In tema di interpretazione del contratto, gli “usi interpretativi”, di cui all’art. 1368 c.c., costituiscono un criterio ermeneutico di carattere oggettivo e, sussidiario, il quale presuppone, secondo l’espresso tenore letterale della stessa disposizione (che riferisce l’applicabilità di tale criterio alle “clausole ambigue”), una persistente incertezza in ordine all’ identificazione dell’effettiva volontà delle parti, rimanendo, pertanto, escluso allorché questa risulti determinata o determinabile, senza margini di dubbio, attraverso l’adozione di prioritari criteri legali di ermeneutica, come quelli (artt. da 1362 a 1365 c.c.) che regolano l’interpretazione soggettiva (o storica) del contratto. Avendo, inoltre, dette pratiche interpretative carattere negoziale e non normativo, è onere della parte dedurre l’esistenza, il contenuto e la non corretta applicazione di determinati usi, che siano stati oggetto di specifica allegazione nel giudizio di merito. Cass. civ., sez. , II 30 aprile 2012, n. 6601
La prassi aziendale – che costituisce un mezzo interpretativo utilizzabile dal giudice ai fini della ricostruzione del contenuto e degli effetti di un negozio – è riconducibile alla categoria degli usi negoziali o di fatto, i quali, se prescindono dai requisiti della generalità e dell’opinio iuris seu necessitatis, propri degli usi normativi, presuppongono pur sempre l’accertata reiterazione di determinati comportamenti. Cass. civ. sez. lav. 3 febbraio 1984, n. 839
Gli usi interpretativi o negoziali costituiscono un mezzo di chiarimento e di interpretazione della volontà delle parti contraenti soltanto quando questa sia ambiguamente espressa o manchino i relativi patti. Cass. civ. sez. I 10 novembre 1981, n. 5943