della penale deve essere sorretta da specifica ed esauriente analisi e valutazione degli elementi della fattispecie, e pertanto deve ritenersi insufficiente la motivazione che faccia riferimento generico all’interesse del creditore, all’entità della prestazione (dato che questa può bastare a spiegare la pattuizione, ma non la misura, della penale) ed all’accettazione del debitore (dato che una penale non è equa solo perché è stata convenuta). Cass. civ. sez. III 27 giugno 1975, n. 2541
Il potere di riduzione della penale ad equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 c.c., a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, può essere esercitato d’ufficio, ma l’esercizio di tale potere è subordinato all’assolvimento degli oneri di allegazione e prova, incombenti sulla parte, circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell’eccessività della penale, che deve risultare “ex actis”, ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, senza che il giudice possa ricercarlo d’ufficio. (Nella specie la S.C., ha confermato la sentenza di merito, evidenziando che dal materiale probatorio acquisito agli atti doveva desumersi la eccessiva onerosità di una penale corrispondente alla metà del corrispettivo). Cass. civ., sez. , II- 19 dicembre 2019, n. 34021
In tema di clausola penale, la relativa domanda di riduzione può essere proposta per la prima volta in appello, potendo anzi il giudice provvedervi anche d’ufficio, sempre che siano state dedotte e dimostrate dalle parti le circostanze rilevanti al fine di formulare un giudizio di manifesta eccessività della penale stessa. Cass. civ., sez. , I 19 luglio 2018, n. 19320
In caso di riduzione giudiziale della penale convenzionalmente stabilita dalle parti, il giudice deve esplicitare le ragioni che lo hanno indotto a ritenerne eccessivo l’importo come originariamente determinato, soprattutto con riferimento alla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento alla data di stipulazione del contratto, tenendo conto dell’effettiva incidenza dell’adempimento sullo squilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, a prescindere da una rigida ed esclusiva correlazione con l’effettiva entità del danno subito. Cass. civ., sez. , VI-I 7 settembre 2015, n. 17731
La riduzione della penale pattuita ex contractu ove invocata dalla parte interessata non in via di azione ma in via di eccezione, può essere proposta per la prima volta anche nel giudizio di appello; peraltro il relativo potere del giudice, essendo posto a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, può essere esercitato anche d’ufficio pur se le parti abbiano contrattualmente convenuto l’irriducibilità della penale. Cass. civ. sez. III 24 novembre 2007, n. 24458
In tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 c.c. a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, può essere esercitato d’ufficio, ma l’esercizio di tale potere è subordinato all’assolvimento degli oneri di allegazione e prova, incombenti sulla parte, circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell’eccessività della penale, che deve risultare ex actis ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, senza che il giudice possa ricercarlo d’ufficio. Cass. civ. sez. lav. 13 novembre 2006, n. 24166
In tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall’art.1384 c.c., essendo previsto a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, al fine di ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare effettivamente meritevole di tutela, e, dunque, connotandosi come potere esercitabile anche d’ufficio, può essere esercitato anche qualora le parti abbiano contrattualmente convenuto l’irriducibilità della penale. Cass. civ. sez. II 28 settembre 2006, n. 21066
In tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 c.c. a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, può essere esercitato d’ufficio per ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela, e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva, sia con riferimento all’ipotesi in cui la riduzione avvenga perchè l’obbligazione principale è stata in parte eseguita, giacchè in quest’ultimo caso la mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione della penale in caso di adempimento di parte dell’obbligazione si traduce comunque in una eccessività della penale se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta. Cass. civ. Sezioni Unite 13 settembre 2005, n. 18128
La domanda di riduzione dell’ammontare della penale può proporsi per la prima volta in appello, ma essa deve essere specificamente formulata, non potendo ritenersi la stessa compresa in una generica contestazione della penale stessa; ne consegue che, in difetto di questo requisito, il giudice d’appello non può operare la riduzione, trattandosi di un potere non esercitabile d’ufficio. Cass. civ. sez. III 4 aprile 2003, n. 5324
In caso di richiesta di condanna al pagamento di penale convenzionalmente stabilita per l’inadempimento, a carico della parte che eccepisca la entità manifestamente eccessiva della stessa, chiedendone la riduzione, nessun altro onere può configurarsi se non quello di prospettare al giudice l’esigenza di una valutazione comparativa tra l’interesse patrimoniale che la controparte aveva alla esecuzione del contratto stesso e l’ammontare della penale stabilito, in quanto gli elementi necessari per tale valutazione sono desumibili dalla convenzione prodotta a supporto della propria domanda dalla controparte, mentre è, se mai, quest’ultima tenuta a dimostrare, a fronte della contestazione sollevata ex adverso, le ragioni che giustificavano l’ammontare apparentemente abnorme della penale in relazione al valore del contratto. Per converso, una sproporzione che non si manifesti ictu oculi esige, da parte di chi la eccepisce, un’allegazione esplicativa della dedotta eccessiva entità della penale, oltre ad una deduzione di prove in ordine all’assenza di ragioni giustificative di detta sproporzione. Cass. civ. sez. II 4 marzo 2000, n. 2478
Il potere di ridurre la penale a norma dell’art. 1384 c.c. non può essere esercitato dal giudice di appello quando l’appellante sia incorso nella decadenza di cui all’art. 346 c.p.c. per avere riformulato detta istanza soltanto nella comparsa conclusionale, avuto riguardo al carattere meramente illustrativo di tale scritto difensivo. Cass. civ. sez. II 15 dicembre 1999, n. 14070